Archivio dei tag Randazzo

Il Ponte sullo Stretto di Messina.

Aspettando il Ponte L’imbarazzante elenco di cantieri aperti e di opere mai concluse in Sicilia

L’isola ha centotrentotto infrastrutture incomplete, lo stesso numero dell’anno scorso. Tra mancanza di fondi, cause tecniche e ditte fallite, i lavori qui si aprono (forse) e non si chiudono mai

Paolo Caravello/Lapresse

          Aspettando il Ponte sullo Stretto di Messina (costo di dodici miliardi di euro, progetto esecutivo previsto a ottobre 2024, tempi di realizzazione: sette anni) un utile e puntuale memorandum sulla situazione di opere pubbliche e trasporti in Sicilia.
Magari il ministro Matteo Salvini non lo sa, o non è aggiornato.
La Sicilia è la Regione che ha il più alto numero di opere pubbliche incomplete in Italia: centotrentotto. Lo certifica l’ultimo monitoraggio della Regione. Piccolo particolare: è lo stesso numero dell’anno scorso. Quindi, in pratica, in dodici mesi non si è mosso quasi nulla. I dati arrivano dalla piattaforma Servizio Contratti Pubblici (Scp) dello stesso ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Sicilia da sola ha più di un’incompiuta su tre, il trentotto per cento, per un valore di quattrocentosei milioni di euro.
Le cause che portano al non completamento di un’opera pubblica sono principalmente tre: mancanza di fondi (cinquantuno casi) cause tecniche (come ad esempio il cambio in corsa del progetto per eventi sopravvenuti: sessantacinque casi), fallimento della ditta che ha vinto l’appalto (ventidue casi)
Magari il Ponte sullo Stretto sarà uno sprone per completare questi ed altri lavori, strade e ferrovie che sono indispensabili per adeguare l’isola al resto d’Italia.
Nella lunga lista dei cantieri aperti o da aprire c’è di tutto: il raddoppio della Ragusa-Catania, con lavori partiti e data di apertura mai definita, l’eterno cantiere della Palermo-Agrigento (fine dei lavori non nota), le strade interne, alcune delle quali sono ancora le “regie trazzere” del sistema viario voluto durante il Regno dei Borboni, e da allora mai ammodernate.
Può essere indicativa la storia dell’anello autostradale per collegare Mazara a Trapani, trentaquattro chilometri. Tra le tante infrastrutture pubbliche progettate e mai realizzate in Sicilia c’è infatti questa famosa bretella autostradale della quale si parla da almeno ventidue anni e diventata simbolo dell’inefficienza e dell’incapacità della politica siciliana di far diventare realtà progetti che dovrebbero migliorare, snellire e rendere più sicuri, viabilità, trasporti e collegamenti tra le diverse province.
Il 30 novembre 2023 è prevista finalmente la gara d’appalto, ma c’è l’incertezza sulla copertura finanziaria dell’opera: centotrentaquattro milioni di euro.
Nel 2001 venne inserita dal governo nel programma di “infrastrutture strategiche” per il Paese. Il progetto preliminare venne approvato dall’Anas a marzo 2004. I lavori dovevano partire nel 2009. Non accade nulla. Nel 2011 l’allora ministro delle Infrastrutture e Trasporti del Governo Berlusconi, Altero Matteoli, chiede con una nota inviata al presidente della Regione Raffaele Lombardo «di sottoscrivere l’accordo d’intesa generale quadro per avviare le procedure atte alla copertura finanziaria dell’opera in questione».
Nel 2011 vengono stanziati per la Sicilia un miliardo e centonovantasette milioni di euro; centocinquanta milioni saranno destinati alla Provincia di Trapani per creare la bretella. Sembra fatta. Non accade nulla. Nel 2017 l’opera è inserita in un nuovo elenco di interventi urgenti in Sicilia. Ma anche in questo caso, oltre le dichiarazioni soddisfatte dei politici del tempo, non accade nulla.
Nel 2021 il governo nomina un Commissario straordinario per il completamento dell’opera (in verità, qua si tratta di cominciare, prima ancora che di completare…). Grazie ai suoi poteri può velocizzare l’iter. Si scopre anche che l’opera è ferma, per un parere, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. L’iter si sblocca. C’è la gara, ma nel frattempo mancano i soldi, sono stati dirottati altrove. Sembra, insomma, un romanzo di Andrea Camilleri.
Anche il sistema aeroportuale siciliano ha mostrato la propria fragilità, dopo l’incendio che questa estate ha causato la chiusura dell’aeroporto di Catania e un mese di autentica passione per i viaggiatori dirottati sugli altri scali.
Le fiamme che hanno reso inservibile il Terminal A dell’aerostazione di Fontanarossa, nel capoluogo etneo, hanno contemporaneamente costretto agli straordinari gli aeroporti di Comiso, Palermo Punta Raisi e Trapani Birgi. Decine di cancellazioni, centinaia di dirottamenti e quaranta milioni al giorno di mancati introiti (dato Assoesercenti). E mentre turisti e siciliani, per spostarsi da e per l’isola, facevano i conti con voli cancellati e aerei dirottati, è arrivata l’emergenza incendi.
E i treni ? L’alta velocità non esiste, il quarantadue delle linee ferroviarie sono non elettrificate, solo duecento chilometri su milleseicento di linea ferrata sono a doppio binario. Secondo il piano di investimenti previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza su questo fronte è prevista l’alta capacità (da non confondere con l’alta velocità) tra Palermo e Catania, il raddoppio della Palermo-Messina, il ripristino della Caltagirone-Gela, mentre è ancora allo studio di fattibilità la linea Palermo-Agrigento.
Anche qui, di storie esemplari non me mancano. Una su tutte: nel 2013 è stata chiusa la linea ferrata per il collegamento diretto tra Palermo e Trapani: c’è stata una frana vicino la città di Alcamo. La tratta è interrotta da dieci anni, i lavori per il ripristino sono stati appaltati solo a febbraio 2022. Chissà se sarà pronta prima del 2030, l’anno di inaugurazione del Ponte

 

«Vi spiego perché il Ponte sullo Stretto è il “Giubileo” per tutta la Sicilia»

 

Di Michele Guccione

     

  «Il Ponte sullo Stretto è importantissimo farlo, e ce lo chiede tutto il mondo, non solo Sicilia e Calabria, perché non sarà solo il ponte a campata unica più lungo al mondo. Sarà come un Giubileo. Abbatterà l’ultimo grande muro dell’Occidente e potrà anche cambiare la storia dell’Europa».
Come il grande progettista Enzo Siviero, anche la giurista catanese Ida Angela Nicotra, chiamata dal governatore Renato Schifani a rappresentare l’Isola nella società Stretto di Messina, ha una visione non solo ingegneristica, ma anche geopolitica e socio-economica di quest’opera di interesse strategico internazionale.

 

          Una sfida che Nicotra ha accettato con passione e che prova a spiegare con una metafora: «Sin da piccola ho immaginato il Ponte come una sorta di ariete che abbatte un muro. L’immagine è simile a quella del Santo Padre che col martello abbatteva il muro per aprire la Porta Santa nell’anno del Giubileo. Se per i cristiani questo percorso aperto simboleggia il passaggio dal peccato alla grazia, il Ponte sullo Stretto abbatterà il muro rappresentato da quel mare che isola la Sicilia costando ai suoi abitanti 6,5 miliardi l’anno: aprirà la strada a diritti uguali e pari condizioni per tutti compensando i danni dell’insularità con la continuità territoriale terrestre così come prevede da un anno la Costituzione, visti i non concorrenziali costi del trasporto marittimo e aereo. È un muro che blocca il completamento dell’Alta velocità in Sicilia e in Calabria e del corridoio scandinavo-mediterraneo: aprire questa strada consentirà il trasporto veloce di passeggeri, merci, energia, culture e turismo fra il Nord-Europa e il Nord-Africa. Il mare è quel muro che nega ai giovani la speranza, alle imprese di essere competitive, agli abitanti di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni di essere legittimamente “città gemelle” e avere una vita e uno sviluppo comuni: l’attraversamento diretto metterà in relazione università, intelligenze, competenze, professionalità, produzione e lavoro in quella che sarà la terza area metropolitana del Sud».

Ma il Ponte genera pure enormi potenzialità in grado di muovere lo sviluppo del Sud: «Il progetto non comprende solo il Ponte, ma anche le arterie stradali e ferroviarie di collegamento, che si sviluppano per 13 km in Calabria e per 28 km in Sicilia. Inoltre, l’opera prevede tre corsie e due binari per ogni senso di marcia ed è tarata per il passaggio di 200 treni al giorno. Questi treni devono potere arrivare e l’avere riattivato il progetto del Ponte sta, infatti, servendo da volano per completare e adeguare la rete viaria e ferroviaria delle due regioni. Ad esempio, il governo e Rfi stanno lavorando per completare in Sicilia gli ultimi 81 km del raddoppio ferroviario Pa-Me e per rendere ad Alta velocità l’intera linea Pa-Ct-Me. Inoltre, si sta lavorando al potenziamento della rete stradale, ai collegamenti con i porti, gli interporti, gli aeroporti e le Zes. Trasporti e logistica saranno l’anima del piano di sviluppo di quest’area come hub europeo nel Mediterraneo».

 

          Tutto questo, però, va realizzato, e sembra una montagna enorme da scalare di fronte alla breve scadenza fissata dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, “padre” di questa storica svolta: progetto esecutivo e avvio cantieri entro l’estate del 2024.
Alla Stretto di Messina ne sono consapevoli e lavorano “pancia a terra” per raggiungere gli obiettivi con «razionale ottimismo» e una precisa tabella di marcia, come spiega la consigliera d’amministrazione: «Siamo già ad un punto abbastanza avanzato.
Noi abbiamo avviato il lavoro tecnico e la Commissione Ue sta facendo le valutazioni per confermare l’inserimento nel corridoio Ten-T di quest’opera che si innesta con la strategia avviata dal “Pnrr” e dagli altri strumenti finalizzati a colmare il divario Nord-Sud.
Partendo dal progetto esecutivo del 2011 che aveva già ottenuto tutte le autorizzazioni, servono dati aggiornati che, rispetto a quelli della commissione De Micheli-Giovannini, non tengano conto solo degli attuali attraversamenti – che, quanto al pendolarismo, sono molto limitati dai traghetti – , ma che calcolino lo sviluppo reale del futuro attraversamento diretto di passeggeri e merci.
La tabella di marcia la dà la legge 58 del 2023 (il dl “Ponte”: la Valutazione di impatto ambientale va esaminata entro 90 giorni ed entro 90 giorni va completata la Conferenza dei servizi. Cioè, 180 giorni».
«La Stretto di Messina  si sta attrezzando per gestire questa sfida. Partiva da un liquidatore e un dipendente, oggi ha un Cda e 21 professionisti che passeranno a breve a 60, fino a 150 entro l’avvio dei cantieri.
Le tappe dei prossimi tre mesi prevedono la nomina da parte del Mit del comitato scientifico di 9 esperti che daranno i pareri tecnici; la redazione della Via, anche se gli studi indicano il Ponte come un’opera “green” in grado di abbattere le emissioni di CO2; il decreto di nomina del responsabile della trasparenza e anticorruzione; la conferma dell’attuale o la nomina di un nuovo monitore ambientale; la stesura del piano economico-finanziario; la relazione del progettista che dovrà essere consegnata entro settembre».
Una tabella di marcia molto serrata, che denota un serio approccio, tecnico e non demagogico, perché l’Europa e il mondo ci guardano. Nella sua recente visita a Roma, la Commissaria Ue ai Trasporti, Adina-Ioana Vălean, ha chiesto dati affinchè l’Europa possa valutare se cofinanziare o meno l’opera, e ha auspicato il sostegno dell’Italia per convincere gli altri Stati membri della bontà del progetto, nell’ambito di un fabbisogno finanziario per tutte le grandi infrastrutture strategiche del Vecchio Continente che il Commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, ha stimato in 500 miliardi l’anno fino al 2030.
Ida Nicotra è fiduciosa: «La costruzione di queste grandi opere richiede tempo e piani finanziari pluriennali. La copertura per il Ponte potrà essere trovata lungo tutto l’arco di medio-lungo periodo di 8-10 anni di cantiere. Si tratta di “debito buono” che sarà ben visto, dato l’importante solco che gli Stati membri hanno tracciato con la prima esperienza del “Next Generation EU” che ha distribuito contributi e prestiti, in parte con debito comune sul mercato, per realizzare opere che fanno crescere la collettività.
Il Ponte avrà un notevole impatto sull’occupazione, sull’attrazione di investimenti privati, sul turismo. Quindi, rispettando le leggi, le procedure, i tempi e la valutazione di impatto ambientale, avvalendoci della collaborazione offerta dalle Regioni, dagli Enti locali e dalle Università, e presentando solidi piani economico-finanziari, i fondi potranno essere reperiti in parte nei bilanci pubblici e in parte sul mercato tramite investitori istituzionali e privati.
Ma quest’opera alla fine sarà fatta. Lo dobbiamo ai nostri giovani, la vogliono tutti i siciliani e i calabresi. E se nel 2012 non fosse stato interrotto l’iter dal governo Monti, oggi il Ponte non sarebbe ancora una leggenda inseguita da oltre 50 anni, ma sarebbe già una realtà».

 «L’opera consentirà il trasporto veloce di persone e merci  fra il Nord-Europa e il Nord-Africa»

la tabella di marcia. «Entro settembre la relazione del progettista, in 180 giorni Via e Conferenza dei servizi»

——————————————————————————————————————————————————-

Ponte sullo Stretto di Messina, ecco quando inizieranno i lavori

Ponte sullo Stretto di Messina, gli ultimi aggiornamenti sulla data di inizio dei lavori, ecco quando partiranno i cantieri.

 
Ponte sullo Stretto di Messina
Ponte sullo Stretto di Messina- fonte: web

Il 30 settembre 2023 a Roma è stata consegnata la relazione del progettista con gli aggiornamenti pianificati per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Questo segna una pietra miliare importante, poiché nel 2024 si prevede una svolta significativa.

Eurolink, il contraente generale, ha rispettato i tempi previsti e ha consegnato alla società Stretto di Messina la documentazione riguardante l’aggiornamento del progetto definitivo del ponte e delle infrastrutture di collegamento stradale e ferroviario.
La relazione del progettista fornisce una dettagliata esposizione delle modifiche e degli aggiornamenti progettuali, che saranno inclusi nel progetto esecutivo. Questi adattamenti sono necessari per conformarsi alle nuove normative tecniche per le costruzioni, alle modifiche nella modellazione geologica e nella caratterizzazione geotecnica, agli adeguamenti richiesti per la sicurezza e ai manuali tecnici di progettazione, alle prescrizioni ambientali, all’evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione e alle tecniche costruttive. Inoltre, è previsto un aggiornamento degli studi ambientali, che includono lo Studio di Impatto Ambientale, lo Studio di Incidenza Ambientale e la Relazione Paesaggistica.

Ponte sullo Stretto di Messina, cosa succederà nel 2024

“E’ un passo cruciale,” ha dichiarato Pietro Ciucci, Amministratore Delegato della società Stretto di Messina. “Questo passo è parte di un serrato cronoprogramma che ci permetterà di aprire i cantieri nell’estate del 2024, in linea con le direttive del Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. La società Stretto di Messina è stata riavviata solo cento giorni fa, ma oggi è dotata di una struttura organizzativa completa, che comprende aspetti tecnici, economici, finanziari e legali, pronta a gestire il complesso piano di attività. Queste attività includono, tra le altre cose, gli aggiornamenti in corso per lo studio del traffico, l’analisi dei costi e dei benefici, la pianificazione finanziaria con la definizione degli investimenti e dei costi operativi, e la valutazione della sostenibilità. Stiamo anche lavorando all’aggiornamento della Convenzione e dell’Accordo di programma, come previsto dalla legge, per una migliore definizione del quadro realizzativo dell’opera.”

“In aggiunta,” ha spiegato Pietro Ciucci, “abbiamo avviato tavoli tecnici di lavoro con i rappresentanti dei Comuni interessati dall’opera, con l’obiettivo di mantenere un costante dialogo e confronto con le città e permettere ai governi locali di avanzare le scelte strategiche programmate. Questi incontri sono di fondamentale importanza, poiché il ponte è un progetto che coinvolge il territorio e da cui deriveranno notevoli benefici. In questo contesto, stiamo per aprire sedi a Villa San Giovanni e Messina per garantire un costante flusso di informazioni con le istituzioni e i cittadini.”

La consegna del progetto

Con la consegna della relazione del progettista, si avvia il processo fondamentale nel cronoprogramma per l’approvazione del progetto definitivo. La società Stretto di Messina inizia immediatamente l’analisi tecnica ed economica, in collaborazione con il Project Manager Consultant, la Parson Transportation Group, e contemporaneamente richiede il parere del Comitato Scientifico. Questo processo, che rientra nei tempi previsti dalla normativa e che ha una durata stimata di un mese, sarà completato con l’approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione della Stretto di Messina.

Successivamente, la società trasmetterà il progetto definitivo e la relazione di aggiornamento del progettista al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che guiderà la Conferenza di Servizi in cui parteciperanno le amministrazioni statali e gli enti territoriali interessati all’opera. Tutta la documentazione, insieme agli studi ambientali pertinenti, sarà contemporaneamente inviata anche al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per ottenere l’approvazione in termini di compatibilità ambientale.

 

A cura di Lucio Rubbino

Francesco La Guzza

       

Francesco Rubbino

           Francesco La Guzza  nato a Randazzo probabilmente nella meta del 1600, si distinse per integrità interiore e per preparazione culturale. Fu instancabile predicatore a Messina, dove resse come Preposito (Superiore, Capo) la Congregazione dell’Oratorio. 
E’ autore di: 
  –  Affetti a Gesù addolorato devotamente contemplati,  Messane, 1672.
  –  Compendioso ritratto d’una perfetta religiosa…. Messane, 1682.
  –  Trionfo della Carità solennizzato dal Crocifisso Amore…. Messane, 1690.
  –  Cor in ore Laudantis, Penitentis, Postulantis, … Roma, 1698.
  –  Salve Regina contemplata ad excitantos  filiales confidentialesque affectus erga Virginem angelorum dominam hominumque matrem….  Roma 1698 
  –  Vergini Angeli Terreni, somiglianze divine … Roma, 1699.
Tratto dal libro di Don Santino Spartà  ” Randazzo fra Arte e storia”. 

Vita virtù e costumi del Molto Reverendo Padre Maestro Esprovinciale FRANCESCO LA GUZZA  di Santo Calì

          Del Padre Maestro Francesco La Guzza sapevamo ben poco; Vito Ma­ria Amico, nel suo Lexicon annotava: « Memorant cives illustrem virum Franciscum La Guzza ex Ordine Carmelitano, qui doctrina eximius, sed sanctis moribus praecipue ornatus effulsit. Rexit pluries provinciam, quo in munere egregie se commendavit».
            Sapevamo anche che il Transito di Maestro Francesco La Guzza era stato cantato dalla musa accorata del Notaro Francesco Copani, la poesia del Copani si è perduta solo da qualche decennio, ci era rimasta ansia di conoscere vita e opere del santo frate.
            Anche perché sapevamo che i santi frati del seicento e del settecento — fran­cescani, carmelitani o domenicani — erano stati tutti abbondantemente illumi­nati dalla Grazia Divina, e per questo avevano vissuta una vita fiorita di opere buone e di miracoli, e Maestro Francesco La Guzza doveva essere stato della sceltissima schiera di essi.
            La scoperta di un manoscritto contenente una Breve relazione della vita, virtù, e costumi del Molto Reverendo Padre Maestro Esprovinciale Francesco La Guzza figlio del Carmine di Linguaglossa.

Altre ricerche su Francesco La Guzza:

La Guzza, Francesco . Affetti a Giesù addolorato deuotamente contemplati dal sacerdote don Francesco Laguzza della città di Randazzo padre della primaria, e venerabile Congregazione di Giesù e Maria nella nobile, ed esemplare città di Messina. Opera a’ contemplatiui, e predicatori egualmente gioueuole in due parti diuisa. – In Messina : nella stamperia di Paolo Bisagni, 1671-1672. – 2 v. ; 4°. ((Riferimenti: Lipari, 637; Mira, I, 474; Mongitore, I, 215; Narbone, III, 380; Rodriquez, 214. – Rom., cors. – Iniz. e final. xilogr. 1. – 1671. – [12], 17, [3], 392, [44] p. : antip. ((Tit. dell’occhietto: Affetti a Giesù addolorato parte prima. – Fregio xilogr. sul front. – Antip. inc. da Francesco Donia. – Segn.: p 2 , X 4 , a-b 4 ,

La Guzza, Francesco . Compendioso ritratto d’vna perfetta religiosa interna, ed esterna cosi d’ogn’anima, ch’aspira agli auanzi di se. Ornato di più aiuti, e dedicato alle m.r. sig. del ven. monastero di S. Paulo di Messina da don Francesco La Guzza padre della primaria Congregatione di Gesù Maria nel piano di S. Giouanni. – In 66 Messina : nella stamperia di Vincenzo d’Amico : per Matteo la Rocca, 1682. – [32], 383, [1] p. ; 16°. ((Riferimenti: Lipari, 703; Mira, I, 474; Mongitore, 216; Narbone, III, 368. – Rom., cors. – Fregio xilogr. sul front. – Final. xilogr. – Segn.: X 8 2† 8 , A-2A8 Impronta: noa, tala o-n- dost (3) 1682 (A) Provenienza: Convento dei Cappuccini, Palermo Antiqua

La Guzza, Francesco . Trionfo della carità sollennizzato dal crocifisso amore. Esposto a publica vtilità di peccatori, giusti, guide, e predicatori dal p. Francesco La Guzza della Congregatione dell’Oratorio di Messina. Consecrato alla Regina del cielo Con l’aggiunta di vna bella e nuoua forma di meditatione, e di vn potentissimo motiuo, per impetrare da Dio ogni gratia. – In Messina : nella stamperia di Vincenzo d’Amico, 1690. – [12], 323, [1] p. ; 12°. ((Riferimenti: Cacciola, 118; Lipari, 773; Mira, I, 474; Mongitore, I, 216; Narbone, III, 384; Rodriquez, 215. – Rom., cors. – Final. xilogr. – Segn.: X 6 , A-B 6 C-O 12 P6 Impronta: anin teg- e-lo to85 (3) 1690 (A) Antiqua Y 6 II 7

https://www.randazzo.blog/2023/09/15/francesco-la-guzza-compendioso-ritratto-duna-perfetta-religiosa-1682/
Cliccando qui sopra potrai leggere questa Sua Opera.

       a cura di:

 

Angela Militi – I resti di un antico mulino ad acqua sul fiume Flascio: una memoria storica dimenticata.

I resti di un antico mulino ad acqua sul fiume Flascio: una memoria storica dimenticata.

Nella contrada Flascio di Randazzo, a poca distanza dall’omonimo fiume, sorge un complesso composto da diversi corpi di fabbrica giustapposti, uno dei quali pertinente ai resti di un antico mulino ad acqua [Fig. 1], per la lavorazione dei cereali, le cui origini affondano nel lontano XII secolo.

Fig. 1

Figura 1: Randazzo (CT), Contrada Flascio, I resti del mulino ai nostri giorni

L’odierna forma del toponimo che designa la contrada è l’effetto di una ipercorrezione, in quanto dalle antiche attestazioni, risalenti al Medioevo, la forma originaria era Fraxinu, il cui fitonimo dal latino fraxinus, attesta la presenza di un bosco di frassino.

Il territorio che si estende lungo il fiume Flascio[1], da sempre crocevia naturale di passaggio, è un luogo di notevole rilevanza paesaggistica e di grande interesse storico-culturale, immerso nella natura incontaminata della valle dei Nebrodi [Fig. 2], il quale mantiene ancora quasi del tutto inalterati i caratteri insediativi delle comunità di tradizione agro-selvo-pascorali.

Fig. 2Figura 2: Medio bacino del fiume Flascio, versante meridionale dei Nebrodi, località Zarbata, foto Salvo Granato

Ha attraversato secoli di storia, testimone nel 1061 del passaggio di Ruggero d’Altavilla (m. 1101), futuro conte di Sicilia, e del fratello Roberto il Guiscardo (1015-1085), che, racconta la cronaca di Malaterra[2], muovendo da Messina con il loro esercito, valicando i Nebrodi, sopraggiunsero «ad Fraxinos» (ai Frassini) e successivamente «ad Maniaci pratum» (al prato di Maniaci)[3].

Le origini del mulino mosso dall’energia idraulica è molto antica. Le prime testimonianze si hanno a partire dal I secolo a. C., nell’area del Mediterraneo orientale. La prima è più antica menzione di un mulino ad acqua o hydralétes è quella dello storico e geografo greco Starbone (50 a. C. – 25 d. C.), che nel suo trattato Geografia, descrive un mulino ad acqua a Cabria nel Ponto, fatto costruire dal re Mitridate VI Eupatore (120 a.C.- 63 a.C.) nel suo palazzo reale[4].

I Romani conoscevano il principio del mulino ad acqua: l’architetto romano Vitruvio Pollione (I sec. a.C.), nel quinto capitolo del libro X del suo trattato De Architectura, ne descrive il funzionamento, dopo aver descritto alcune ruote per il sollevamento dell’acqua:

Fiunt etiam in fluminibus rotae eisdem rationibus, quibus supra scriptum est. Circa earum frontes affiguntur pinnae, quae cum percutiuntur ab impetu fluminis, cogunt progredientes versari rotam, et ita modiolis aquam haurientes et in summum referentes sine operarum calcatura, ipsius fluminis impulsu versatae, praestant quod opus est ad usum. Eadem ratione etiam versantur hydraletae, in quibus eadem sunt omnia, praeterquam quod in uno capite axis [habent] tympanum dentatum et inclusum. Id autem ad perpendiculum collocatum in cultrum versatur cum rota partier: secundum id tympanum majus, item dentatum, planum est collocatum, quo continetur [axis habens in summo capite subscudem ferream, qua mola continetur]. Ita dentes ejus timpani, quod est in axe inclusum, impellendo dentes tympani plani, cogunt fieri molarum circinationes; in qua machina impedens infundibulum subministrat molis frumentum, et eadem versatione subigitur farina[5].

Vitruvio tace sulle condizioni che avevano determinato il passaggio di questa tecnologia dal mondo ellenico a quello romano. Tuttavia i Romani non ne fecero largo utilizzo data la rilevante disponibilità di schiavi e bestiame, sfruttati come forma alternativa di energia.

L’impiego e la diffusione del mulino ad acqua si diffuse largamente in Europa solo nel corso del Medioevo, favorita dai Benedettini: il capitolo LXVI (De ostiario Monasterii) della Regola di San Benedetto del 540 d. C. raccomanda un mulino ad acqua all’interno del monastero: «Monasterium autem (si fieri potest) ita debet construi, ut omnia necessaria, id est, aqua, molendinum, hortus, pistrinum, vel artes diversae intra Monasterium exerceantur»[6] (il monastero – se possibile – deve essere costruito in modo che tutte le cose necessarie, come l’acqua, un mulino, un orto, un forno, o i diversi mestieri debbano trovarsi all’interno del monastero) [Fig. 3].

Fig. 3Figura 3: Ricostruzione di un monastero benedettino

In Sicilia la diffusione dei mulini idraulici la si deve soprattutto agli Arabi e ai Normanni, i quali incanalarono l’acqua dei fiumi e dei torrenti per impiegarla come fonte di energia cinetica per muovere la ruota idraulica.

I mulini medievali della Sicilia, scrive Henri Bresc, erano strutture piccole che non necessitavano di una grande quantità di acqua. Questa, canalizzata dal fiume o dalla sorgente dentro una condotta, azionava una ruota in legno che trascinava la macina in pietra per la molitura[7]. Il tipo di mulino idraulico più diffuso in Sicilia era quello detto a ruota orizzontale o ritrecine [Fig. 4]. Per edificare un mulino e per utilizzare l’acqua del fiume era necessario ottenere una concessione regia, inoltre gli stessi erano soggetti al fisco regio. I proprietari erano per lo più i monasteri, i vescovadi, esponenti della classe feudale o della aristocrazia urbana[8]: ciò era dovuto al fatto che l’impianto di un mulino richiedeva un cospicuo investimento di capitale che solo costoro erano in grado di sostenere. Esso, inoltre, costituiva un’importante fonte di reddito sicura per il feudatario: in genere veniva concesso in affitto dietro pagamento di un canone annuo da corrispondere in natura o in denaro, il gabellotto, altresì, era tenuto a provvedere alle spese di manutenzione e delle eventuali migliorie.

Fig. 4Figura 4: Schema di funzionamento di un mulino a ruota orizzontale (ritrecine)

Il documento più antico che annota la presenza di un mulino azionato ad acqua nel Val Demone, risale al 1082, quando il conte Ruggero d’Altavilla dona alla chiesa vescovile di Troina «unum molendinum in flumine»[9] (un mulino sul fiume).

Dell’antico impianto molitorio del Flascio si sono conservati parte dell’acquedotto ad archi a tutto sesto in pietra lavica e malta [Figg. 5-6], il quale convogliava attraverso un canale detto saja («sagitta») [Fig.7] l’acqua sino alla torre gradonata[10] [Fig. 8], un canale verticale di carico, meglio conosciuto come botte («buttis»), il quale raggiungeva diversi metri di altezza, uno degli elementi più importanti del mulino.

Fig. 5
Fig. 6Figure 5-6: Resti dell’acquedotto ad archi a tutto sesto

Fig. 7Figura 7: Resti della saja

Fig. 8Figura 8: Resti del canale verticale di carico (botte)

L’esistenza di un mulino nel tenimento detto di Fraxinum nel territorio di Randazzo, ci è documentata, indirettamente, per la prima volta nel maggio del 1140: in tale anno un certo Ronfredo de Nas[11] donava al monastero di Santa Maria di Valle Giosafat una certa chiesa con vigneto e «cum decima unius molendini»[12] (con la decima di un mulino) e con le decime degli uomini latini, ovvero sui Cristiani, e tanta terra quanta una coppia di buoi poteva arare per un anno[13]. Questo dimostra che il mulino, il più antico di cui si abbia notizia nella terra di Randazzo, era già presente e funzionante ben prima di questa data. Esso si ritrova menzionato in altri tre documenti. Il primo è una bolla rilasciata da papa Adriano IV – giudicata falsa da Garufi[14] – e datata primo marzo 1154[15], con il quale il pontefice confermava al monastero i privilegi rilasciati dai suoi predecessori, Innocenzo II, Eugenio III ed Anastasio IV. Il secondo è un privilegio di conferma dato dal re Gugliemo I il Malo (1120-1166), con il quale il sovrano procedeva a confermare al monastero i privilegi concessi allo stesso da suo padre Ruggero II e da altri baroni[16]. Il terzo è una lettera congiunta di Ludovico e Giovanna, datata primo aprile 1357, con la quale i sovrani ordinavano agli ufficiali della città di Messina, su richiesta dell’abate del monastero di Santa Maria di Valle Giosafat, di rispettare i diritti di possessione sui casali, concessi allo stesso dai tempi remoti sino alla morte di Roberto d’Angiò (1276-1343). Alla missiva seguiva il privilegio di conferma di Guglielmo II il Buono (1153-1189) del gennaio del 1188[17].

In seguito non si hanno altre menzioni fino al 1395, allorquando i sovrani Martino I il Giovane e Maria, con il privilegio del 28 giugno 1395, concedevano a Corrado Lancia[18], figlio del nobile Perruccio[19], il feudo vocatum lu Fraxinu, confiscato al ribelle Iohannes seu Antonius de Castella eius frater, posto nel territorio di Maniace[20], con tutti gli annessi e connessi, ovvero «herbagiis, glandagiis, decimis, censualibus, aquis, molendinis, aqueductibus, viridariis, vineis» (erbaggi, ghiande, decime, censi, acque, mulini, acquedotti, giardini, vigne)[21]. Questo documento è un’importante fonte d’informazioni, dato che oltre a confermarci l’esistenza del mulino, testimonia anche la presenza di una presa d’acqua, ossia la canalizzazione che adduce l’acqua del fiume all’impianto molitorio. Il fatto che nel privilegio venga impiegato il plurale molendinis e aqueductibus non implica necessariamente la presenza di più di un mulino così come di più di una presa d’acqua nel feudo.

Il feudo Fraxinu[22], incamerato dalla regia corte dopo la morte di Belengarie di Antiochia[23], venne concesso cum iuriribus et pertinenciis suis da Alfonso il Magnanimo, mediante un suo privilegio datato 11 gennaio 1421, al nobile aragonese Gonsalvo (Godinsalvo) de Monroy[24]militis camerarii et consiliarii regii [25].

Dopo solo tre anni, il 28 agosto 1424, Gonsalvo de Monroy donava, con atto di donazione inter vivos rogato dal notaio Nicola de Augusta, al miles Gomes de Quadro e ai suoi eredi e successori, i feudi di lu Fraxinu e di Briemi con le loro pertinenze «nemoribus vallonibus fluminibus rivis aquarum decursibus et saltibus glutis mandris tracirii mineriis molendinis viridariis terris cultis et non cultis» (boschi, valli, fiumi, torrenti, corsi d’acqua e salti, cereali, mandrie, … miniere, mulini, giardini, terre colte ed incolte), che l’infante Pietro, fratello del re Alfonso, confermava, con privilegio del primo novembre[26], escludendo e riservando, come di consueto, totalmente dalla presente conferma le leggi di lignare, le miniere, le saline, le foreste, i giardini e le antiche difese di dominio regio, e quelle cose spettanti dai tempi antichi allo stesso demanio[27].

Gomes, con testamento del 25 agosto 1455, lasciò i due feudi al figlio Giovanni, che prestò omaggio feudale e giuramento di fedeltà a re Alfonso, innanzi al viceré Lop Ximen Durrea (de Urrea) il 16 luglio 1456[28], ed ancora a re Giovanni, l’8 giugno 1459, tramite il suo procuratore Pardus de la Casta[29]. Nel 1486, in seguito alla morte di Giovanni, (anno di redazione del suo testamento[30]) questi beni feudali passarono, per disposizioni testamentarie, alla figlia minore Giovannella (affidata, assieme alla sorella Tucia, alla tutela dello zio materno Riccardo Filangeri), che nel 1490 li portò in dote al miles Pietro Rizzari. Qualche anno dopo, il 5 novembre 1495, Giovannella prestava omaggio feudale e giuramento di fedeltà a re Ferdinando II, tramite il suo procuratore Angelo Rizzari[31].

Stando all’elenco dei mulini esistenti nella terra e nella flomaria magna della terra di Randazzo – sottoposti al pagamento del censo regio -, riportato da Giovan Luca Barberi, segretario e maestro notaio della Real Cancelleria siciliana, nel suo Liber de Secretiis[32], sappiamo che, nel 1506, nel feudo Fraxino erano attivi due impianti molitori, uno vocato di Faso[33], al quale erano annessi anche una serra (serre), cioè una sega azionata da ruote idrauliche per segare i tronchi d’albero [Fig. 9], e un battinderio (bactinderio) o gualchiera, un mortaio per la follatura dei panni[34] [Figg. 10-11]; l’altro nominato lu Faxo subtani[35] dotato di una macina per i cereali e di un battinderio. La forma Faso/Faxo può essere dovuta ad un errore di scrittura con dimenticanza del relativo segno abbreviativo, ad una forma dialettale o ad una forma contratta di Fraxino. L’appellativo indica con l’avverbio di luogo subtani (sotto) la sua posizione, ovvero più a valle rispetto all’altro mulino, posizionato più a monte.

Fig. 9Figura 9: Sega azionata da ruote idrauliche, rappresentazione di Francesco di Giorgio Martini del XV secolo, Biblioteca apostolica Vaticana, Codicetto, Urb.lat.1757, f. 165v

Fig. 10Figura 10: Battinderio, G. A. Böckler, Theatrum machinarum novum, Noribergae 1662

Fig. 11Figura 11: Il moto di rotazione generato dalla caduta del getto d’acqua sul ritrecine, veniva trasmesso, oltre che alla macina, all’albero motore, provvisto di camme, del battinderio, il quale azionava a sua volta delle grandi gambe di legno o magli (folloni) che alternativamente battevano il tessuto grezzo di lana, in precedenza immerso in acqua, soda, urina e argilla, per perdere il grasso che rivestiva le sue fibre

La nobildonna, il 5 marzo 1507, donava i feudi, mediante una donazione irrevocabile inter vivos, di dubbia autenticità[36], alla chiesa di Santa Maria di Randazzo, che veniva in seguito confermata con regio assenso del 28 aprile e resa esecutiva il 31 luglio. Un ulteriore donazione inter vivos contribuì ad ingarbugliare le cose: nel novembre del 1513, Giovannella donava i feudi con le loro pertinenze «terragiis herbagiis nemoribus aquarum decursibus et aliis» ad Andrea Santangelo – sposato in seconde nozze dopo la morte di Pietro Rizzari – ed ai suoi eredi e successori in perpetuum.

Non è possibile, in questa sede, offrire una disanima completa dell’intrigata vicenda, che sarà trattata più ampiamente in un saggio in corso di stesura, a ogni modo, qui sarà sufficiente accennare che alla morte della baronessa Giovanella (avvenuta il 15 luglio 1529), il notaio Pietro Paolo Russo di Randazzo investiva Iohannes Georgius Preximone, procuratore della chiesa di Santa Maria, nel «naturalem civilem corporalem actualem realem» (naturale, civile, corporale, attuale, reale) possesso del feudo Fraxinu, attraverso la consueta cerimonia che dava veste ufficiale alla titolarità del feudo. L’atto solenne ebbe luogo sulle terre del feudo, il 30 luglio 1529, alla presenza del notaio, dei testimoni e degli ufficiali di Randazzo, seguendo una precisa ritualità e specifici gesti, nel nostro caso, «per tactum lapidis erbarium aquarum» (attraverso il tocco della pietra di confine, delle erbe e delle acque), e per incisione degli alberi come solita tradizione[37].

Del mulino non si hanno notizie successive fino alla metà del XIX secolo (1847), quando il Plumari nel suo manoscritto Storia di Randazzo, disquisendo delle chiese della città, riportava che la «Chiesa dè SS. TRE-RÈ, fin’oggi esistente presso la Torre del Fraxio»[38]. Come si legge dalle parole del reverendo la chiesa dedicata ai Santissimi Tre Re (Re Magi) si trovava vicino alla Torre del Flascio, ovvero la botte del mulino, denominata così dallo storico e in alcune mappe topografiche [Fig. 12] per la sua della somiglianza con una torre.

Immagine 2023-06-29 163713Figura 12: Particolare della mappa «Contorni dell’Etna» pubblicata da Karl Baedeker nel 1869

Seguendo le indicazioni del Plumari e confrontandole con i dati topografici e quelli ricavati dalle Mappe del Catasto borbonico del 1852 [Fig. 13] e dal Sommarione del Catasto provvisorio siciliano del 1852, che registra una chiesa e un mulino di proprietà dell’Opera de Quatris[39], è possibile identificare la chiesa dei Santissimi Tre Re con la chiesetta annessa alla masseria, un tempo appartenuta alla baronessa de Quadro, della quale oggi restano solo i ruderi[40] [Fig. 14] e una rara fotografia d’epoca, riportata nel libro Le cento chiese di Randazzo di Salvatore Rizzeri[41] [Fig. 15].

Fig. 13Figura 13: Particolare, Mappa del Territorio di Randazzo, Regione Siciliana, CRCD, U.O IV, Archivio cartografico Mortillaro di Villarena, mappa n. 151

Fig. 14 bisFig. 15

 

 

 

 

 

 

 

Figura 14: Ruderi della chiesa dei SS. Tre Re
Figura 15: Una rara foto (forse unica) della chiesa come si presentava alla fine degli anni ’90

La presenza di questo mulino viene poi registrata nelle mappe “Europe in the XIX. Century – Third Military Survey -” del 1862-1876 [Fig. 16] e in una mappa edita dal Touring Club d’Italia nel 1919 [Fig. 17].

Immagine 2023-06-29 163804Figura 16: Particolare della mappa C26 “Europe in the XIX. Century – Third Military Survey”

Immagine 2023-06-29 163831Figura 17: Particolare della mappa “Etna” edita dal Touring Club d’Italia nel 1919

Ed ancora nel 1933 quando con il provvedimento del 28 settembre, viene riconosciuto all’arciprete Francesco Germanà, presidente pro tempore dell’Opera de Quatris, il diritto di ricavare dal torrente Flascio «mod.[42] 0,31 di acqua per sviluppare mediante il salto di m. 11, la forza nominale di HP[43] 4,55 allo scopo di azionare un molino»[44].

NOTE

[1] Il fiume Flascio ha origine dal lago Pisciotto nel territorio di Tortorici, a quota 1250 metri s. l. m. e dopo un percorso di circa 16 chilometri confluisce nel lago Gurrida, nel territorio di Randazzo. Ringrazio di cuore il mio caro amico Salvo Granato per avermi mandato la foto del fiume.
[2] Goffredo Malaterra fu un monaco benedettino di origine normanna, appartenente al monastero di S. Agata di Catania, di cui fu abate il vescovo di Catania Angerio. La sua opera in quattro libri, che nella sua edizione più recente, è intitolata De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, gli venne commissionata dal conte Ruggero I e rappresenta la cronaca “ufficiale” della conquista della Sicilia.
[3] GAUFREDI MALATERRAE, Historia sicula, in Rerum Italicarum Scriptores, ed. L. A. Muratori, Mediolani 1724, Tomus V, p. 562.
[4] Della Geografia di Strabone Libri XVII, volgarizzati da Francesco Ambrosoli, Milano 1834, Vol. IV, Libro XII, cap. 2, p. 146.
[5] MARCI VITRUVII POLLIONIS, De Architectura Libri decem, ed. by Jo. Gottlob Schneider, Venetiis 1855, X, col. 383. (Trad. “Anche lungo i fiumi si trovano delle ruote che funzionano con il medesimo sistema, di quelle che sono state descritte sopra. Intorno alle loro parti esterne sono attaccate delle pinne, che quando sono colpite dall’impeto del fiume fanno in modo che, mentre procedono, la ruota giri, e così, mediante la potenza del fiume e senza l’opera degli uomini, danno ciò che è necessario all’uso attingendo l’acqua con i secchielli e portandola in alto. Allo stesso modo si muovono anche gli altri mulini ad acqua, nei quali vi sono tutte le medesime cose, eccetto che hanno in un capo dell’asse inserita una ruota dentata. La stessa è messa di taglio in perpendicolare all’asse e gira insieme alla ruota: accanto a questa c’è una ruota più grande, anch’essa dentata, disposta orizzontalmente che è congiunta all’asse sulla cui estremità superiore vi è una graffa di ferro a coda di rondine che è unita alla mola. Così i denti di questa ruota, che è inclusa nell’asse, mettendo in movimento i denti della ruota in orizzontale creano il movimento circolare delle mole. Sopra questa macchina vi è una tramoggia che somministra frumento alla mola, la quale a sua volta girando lo riduce in farina”).
[6] GREGORIO MAGNO, Vita di San Benedetto e la Regola, Città Nuova Editrice, Roma 2006, pp. 230-232.
[7] H. BRESC, «Mulini e paratori nel Medioevo siciliano», in H. BRESC – P. DI SALVO, Mulini ad acqua in Sicilia. I mulini, i paratori, le cartiere e altre applicazioni, L’Epos, Palermo 2001, p. 31.
[8] A. GIUFFRIDA, Permanenza tecnologica ed espansione territoriale del mulino ad acqua siciliano (secoli XIV-XVI), in Archivio storico per la Sicilia orientale, LXIX, fasc. II, 1973, p. 204.
[9] R. PIRRI, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, ed. by A. Mongitore – V. M. Amico, Panormi 1733, Vol. I, p. 495.
[10] Tipo di torre diffusa nell’area etnea e nel territorio centroisolano, con anelli in pietra a giacitura fortemente inclinata; mentre sui Nebrodi e sui Peloritani era diffusa la torre verticale, alta circa 10 metri, con pareti leggermente scarpate, che comprendevano al suo interno il condotto forzato (‘utti) ottenuto da blocchi quadrati con foratura troncoconica a restringimento progressivo per la tenuta stagna. La molitura, https://www2.regione.sicilia.it/beniculturali/museomistretta/02_pulsanti/ percorsi/07_grano_tessitura/pagine/pagine/004.htm (ultimo accesso 03//02/2023).
[11] In altri documenti Romfredo de Nas (Archivio di Stato di Palermo [=ASPa], Tabulario dei monasteri di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat e di San Placido di Calonerò, perg. n. 23a; Edizione in P.F. KEHR, Papsturkunden in Sizilien, Nachrichten von der Königl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Philologisch-Historische Klasse, Göttingen 1899, I, pp. 348-354); Rafrè di Naso (P. COLLURA, Appendice al regesto dei diplomi di Re Ruggero compilato da Erich Caspar, in «Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani», Palermo 1955, p. 602). Un certo Raffredo de Nasa (Roffredo di Naso in E. CASPAR, Roger II (1101-1154) und die Gründung der normannisch – sicilischen Monarchie, Innsbruck 1904, p. 487) compare in qualità di testimone in un diploma della contessa Adelasia e del figlio Ruggero dato a Palermo il 12 giugno 1112. (R. PIRRI, Sicilia Sacra, cit. p. 81; A. MONGITORE, Bullae, privilegia et instrumenta Panormitanae Metropolitanae Ecclesiae, Regni Siciliae primariae, collecta, notisque illustrata, Panormi 1734, p. 17) Egli, probabilmente, è da identificarsi con quel Goffredo de Garres, a cui il Gran Conte Ruggero donò, nel 1094, metà del castello di Naso. Un Galtere di Garres di Naso (γαλτέρη διγαρρες της νάσου) viene menzionato in un documento del 1134 concernente una controversia, intorno all’uso e al possesso di taluni poderi, tra Giovanni vescovo di Patti e Galtere de Garres, risolta innanzi a Ruggero II (G. SPATA, Diplomi greci siciliani inediti, Torino 1871, doc. II, pp. 16-20).
[12] Un tributo equivalente alla decima parte del reddito annuale.
[13] «Item in territorio Randacii in tenimento quod dicitur / fraxinum quandam ecclesiam cum vinea et cum decima unius molendini et cum decimis / hominum latinorum et tanta terra quanta sufficit ad par unum boum arare per unum annum / concessam predicto monasterio a Ronfredo de Nas». Catania, Biblioteche Riunite Civica e A. Ursino Recupero, Tabulario dei monasteri di San Nicolò l’Arena di Catania e di S. Maria di LicodiaApostolice sedis, perg. 10 (ex 2.27.F.1).
[14] C. A. GARUFI, I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, in Documenti per servire alla Storia di Sicilia, I serie, XVIII, Palermo 1899, pp. 318-319.
[15] H.-F. DELABORDE, Chartes de Terre Sainte provenant de l’Abbaye de N.-D. de Josaphat, Paris 1880, doc. XXXI, pp. 72-78.
[16] C. A. GARUFI, I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, op. cit., doc. XXIX, pp.67-72.
[17] G. TRAVALI, I diplomi angioini dello Archivio di Stato di Palermo, Palermo 1886, doc. XXI, pp. 29-38.
[18] Nato verso il 1380, barone di Ficarra. Nel 1403 sposa Laura Arezzo, figlia di Giacomo, protonotaro del regno, dalla quale ebbe Pietro, Valore, Violante e Giovanni. Per le informazioni sulla sua biografia, si rinvia a Dei Lancia di Brolo: albero genealogico e biografie, Palermo 1879, pp. 157-160.
[19] Pietro Lancia alias di Modica, figlio di Corrado Lancia e Margherita. Per la biografia si veda Ivi, pp. 143-151.
[20] Il feudo confinava con il «feudo ecclesie Sancti Pauli et cum feudo vocato la Porta di Randazu Nemori, cum feudo quod fuit Iohannis Preciosi et cum terra di lu Cumuni di Randazu et aliis confinibus».
[21] ASPa, Real Cancelleria [=RC], reg. 24, cc. 8v-9r.
[22] Sito e posto nel Val Demone, nel territorio di Randazzo, presso la «flomariam qui dissidit ad feudum Gurride secus viam publicam versus Maniachi propre Portam Randacii et iuxta territorium Ucrie et alios confines».
[23] Belengaria era figlia di Benedetto di Antiochia e della seconda moglie Margherita figlia del miles Nicola de Homodeo, il quale possedette il feudo Fraxinu. Nel 1345 Benedetto di Antiochia, secondo quanto risulta dall’ l’Adohamentum sub rege Ludovico, percepiva trenta onze di reddito ed in cambio era chiamato a corrispondere il servizio di un cavallo armato e mezzo (Imperatum Adohamentum sub Rege Ludovico, in R. GREGORIO, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, Palermo 1792, Tomo 2, p. 471). Alla morte del padre, Belengaria, che aveva sposato Niccolò de Claro, dovette difendere il possesso del feudo dalle rivendicazioni di suo cognato Federico de Tarento, marito della sorella ex patre Pina, il quale alterando la data del primo testamento del suocero e rilasciando falsa testimonianza, subentrò nel possesso dello stesso, escludendo Belengaria, tant’è che dalla “recensio pheudorum” del 1408 risultava possessore del feudo (Palermo, Biblioteca comunale, Constitucione, ordinaciones,capitula, privilegia, pragmatice Sanciones et leges municipales Regni Sicilie, ed. Johannem Matheum de Speciali, Panhormi 1492, Qq_H_124, f. 140r). Tuttavia la tenacia della gentildonna insieme all’abilità dell’illustre legum doctor siracusano Guglielmo Perno, portava, dopo 22 anni, alla verità e alla vittoria delle ragioni della stessa; il cognato Federico venne condannato, dal giudice della Regia Corte Ruggero de Berlione alla pena della decapitazione. Siracusa, Biblioteca Comunale, Libro di legge. Guillielmi de Perno Consilia 128, cons. 106, 107, ff. 189r-192v.
[24] Il Monroy come ricompensa per i servigi prestati a re Alfonso durante la conquista della Sardegna e della Corsica, ottenne dal sovrano, con privilegio del 16 aprile 1416, la concessione di tutti quei feudi, baronie e beni borgensatici che per scadenza, processo o decesso ed in qualunque altro modo fossero ricaduti nella disponibilità della Regia Corte, purché il loro reddito annuale non eccedesse la somma di onze 400. G. L. BARBERI, I Capibrevi, ed. by G. Silvestri, Vol. II: I feudi del Val di Demina, Palermo 1886, p. 118.
[25] ASPa, Protonotaro del Regno [=PR], reg. 23, cc. 55v-57v.
[26] ASPa, RC, reg. 55 bis, c. 57v-61r.
[27] «iuribus lignaminum siqua in dictis pheudis et eorum tenimentis regie curie debentur nec non mineriis salinis forestis solaciis et defensis antiquis que sunt de regio demanio et ea velut ex antiquo eiusdem regio demanio spectancia in regiis».
[28] ASPa, RC, reg. 100, cc. 2rv. Il testo del documento è edito in A. COSTA, L’ira del re e la fedeltà dei sudditi. Un quaternus di fideomagi della metà del Quattrocento, Associazione Mediterranea, Palermo 2013, p. 139, n. 4.
[29] ASPa, RC, reg. 100, c. 52r. il testo del documento è edito in Ivi, p. 249, n. 227.
[30] Giovanni, l’11 ottobre 1486, benché giacente nel letto, nella sua casa di Catania, malato di corpo ma sano di mente, dettava il suo testamento.
[31] ASPa, RC, reg. 193, cc. 524rv.
[32] ASPa, RCMisc. II.48 (Liber de Secretiis), f. 196r; J. L. DE BARBERIIS, Liber de Secretiis, ed. by E. Mazzarese Fardella, Milano 1966, p. 189.
[33] Di questo mulino non c’è traccia.
[34] Nei mulini, spesso convivevano diversi impianti. I battinderi erano presenti nelle campagne in cui si praticava l’allevamento di ovini e in zone in cui la tessitura era largamente diffusa, mentre le serre erano presenti in prossimità di aree boschive, in quanto legate allo sfruttamento delle risorse forestali del territorio.
[35] Con tutta probabilità da identificarsi con l’edificio che costituisce l’oggetto del nostro studio.
[36] Si rinvia in proposito ad A. MILITI, La donazione della baronessa de Quadro: “l’arma segreta” del clero di Santa Maria per conquistare l’egemonia religiosa?, Randazzo segreta, https://randazzosegreta.myblog.it/2021/12/22/la-donazione-della-baronessa-de-quadro-larma-segreta-del-clero-di-santa-maria-per-conquistare-legemonia-religiosa/ (ultimo accesso 22/12/2021).
[37] La cerimonia è stata registrata in un atto notarile, redatta dallo stesso notaio, che contiene il verbale della presa di possesso del feudo.
[38] G. PLUMARI ED EMMANUELE, Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia, ms. 1847-49, Palermo, Biblioteca Comunale, Qq G76, Vol. I, p. 324, n. 20.
[39] Archivio di Stato di Catania, Catasto provvisorio sicilianoSommarione di Randazzo, vol. 2229, Sezione L, nn. 10, 13 p. 372.
[40] Il tetto della chiesa crollò nel 2010. Si ritiene che essa possa identificarsi con la chiesa citata nel documento del maggio 1140. Ringrazio Carmelo Scalisi che gentilmente e con disponibilità mi ha messo a disposizione la masseria.
[41] Ringrazio il dottor Salvatore Rizzeri per avermi messo a disposizione la scansione della rara fotografia.
[42] Moduli.
[43] Cavallo vapore.
[44] Rassegna amministrativa, Riconoscimenti di utenze idriche, «Supplemento mensile economico-statistico a L’Energia Elettrica», Vol. X, Fasc. XII, Anno XII (dicembre 1933), p. 2.

FONTI DELL’ILLUSTRAZIONI

Le fotografie riprodotte nell’articolo, quando non specificato diversamente, sono state eseguite dall’autrice.

Figura 2: Medio bacino del fiume Flascio, versante meridionale dei Nebrodi, località Zarbata, foto gentilmente fornita da Salvo Granato.
Figura 3: Ricostruzione di un monastero benedettino, disegno tratto da https://education.minecraft.net/en-us/lessons/old-monastery (ultimo accesso 22/01/2023).
Figura 4: Schema di funzionamento di un mulino a ruota orizzontale (ritrecine), disegno tratto da I sentieri natura del Parco, a cura del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.
Figura 9: Sega azionata da ruote idrauliche, rappresentazione di Francesco di Giorgio Martini del XV secolo, Biblioteca apostolica Vaticana, Codicetto, Urb.lat.1757, f. 165v.
Figura 10: Battinderio, G. A. Böckler, Theatrum machinarum novum, Noribergae 1662, Tav. 72.
Figura 11: Disegno tratto da https://formiaelasuastoria.wordpress.com/2017/04/03/il-vico-gualchiera-e-il-vico-caposelice-a-formia/#jp-carousel-1501 (ultimo accesso 22/01/2023).
Figura 12: Particolare della mappa «Contorni dell’Etna» pubblicata da Karl Baedeker nel 1869, tratta da Karl Baedeker, Italy: Handbook for Travellers, Coblenz 1869, Vol. 3: Southern Italy, Sicily, p. 282.
Figura 13: Particolare, Mappa del Territorio di Randazzo, Regione Siciliana, CRCD, U.O IV, Archivio cartografico Mortillaro di Villarena, mappa n. 151, tratta da tratta da Le mappe del Catasto Borbonico di Sicilia. Territori comunali e centri urbani nell’archivio cartografico Mortillaro di Villarena (1837-1853), ed. by E. Caruso – A. Nobili, Palermo, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, 2001, p. 330.
Figura 15: Una rara foto (forse unica) della chiesa come si presentava alla fine degli anni ’90, scansione gentilmente fornita dal dottor Salvatore Rizzeri.
Figura 16: Particolare della mappa C26 “Europe in the XIX. Century – Third Military Survey”, https://maps.arcanum.com/en/map/europe-19century-thirdsurvey/?layers=160%2C166&bbox=413982.94519251445%2C5779710.061815894%2C2063799.7636997588%2C6372861.401308862 (ultimo accesso 13/01/2023).
Figura 17: Particolare della mappa “Etna” edita dal Touring Club d’Italia nel 1919, tratta da Guida d’Italia, Touring Club d’Italia, 1919.

 

Francesco La Guzza – Compendioso ritratto d’una perfetta religiosa….(1682)

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Nunzio Perciabosco

                                                    Nunzio Perciabosco è nato a Randazzo probabilmente nel 1676.    

Francesco Rubbino

                 Fu uno scrittore di varie commedie e drammi oltre che poeta comico. Non si hanno molte notizie di Lui. Sicuramente ha viaggiato molto  è riuscito a laurearsi ed entrare nelle corti nobili di Roma e di altre Città. E’ stato citato da alcuni storici:

  –  Giuseppe Emanuele Ortolani (1758-1828)  ha scritto quattro volumi sulla storia di molti Uomini Illustri e  parlando di Randazzo (1821)  lo cita come “poeta comico e autore di varie commedie e drammi”. Interessante la breve citazione che fa di Randazzo nel
      “Nuovo Dizionario Geografico e Biografico della Sicilia”

  • Domenico Martuscelli · (1825) nella Sua Opera ” Dizionario topografico della Sicilia di Vito Amico”  a pagina 415   così lo definisce:  “Nunzio Perciabosco addetto alle più amene lettere ed intento a comporre opere comiche , nelle quali alcune furono pubblicate ed altre corrono manoscritte per le mani degli amici ; visse famigliare di Matteo Fazio vescovo di Patti”. 

    Nicola Morelli (1825) nella Sua Opera “Biografia dé Re di Napoli -a Pagina 564 così lo definisce: “Nunzio Perciabosco Siciliano fu Autore molto esatto della Commedia intitolata Altamira , In quest’epoca fu introdotta la musica nel teatro .

    Pietro Napoli-Signorelli  (1811)  nella sua opera: “Vicende della coltura nelle due Sicilie dalla venuta delle colonie straniere sino a nostri giorni”. a pag. 100 lo cita : “… Niccolò Salerno de ‘ baroni di Lucignano autore del Gianni barattieri pubblicata nel 1717,  Nunzio Perciabosco siciliano autore dell’ Altamira, …..”

    Alessio Narbone  (1855)  nella sua opera: “Bibliografia sicola sistematica – Volume 4 – Pagina 113  così ne parla: ” Nunzio Perciabosco da Randazzo , Il Fidauro , ovvero Le bellicose vendette . – L ‘ Altamira , ovvero L’amorosa simpatia . Giulio V Cesare in Egitto , ovvero La vendetta giurata “.

    Agostino Gallo (1832) nella sua ” Lettera sulla Collegiata di S.M. di Randazzo, e su una descrizione ivi esistente”  inviata all’Abate Buscemi cita Nunzio Perciabosco.

     

Le Sue opere conosciute ed anche molto stimate dalla critica sono:

  • Altamira o vero l’Armoniosa Simpatia del sangue. ( 1713)
    Gl’Accidenti del Carnovale. ( 1716)
    Il Polifemo o vero la Tirannide soggiogata.
    Fidauro o vero le bellicose vendette favorite dalla fortuna.  (1698)
    L’Olivara o vero l’amante crudele.
    La Partenza e l’arrivo in Porto Salvo degli ambasciatori di Messina a Nostra Signora in Jerusalemme, Musica del Rev. Abb. D. Marco Caraffa  (1740)
    La Donna  Margarita, O vero L’incognita Conosciuta Negl’ Accidenti Scenici Del Carnovale.  Opera Scenica (1743). 

  • Giulio Cesare in Egitto o vero la vendetta giurata in premio del tradimento opera tragicomica datata 1 novembre 1716. 

  •       Di quest’ultima Opera fortunatamente è arrivato fino a Noi il testo integrale che potrai leggere cliccandoci sopra.
          Non ci è nota la data della Sua morte.

     
    Gli Amministratori Comunali in Suo ricordo gli hanno intitolato una graziosa Via che si trova dietro la chiesa di San Martino ed è l’immagine in evidenza che caratterizza il personaggio.   

 

 

 
 

Nunzio Perciabosco – Il Giulio Cesare in Egitto

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Antonino La Piana “Maratoneta”

                                                                             

 

Francesco Rubbino

                   Nino La Piana nasce in Germania a Francoforte il 20 gennaio 1979 da Mario e Franca Pina Saporito emigrati lì per lavorare.

Da piccolo ritorna a Randazzo dai nonni Antonino La Piana e Benedetta Longhitano che si prendono cura di Lui.

Frequenta la scuola media al Collegio Salesiano San Basilio. Nel 1999 si diploma all’Istituto Agrario. Nel 2001/2003 svolge il servizio Civile/Militare a Messina e 2 mesi  nel 5^ Reggimento Alpini di Vipiteno (Bolzano).

  Nel 2004, suo malgrado, ritorna in Germania per lavorare. Purtroppo non riesce ad ambientarsi ed ha trovare un lavoro soddisfacente e decide di rientrare definitivamente a Randazzo dagli adorati nonni.

 

Nino con i nonni.

Nino con i nonni.

Nino con suo padre.

Nino militare a Vipiteno.

 


      La sua passione è la bicicletta, ma nel periodo della Pandemia – 2020 – incomincia a correre riscontrando di avere delle qualità in questa disciplina sportiva. Incomincia il Suo percorso da
“Maratoneta”.

       Queste sono le Sue partecipazioni agli eventi sportivi: 

Salvatore Rizzeri – La Comunità ebraica di Randazzo

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Proemio – Descrizioni delle Chiese di Randazzo scritto da un Socio del Gabinetto Archeologico di Adernò (1905 ?)

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Questo Proemio/Introduzione scritto e dedicato da un Socio del Gabinetto Archeologico di Adernò al dottor Salvatore Petronio Russo è stato trovato da Pippo Greco  navigando sul web ed avendolo letto  ha capito di aver trovato un piccolo tesoro letterario riguardante la nostra Città. Pippo Greco che segue il nostro sito ce lo ha inviato per essere pubblicato e metterlo a disposizione di quanti lo vorranno leggere, cosa che abbiamo fatto con grande piacere e per questo lo ringraziamo. 
Un “Proemio”  è la parte introduttiva di un’opera, di un poema e in questo caso introduceva sicuramente uno scritto di più grande rilevanza sulla storia della nostra zona. Il libro scritto nei primi anni del secolo scorso è dedicato al Il dottor Salvatore Petronio Russo (1835/1917)  storico e scrittore di Adrano nonchè fondatore e direttore del Museo Archeologico della sua Città.
Il fratello Giovanni, inventore della “Locomotiva stradale”, ebbe una certa fama sia in Sicilia che nella capitale, a Roma, dove ebbe modo di mostrare in pubblico la sua invenzione.

 

   Dottor Salvatore Petronio Russo

                                Ing Giovanni Petronio Russo

 

Di seguito una scheda  dimostrativa della stretta collaborazione di Salvatore Petronio Russo con il cav. Paolo Vagliasindi Polizzi.

Petronio Russo, SalvatoreIl museo del cav. P. Vagliasindi Polizzi di Randazzo / Salvatore Petronio Russo

Aderno : Tip. Longhitano, Costa & c., 1905
Monografia – Testo a stampa [PAL0042405]

Scheda: 5/23 ·         Scarico Unimarc

 

·         Aggiungi a preferiti

     

 

  Livello bibliografico Monografia
  Tipo documento Testo a stampa
  Autore principale Petronio Russo, Salvatore
  Titolo Il museo del cav. P. Vagliasindi Polizzi di Randazzo / Salvatore Petronio Russo
  Pubblicazione Aderno : Tip. Longhitano, Costa & c., 1905
  Descrizione fisica 40 p. ; 30 cm
  Nomi · [Autore] Petronio Russo, Salvatore
  Soggetti · Museo archeologico Paolo Vagliasindi < Randazzo >
  Classificazione Dewey · 937.800744581333 (21.) STORIA DELLA SICILIA ANTICA E ISOLE ADIACENTI FINO AL 476. MUSEI, COLLEZIONI, ESPOSIZIONI. RANDAZZO.
  Lingua di pubblicazione ITALIANO
  Paese di pubblicazione ITALIA
  Provenienza IT – IT-000000
  Codice identificativo PAL004240

 

 


a cura di Francesco Rubbino  

 

Angela Militi – Sant’Agata storia di una chiesa scomparsa.

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Nino Grasso

 ANTONINO GRASSO, nato a Randazzo il 16 ottobre 1943.

1. TITOLI ACCADEMICI
Maturità magistrale conseguita presso l’Istituto “Regina Elena” di Acireale nel 1967. 
Magistero in Scienze Religiose conseguito nel 1999 presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “S. Luca” di Catania;
Bacellierato in S. Teologia conseguito nel 2000 presso l’Istituto Teologico “San Tommaso” di Messina;
 
Licenza in S. Teologia con specializzazione in Mariologia conseguita presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma, ”Summa cum Laude”,  11 gennaio 2002; 
Dottorato in S. Teologia con specializzazione in Mariologia, conseguito presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” il 14 novembre 2005, “Summa cum Laude” con la tesi: “La Madre di Dio e la pace in alcuni documenti magisteriali di Paolo VI”. 
2. ATTIVITÀ ACCADEMICHE E RADIOFONICHE

– In qualità di Professore Stabile insegna Mariologia nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania aggregato alla Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia; 
– É socio corrispondente della Pontificia Academia Mariana Internatinalis (PAMI) della Santa Sede; 
– É socio ordinario dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana (AMI).
– Collabora dal 2013 per i commenti mariologico-mariani con la trasmissione “Non un giorno qualsiasi” della Radio Vaticana condotta da Federico Piana.
– È stato relatore in Convegni di vario genere a Catania, Siracusa, Giarre, Alcamo, Palermo.

3. ATTIVITA’ SOCIALI, ONORIFICENZE CIVILI E CONOSCENZA LINGUE

– É stato per lunghi anni Corrispondente Consolare del Consolato Generale di Monaco di Baviera per la Regione della Svevia meridionale con sede a Kempten/Allgäu;
– È stato Insignito il 02 giugno 1980 dal Presidente Sandro Pertini dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana” “per particolari benemerenze” acquisite al servizio dell’emigrazione degli italiani in Germania. 
– Parla correttamente la lingua tedesca ed ha l’abilitazione all’insegnamento di questa lingua, avendo insegnato per molti anni nelle scuole tedesche della Svevia meridionale, in Baviera, dove ha pubblicato un libro, in collaborazione con un’autrice tedesca dal titolo ICH LERNE DEUTSCH (Io imparo il tedesco) per l’insegnamento del tedesco ai bambini italiani.
4. ARTICOLI E INTERVISTE SU GIORNALI
É autore di numerosi articoli pubblicati sulle seguenti riviste:
“LAÓS” dell’I.S.S.R. “San Luca” di Catania;
– “Theotokos” (“Siti mariani in Internet”)
– “La Roccia di Belpasso” – Santuario del Cuore Immacolato di Maria Regina della pace.
– “Cammino” – Periodico dell’Arcidiocesi di Siracusa
– “Maria”
Ha rilasciato interviste ai giornali:
– Avvenire
– Il Foglio
– Senza Colonne di Brindisi
– La Sicilia
5. PUBBLICAZIONI A CARATTERE MARIOLOGICO

É autore di 10 pubblicazioni mariane presso le case editrici:
1) EDITRICE ANCILLA (CONEGLIANO) – “Maria con te” con prefazione di R. Laurentin [1994]
2) EDITRICE ANCILLA (CONEGLIANO) – “E la Vergine distese le mani” [1995]                                 Seconda Edizione Dicembre 2011. 
3) EDIZIONI GRIBAUDI (MI) – “Guadalupe. Le apparizioni della “Perfetta Vergine Maria” 
4) ASSESSORATO BENI CULTURALI AMBIENTE E PUBBLICA ISTRUZIONE DELLA SICILIA (PALERMO) – Av.Vv., “Maria, madre della speranza, Donna di legalità” a cura di N. Mannino [2006].
 
5) PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS (CITTÀ DEL VATICANO) – “La Vergine Maria e la pace nel magistero di Paolo VI” [2008];
 
6) EDITRICE ISTINA (SIRACUSA) – “Maria di Nazareth. Saggi teologici” [2011].
 
7) EDITRICE ANCILLA (CONEGLIANO)  – “Perchè appare la Madonna? Per capire le apparizioni mariane” [2012]
 
8) EDITRICE ISTINA (SIRACUSA) – Maria, maestra e modello di fede vissuta [2013]
 
9) EDIZIONI SEGNO (TAVAGNACCO)
Apparizioni, malati e guarigioni a Lourdes. La prodigiosa guarigione di Delizia Cirolli il miracolo n. 65 di Lourdes riconosciuto dalla Chiesa [2015]
 
10) EDIZIONI SEGNO (TAVAGNACCO) – Maria, Madre di misericordia: “sotto il tuo manto c’è posto per tutti” Meditazioni [2016]
11) Prossima pubblicazione agli inizi del 2018: – Lucia Mangano. Una vita d’unione con Maria
 
6. ATTIVITÀ MARIOLOGICA SULLA RETE INTERNET
 
– É autore e gestore del portale di Mariologia http://www.latheotokos.it, raccomandato dalla Congregazione per il Clero e dalla Pontificia Academia Mariana Internationalis.
Il sito che ha migliaia di pagine di articoli su ogni aspetto della Mariologia, filmati, audio, immagini, ecc. è il sito mariano più visitato d’Italia e uno dei più visitati del mondo in campo mariano ed è stato recensito spesso.
Ecco le recensioni più significative:
– CHIESA CATTOLICA ITALIANA Convegno “Pastorale e Nuove Tecnologie” Assisi 911 marzo 2000 Relazione di F. Diani: “Radiografia virtuale della Comunità ecclesiale italiana”;
– LA MADRE DI DIO 4 aprile 2001; – JESUS, Aprile 2001;
– LA MADRE DI DIO 3 MARZO 2003;
– VERSO LA BIBLIOTECA ECCLESIALE DIGITALE. Indagine sull’impatto di internet sulla disponibilità e sulla consultazione on line della documentazione di natura ecclesiastica Barbara Fiorentini – Università Cattolica del S. Cuore (Piacenza) – OSSERVATORIO COMUNICAZIONE&CULTURA 10/2002. – Ne ha parlato una importante pubblicazione dal titolo “IL FENOMENO MARIANO NEI NUOVI MEDIA” alle pagine 143-147.

– È autore e gestore del sito dedicato alla Madonnina del Parco Sciarone di Randazzo:  www. fatimaparcosciaronerandazzo.

 

Papa in Iraq: un viaggio all’insegna di Maria, ponte di dialogo con l’Islam

Nel Paese a maggioranza musulmana, la Vergine è amata e pregata. Antonino Grasso, mariologo: “Nel Corano si parla di Maria in 12 Sure e 70 versetti. Viene considerata modello di fede e di religiosità”. A Komane, nel Kurdistan iracheno, si trova il santuario mariano più visitato della nazione: ogni anno si recano in pellegrinaggio molti fedeli musulmani dopo un digiuno di cinque giorni. 

Federico Piana- Città del Vaticano

In Iraq Papa Francesco è stato sempre accanto a Maria. Non solo perché un’immagine della Vergine di Loreto lo ha accompagnato in tutte le tappe di un viaggio straordinario e storico  o perchè ha avuto sul palco di Erbil la statuina di Maria ferita dall’Is, ma anche per il fatto che nel Paese dell’Asia occidentale, a maggioranza musulmana, la Madonna ha stabilito la sua ‘casa’. L’amore che i fedeli musulmani nutrono per l’Immacolata è, infatti, talmente grande da essere diventato anche un punto di forza nel dialogo interreligioso. “Il Corano, che contiene la dottrina di Maometto tramandata dalla memoria dei suoi compagni, si compone di 114 Sure, o capitoli, disposti in ordine decrescente di lunghezza.
Maria è presente in 12 Sure e 70 versetti” dice Antonino Grasso, mariologo, socio corrispondente dell’Pontificia Accademia Mariana Internazionale e docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘San Luca’ di Catania.

Ascolta l’intervista ad Antonino Grasso : 

Quali sono gli episodi narrati dal Corano che riguardano la Vergine?

R.- Sono cinque. La sua nascita, il ritiro nel tempio, l’annunciazione, il parto e la difesa da un’atroce calunnia. Il racconto della nascita di Maria è nella terza Sura. Il nome che le viene dato significa ‘devota e pia’: viene confermata la protezione di Dio sulla neonata. Egli la farà crescere mirabilmente perché diventi adulta e matura e progredisca in bontà, castità ed obbedienza. Il racconto del ritiro nel tempio, invece, si trova nelle Sure 19 e 3. Qui, il Corano narra che Maria si ritira giovanissima nel tempio sotto la protezione di Zaccaria. Maria viene prodigiosamente nutrita da Dio, sta in compagnia degli angeli e dell’arcangelo Gabriele, il cui compito è quello di farle prendere coscienza della sua dignità, della sua posizione nel disegno di salvezza e della sua predestinazione.

Poi c’è il racconto dell’annunciazione. Come viene trattato nel Corano?

R.- Si trova nelle Sure 19 e 3. Obiettivo dell’annuncio è la nascita di un figlio chiamato Verbo, termine che per gli esegeti musulmani vuol dire ‘fiat’, cioè l’imperativo categorico col quale Dio ha fatto venire all’esistenza Gesù, figlio di Maria. All’annuncio che diventerà madre, Maria mostra sorpresa ed invoca la sua verginità e l’arcngelo Gabriele le dice che tutto è volontà di Dio per cui non può non accettare una cosa da Lui decretata. Poi troviamo il racconto del parto: è nella Sura 19. Per il Corano, il luogo del parto non sarebbe una città ben precisa né una stalla o una grotta: il parto sarebbe avvenuto all’aperto vicino ad una palma. Per quanto riguarda i dolori del parto, secondo i commentatori musulmani, si tratta di dolori morali e quindi il Corano affermerebbe la verginità di Maria. Il racconto inoltre, spiega che subito dopo il parto Maria viene consolata dal neonato che l’invita a cibarsi dei datteri prodigiosamente spuntati sulla palma e a dissetarsi ad una sorgente fatta scaturire da Dio ai suoi piedi.

Il Corano narra anche della difesa da una calunnia terribile nei confronti della Vergine…

R.- Si, si trova nella Sura 19. Si racconta che Maria torna a casa dopo il parto e la reazione dei suoi parenti è di indignazione per vederla con un bambino senza essere sposata. Ma il neonato interviene a gran voce, difende la madre, rende giustizia alla sua innocenza, così come fece Dio che ne aveva dimostrato la rettitudine con una sua particolare provvidenza al momento del parto.

Qual è il profilo spirituale di Maria nella fede islamica?

R.- Secondo l’interpretazione che ne danno i teologi musulmani, le modalità con cui Maria è presentata nel Corano fanno di lei un modello di fede e di religiosità, un modello esemplare della donna musulmana e un segno dato da Dio all’Universo. Maria è considerata modello di fede perché prestò ascolto alla parola del Signore aderendo interiormente a Dio senza indecisione o irritazione ma con fermezza. Inoltre, è considerata un modello perché rivestì la sua fede di tutte le caratteristiche musulmane. La Sura 21, al versetto 91, ad esempio, recita: ‘Rammenta pura colei che preservò la sua verginità e si alimentò in lei il nostro spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per l’Universo’.

In Iraq ci sono santuari mariani visitati anche da fedeli musulmani?

R.- Uno dei luoghi mariani più frequentati è quello di Komane, nel Kurdistan iracheno. Nel santuario di un monastero fondato nel quarto secolo, il 15 agosto viene celebrata in modo solenne la dormizione di Maria. Ogni anno, sono migliaia i pellegrini che vi si recano e tra loro ci sono anche numerosi musulmani che venerano Maria come madre del profeta Gesù: tutti i pellegrini si preparano al pellegrinaggio con un digiuno di cinque giorni. Poi c’è il Santuario dell’Immacolata Concezione, nella città di Qaraqosh, nella Piana di Ninive, nel quale si è recato Papa Francesco. Esso è il luogo di culto più conosciuto e rappresentativo dell’intera città. Sulla torre campanaria si erge una grande statua della Vergine che assume una forte connotazione simbolica come segnale di rinascita della città irachena, essendo stata ripristinata dopo la cacciata dell’Isis che, dal 2014 al 2016, devastò il luogo di culto facendone un poligono di tiro ed un presidio militare. Anche qui, sono molti i musulmani che vengono per omaggiare Maria.
Marzo 2021.

La stessa intervista in spagnolo e Portoghese. 

https://www.vaticannews.va/es/iglesia/news/2021-03/papa-iraq-un-viaje-bajo-signo-de-maria-puente-dialogo-con-islam.html
https://www.vaticannews.va/pt/igreja/news/2021-03/papa-no-iraque-maria-ponte-de-dialogo-com-o-isla.html

                                                                                  ———————————-

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

ConvegnoFebbraio2020

Intervista nella Radio Vaticana sulla festa della Assunzione di Maria Vergine al Cielo.
https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-08/assunzione-maria-solennita-chiesa-pio-xii-dogma.html

 

Intervista a Radio Vaticana: “Il Papa ieri ed oggi” 

 

 

PRESENTAZIONE UFFICIALE DEL LIBRO “LUCIA MANGANO. UNA VITA D’UNIONE CON MARIA”
DEL PROF. ANTONINO GRASSO

Il 19 febbraio 2018, nell’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania, aggregato alla Pontificia facoltà Teologica di Palermo, si è svolta la presentazione ufficiale dell’ultima pubblicazione del Prof. Antonino Grasso, docente dell’Istituto, dedicata alla più grande mistica siciliana dei tempi moderni: “Lucia Mangano. Una vita d’unione con Maria”.
Presiedeva la cerimonia l’Arcivescovo Metropolita di Catania, Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana e Moderatore del “San Luca”, Mons. Salvatore Gristina, circondato dalle autorità dell’Istituto, da altri esimi autori e davanti ad un nutrito gruppo di partecipanti.
La relazione ufficiale è stata tenuta dal Prof. Salvatore Maria Perrella, noto mariologo a livello internazionale, Preside della Facoltà Teologica “Marianum” di Roma e Direttore Editoriale della collana scientifica della Facoltà romana “Virgo Liber Verbi”, nella quale in volume del prof. Grasso è stato ufficialmente inserito al n. 9.
Dopo aver sottolineato la validità scientifica della pubblicazione, il Prof. Perrella, è passato a delineare la figura di Lucia Mangano, Orsolina di San Giovanni La Punta, soprattutto sotto l’aspetto della straordinaria esperienza mistica che la annovera tra le più grandi della Chiesa universale.
Il Prof. Perrella, passava, quindi, a sottolineare la singolare angolatura mariologica del volume, dato che il Prof. Grasso ha approfondito il particolare, straordinario e intenso rapporto che Lucia Mangano ebbe con la Madre di Dio, angolatura irrinunciabile per chi parla o scrive di Lucia, tanto che la sua esperienza non potrebbe essere pienamente compresa, se si tralasciasse di sottolineare l’intensità di questo singolare rapporto.
Sono, quindi intervenuti nel dibattito il Superiore dei frati Passionisti di Mascalucia, legati storicamente a Lucia Mangano che contribuì alla loro fondazione nell’isola ed il cui allora superiore, il Venerabile P. Generoso Fontanarosa, fu per lunghissimi anni il Padre Spirituale; la Superiora delle Orsoline di Catania, che ha ringraziato l’autore per aver rimesso in luce la figura di Lucia Mangano.
Dietro domanda di uno studioso presente, il Prof. Grasso è passato poi a descrivere l’amichevole rapporto che Lucia Mangano ebbe con il beato Antonio Allegra, grande missionario originario di San Giovanni La Punta, il primo a tradurre in lingua cinese la Bibbia, che conobbe la Venerabile fin da quando faceva il chierichetto nel Santuario della Ravanusa e che, pur trovandosi stabilmente in Cina, mantenne con lei un costante rapporto epistolare.
Il tutto si è concluso con l’augurio dell’Arcivescovo che l’opera del Prof. Grasso contribuisca a far conoscere meglio e ancor di più Lucia Mangano, una gloria dell’Arcidiocesi di Catania e della Sicilia.

 

 
37° Convegno Pastorale – Giarre : “Maria Madre della Chiesa” relatore Nino Grasso. 29 marzo 2019

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

 

 

PRODUZIONE   LETTERARIA 

 

 

                                                        PERCHE’ APPARE LA MADONNA?

 

Per capire le apparizioni mariane

 Il libro di Antonino Grasso

    La Costituzione Dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II al n. 62, dopo aver delineato i compiti della maternità spirituale di Maria nei nostri confronti, ha affermato che questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti.
    Difatti, assunta in cielo, non ha interrotto questa funzione salvifica, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci i doni che ci assicurano la nostra salvezza eterna.
    Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata.
    Collegandole con questo perenne e dinamico “prendersi cura dei fratelli del Figlio suo”, la mariologia legge le apparizioni della glorificata e assunta Madre di Dio, come manifestazioni impellenti di quell’amore materno che anima il suo cuore nei nostri riguardi e come conferma del suo essere l’icona del nostro divenire nuove creature in Cristo.
    Per questo motivo esse vengono anche chiamate “Mariofanie”. Il termine, infatti, secondo Stefano De Fiores, non solo declina il fatto dell’apparizione della Vergine, ma soprattutto indica la “persona di Maria e la sua funzione” in continuità con i dati biblici, che costituiscono la vera e fondamentale mariofania.
    Maria, così, non appare personaggio del tempo passato, ma continua a “manifestarsi” come persona viva, luminosa, glorificata, che si interessa, a causa della missione a cui è stata chiamata da Dio, dei suoi figli e delle sorti del mondo.
    Ne consegue, che le apparizioni della Vergine non possono essere spiegate e comprese, prescindendo dalla sua identità di madre e cooperatrice del Salvatore nella Storia della Salvezza. 
    In realtà, assistiamo oggi a un grave paradosso: le apparizioni mariane, che non godono quasi nessun credito nell’elite intellettuale e teologica e vengono declassate ad eventi secondari e privati, hanno, al contrario, un impressionante seguito nel popolo di Dio.
    Così che, mentre l’ufficialità quasi sempre tace, sottovalutando il fenomeno o accogliendolo con eccessiva riservatezza, milioni di fedeli si recano continuamente verso i luoghi in cui appare o si dice essere apparsa la Vergine.
    Con la conseguenza che essi, molto spesso, non sapientemente guidati o correttamente illuminati sulla natura, il valore, la valutazione e il significato di questi eventi, ignorando le direttive dei Pastori, assumono atteggiamenti troppo spesso dipendenti dai “messaggi” e dai racconti dei veggenti, considerati quasi nuovi evangelisti e nuove guide spirituali del mondo.
    Abbiamo, come afferma René Laurentin, il sorgere di una “Chiesa delle apparizioni” con le sue regole e il suo modus vivendi, che cammina parallela e spesso in dissenso con la “Chiesa istituzionale”. A questo si aggiungono le varie, gravi ed epocali crisi d’identità dell’uomo contemporaneo, spesso schiavo:

– del suo efficientismo esteriore, a cui non corrisponde un’uguale ricchezza interiore;

– del suo positivismo, empirismo e nichilismo che precludono la possibilità di un’apertura ai valori trascendenti;

– del suo materialismo, per cui primeggiano l’istinto per il piacere e per il possesso che gli fanno ignorare la bellezza del donarsi nell’amore e per amore;

– del suo attaccamento al potere e al dominio, che lo distolgono dall’idea della vita come servizio umile e disinteressato.

Inoltre, dobbiamo riconoscere che ci troviamo, drammaticamente, in un contesto generale di vita in cui:

– la fede, Cristo e la Chiesa, perdono il loro carattere di verità e di universalità salvifica, perché su di essi si getta continuamente un’ombra di dubbio, di incertezza e di discredito;

– l’angoscia e l’ansia, la paura e il dolore, anch’essi globalizzati, avvolgono la nostra esistenza; 

– i luoghi stessi della nostra vita somigliano sempre di più ad un terribile deserto, a un aspro monte fatto di solitudine, di incomprensioni, di desolazione. 

    È proprio la constatazione sia di una situazione ecclesiale in cui da un lato, quasi si ignorano o si criticano e, dall’altro, spesso si esaltano senza alcuna sicurezza teologica le rivelazioni private elevandole ad assoluta regola di vita; sia il riscontro di una situazione socio – antropologica in cui le donne e gli uomini del nostro tempo vivono, senza una reale apertura ai valori della trascendenza e senza prospettive, come veri “figli del nulla”, che ha spinto gli studiosi di mariologia a dedicarsi con maggiore serietà allo studio delle problematiche teologiche, ecclesiali, sociali ed antropologiche delle apparizioni mariane, con l’intento di fornire i chiarimenti necessari per una loro oggettiva valutazione, a beneficio non solo della Chiesa, ma della stessa umanità.
    Essi, infatti, con i loro studi approfonditi intendono:

– sollecitare i Pastori a riconoscere i frutti spirituali che esse producono;

indicare ai fedeli la sicura via per accoglierle senza infantilismo o isterismo religioso;

– sottolineare la loro incidenza nella società, perché si mostrano un valido aiuto per il rinnovamento spirituale dell’intera umanità, in cammino non verso l’autodistruzione, ma verso l’Eschaton, e fanno riscoprire Maria come icona, maestra e “presenza” di speranza e di giustizia in mezzo a noi.

    Tenendo conto di tutto questo, Antonino Grasso ha cercato nel suo volume di sintetizzare le complesse problematiche e i significati teologici e antropologici delle Mariofanie in 5 brevi ma intensi Capitoli:

  1. Quantità delle apparizioni
  2. Natura delle apparizioni
  3. Valutazione delle apparizioni
  4. Valore delle apparizioni
  5. Significato delle apparizioni

 

 

LA FEDE CHE CAMBIA LA STORIA: IL MESSAGGIO DI FATIMA CENT’ANNI DOPO

26 Ago 2017

Nino Grasso

Tra le celebrazioni di quest’anno in onore della Madonna dell’Elemosina, ha assunto un ruolo significativo il ricordo dei primi cento anni delle apparizioni della Madonna a Fatima, una delle più importanti mariofanie che ha segnato le vicende storiche del secolo scorso e che ancora è capace di interpretare profeticamente il nostro tempo.
Promossa dall’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina”, la conferenza di venerdì 25 agosto è stata introdotta da Alessandro Scaccianoce, responsabile attività culturali dell’aggregazione mariana, e condotta dal prof. Nino Grasso, docente di mariologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Catania.
Perché la Madonna appare? Qual è il messaggio per noi contemporanei? Qual è il valore profetico del terzo segreto? Con queste domande Scaccianoce ha avviato la riflessione, sottolineando come Fatima sia la dimostrazione della capacità della fede di incidere nella storia. “La fede – ha detto Scaccianoce – non è solo un rapporto intimo e personale con Dio, ma è principio di rinnovamento della vita. La preghiera e la penitenza, tra le consegne più importanti delle rivelazioni di Fatima, possono davvero modificare il male della storia”.
Nel suo intervento il prof. Grasso ha ripercorso le tappe delle apparizioni, avvenute tra il 13 maggio e il 13 ottobre 1917, e ha spiegato in dettaglio il contenuto dei tre segreti, o meglio, delle tre parti dell’unico segreto rivelato dalla Vergine ai tre fanciulli portoghesi. Ha detto Grasso:
“La visione dell’inferno, la possibilità di una nuova e più grande guerra e la persecuzione della Chiesa, con la visione del Vescovo vestito di bianco che cade sotto colpi di armi da fuoco ai piedi di una grande croce, sono i tre grandi segreti.
A queste visioni drammatiche però la Vergine accompagna sempre dei messaggi di speranza.
L’inferno può essere evitato, come anche il male della guerra, attraverso la consacrazione al cuore immacolato di Maria, con quel che significa questo atto, come adesione e fiducia all’intera persona della Madre di Dio.

Anche Giovanni Paolo II, che vide applicata a sé la profezia del Vescovo colpito con armi da fuoco, riconobbe che fu la Vergine a deviare con la sua mano il proiettile che lo colpì nell’attentato in piazza San Pietro il 13 maggio 1981”.
Grasso ha anche ricordato l’interpretazione dei segreti offerta da Joseph Ratzinger nel 2000, come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l’omelia che tenne a Fatima, come Papa, in cui precisò che il valore profetico delle rivelazioni non è affatto esaurito:
la persecuzione dei cristiani, infatti, e il sangue versato da vescovi, preti, religiosi e religiose, e da tanti cristiani laici è sotto gli occhi di tutti.
“La Madonna – ha concluso Grasso – appare perché ci è madre, per richiamarci specifici aspetti della rivelazione evangelica e per confermarci la verità del cielo e della risurrezione”.
A chiudere la serata è stato l’intervento del Vescovo Paolo Urso che ha presieduto la Celebrazione eucaristica, con la partecipazione degli ammalati e dei volontari delle associazioni che operano nel territorio.
“Noi siciliani – ha detto Mons. Urso – invochiamo Maria come ‘a Bedda Matri’ non solo per far riferimento alla sua bellezza fisica, ma per sottolineare la sua bellezza spirituale. Lei che è davvero vicinissima a noi è anche la donna vestita di cielo e di sole, luminosa perché brilla della grazia di Dio.
Le rivelazioni di Fatima ci confermano che lei è sempre attenta alle nostre vicende umane e per noi desidera la felicità più grande: il paradiso. Un paradiso che inizia già su questa terra. Fatima ci conferma che non esiste un destino immutabile, ma al contrario che con il nostro contributo possiamo rendere questo nostro passaggio sulla terra migliore, per noi e per i nostri fratelli”.
Il prevosto don Pino Salerno ha ringraziato i presenti e ha esortato a vivere le celebrazioni con la ricchezza di queste splendide verità di fede, evidenziando l’importanza di queste riflessioni per il Santuario Mariano di Biancavilla che venera Maria come Madre di Misericordia.
    Articolo di Nino Grasso 

 

             MARIA, LA “DONNA” GLORIFICATA DAL RISORTO, ICONA DI VITA E PROFEZIA DI FUTURO PER I “FIGLI DEL NULLA”.

 

                                                                                Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” – Catania

Introduzione

Secondo l’insegnamento di papa Paolo VI (1963-1978), espresso soprattutto nell’esortazione apostolica Marialis cultus del 2 febbraio 1974, 1 ripreso e  approfondito dal magistero successivo di Giovanni Paolo II (1978-2005), Maria è l’autentica risposta alla varie crisi d’identità dell’uomo contemporaneo, spesso incatenato dal suo efficientismo esteriore, a cui non corrisponde un’uguale ricchezza interiore; dal suo positivismo, empirismo e nichilismo che precludono la possibilità di un’apertura ai valori trascendenti; dal suo materialismo, per cui primeggiano l’istinto per il piacere e per il possesso che gli fanno ignorare la bellezza del donarsi nell’amore e per amore; dal suo attaccamento al potere e al dominio, che lo distolgono dall’idea della vita come servizio umile e disinteressato.
Inoltre, Maria è l’esempio vivente e perenne della rivoluzione cristiana che cambia il mondo, ridona speranza e offre prospettive di futuro agli uomini e alle donne, essendo la prima creatura che, rigenerata alla totalità della grazia per la salvezza operata da Cristo e partecipe della sua gloria di Risorto, rappresenta la condizione umana completamente realizzata, libera dalle catene del peccato e della morte, interprete, quindi, nella piena significanza della sua esistenza, della vitalità operativa e trasformante del Dio Trinitario che riscatta la creatura dalle condizioni di indigenza e la fa partecipe del mistero della vita senza fine.

1.1. Il cristianesimo e i “figli del nulla”

Di fronte ai mali e ai pericoli che lo minacciano, fra i quali primeggia la crisi di futuro, l’uomo di oggi mostra un totale e drammatico disorientamento. Molti indicano nel nichilismo la causa fondamentale di questa profonda incertezza e precarietà
 Il nichilismo è la negazione radicale e metafisica del senso dell’essere e degli enti il cui significato e la cui realtà sostanziale e valoriale è fondata nell’assolutezza dell’essere.

In sostanza, il nichilismo è una concezione delle cose, per la quale la realtà finirebbe nel nulla, per cui essa non ha alcuna consistenza e nessun solido rapporto con la verità: è il niente il vero senso dell’essere.
Marcando come un fuoco potente non solo la filosofia contemporanea ma la cultura e l’esistenza umana nelle sue molteplici espressioni, il nichilismo ha generalizzato una diffusa e profonda corrosione della fede circa la visione del mondo e dei valori trascendenti, manifestandosi come la vera radice dei mali dell’uomo d’oggi.
È evidente che il nichilismo come «processo nel quale, alla fine, dell’essere come tale 
non resta più nulla»8 interroga profondamente il cristianesimo e lo chiama ad un confronto, dal quale devono emergere convincenti risposte.
Invece di guardare al nichilismo come ad un antagonista ideologico, bisogna considerarlo piuttosto come un clima culturale, una contingenza esistenziale in cui l’uomo contemporaneo si trova a vivere, bisognoso, quindi, anche e soprattutto in questa situazione, di comprensione, amore e sollecitazioni salvifiche. Il massimo limite del confronto tra cristianesimo e nichilismo è l’incapacità di quest’ultimo di confrontarsi seriamente oltre che con il problema del male e della libertà, anche con quello del senso della vita.
Nasce, di conseguenza, la necessità per la teologia di annunciare Dio ai “figli del nulla”, non nell’orizzonte della dimostrazione metafisica, ma in quello dell’accoglienza della rivelazione.
L’importante non è riaffermare genericamente l’esistenza e il primato di Dio, ma far comprendere il significato della sua reale e trasformante presenza tra di noi. È così che i “figli del nulla” scopriranno che il Dio cristiano non è il Dio dei filosofi, ma il Dio Trinitario svelatoci da Gesù Cristo; non il Dio assoluto e onnipotente dei metafisici, ma il Dio che cerca la relazione, crea, ama, s’incarna e si umilia sulla croce ed escatologizza la storia; un Dio santo di una santità non separata ma partecipata; un Dio che propone all’uomo le beatitudini, perché lui stesso ne è il compendio; che non si chiude gelosamente nella perfezione del proprio essere, ma la dispensa per amore nella creazione e nella redenzione; che non vive la propria bellezza e grandezza come auto-contemplazione estatica ma come avventura dinamica, come teo-drammatica; un Dio che, in definitiva, inserendosi nel “nulla” della  storia, offre all’uomo e alla sua esistenza, pienezza di senso e garanzia di futuro.

1.2. Maria, la “Donna” glorificata, di fronte alla cultura del nichilismo

All’uomo smarrito perché orientato al passato per paura del futuro; inchiodato al presente o a futuri brevi senza reali prospettive di ampio respiro, il cristianesimo può, dunque, offrire le sue motivazioni sapienziali e la profezia della sua fede, chiamandolo anche a riflettere sull’esempio di esistenze liberate e a contemplare quale icona di vita perfettamente realizzata perché immersa nella gloria del Risorto, la “Donna rivestita di sole” la cui Bellezza, in dipendenza e in riverbero dalla Bellezza dello Spirito, salverà il mondo.
Proprio la “Donna” glorificata nel e dal Risorto, parte attiva di una storia piena di significato in cui si realizza la liberazione totale dell’uomo nella prospettiva dell’infinito, offre la proposta di una civiltà nuova vista e pensata dal futuro. Maria, infatti, provoca al futuro l’uomo senza radici e senza promesse che consuma la sua esistenza nel quotidiano e che pone le sue scelte nella breve terra dell’oggi, senza pretendere che esse vengano da lontano o portino lontano.
La “Sorella” degli uomini, come amava chiamare Maria di Nazaret Paolo VI, invita i suoi “fratelli” e le sue “sorelle” in umanità, a non aver paura del futuro ma a interrogarlo con fiducia, severità e radicale rigore.
Con l’esempio della sua esistenza piena di senso, Maria invita gli uomini a superare la pretesa di un futuro senza passato e senza presente, perché non potrebbe spiegarsi né da dove nasce e come si nutre la forza propulsiva della speranza; la pretesa di un passato senza presente e senza futuro, perché recherebbe con sé soltanto la sconfortante mitizzazione di un brano del tempo; la pretesa di un presente senza passato e senza futuro, perché non ne giustificherebbe l’oggettivo valore.
Con Maria e in Maria, dunque, l’uomo può comprendere che entrare e stare nel mondo, vivere ed agire nel frammento di tempo che gli è dato, dà senso alla storia individuale e collettiva, la orienta al suo fine che non è l’abisso del nulla, ma la pienezza luminosa nel Dio Salvatore.
La Madre glorificata di Colui che proprio ex nihilo iniziò il cammino della storia con la creazione; che nel nihilo della croce raggiunse l’apice dell’amore nella storia; che dal nihilo della tomba risorse, vincitore della morte quale signore della storia e che tutti chiama dal nihilo della fragilità del peccato alla figliolanza del Padre nella potenza rigenerante dello Spirito, illumina nella luce del Figlio Risorto la realtà dell’esistenza umana, quale icona di speranza e di futuro, oltre la ristretta contingenza del tempo e dello spazio.
Ella insegna, in definitiva, che il significato e il fine della storia non sono il “nulla” ma un “evento di grazia” che ha provenienza trascendente,  destinazione escatologica, soggetti e destinatari concreti;12 un evento che rivela non una conoscenza astratta di Dio, ma la realtà storica di un Dio salvatore, sempre in relazione con gli uomini, incarnato e crocifisso per amore, perché ogni creatura avesse il suo destino di gloria.

1.3. Maria, icona di vita e profezia di futuro nel “mysterium salutis”

La storia degli uomini è escatologizzata da questo evento, cioè dall’incarnazione della Seconda Persona della SS. Trinità che ha reso, così, presente nel mondo il “futuro” di Dio, operando la “eternizzazione” del tempo.
Con il suo ingresso nella storia e il mistero della sua Pasqua, il Verbo di Dio fattosi uomo, ha permesso che la storia della salvezza si evolvesse in un itinerario unitario secondo uno schema ternario:
 – tempo della promessa, che precede e attende la sua venuta (tempo di Israele);
 – tempo dell’anticipazione, che segna la sua presenza storica e l’evolversi della Chiesa (tempo di Gesù-tempo della Chiesa);
 – tempo del totale adempimento che segna il compimento finale della storia (parusia-resurrezione).
Maria, madre di Dio secondo l’umanità, è figura escatologica, 
non soltanto perché è già alla fine del cammino che la Chiesa è chiamata a percorrere, ma anche perché ha collaborato con Cristo ad escatologizzare la nostra storia.
In lei, passato, presente e futuro si fondono perché è stata coinvolta da Dio nel passato di grazia che ha reso il presente capace di accogliere in nuce, nella speranza, nella pazienza e nel mistero la gloria futura.
Già fin dai primordi della storia, accanto al Messia venuto per lottare e sconfiggere il peccato e la morte e che con il mistero della sua Pasqua avrebbe ottenuto una vittoria per la quale il cammino dell’uomo si sarebbe avviato verso il cielo, la “Donna” è stata profetizzata come uno dei soggetti di questa lotta (Cfr. Gn 3,15),15 partecipe del vittorioso esito finale, a causa della sua presenza attiva sotto la croce.
È, infatti, la croce, il vero e nuovo albero della vita sul quale e accanto al quale il Nuovo Adamo e la Nuova Eva fanno ricominciare la storia nel segno della completa fedeltà e ubbidienza al Padre.
Con la sua “presenza materna” iniziata con l’Incarnazione, la Vergine Madre ha partecipato ad escatologizzare la storia, prima permettendo l’ingresso in essa del Verbo di Dio Salvatore come causa escatologia; poi continuando con la collaborazione all’opera messianica del Figlio e restando al suo fianco nel cuore del mistero dell’Ora.
L’escatologia ha, quindi, una caratura mariana perché riguarda un futuro la cui causa è radicata nel passato (incarnazione e croce) nel quale Maria ha preso parte in modo essenziale e attivo.
Questa presenza di Maria e la sua partecipazione alla strutturazione della storia della salvezza, è stata così profonda ed essenziale, da costituire ella stessa una microstoria della salvezza. In lei, infatti si sintetizza l’intero progetto di grazia che il Dio Trinitario ha disegnato e realizzato per l’intera famiglia umana e si realizzano in modo nuovo ed esemplare i maggiori passaggi della storia della salvezza, per cui in lei –Donna agonale – Nuova Eva – Figlia di Sion – Chiesa nascente, si riuniscono e riverberano i massimi dati della nostra fede.
Maria è – come afferma Laurentin – la sintesi e la chiave del mistero cristiano:
 – del Mistero Trinitario, in quanto Figlia eletta dal Padre; Madre santa del Figlio; Sposa amorosa dello Spirito;
 – del Mistero dell’Incarnazione, in quanto vera madre del Dio fatto uomo;
 – del Mistero Pasquale – Pentecostale, per essere stata la socia del Salvatore e la compagna degli Apostoli nel Cenacolo;
 – del Mistero della Chiesa, perché sua madre e modello; del Mistero escatologico, perchè già assunta nella gloria finale. 

1.4. Maria, icona di vita e profezia di futuro nel “mysterium hominis”

La “Donna” glorificata dal Risorto è un “luogo” in cui il cristianesimo, oltre a mostrare e narrare se stesso e la sua fede, mostra e narra quello che crede sull’uomo, cioè Maria è anche la massima espressione del realismo cristiano.
Nella sua concretezza umana, materna, verginale, 
spirituale ed escatologica, Maria:
ricorda come l’essenza del cristianesimo non è una gnosi, 
un’ideologia, ma il Verbo di Dio fattosi uomo, ossia la persona di Cristo;
– scoraggia ogni 
concezione dell’uomo «in termini di angelismo, in quanto questo non interpreta l’atto della creazione e quello ad esso connesso della redenzione»;
disapprova ogni forma di spiritualità 
disincarnata perché non si può separare ciò che Dio creatore e redentore ha tenuto sempre e invariabilmente unito; –  – condanna il disprezzo del corpo e delle cose, perché sono tessere dell’opera di un Dio creatore di «tutte le cose visibili e invisibili» (Credo) e soprattutto perché il Figlio di Dio con la sua incarnazione ha amato, con la croce redento, con la resurrezione glorificato, la “carne” umana divenuta così cardine di salvezza; – invita a contemplare la gloria escatologica alla quale l’uomo nella sua interezza viene chiamato;
 – ricorda che l’inizio è già avvenuto in lei, un essere 
umano della nostra stirpe che ha pianto e sofferto con noi e come noi è morto.

1.5. Maria, icona di vita e profezia di futuro nel “mysterium mortis”

Anche il tema della morte26 connesso inevitabilmente alla questione del senso, emerge dalle negazioni totalizzanti del post – moderno nichilista.
A differenza della ragion moderna che nel
suo ottimismo aveva esorcizzato la morte riducendola a un puro momento negativo del processo totale dello spirito, il pessimismo della ragione post – moderna, estende l’esperienza del morire all’intera vita, intesa, di conseguenza, come un interminabile addio, un continuo e drammatico precipitare verso il non senso.
27 È evidente che affermare che la morte è niente e ritenere che tutto è
un continuo morire, sono due modi complementari di sfuggire all’interrogativo che la morte pone alla vita; la morte, cioè, viene semplicemente ignorata, evasa, nascosta. Il cristianesimo si interessa alla morte non soltanto perché fondamentalmente legata al mistero dell’uomo, ma perché essa investe la stessa fede in Dio in quanto questa è plausibile solo se risolve escatologicamente il problema stesso del morire.
Che ne sarebbe, infatti, delCredo cristiano senza l’escatologia? 
Nemmeno sul tema della morte, il cristianesimo rinuncia a confrontarsi col pensiero post– moderno e col nichilismo ma anzi, proprio nei confronti di quest’ultimo, riafferma che è possibile il “superamento” della morte; che si può “morire per l’invisibile”; che è piena di senso l’intuizione credente secondo la quale il cimitero non è il “loculo” del destino ultimo del singolo uomo e, conseguentemente, la storia non è la “fossa comune” dell’intera famiglia umana.
Proprio dentro
una cultura debole e frammentaria che impedisce la ricerca del senso, la “riscoperta del senso della morte” costituisce uno degli spiragli più preziosi per il dialogo del cristianesimo con l’uomo del nostro tempo, ma sarà pertinente e reale, solo se riguarderà il tema della salvezza, cioè se terrà conto dell’eventualità di una vita dopo la morte.
Ed è proprio ad una cultura che sfugge all’idea della morte, la traduce in tabù sconvenienti a tutti i livelli, la sconsacra, la circoscrive all’ambito dell’inesistenza, la riduce a una probabilità o a ricorrenza statistica, che il cristianesimo mostra accanto al Cristo crocifisso, l’icona dello Stabat Mater” La “Donna” che sta ai piedi della Croce del Figlio in nome della Chiesa e dell’intera umanità, è la testimone per eccellenza del senso perenne della morte di Colui che, proprio morendo, diventava il vincitore definitivo della morte stessa.
Con questa sua presenza, la
Mater dolorosa insegna agli uomini che la morte dell’uomo, come quella di Cristo, è il “luogo”:
dove si tocca il vertice dell’auto-comunicazione di Dio e della rivelazione sull’uomo;
– dove
ispirarsi per ripensare la presenza nel mondo e l’impegno nella storia;
– dove intuire l’ardire e la
follia dell’amore di Dio per le sue creature;
– dove intravedere la terribile e disperante solitudine
dell’uomo che perde Dio;
– dove scorgere la voragine del degrado del mondo se da esso Dio si
allontana;
– dove la morte, proprio al momento del suo apparente trionfo risulta sconfitta, dato che
all’esodo dell’uomo dal tempo, viene incontro l’avvento di Dio;
– dove, non segue il baratro della
fine ma vengono spalancate le porte luminose del Regno.
La “Donna” glorificata dal Risorto entra,
così, nella lettura e nella proposta di soluzione del nostro morire.
La sua partecipazione al mistero di
Cristo, ossia alla lotta da Cristo sostenuta per vincere la morte e al suo definitivo trionfo sulla morte. 

25 Cfr. K. RAHNER, Maria. Meditazioni, Herder – Morcelliana, Roma – Brescia 1969-1979, 108.

26 Su questo tema cfr. J. P. MANIGNE – B. ANDRÉ, Il ritorno della morte, Queriniana, Brescia 1976; G. ANCONA,
Il
significato antropologico della morte, LUL, Roma 1990; F. LIVERZIANI, Le esperienze di confine e la via oltre la morte. 

Mondadori, Milano 1978;illusione o s V. MESSORI, Scommessa sulla morte. La proposta cristiana:illusione o speranza?, SEI, Torino 1982.

27 M. G.MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, op. cit., 409.

28 Cfr. B. FORTE, La parabola della modernità e il problema del senso, in AA. VV., Condividere la nostra esperienza di Dio, Città Nuova, Roma 1995, 95.

29 M. G.MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, op. cit., 410-411.

Con la resurrezione, la rende in grado di stare vicina alla morte di ogni uomo e di ogni donna, così come è stata vicina alla morte ed è vicina alla gloria di Colui che, a nostra salvezza e per nostro vantaggio, ha «ingoiato la morte nella sua vittoria pasquale» (1Cor 15,54).32

Conclusione

Maria, la “Donna” glorificata dal Risorto è, perciò, icona di vita e profezia di futuro per l’uomo oppresso dal non senso e dal nulla.
Ella invita i “figli del nulla” a disincantarsi dal fascino
dell’anamnesi come paura del presente, perché nel presente si affaccia e risplende già la luce del futuro; a liberarsi dal frammentarismo della storia, perché il Signore l’ha unificata in un unico cammino salvifico e proiettata verso il suo glorioso compimento; a non affidarsi a futuri brevi, perché fanno perdere il senso del futuro ultimo; a resistere alla tentazione del neo – paganesimo perché incatenando l’uomo al suo smarrimento pratico – esistenziale, gli fa perdere la dimensione escatologia.
Maria chiama gli uomini a guardare in alto, là dove è Dio creatore e fine ultimo; dove è
Cristo, salvezza dell’uomo; dove è lei stessa, prima creatura pienamente realizzata nel Risorto dalla potenza dello Spirito.
La “Donna” glorificata, chiama in sostanza i “figli del nulla” ad essere
anch’essi “icone di vita e profezia di futuro”.33

1 Cfr. PAOLO VI, Marialis cultus, esortazione apostolica del 2 febbraio 1974, in EV, EDB, Bologna 1980, vol. 5, nn. 13–

97.

2 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, lettera enciclica del 25 marzo 1987, in EdE, EDB, Bologna 1998, vol. 8,

  1. 715–774; IDEM, Sollecitudo rei socialis, lettera enciclica del 30 dicembre 1987, in EdE, nn. 775–1025; IDEM,

Rosarium Virginis Mariae, lettera apostolica del 16 ottobre 2002, in AAS 95 (2003), 5-36.

3 Cfr. C. C. DELIA, Maria e l’uomo d’oggi, Centro di cultura mariana „Madre della Chiesa“, Roma 1989.

4 Cfr. P. ZILLINGEN, Maria zeige uns Jesus, St. Raphael Verlag, Gögglingen 1983.

5 Cfr. F. VOLPI, Il nichilismo, Laterza, Roma-Bari 1996, 3-10.

6 Sul nichilismo si indicano queste interessanti opere: N. ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia, Utet, Torino, 1971;

KARL LÖWITH, Il nichilismo europeo, Laterza, Roma-Bari 1999; E. SEVERINO, Essenza del nichilismo, Milano, 1972;

  1. VATTIMO, Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, Garzanti, 2003.

32 M. G. MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, op. cit., 412-414.

Strettamente legato al tema della morte è pure quello del dolore umano. Anche qui Maria, la “Donna” glorificata dal

Risorto, si pone come paradigma esemplare per l’uomo. Cfr. S. PALUMBIERI, Maria Assunta in cielo risposta divina al

dolore umano, in AA. VV., AA. VV., L’Assunzione di Maria, Madre di Dio. Significato storico a 50 anni dalla

definizione dogmatica, AA. VV., L’Assunzione di Maria, Madre di Dio. Significato storico a 50 anni dalla definizione

dogmatica, op. cit., 307-352.

7 Cfr. M. G. MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, in AA. VV.,

L’Assunzione di Maria, Madre di Dio. Significato storico a 50 anni dalla definizione dogmatica, Pontificia Academia

Mariana Internationalis, Città del Vaticano 2001, 388-389.

8 G. VATTIMO, La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna, Feltrinelli, Milano

1987, 27.

9 Cfr. ALDO BODRATO, Nichilismo e cristianesimo. Un confronto a Torino, in Il Foglio, mensile on-line, n. 307..

L’autore riassume le relazioni del Convegno su “Nichilismo e Cristianesimo”, tenutosi a Torino dal 17 al 18 ottobre

2003.

10 Sulle problematiche, le soluzioni, le prospettive del rapporto tra cristianesimo e nichilismo si possono confrontare: M.

  1. MASCIARELLI, Trinità in contesto. La sfida dell’inculturazione al riannuncio del Dio cristiano, in AA. VV., Trinità

in contesto, LAS, Roma 1994; B. WELTE, La luce del nulla. Sulla possibilità di una nuova esperienza religiosa,

Queriniana, Brescia 1983; G. LORIZIO, Prospettive teologiche del postmoderno, in Rassegna di Teologia 30 (1989), 550

ss; I. SANNA, Fede, scienza e fine del mondo. Come sperare oggi, Garzanti, Milano 1994; IDEM, Dialettica e speranza,

Valacchi, Firenze 1967; G. B. MONDIN, I teologi della speranza, Borla, Roma 1974; P. PRIMI, Cristianesimo e

ideologia, Esperienze, Fossano 1974.

11 Cfr. M. G. MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, op. cit., 397-

  1. L’autore cita la frase di Dostoevski: «Proprio la Bellezza salverà il mondo, non la Bellezza qualunque, ma quella

dello Spirito Santo e quella della Donna vestita di sole», a sua volta riportata da T. SPIDLÍK, L’idea russa, Lipa, Roma

1995, 102.

12 Cfr. M. G. MASCIARELLI, Maria icona perfetta dell’umanità pervenuta per grazia al suo compimento, op. cit., 400-

401.

13 Cfr. R. LAURENTIN, Maria chiave del mistero cristiano, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 8.

14 Cfr. Ibidem, 402-403.

15 Cfr. A. SERRA, La presenza e la funzione della Madre del Messia nell’A.T. Principi per la ricerca e applicazioni, in

Dizionario di spiritualità biblico – patristica, 40 (2005), 101-109.

33 Cfr. AA. VV., Come vivere l’impegno cristiano con Maria. Principi e proposte, Centro di Cultura Mariana “Madre

della Chiesa”, Roma 1984; AA. VV., Maria guida sicura in un mondo che cambia, Centro di Cultura Mariana “Madre

della Chiesa”, Roma 202; AA. VV., Maria e la fine dei tempi. Approccio biblico, patristico e storico, Città Nuova,

  NINO GRASSO :  Roma 1994 

 

 

Convegni

Allegati

 Articoli di stampa

Attività Letteraria

 SCRIVONO di NINO GRASSO

A cura di Francesco Rubbino  

 

La Badessa di Olga Foti

 

 LA BADESSA                                                                    

Nel mese di maggio suor Veronica fu trovata morta dentro il pozzo del convento.

Si era buttata? Era stata buttata?

Che fosse caduta accidentalmente nemmeno un bambino all’ultimo anno d’asilo l’avrebbe creduto.

Un pozzo di pietra come quello dei conventi di una volta, alto più di un metro e mezzo, il coperchio di ferro leggero, la carrucola con la lunga catena, e, appeso, il secchio zincato. Si calava lentamente o con un colpo deciso, e poi, pieno e gocciolante, veniva tirato su con la carrucola.

Impossibile cadere dentro il pozzo se non spinta a forza.

Su questo, in paese, tutti d’accordo, in pochi invece credevano che suor Veronica avesse deciso di uccidersi. L’avevano uccisa, si diceva, perché era incinta, e si facevano nomi di monaci e preti, di due monsignori anche, che frequentavano il convento con assiduità.

“Comunque, vedrete, faranno passare tutto per suicidio così lo scandalo si potrà soffocare più facilmente.”

E infatti le indagini furono svolte in fretta e con grande discrezione, l’autopsia, se autopsia era stata fatta, passata sotto silenzio.

Era incinta suor Veronica?

Non si è mai saputo.

La badessa era nata in una di quelle famiglie che possedevano quasi tutte le terre del paese, ma erano tempi, inizio Novecento, in cui le ragazze avevano una sola opportunità: il matrimonio. I feudi, i palazzi, i soldi, si sapeva, toccavano ai figli maschi, al primogenito soprattutto. Le femmine sposandosi avrebbero avuto la dote, certo, poca cosa comunque, in abbondanza solo casse di biancheria di lino ricamata, un inutile corredo se non riuscivano a pescare un marito, corredo che passava alla figlia primogenita del fratello dove la zitella sarebbe andata a vivere dopo la morte dei genitori.

Non era una bella prospettiva.

Le sorelle maggiori della futura badessa avevano impalmato i ricchi scapoli a disposizione, lei aveva già venti anni, quando ci si sposava a quindici, e all’orizzonte non appariva nessuno. Eppure era bellina, carnagione bianchissima, lineamenti regolari, sorriso e sguardo da santarella che nascondevano tenacia, caparbietà, e la ferma decisione di non finire in casa di qualche cognata o, come la maggior parte delle terze o quartogenite delle famiglie bene, di accontentarsi di un mezzo proprietario – mezzo bifolco forestiero scovato da uno dei tanti sensali di matrimoni.

E poi, in paese c’era l’uomo giusto, il più nobile, ricco, istruito, aveva persino diverse lauree quando i proprietari, allora, completavano al massimo le elementari: i maschi, le femmine solo le prime tre classi. Quello era l’uomo per lei. Possedeva vigneti a perdita d’occhio, terreni da semina, veri e propri feudi, ville e case di villeggiatura, oltre il palazzo che portava il nome di famiglia. Insomma, un gran partito.

Il problema?

Il nobiluomo non solo non si era mai interessato a lei, ma aveva – e in paese – una donna e una figlia. Una donna bella e simpatica che non apparteneva però alla cerchia dorata dei proprietari terrieri, e per questo, quando la cosa era iniziata, aveva suscitato scandalo, e lo scandalo era esploso quando era nata una bambina.

Una bambina fuori dal matrimonio.

Non c’era adulto, ragazzo, contadino, servo o proprietario che non ne fosse al corrente, che non ne parlasse, che non chiedesse a chi assomigliava. Al padre? Ah, c’era il segno della nobiltà in quella piccolina!

Le notizie e i commenti entravano e uscivano da ogni casa: con le serve, le verdure, le derrate che arrivavano dalle campagne, notizie e commenti che sostavano nei salotti, nelle cucine dei signori e  dei villani, andavano per strada, si fermavano al lavatoio, dal droghiere, dal macellaio, nel negozio di tessuti della via principale e nelle osterie, oltre che sul sagrato delle chiese dove qualsiasi fatto veniva raccontato e commentato dopo la messa o le altre funzioni.

Ormai anche le pietre del fiume parlavano dello scandalo ma la madre badessa, in seguito, avrebbe raccontato alle sue monache che lei non aveva mai saputo della “scappatella” prematrimoniale del marito.

Una scappatella. Era nata anche una bambina che, se non riconosciuta dal padre, sarebbe stata una bastarda, una figlia di N.N., il marchio che veniva stampigliato su tutti i documenti rovinando la vita di tante persone, e si è dovuto aspettare il 1975 perché fosse abolito.

Il nobiluomo però era anche un gentiluomo, il pericolo per quella bambina non esisteva. Così dicevano tutti ma la futura badessa fece in modo che le cose andassero diversamente.

Quindi, in tutto quel bailamme, con discrezione, accortezza, lei comincia a lanciare la rete per  pescare il suo pesce.

Nei primi bigliettini gli assicura di ricordarlo nelle sue preghiere, certamente tutti quei commenti e pettegolezzi lo disturbano, lo rattristano, e lei chiede per lui il conforto cristiano.

I biglietti, com’era consuetudine, viaggiavano col sistema sicuro e rapido della serva di casa e lei ne aveva una più fedele di un cane fedele, sempre pronta a portare messaggi, avanti e indietro dal quartiere di S. Nicola a quello dei Cappuccini.

Per quanto tempo? E cosa venne aggiunto in seguito alle parole di conforto cristiano?

Nemmeno l’arcangelo Gabriele può saperlo. Si sa invece che la futura badessa sigillava le missive con la ceralacca e, dopo averle chiuse in una piccola borsa di tessuto, ordinava alla serva di metterle, non nel petto, come allora facevano molte donne, ma nella parte interna dei mutandoni.

La serva poteva cadere, svenire, morire, ma nessuno avrebbe trovato niente. 

Non si sa quando la madre della bambina capì che qualcosa stava cambiando, era cambiato, né quando il nobiluomo cominciò a pensare a un matrimonio più adatto al suo rango. Sono segreti finiti nelle tombe e da lì non usciranno più. Di sicuro c’è l’intervento di un padre guardiano cappuccino che fa cadere le parole giuste al momento giusto in tempi in cui i padri guardiani, gli arcipreti, i vescovi, i segretari dei vescovi e anche i semplici sacerdoti avevano un peso notevole nella vita delle persone. E le parole giuste, in quel caso, suonarono più o meno così: Circolano voci, eccellenza (molti gli davano dell’eccellenza) voci accorte, sommesse, quasi sotterranee come certi corsi d’acqua che d’improvviso vengono fuori impetuosi e trascinano via tutto quel che trovano. Anche l’onorabilità di una ragazza perbene, di famiglia perbene.

Qualcuno aveva notato, disse il cappuccino, il via e vai della serva da un quartiere all’altro, da un palazzo all’altro, e poi…

Il padre guardiano accennò all’invito che la famiglia di lei aveva fatto alla famiglia di lui per la festa di Maria assunta in cielo, invito accettato.

“Mi sbaglio eccellenza? Al paese, da sempre – il sempre umano, s’intende – l’invito a vedere la processione di ferragosto dai balconi della propria casa ha un significato preciso, e accettare quell’invito è quasi un impegno. Mi corregga se sbaglio.”

Non si sbagliava.

Il clero, eccezione fatta per qualche santo o qualche pazzo, era sempre stato dalla parte dei signori,  non certo dalla parte di una donna che non voleva il bollo di bastarda per la figlia, Si doveva rassegnare, il mondo, del resto, era pieno di figli di N. N.

Ma la madre non si rassegnava, anche se aveva tutti contro, e lo disse alla futura badessa, l’affrontò senza esitazione, lo sposasse pure il padre di sua figlia, lei voleva solo il nome per la bambina.

Il matrimonio ci fu e subito dopo iniziarono da parte della sposa le manovre per evitare che i suoi probabili futuri figli dovessero spartire i possedimenti con l’estranea. Prima cercò di allontanare il padre dalla bambina: “Con la scusa di vedere la figlia ti incontri con la madre”, e quando la questione fu risolta mandando a palazzo la piccola in braccio a una anziana donna, la fresca sposina alle prime avvisaglie di “riconoscimento legale” iniziò quel che oggi si direbbe lo sciopero della fame ma che allora suonava: lasciarsi morire di consunzione.

Non è difficile immaginare che la serva fedele la nutrisse segretamente, doveva sembrare decisa a morire, non certo morire, e così il marito continuò a rimandare quel riconoscimento. Poteva causare la morte della moglie?

Malgrado la sua intelligenza, le lauree, il patrimonio e il nobile casato, si comportò, come avrebbe detto Sciascia, da quaquaraquà. In quella specie di partita a scacchi la futura badessa aveva messo in campo tutte le sue armi per indirizzare le mosse dell’avversario a suo vantaggio, per costringerlo a spostare le pedine che voleva lei, come voleva lei. E aveva vinto.

Poi il grande avvenimento: la sposa aspettava un bambino. L’erede, il figlio, l’unto del Signore.  E chi pensava più alla bastarda?

Ci sarebbe voluto il Rettore dei Salesiani che c’era una volta, una specie di Padre Cristoforo fra i tanti don Rodrighi e don Abbondi, che molti anni prima aveva costretto il barone Rametta a riconoscere i figli avuti dalla servetta. Ma i padri Cristoforo sono più rari delle mosche bianche e comunque in quel frangente al paese di quelle mosche non ne volavano.

Dopo qualche anno però il bambino fu colpito dalla difterite, una malattia spesso mortale, allora, non c’era il vaccino, non c’erano gli antibiotici, e come si temeva morì.

La futura badessa all’inizio vide quella morte come un castigo divino, sapeva fra l’altro che non poteva più avere figli, ma presto ne pensò una delle sue: il marito avrebbe riconosciuto la bambina che però doveva andare ad abitare con loro, sarebbe stata la loro figlia, la madre doveva rinunciare a lei, non doveva più nemmeno vederla.

La madre ovviamente rifiutò sdegnata e la nobile signora ne fu stupita: ma che ingratitudine!

  Poi anche il marito si ammalò, una malattia che i migliori medici non riuscirono a curare, morì anche lui, e poiché non c’erano figli tutto il patrimonio andò alla moglie.

Cosa poteva fare una vedova ambiziosa, con pochissima istruzione e zero interessi?

La madre badessa.

Bisogna riconoscere che per molto tempo le autorità ecclesiastiche ostacolarono le pretese della vedova ma lei sapeva come muoversi, convincere, e tempo costanza e mezzi non le mancavano.

Proprio per questo, secondo alcuni, non era necessario buttare Veronica nel pozzo, troppo pericoloso, prima o poi qualche suora avrebbe parlato. Ci sono armi più sicure che sanno creare il vuoto attorno ad una ragazza semplice, di famiglia povera, abituata alle ingiustizie. Ad albero caduto accetta accetta, si ripeteva Veronica, ma che colpa aveva l’albero se il vento l’aveva buttato giù? E le tornava in mente l’asino visto nella strada ripida della Crocitta, era scivolato, sotto il pesante carico non riusciva più a sollevarsi e il padrone imbestialito gli faceva calare con tutta la sua forza un grosso bastone sulla testa. Picchiava e gridava, gli diceva delinquente, mangia paglia a ufo, finché la bestia era morta, la testa sul selciato, un occhio aperto., e l’uomo l’aveva guardato quasi stupito e indignato per quell’ultimo tiro mancino che l’asino gli aveva giocato.

Veronica non poteva dimenticare quell’asino, e quando la badessa si rivolgeva alle suore riunite, stava ad ascoltare con la disperazione di una bambina che si è persa nel bosco. In quei discorsi c’era forse il segreto per ritrovare la strada ma le parole le sembravano pronunciate in una lingua sconosciuta. Aveva anche cercato di parlare alla badessa, si era fatta coraggio, l’aveva fermata nel corridoio: Madre…” Ma lei l’aveva gelata con lo sguardo ed era andata via.

Due consorelle lavoravano in cortile, pulivano e rassettavano come gli altri giorni, chiacchieravano, e nessuna di loro si accostò a una delle finestre aperte per dire, Buongiorno suor Veronica, avevano sentito dal rumore del secchio che lei era là, nel corridoio, e avevano smesso di parlare.

Veronica non le vedeva, vedeva il rampicante sul muro con i fiori bianchi a forma di campanule e le foglie lucide come quelle del limone. Sentì sbattere con forza lo zerbino, era sempre pieno di terra perché ci si pulivano i piedi venendo dal giardino, e poi di nuovo le consorelle che avevano ripreso a parlare ma a voce bassa.

Devo parlare con la Superiora, si disse, provare ancora, sì, forse mi ascolterà, dirà, Vieni nel mio studio. Proverò di nuovo domani. E mentre si abbassava per strizzare lo straccio nel secchio, la decisione che sapeva inutile le diede una certa serenità..

Quasi mezzanotte. Veronica percorre il corridoio attenta ad evitare qualsiasi rumore, anche se non ci sono assi che scricchiolano ma mattonelle di ceramica pulitissime che lei lava ogni giorno. Il cuore le batte forte, le sembra di sentirne l’eco che rimbalza sulle pareti, ma continua a camminare, è quasi a metà corridoio, non lontana dalla stanza della Madre superiora. Non alzerò gli occhi, si disse, ma quando si trovò davanti a quella porta gli occhi si sollevarono involontariamente e Veronica è sicura che la porta si aprirà all’improvviso e apparirà la badessa.

Ma non accade.

Prosegue in quel silenzio notturno così nuovo per lei, arriva in fondo al corridoio. Sa che la porta è chiusa ma sa anche come usare il ferretto per i capelli che era caduto a donna Rosaria quando aveva portato la biancheria e gli abiti talari dei frati perché venissero lavati e stirati come di consueto. La forcina si era staccata dalla crocchia di capelli bianchi ed era caduta sulle mattonelle lucide del pavimento, donna Rosaria non se n’era accorta e Veronica, senza sapere perché, si era chinata e l’aveva fatta scomparire nella tasca.

Il trucco di aprire una porta chiusa a chiave con un ferretto gliela aveva insegnato il cugino Saro, erano ancora bambini e si divertivano ad aprire la stalla o la casa della nonna.

La porta che dà in giardino adesso è davanti a lei, mette una mano sulla maniglia, con l’altra palpa il fondo della tasca, hanno tasche profonde i vestiti delle monache, chissà perché, ci tengono solo il rosario e il fazzoletto.

Veronica trova subito la forcina, la piega, la fa girare a mo’ di chiave e la porta si apre.

Fuori un cielo con tante stelle e uno spicchio di luna, niente nuvole, si dirige verso l’aiola delle erbe aromatiche e accanto, sull’albero della robinia, avverte un sommesso eccitato frullo d’ali. Il suo passo nel viottolo ha messo in allarme gli uccelli che dormivano. Lei invece è tranquilla, le decisioni una volta prese portano serenità, si chiede solo se la Superiora sapeva chi era stato.

Quasi certamente no, e non le interessava saperlo, era importante solo soffocare lo scandalo, e lo  scandalo era lei, lei il problema, lui avrebbe continuato con i buoni pranzi preparati dalle consorelle, avrebbe bevuto il vino rosso gradazione diciotto, biancheria e abiti lavati e stirati. Non erano loro le ancelle dei sacerdoti? E ancelle vuol dire serve, le aveva spiegato suor Rosina.

Si volta a guardare il convento, l’impassibile struttura completamente buia, nemmeno una luce dietro quelle finestre, e forse per questo le sembra ancora più freddo e inutile, un uccellaccio morto, rinsecchito. Continua a camminare, il cuore non le batte, solo un leggero pulsare delle vene vicino alle tempie, come se tutto ciò che ha nella testa, pensieri, ricordi, volessero fuggire verso le nuvole finché erano in tempo. Infatti è già arrivata al pozzo, con un saltello siede sull’orlo di pietra lavica, si sta bene di notte in giardino, siamo in maggio ormai. Solleva il coperchio, guarda verso l’acqua,  ma è buio, sente solo un soffio di aria fresca, pulita, salire verso di lei, accarezzarle il viso.

 “Veronica…!?”

Vuole ascoltare il suo nome e si china di più verso l’acqua, chiama ancora:

“Veronica…!?”

 “Onica…!?”

Un suono bellissimo quasi come quello dell’organo della Chiesa madre.

“Veronica…?”

L’eco rispose senza farsi attendere:

“Onica…?”

E lei si lasciò andar giù.

 

                                                                                               Olga Foti

 

 

 

 

La Confraternità della SS Annunziata di Salvatore Rizzeri.

Sovranismi – Dal Sovranismo Regionale al Sovranismo Nazionale di Mario Scalisi

 

MARIO SCALISI

DAL SOVRANISMO REGIONALE AL SOVRANISMO NAZIONALE

CANEPA

Vivevo a Siena da sei anni. Quattro erano stati necessari per conseguire la laurea nella locale Università.  L’anno successivo ebbi l’occasione di collaborare con un giornale di quella città. Il sesto anno mi fu conferito l’incarico d’insegnare al Liceo Scientifico “Poliziano” di Montepulciano e, per completare l’orario  di cattedra, all’Istituto Tecnico Commerciale “Redi” del medesimo paese.
All’inizio dell’estate del 1969, come di consueto, rientrai in Sicilia, a Randazzo, mia città natale, per trascorrere le solite vacanze estive.

 Immancabilmente ad attendermi alla stazione della ferrovia dello stato c’era l’amico Totò Del Campo, cancelliere presso la Pretura di Randazzo. E immancabilmente l’amico cancelliere mi accolse con la solita domanda : “tutto bene nei paesacci?”. Io, altrettanto immancabilmente, risposi: ”si:”. Alla  domanda del cancelliere attribuivo il valore di una battuta. Certamente non si può definire “paesaccio” la splendida Toscana.
Alla fine dell’estate, però, non rientrai a Siena. Mio padre aveva bisogno del mio aiuto per sovrintendere i lavori di taglio e di vendita degli alberi dell’immenso castagneto di una delle nostre proprietà. Operazione che si effettuava ogni venti anni. L’evenienza rese felici i miei amici, in primis il cancelliere del Campo e Santino Cammarata.
Santino Cammarata aveva ricoperto per un breve periodo la carica di Sindaco di Randazzo. Da tempo ci interessavamo dei problemi amministrativi del comune e ci prendevamo cura d’informare i concittadini con la pubblicazione e diffusione periodica di un opuscolo.
Il 17 giugno del 1970 a Randazzo, in località Murazzu Ruttu,  confluirono i rappresentanti dei vari movimenti indipendentisti della Sicilia. Il motivo era quello di commemorare il professor Antonio Canepa, capo dell’Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), davanti al cippo eretto nel luogo in cui i carabinieri gli tesero  un agguato che portò alla sua morte.
Mi tornarono alla mente tutti discorsi che sentivo durante la mia infanzia, quando, nelle sere d’estate, gli adulti si ritrovavano davanti alle porte di casa e  facevano salotto seduti su  sedie malferme. Nei loro discorsi c’era grande consenso per il MIS, Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Il bandito Salvatore Giuliano veniva dipinto come un eroe che avrebbe contribuito a far diventare la Sicilia un’ulteriore stella della bandiera degli Stati Uniti d’America. Qualcuno ricordava che negli anni successivi all’unità d’Italia, all’interno delle case delle famiglie più umili, era appeso il ritratto di Abramo Lincoln e non quello di Vittorio Emanuele II di Savoia.
Quel raduno dei movimenti indipendentisti avvenuto a Murazzu Ruttu e  il ricordo del fatto che uno dei miei fratelli quel 17 giugno 1945 si trovava nei pressi del luogo dell’agguato a Antonio Canepa, professore di storia delle dottrine politiche all’Università di Catania , mi fecero sorgere il desiderio di ricostruire gli ultimi giorni di vita del capo dell’EVIS

.

Di questo mio progetto parlai con l’amico cancelliere Totò Del Campo. Sorridendo mi disse che nel dopoguerra lui era stato segretario del MIS di Randazzo. Nei giorni successivi mi fornì documenti riguardanti quel movimento indipendentista. Trovai una spiegazione alla domanda che mi faceva tutte le volte che rientravo a Randazzo “tutto bene nei paesacci?”, era conseguenza del motto separatista “al di là dello stretto il nemico”. Lo stretto è ovviamente quello di Messina.
All’inizio del mese di luglio del 1970 il cancelliere mi condusse a Francavilla di Sicilia e mi fece parlare col campiere dei feudi di Maria Majorca di Mortillaro, zia di Antonio Canepa e suocera di Franco Restivo, l’importante personaggio politico della Democrazia Cristiana, che ricoprì cariche pubbliche di grande rilievo. Fu componente dell’Assemblea Costituente, Presidente della Regione Siciliana, Ministro dell’Interno, della Difesa e dell’Agricoltura, rispettivamente nei governi presieduti da Giovanni Leone, Giulio Andreotti e Aldo Moro.

Il campiere  mi disse che il professor Antonio Canepa, autore dell’Opuscolo “La Sicilia ai Siciliani”, fondatore e capo dell’EVIS, Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia , qualche giorno prima di morire, fra il  13 e il 16 giugno 1945. si recò nel  feudo di  Maria Majorca di Mortillaro. Era accompagnato da due personaggi definiti dal campiere “silenziosi ed equivoci”. Sicuramente appartenenti o alla mafia o ai servizi segreti.”
Il feudo, di cui lui era il campiere, era base per il rifornimento di armi destinate all’EVIS.
In Sicilia la gente sapeva, a ragione, che l’Indipendenza trovava la compiacenza degli Inglesi e degli  Americani.  Ma gran parte della popolazione siciliana cadeva nell’errore di pensare che gli alleati sostenendo i movimenti indipendentisti della Sicilia intendessero cautelarsi per mantenere  sotto il loro controllo la strategica posizione dell’isola, nell’eventualità in cui l’Italia fosse rimasta sotto l’influenza di Tito e dell’Unione Sovietica.

 


Dai documenti ufficiali risulta, invece, che gli alleati non avevano mai pensato all’indipendenza della Sicilia, parlavano di “Italiani di Sicilia”.
Durante la conferenza di Yalta, che  ebbe luogo dal 4 all’11 febbraio 1945 e alla quale  parteciparono i capi dei tre paesi che sconfissero la Germania nazista: l’americano Franklin Delano Roosevelt, l’inglese Winston Churchill e il russo Iosif Stalin, fu concordata la spaccatura dell’Europa in due zone d’influenza. L’Unione Sovietica sarebbe stata potenza predominante nell’Europa Orientale e Centrale. Ma mentre si centellinò la proporzione d’influenza per ogni singolo stato europeo, nulla si disse dell’Italia, perché, in quella sede, fu considerata paese cobelligerante degli alleati.

E’ storia che i Siciliani tutte le volte in cui si sono trovati in stato di malessere sociale hanno sempre sfoderato l’indipendentismo.

 

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 gli Angloamericani, incontrando qualche difficoltà, sbarcarono in Sicilia, in un tratto di litorale lungo circa 150 chilometri  che va da Licata a Cassibile. La strategia dei comandi militari americani e inglesi era quella di stringere a tenaglia le truppe tedesche e impedire loro di trovare rifugio nell’Italia continentale. Da Licata dovevano partire operazioni militari in direzione di Palermo, da Cassibile in direzione di Catania e Messina.
Ai disagi patiti durante il periodo nazifascista si aggiunsero quelli derivanti dalle operazioni militari degli Americani e degli Inglesi. Randazzo, sede del comando tedesco, fu pesantemente bombardata dagli alleati per impedire gli spostamenti delle truppe tedesche, ma, quando entrarono in città, il generale Hube l’aveva già abbandonata per schierare le sue truppe in posizione più vantaggiosa.  Come sempre avvenuto per il passato, in una situazione così drammatica, rispuntarono i movimenti separatisti. Gli alleati li sostennero  per avere  la simpatia e l’appoggio della popolazione. Al sostegno degli alleati si aggiunse quello della mafia e del bandito Salvatore Giuliano.

 

Finalmente l’occupazione della Sicilia da parte degli alleati fu completata.

Nonostante molti comunisti e democristiani sostenessero il MIS, l’indipendenza della Sicilia non era vista di buon occhio dal Partito Comunista Italiano e, soprattutto, dalla Democrazia Cristiana di Salvatore Aldisio, allora Alto Commissario per la Sicilia. Aldisio preferiva la visione autonomistica di Luigi Sturzo. 
Divennero imbarazzanti i rapporti con l’EVIS, frutto della trasformazione del GRUPPO ETNA operata da Canepa. IL GRUPPO ETNA, guidato e composto da uomini di sinistra, fu artefice di diverse azioni armate nell’ambito della resistenza  in Sicilia contro il nazifascismo.

La mattina del 17 giugno 1945  mio fratello Gaetano, in groppa  all’asino, si recava nella nostra proprietà agricola in località “la Nave” nel confinante comune di Maletto.  Giunto a Murazzu Ruttu, poco fuori Randazzo, scorse  dei carabinieri appostati  in una curva della strada. Percorse qualche centinaio di metri e incontrò un motocarro che procedeva in direzione di Randazzo. Su quel motocarro viaggiavano il Professor Canepa  e quattro giovani: Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi. Dopo poco sentì degli spari. Si trattava del conflitto a fuoco, a seguito del quale trovò la morte il professor Antonio Canepa, capo dell’EVIS. Mio fratello ebbe l’impressione che quei carabinieri appostati stessero aspettando il passaggio di quel motocarro, partito da Cesarò per raggiungere il feudo di  Maria Majorca di Mortillaro.

Nei primi mesi del 1970 informai anche Santino Cammarata della mia ricerca di testimonianze tese a ricostruire le ragioni che portarono all’agguato di Murazzu Ruttu e alla morte di Antonio Canepa. Lui sapeva chi aveva trasportato all’ospedale Canepa e mi organizzò un incontro.

Qualche giorno dopo incontrai  Vincenzo Mazza davanti alla chiesa di San Martino, quartiere lombardo di Randazzo. Mi confermò di aver trasportato Canepa all’ospedale: “ Viaggiavo per lavoro col mio motocarro. Giunto a Murazzu Ruttu i carabinieri imposero l’alt a me e al motocarro di Luigi Arcidiacono. Notai subito che era successo qualcosa di grave e che c’erano dei feriti. Sul mio motocarro sdraiammo il professor Canepa.  I carabinieri dissero che si trattava di pericoloso brigante e ci imposero di seguire un percorso tortuoso che ritardò l’arrivo in ospedale. Il personale dell’ospedale di Randazzo fu messo in uno stato di ansia di fronte a quell’uomo definito brigante pericoloso. Finché non passò il dottor Giuseppe Petrina, che conosceva Canepa,  e disse “ma che brigante e brigante, questo è il professor Canepa”. Era troppo tardi. il prof Canepa, gravemente ferito all’inguine, morì dissanguato di lì a poco.”

La dinamica dello scontro a fuoco fra carabinieri e gli uomini dell’ EVIS che viaggiavano su quel motocarro insieme al professor Canepa ha avuto versioni diverse.


Da testimonianze raccolte sembra  che la trappola fu organizzata dai servizi segreti inglesi. A Canepa fu consegnata una borsa piena di soldi che doveva costituire il suo lasciapassare al controllo dei carabinieri. Ma quando i carabinieri imposero l’alt al motocarro del professor Canepa ci fu una sparatoria anomala, perché appostati c’erano alcuni giovani comunisti, due di Randazzo e tre dei paesi vicini. Uno di questi, alla fine della sparatoria alla quale aveva partecipato, prese la borsa di soldi, che avrebbe dovuto costituire il lasciapassare del povero prof Canepa, e la restituì ai carabinieri. Quella borsa scomparve  nel nulla. La vicenda dell’agguato a Canepa resta comunque oscura e imprecisa, come i tanti misteri della politica italiana.
C’è chi suppone che essa nasconda un regolamento di conti fra comunisti. Altri che collegano ad essa l’attentato a Togliatti da parte di Antonio Pallante.

Ma quali erano gli argomenti degli Indipendentisti dell’EVIS? Basta leggere “la Sicilia ai Siciliani”, l’opuscolo pubblicato dal professor Antonio Canepa, con lo pseudonimo Mario Turri. L’assunto è che “tutte le volte che la Sicilia è stata indipendente, tutte le volte che si è governata da sé , è stata anche forte, ricca e felice. Invece tutte le volte che abbiamo dovuto obbedire ai padroni venuti dal continente, siamo stati deboli, poveri e disprezzati.”

Quindi passa in rassegna le conseguenze delle dominazioni fatte dal continente.

La prima dominazione italiana fu fatta da Roma. I Romani erano un popolo incolto. Umiliarono e saccheggiarono il benessere spirituale e materiale  che fin dagli antichissimi tempi i Fenici e i Greci avevano portato in Sicilia. I governanti romani erano una banda di ladri. Imposero tasse, trafugarono statue d’oro e d’argento, si appropriarono delle risorse naturali della Sicilia e portarono il tutto “al di là dello stretto”.
  La popolazione fu ridotta in schiavitù.

La seconda dominazione fu quella della Monarchia Borbonica. Nel 1848 la Sicilia insorse per affermare la propria indipendenza da Napoli e per diciotto mesi fu libera.
La terza dominazione è quella derivante dall’Unità d’Italia, da Garibaldi al periodo liberale e al regime fascista.
Sempre furono trascurate e oppresse le ambizioni e le spettanze  dei Siciliani e la Sicilia fu trattata come un problema coloniale a vantaggio degli interessi Piemontesi.
Gli argomenti del MIS erano i medesimi, ma esposti in modo più aulico e sentimentale. Basti leggere la lettera dal carcere scritta da Attilio Castrogiovanni  considerato fra i più dinamici del MIS in quanto teneva i rapporti con l’EVIS, di cui, dopo la morte di Canepa, divenne per breve tempo comandante.

 

Il MIS continuò ad impegnarsi, come aveva sempre fatto, nell’organizzare i propri iscritti in sezioni territoriali, nell’  elaborare e nell’ approvare gli statuti interni del movimento.  




A fatica trovò un esponente di spicco: Andrea Finocchiaro Aprile, docente di Storia del Diritto all’Università di Siena.

Ineluttabilmente l’indipendenza della Sicilia tornò ad essere un sogno. Fu concessa l’Autonomia.

I vari movimenti indipendentisti si adoperarono per farsi accreditare dalle Autorità regionali. Alle elezioni indette per formare il parlamentino siciliano ottennero pochi voti.

Alcuni di essi, però, s’impegnarono a tenere aperto il problema dell’indipendenza della Sicilia a livello europeo.

A Marsiglia fu creata la sede del porta parola della Sicilia in Europa.

BOSSI

A novembre del 1970 abbandonai Randazzo, mentre ricoprivo la carica di vicesindaco, e mi trasferii in Valle Imagna, nella bergamasca, dove mi fu assegnata una cattedra per l’insegnamento nella Scuola Media di Sant’Omobono. Con l’abbandono di Randazzo abbandonai anche la ricerca sui retroscena politici italiani che determinarono la morte di Canepa.
In Valle Imagna, dove vivo da oltre cinquant’anni, mi è stata data l’opportunità di ricoprire diverse cariche elettive.
Alla fine degli anni ottanta, quando la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania cominciò a prendere piede, ricoprivo anche la carica di Presidente del Consorzio Idrico della Valle Imagna. L’Assemblea del Consorzio era formata da Sindaci e Consiglieri Comunali in rappresentanza di ciascun comune aderente al Consorzio Idrico che venivano eletti dai singoli Consigli Comunali.
La Lega Nord fu il risultato dell’Unione di vari movimenti: La Lega Lombarda, che propugnava la secessione dall’Italia, la Liga Veneta, Piemonte Autonomista, l’Unione Ligure e Alleanza Toscana. 
Agli inizi degli anni novanta l’Assemblea del Consorzio Idrico accolse i primi rappresentanti della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, quelli del comune di Palazzago. Erano il Sindaco Ferruccio Bonacina e il consigliere comunale  Cristiano Forte.
Già conoscevo gli argomenti dei leghisti. A parti invertite coincidevano con quelli del movimento per l’indipendenza della Sicilia. I leghisti  vedono la ricchezza delle regioni del Nord fagocitata da “Roma Ladrona” e sperperata per l’assistenzialismo dell’inetto Meridione d’Italia , di conseguenza creano lo slogan “Prima il Nord”.
Proprio per questo parallelismo fui interessato a dialogare con i due rappresentanti leghisti di Palazzago. In particolare con Cristiano Forte, che in quel tempo era anche impegnato a coordinare, per conto della Lega, i rapporti fra imprenditori bergamaschi e Comunità Europea. Successivamente, dal 2004 al 2006, ricoprì la carica di segretario Politico della Lega Nord di Bergamo.
Con Cristiano Forte parlai dell’indipendentismo siciliano e dei problemi effettivi delle regioni dell’Italia Meridionale e della Sicilia. Gli feci visionare alcuni documenti propagandistici del MIS. Fu particolarmente incuriosito dal fatto che un ufficio del Separatismo Siciliano avente sede a Marsiglia rilasciava ai nati in Sicilia che ne facevano richiesta, una carta d’identità valida per spostarsi nella Comunità Europea,.
Umberto Bossi con la Lega Lombarda prima voleva perseguire la secessione dall’Italia, poi da capo della Lega Nord per l’indipendenza della Padania il termine secessione divenne indipendenza. Ma la sostanza non cambiava.
Il leader massimo della lega non andava per il sottile, manifestò disprezzo per il tricolore dicendo che quando lo vedeva s’incazzava e che “la bandiera italiana gli serviva per pulirsi il culo”. S’impegnò a divinizzare il Po e organizzò in modo esemplare i raduni a Pontida, dove i suoi fedeli, vestiti in modo folcloristico, trovarono la tribuna mediatica per inveire contro Roma e l’inetto meridione d’Italia.
Per rafforzare l’immagine di separazione della Padania dal resto d’Italia, prese le distanze dalla nazionale di calcio, creò la Padania Football Association A.S.D. e organizzò il concorso per l’elezione di Miss Padania.
Non poteva mancare la costituzione del Parlamento della Padania. E non poteva mancare la creazione della Guardia Padana per vigilare le strade “dove si annidano puttane e culattoni e dove, complice l’oscurità, si annidano gli infidi negri, rom, ladri, nomadi, zozzi comunisti, drogati.”

Creò i suoi gadget indipendentisti. La carta d’identità della Repubblica Federale Padana, 

e coniò la moneta della Banca Nord Nazione.

 

 

Tale animus, col quale si rivelava livore verso l’Italia di Roma ladrona e dei terroni, nella realtà di quel periodo, lasciava aperta a Bossi solo la via di un’insurrezione armata per poter realizzare l’indipendenza della Padania.
I Francesi avrebbero detto che  Bossi  si era cacciato in un cul de sac, cioè in un vicolo cieco. Nessuno, né a livello nazionale né a livello internazionale, avrebbe compreso e sostenuto azioni tese a spaccare l’Italia.
Il programma della Lega di Bossi non trovava riscontro in nessuno dei partiti politici italiani. Né in quelli di centrodestra: Forza Italia, UDC e Alleanza Nazionale, né in quelli del centrosinistra: Partito Democratico della Sinistra e Partito Popolare Italiano.
Essendo impossibile la secessione armata, la Lega Nord di Bossi ritenne conveniente entrare nelle stanze del Governo Nazionale per realizzare una qualche riforma che desse più poteri alle Regioni  con conseguenti maggiori vantaggi per le Regioni padane.
A partire dalle elezioni del 1994, navigando fra centrodestra, centrosinistra e centrodestra, la Lega Nord, intraprese la strada della devolution, che consisteva in una incisiva riforma della Costituzione. A fronte della  devolution, che, fra l’altro, recepiva il trasferimento di alcuni poteri alla competenza esclusiva delle regioni, Bossi rinunciò a ciò che non avrebbe mai potuto realizzare: l’indipendenza padana a mezzo della secessione.
La devolution fu definitivamente approvata dal Parlamento nel 2005, ma fu bocciata dal referendum costituzionale del 2006.
Morto un Papa se ne fa un altro. La Lega Nord calò sul tavolo dei giochi politici il Federalismo Fiscale. Serviva per Assegnare agli enti decentrati una maggiore autonomia di entrate e spese. Per introdurre il Federalismo Fiscale  non c’era bisogno di operare alcuna riforma della carta costituzionale.
Il federalismo fiscale della Lega Nord nel 2011 finì sepolto sotto le macerie della caduta del governo Berlusconi. Bossi si trovò con in mano un pugno di mosche e un consenso elettorale in caduta libera.
Per chiudere definitivamente le velleità della Lega Nord non fu necessario organizzare un agguato a Bossi, come quello organizzato per eliminare Canepa a Murazzu Ruttu. Bossi l’agguato se lo era organizzato da solo. La Lega Nord infatti aveva truffato allo Stato circa 49 milioni di euro, parte dei quali spesi a vantaggio dei motivi familiari del Senatùr.
Ad aprile del 2012, nel corso del Consiglio federale tenutosi nella sede di Via Carlo Bellerio, Bossi si dimise da segretario federale della Lega Nord, fu nominato presidente del partito. Al triunvirato Maroni, Calderoli, Dal Lago fu affidata la reggenza del partito  sino all’elezione del nuovo segretario federale.
Qualche mese dopo, il  1° luglio 2012, Roberto Maroni fu nominato nuovo Segretario Federale della lega Nord.

SALVINI

Roberto Maroni ricoprì la carica di segretario della Lega Nord per poco più di un anno. Il “barbaro sognante” si dimise il 15 dicembre 2013 per dedicarsi in modo completo ai compiti derivanti dalla carica di Presidente della Regione Lombardia conquistata a seguito delle elezioni del 2013.

Nuovo segretario della Lega Nord è eletto Matteo Salvini.

La sua elezione costituisce il punto terminale delle lotte intestine della Lega. Chiude o cerca di chiudere le vecchie ferite, ma ne provoca delle altre.
Sono contenti tutti i leghisti che erano stati emarginati o espulsi dal partito perché non graditi al “cerchio magico” di Umberto Bossi.
Nella Lega Nord di Salvini, dei vari obbiettivi perseguiti da Umberto Bossi resta vivo , ma problematico da realizzare, il federalismo  fiscale.
Problematico da realizzare perché Salvini intraprende la via della trasformazione della Lega Nord da partito del Nord d’Italia in partito nazionale. Cioè passa dal sovranismo regionale al sovranismo nazionale.
Questa trasformazione avviene in modo graduale ma irreversibile, nonostante l’irritazione dei leghisti fermamente convinti della necessità d’indipendenza per la Padania. Dal simbolo della Lega sparisce la parola Nord. Esso diventa Lega Salvini Premier.
Tutti gli slogan contro i terroni sono trasformati in attestazioni di amore verso il Sud d’Italia.

PRIMA

                                                                             

         DOPO 

                                                                  

Salvini ha le caratteristiche dell’uomo giusto per effettuare il passaggio dal sovranismo regionale a quello nazionale. Senza problemi dimentica il suo passato di capolista dei comunisti padani nel Parlamento della Padania e le sue frequentazioni, anche se saltuarie, del centro sociale Leoncavallo di Milano. Dimentica allo scopo di poter scambiare sorrisi  col movimento politico di estrema destra  Casapound e per potersi esibire al fianco di Marine Le Pen presidente del Fronte Nazionale francese.  
Conseguentemente deve abbandonare la sua  fede marxista e sbandierare quella cristiana. Probabilmente senza aver approfondito né i valori essenziali dell’una né quelli dell’altra.
Salvini fa della lotta all’immigrazione il suo cavallo di battaglia, grazie al quale ottiene consenso popolare. Purtroppo esordisce con una foto contradditoria.
Col manifesto attaccato alla parete Salvini intende evidenziare il fatto che, i pellerossa, avendo subito l’immigrazione degli Inglesi, sono finiti a vivere nelle riserve. Contemporaneamente Salvini indossa una maglietta che rappresenta il Presidente Trump e i suoi slogan contro l’immigrazione e solleva il pollice in segno di approvazione.
A Salvini è sfuggito il fatto che gli Inglesi non erano emigrati in America. In America avevano operato una conquista coloniale.
E gli è sfuggito il fatto che Donald  Trump è il discendente di quegli “immigrati” che erano sbarcati in America e avevano confinato nelle riserve i Pellerossa.


Non importa. Salvini può dire agli Italiani qualsiasi cosa. Può dire persino che è possibile andare in bicicletta sulla Luna. Circa il 30% degli elettori ci crede e magari pensa che Capitan Salvini sia una reincarnazione di Jules Verne.
Divenuto sovranista nazionale Salvini  si comporta in modo coerente. Se il sovranismo regionale aveva l’obiettivo di rompere l’unità dell’Italia, il sovranismo nazionale non può avere altro obiettivo se non quello di scombinare la possibile evoluzione delle istituzioni europee verso una forma di unione più compatta e autorevole a livello mondiale.
Non abbandona del tutto la campagna “Basta Euro”, snobba le istituzioni europee, si esibisce solo con quei capi di stato che svolgono il ruolo di pensarla come lui.
Cerca di instaurare  rapporti con Trump e Putin. Ma lo fa da dilettante della politica internazionale.
I rapporti con i capi di stato stranieri si tengono dopo aver preventivamente approfondito i loro obiettivi, gli interessi dello stato che rappresentano, le relazioni che essi hanno con gli altri stati e con i rispettivi operatori economici.
Salvini forse ha capito qualcosa dall’ “affaire Savoini” La Russia di Putin teneva i rapporti con gli imprenditori veneti e con Berlusconi a mezzo di persone più autorevoli e più competenti del suo intermediario.
E forse ha capito che per il capo di un partito che si propone di governare l’Italia è sconveniente tifare apertamente per uno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
L’amicizia dell’Italia è con il popolo americano e col Presidente che essi esprimono democraticamente.
I fatti  sopra enumerati costituiscono parte dell’azione politica fin ora effettuata da Salvini ed evidenziano le sue contraddizioni più evidenti.
L’impegno politico di Salvini è ancora in corso. Per tale motivo non ritengo lecito esprimere un giudizio sul suo operare, perché sarebbe un giudizio politico e non storico.
Bisogna attendere. I lavori sono ancora in corso.
Credo, però, che sia possibile esprimere qualche sensazione. Per la Lega delle origini aveva un senso portare all’occhiello Alberto da Giussano. E aveva un senso che, come conseguenza, si sentisse risuonare nelle orecchie il “Va pensiero sull’ali dorate…”.
Con Salvini Italiano L’inno “Fratelli d’Italia”, cantato da lui, sembra un po’ stonato.
Il suo comportamento attuale fa risultare enigmatico il contenuto dei suoi discorsi e inutile entrare nel merito dei suoi ragionamenti. Un motivo musicale risuona spontaneamente nelle nostre orecchie: “La  donna è mobile qual piuma al vento. Muta d’accento e di pensier”.
Ora resta solo da attendere con quali modalità e con quali contradizioni avverrà il passaggio della Lega Nord dal sovranismo nazionale al sovranismo dell’Unione Europea, frenato proprio dai sovranismi nazionali.
Quali sconquassi combinerà con la sua alleata/avversaria Giorgia Meloni  Presidente dei FdI.

Mario Scalisi

 

 

 

 

 

Ture Magro

         

Lucio Rubbino

            TURE MAGRO , attore e sceneggiatore nasce il 9 febbraio 1984 da una famiglia Randazzese (CT)  di artigiani e architetti del legno.
Il papà Giuseppe e la mamma Rosaria Parasiliti Bellocchi abitano a Randazzo in fondo alla via Gaetano Basile. Il fratello più grande Rosario (11 settembre 1977), si è trasferito in Cile a Maipu dove si è affermato come Architetto e il suo studio professionale progetta e realizza grandi opere e non solo nel Cile.
A 18 anni inizia il proprio percorso artistico professionale nella collaborando con diversi registi e attori provenienti dal Teatro Stabile di Catania. Frequenta la scuola del Teatro degli Specchi di Catania e l’International School of Performing and Arts di Londra. Studia Biomeccanica teatrale con Gennai Bogdanov del GITIS di Mosca.
Lavora con Aldo Lo Castro, Giampaolo Romania, Enrico Guarneri, Antonello Puglisi.
In seguito a questa esperienza e al percorso di studi di Scienze per la Comunicazione Internazionale, si trasferisce nel 2004 a Londra dove porta a termine un lavoro mirato sul corpo, gli studi di arti marziali e ad una costante ricerca giornalistica e di scrittura con un focus sui temi più attuali della contemporaneità.

EM7A1174

Ture Magro

Rientrato in Italia a 22 anni si trasferisce a Genova dove è’ attore di diversi spettacoli diretti dal regista Jurij Ferrini. 
Nello stesso anno con Andrea Lanza,  avvia un altro percorso professionale e di formazione lavorando per un intero anno sul personaggio Aksentij Ivanovič Popriščin  de Il diario di un pazzo (Gogol).
Nel 2005 recita in Locandiera di Goldoni, regia di Jurij Ferrini (prod. Progetto U.R.T.tournée 2005/06) e, nello stesso anno, ne La Bisbetica Domata, regia di Alberto Giusta (co-produzione Gank Teatro Stabile di Genova).
Nel 2006 prende parte a Riccardo III di Shakespeare, regia di Jurij Ferrini (prod. Progetto U.R.T. tournée 2006/07 e 2007/2008).
Nel 2007 è scritturato al Teatro Biondo di Palermo, per “Il povero Piero”, diretto da Pietro Carriglio.  
Lavora a diversi spettacoli diretti dal regista Beppe Rosso nel 2016 /2017 /2019 /2020 .
Nel 2009, dopo l’incontro con un gruppo di colleghi, decide di dedicarsi alla fondazione di una nuova compagnia.
Nasce così Sciara Progetti Teatro, delle cui produzioni Magro è autore, regista e interprete e che, come punto di partenza, si prefigge quello di sperimentare spettacoli di narrazione su alcune tematiche centrali del contemporaneo. Legalità ed educazione alla cittadinanza. Bullismo e cyberbullismo. Violenza di genere ed educazione sentimentale
  Gli ultimi spettacoli di Ture Magro: Padroni delle nostre vite , storia di un imprenditore calabrese che si è ribellato alla ‘ndrangheta, Malanova Uno strappo, il caso Nicola Tommasoli sono stati rappresentati in Italia, Germania e Sud America.
Lo spettacolo Malanova è stato premiato come “Miglior Spettacolo al Festival Inventaria 2017 – Roma Premio del Pubblico Festival Avvistamenti Teatrali – Ricadi.”

 

Le connessioni culturali di Sciara Progetti Teatro. Intervista a Ture Magro

Sciara

 

Sciara Progetti Teatro è un’impresa di produzione artistica fondata da professionisti Under 35 che opera a livello nazionale e internazionale, con sede nella città di Fiorenzuola D’Arda. Nel territorio piacentino, dopo anni di esperienza e formazione in Germania, Inghilterra, Spagna, Cile e Argentina, Sciara Progetti Teatro ha trovato la propria casa, dedicandosi a un’attività artistica basata sulla costruzione di percorsi didattici e psico-pedagogici, volti alla mediazione culturale e al rafforzamento della coscienza civica del proprio pubblico. 
Le lunghe tournée e la capacità di intavolare collaborazioni edificanti con la comunità e le istituzioni, hanno attivato in Sciara Progetti Teatro la volontà di creare connessioni culturali che si sono integrate nella ricerca artistica e nella visione teatrale della compagnia. Con queste premesse, dal 2016 Sciara Progetti Teatro è impegnata nell’ideazione di progetti per Erasmus Plus, il programma dell’Unione europea per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport offrendo importanti occasioni formative e lavorative all’estero.
In questo percorso di progettazione si inserisce Ideas for a creative young Europe, un ciclo gratuito di workshop, webinar e talk, online da ottobre a dicembre, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, avente come obiettivo la condivisione di strumenti utili alla comunità studentesca e teatrale, in ambito nazionale ed europeo. 
Ture Magro, autore, attore e direttore artistico di Sciara Progetti Teatro, racconta attività e mission della compagnia, approfondendo programma e obiettivi di Ideas for a creative young Europe.
Rispetto alle esperienze internazionali che caratterizzano la formazione dell’organico, quali pratiche, diffuse nei sistemi teatrali che avete attraversato, potrebbero essere importate in Italia per migliorare il comparto culturale nazionale? In che misura tali pratiche hanno influito sulla direzione progettuale di Sciara?
Sicuramente il periodo trascorso all’estero è stato un momento particolare che ha fatto virare il percorso della compagnia. Eravamo all’inizio, la compagnia era stata fondata da poco, noi avevamo circa vent’anni: l’incontro con il contesto internazionale è stato anche per questo motivo una vera svolta per il nostro percorso non solo artistico, ma anche organizzativo. 
Abbiamo vissuto per sei mesi di tournée in Cile dove abbiamo sperimentato un sistema di distribuzione capillare, non solo in grado di raggiungere le istituzioni teatrali – che hanno collaborato ampiamente al nostro progetto – ma di passare anche tramite il coinvolgimento dei quartieri, delle giunte, di vicini, banche, fino a raggiungere anche Amnesty International e il Ministero per l’Istruzione
Abbiamo costruito così un tour di 6 mesi con decine e decine di repliche e decine di migliaia di spettatori. È in questa esperienza che abbiamo intuito che forse esiste una possibilità, un potenziale per la distribuzione che, a nostro avviso, se cucita sulle esigenze di una compagnia e non copiata da altri modelli, può far raggiungere dei risultati numerici e di esperienza notevoli.
Intendiamo questa forza come una spinta in grado di far capire al gruppo di lavoro come muoversi per intercettare i tanti canali possibili per un determinato progetto. Anche i canali istituzionali, ma seguendo vie nuove.

 

L’incontro con gli artisti Sudamericani è stato poi illuminante: il panorama lì è totalmente diversificato, il divario tra ricchezza e povertà comprende una forbice estremamente ampia, e lo si vede anche tra gli artisti. Ci sono artisti che lavorano per mesi e mesi, quasi senza entrate, mentre nei teatri dei quartieri alti i biglietti raggiungono prezzi altissimi.
E poi il periodo in Senegal: lì abbiamo incontrato realtà che hanno scelto di distaccarsi dal contesto istituzionale per entrare in un contatto autentico con il tessuto sociale, per intervenire concretamente nella comunità con il proprio operato artistico. Con l’esperienza in Germania abbiamo invece conosciuto un sistema distributivo diverso, invidiato un po’ in tutta Europa.
Infine, aver organizzato diversi progetti per il programma Erasmus Plus ci ha permesso di stringere collaborazioni con 20 Paesi del mondo e con professionisti provenienti da universi differenti (educatori, speaker radiofonici, artisti visuali, performer, giornalisti), ma tutti, in qualche modo, promotori e  distributori attraverso il proprio lavoro, organizzando spettacoli dal vivo per le loro attività.
È indubbio che vivere per anni a contatto con queste riflessioni artistiche e organizzative, ti instrada verso una visione personale del tuo percorso distributivo. Noi crediamo che il percorso distributivo sia parte di un ragionamento artistico complessivo e non distaccato.  Non abbiamo cercato di replicare in Italia queste pratiche, le abbiamo mescolate alla nostra visione e prodotto il nostro personale metodo, quello cucito su di noi e sulla nostra idea di Teatro, abbiamo privilegiato un taglio distributivo e organizzativo umano, che si costruisce su rapporti umani autentici, puri da ogni opportunismo di facciata, nati dal solo desiderio di incontrarsi. 
Questo è un detonatore di possibilità se lo guardi dal punto di vista distributivo. Non esiste un modello unico, ma tante modalità personali da condividere per migliorare la strada. In questo modo è nato il nostro percorso, che in questi 12 anni si è affinato e sul quale cerchiamo di lavorare costantemente. E’ una visione quasi sistemica dell’arte.  
L’attività artistica e laboratoriale di Sciara Progetti si è distinta per la valenza civica e psico-pedagogica che ha posto il lavoro della compagnia anche su un piano didattico. Come si è avviato e strutturato l’intervento formativo dei progetti spettacolari che conducete?

Nasciamo dal connubio professionale tra un artista e una psicologa: questi due aspetti coesistono e permangono nei nostri progetti, sia con le giovani generazioni sia con gli adulti. Il teatro – e l’arte in genere –  parla alla nostra sfera emotiva, usando un linguaggio universale, e facendosi così veicolo privilegiato per messaggi con finalità educative e pedagogiche. Partendo dai laboratori nelle scuole, abbiamo affinato negli anni i nostri interventi formativi, strutturandoli a partire dalle nostre produzioni, integrandoli così in maniera coerente con la nostra ricerca artistica, sperimentandoli durante i progetti realizzati per il programma europeo Erasmus Plus, e quindi sottoponendoli a una comunità internazionale da cui apprendere nuove pratiche e suggerimenti. 
Tutti i nostri interventi sono strutturati in modo da fornire ai partecipanti strumenti utili, innovativi e creativi per prendere confidenza con le proprie emozioni ed elaborarle in maniera sana: puntiamo a promuovere percorsi di educazione sentimentale per tutte le età, perché da una sana convivenza con la propria dimensione emotiva si arriva ad una sana convivenza con l’altro, con la comunità.
Con “Ideas for a Creative Young Europe”, Sciara Progetti prosegue il proprio cammino sulla strada dell’internazionalità con il sostegno di importanti realtà italiane ed estere.
Come si struttura il programma di “Ideas for a Creative Young Europe” e qual è la mission del progetto?

Ideas for a Creative Young Europe è un progetto finanziato dalla Regione Emilia Romagna che si articola in tre mesi, da ottobre a dicembre, di attività di formazione in streaming pensate per colleghi, scuole e giovani di tutta Italia. La mission del progetto è quella di condividere strumenti, competenze, idee ed opportunità valide in Italia come in Europa, per ripensarci nel nostro essere artisti, teatranti, educatori, anche in questo periodo così difficile.

Il progetto è partito il 15 ottobre con un intervento rivolto alle scuole piacentine in occasione degli Erasmus Days, per parlare delle opportunità di mobilità internazionale rivolte ai giovani, e proseguirà fino al 20 dicembre. In programma vi sono nove workshop pensati per artisti e operatori di settore per studiare nuove modalità di sostegno per le proprie attività, trovare finanziamenti per il comparto culturale, strutturare progetti in grado di avere una ricaduta e un impatto positivi su tutto il territorio dell’Unione Europea. 


Ancora, tre talk in streaming pensati come lezioni di approfondimento rivolti agli Istituti di istruzione, con i membri della Compagnia e ospiti che ci hanno accompagnato in questi anni nel nostro percorso di creazione di spettacoli, per analizzare insieme tematiche relative agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU; due conferenze sulla mobilità giovanile; un seminario di due giorni dal titolo Steps&Strategies for a creative young Europe, un momento collettivo dedicato all’approfondimento delle strategie di lungo periodo negli ambiti di loro maggior interesse e alla costruzione di proposte condivise a partire da tutte le idee emerse che sarà presentato al livello decisionale pubblico, dalla dimensione locale a quella europea passando per il contesto regionale e nazionale.
La visione del teatro come Welfare è alla base del lavoro di Sciara Progetti. Quand’è che il teatro diventa una risorsa per formare uno spettatore consapevole, capace di migliorarsi anche in quanto cittadino all’interno del tessuto sociale?
Slogan del progetto Ideas, è una citazione di Paolo Grassi: Il teatro è un diritto e un dovere di tutti. La città ha bisogno del Teatro, il Teatro ha bisogno dei cittadini. 
Tutti noi crediamo fortemente nel valore dell’espressione artistica e teatrale come momento per interrogarsi su dove stiamo andando come società, su che tipo di comunità siamo o vorremmo essere.
Il teatro può essere, per esempio, il luogo dove avviene la mediazione culturale, dove vengono oliati i meccanismi di transizione di una società da multiculturale (cioè in grado di ospitare la diversità) a interculturale (ossia in grado di creare connessioni positive tra tutti i membri di una comunità culturalmente eterogenea). 
La cittadinanza attiva e consapevole, per esercitarsi, ha un prezioso alleato nel teatro, che, con la sua funzione di specchio sociale, permette ad una comunità di aprire spazi di riflessione importanti, chiedendo la partecipazione attiva dei cittadini anche nel solo gesto di riunirsi, per il tempo di uno spettacolo, intorno ad un’esperienza, un respiro comune.

L’AUTORE E INTERPRETE TURE MAGRO RACCONTA IL SUO ULTIMO SPETTACOLO “MALANOVA”, IN SCENA AL FESTIVAL  “INVENTARIA”. 
Nell’ambito del Festival Inventaria, il 26 maggio al Teatro Argot, debutterà “Malanova”, il nuovo interessante spettacolo di Ture Magro e Flavia Gallo, dedicato al delicato e attuale tema della violenza sulle donne.
Traendo ispirazione dal romanzo Malanova di Cristina Zagaria, i due autori hanno dato vita ad una pièce che intende esprimere, attraverso la storia di una donna del sud Italia, una forte sensibilità e fragilità andando ad indagare gli abissi dell’umanità per comporre una toccante pagina di educazione sentimentale.
Abbiamo incontrato Ture Magro, attore e sceneggiatore, vincitore dei Nastri d’Argento 2009 e 2011, uno degli autori, oltre che interprete di Malanova, il quale in questa intervista sulle pagine di Recensito ci racconta come è nato questo lavoro, come si è sviluppato e ha reso forma, ma soprattutto quale peso e valenza può avere nella società odierna.

Cosa è “Malanova”? Com’ è nata l’idea di dar vita a questo progetto a quattro mani a partire dal libro di Cristina Zagaria? 

“È stato un caso, come a volte accade. Un caso che si è trasformato in una decisione che è diventata una esperienza. Professionale e umana.”


“Malanova” è una storia forte, di violenza, di onore, di dolcezza e fragilità, in cui il punto di vista maschile e femminile in un certo senso si incontrano. Come avete fatto combaciare i due vostri pensieri, maschile e femminile, in virtù di un messaggio universale?

“Questo aspetto è molto interessante. È stato un confronto costante, una tensione positiva continua nel cercare di ascoltare l’altro per capire le ragioni dell’altro da te. Per me è stato un lavoro complesso e affascinante, perché ha creato una crisi interiore, come spesso il teatro fa, quando ti fai attraversare da quello che vivi lavorando e soprattutto quando non lo percepisci solo come mestiere. Il lavoro mi ha richiesto energia e capacità di andare fino al cuore della questione. E quando parli di diversi uomini che violentano una ragazzina è facile confondersi e perdere di vista il fulcro della questione trattata che non è, appunto, la Violenza ma ciò che ruota intorno a quell’azione infame.”

Hai lavorato anche nel mondo del cinema. Quanto c’è di cinematografico in questo spettacolo?

“Se fosse un film sarebbe una docu fiction perché abbiamo innestato pezzi di realtà dentro la finzione. Avevamo bisogno di questo per raccontare la verità. Che è altro rispetto alla realtà. A volte la realtà non basta per raccontare una certa verità. Però questo è uno spettacolo, e in uno spettacolo non abbiamo la Fotografia, non abbiamo i luoghi fisici ma è il pubblico che crea le immagini e i luoghi, viaggiando insieme all’attore.”

“Malanova” è una cattiva notizia che però il teatro ha la capacità di dare e in un cero modo di trasformare in “buonanova” veicolando il fulcro del suo messaggio. Ti auguri che questo avvenga?

“Malanova è anche il racconto di come una umanità si è liberata dall’oppressione. La Malanova ha deciso di abbattere il muro della paura e del condizionamento sociale per provare a Vivere. In questo senso è già avvenuto, nella storia reale ancora prima che nello spettacolo. “

Quali sono le analogie e le differenze tra il vostro testo drammaturgico e il romanzo?

 

18671696 10213100057514266 4958855615445894020 o

Ture Magro


“Il Romanzo della Giornalista Cristina Zagaria pone a confronto il diario di Anna Maria e le reazioni del Paesino in cui vive nel momento in cui giunge la notizia. Ed è forte e sconcertante leggere quelle parole.
Sono rimasto decisamente colpito tanto da volerlo portare a teatro. Però le parole e frasi di un libro, quelle che stanno appoggiate sulla carta non sono le stesse parole e frasi che possono stare sul palcoscenico. Hanno bisogno di essere disegnate e progettate in un altro modo per poter stare su un palcoscenico.
Lo spettacolo si avvale della creazione di un personaggio non esistito realmente che è Salvatore, che ci conduce e guida in questa storia, svelando sia le azioni e reazioni dei protagonisti che la sua assenza di coraggio nel fare un passo in avanti e cambiare la storia. È la storia di un codardo che pur vedendo ogni cosa non agisce. Rimane spettatore di un grande crimine.
Diventa colpevole durante lo spettacolo, si accorge di questo e man mano che assistiamo al crescendo della tragedia e siamo parteci della sua trasformazione.
Una trasformazione dolorosa che pur non avendo agito quella violenza diventa un grande colpevole.

 

Come è stato lavorare insieme a Flavia Gallo? È la prima volta?

“Con Flavia Gallo abbiamo tradotto in tedesco, per una tournée in Germania, un nostro precedente spettacolo.
Ci siamo conosciuti cosi. Durante quel periodo. Era il 2013. Quando le ho proposto di scrivere a quattro mani lo spettacolo Malanova non ha accettato subito.
Essendo Flavia Gallo sia una drammaturga che una pedagoga, conoscendo benissimo il rischio che correvamo nell’affrontare un tema tanto delicato, con una storia tanto cruda, mi ha fatto tantissime domande e chiesto chiarimenti.
Cosa si deve raccontare nella storia si una ragazzina di 13 anni stuprata per tre anni da diversi uomini. La violenza non si può descrivere. Non servono le parole per descriverla e non è corretto farlo.
Eppure giorno dopo giorno, conversazione dopo conversazione, abbiamo capito che dal fatto di cronaca, dalla vita vissuta con dolore della protagonista poteva e doveva nascere un testo.
Abbiamo spostato il punto di vista dalla violenza agita alle ragioni che ci muovono ad agire violenza, dal sangue e dei corpi che fanno del male alle responsabilità degli individui e delle società che non agendo creano le condizioni perché questo male possa continuare a procurare dolore.
Malanova, e adesso riporto alcune frasi scritte da Flavia, è stato il tentativo fatto a quattro mani da due autori teatrali, un uomo ed una donna, che hanno deciso di non nascondere mai la propria stessa fragilità, perfettamente in accordo nel voler trasformare la retorica della denuncia in una indagine al maschile, un’esplorazione edipica sulla responsabilità, sulla convivenza e sull’essere coinvolti, come esseri umani, in una trama di fondo che ci rende tutti ugualmente responsabili della vita degli altri.”

Nello spettacolo si parla dell’Italia, di umanità ed educazione sentimentale. Quali insegnamenti sperate possa trasmettere al pubblico?

“Non credo si debba avere la pretesa di insegnare con uno spettacolo teatrale. Il termine è impegnativo e richiede una riflessione. Il teatro non insegna, non informa, il teatro può seminare Dubbi, porre domande, aprire finestre di riflessione.
Il Teatro crea delle crisi che per essere risolte hanno bisogno di una ulteriore riflessione da parte dello spettatore che può tornare a casa diverso, si, grazie allo spettacolo e al modo in cui lui si è relazionato allo spettacolo.”

Altri progetti per il futuro?

“Sto cominciando a lavorare alla scrittura di un nuovo spettacolo e sto ascoltando quello che mi succede intorno. Invece Malanova produzione Sciara Progetti andrà in Spagna e poi Cile a gennaio 2018 e sempre con Sciara Progetti, compagnia che abbiamo fondato 8 anni fa e che ha residenza al Teatro Verdi di Fiorenzuola in Emilia-Romagna, siamo alle prese con un progetto Erasmus che partirà tra una settimana, lavoriamo inoltre a due produzioni per ragazzi che partiranno la prossima Stagione.
Collaboro anche con la Compagnia Acti di Beppe Rosso e nella prossima stagione porteremo in tournée lo spettacolo Piccola Società Disoccupata, un interessante progetto, che amo particolarmente, sul mondo del lavoro e “Troppi Ormai su questa Vecchia Chiatta” di Visniec sempre con la Regia di Beppe Rosso.
Invece con la società di produzione video Nois Produzioni dei registi Bruno e Fabrizio Urso, con cui collaboro ormai da 10 anni, stiamo lavorando alla scrittura di un documentario che verrà girato in Sicilia su un tema a me molto caro.”

Maresa Palmacci 24/05/2017

 

 

MALANOVA  scritto da Maurizio Sesto Giordano.

E’ teatro civile, di pura denuncia e che, attraverso la parola, colpisce e scuote, quello proposto da Sciara Progetti Teatro con l’atto unico “Malanova” di Ture Magro e Flavia Gallo, al Centro Zo di Catania, come terzo appuntamento della Rassegna “AltreScene”.
Sciara Progetti Teatro, fondata nel 2008 dall’attore Ture Magro e dalla psicologa Emilia Mangano ha l’obiettivo di unire teatro, didattica e partecipazione sociale e da tempo ha sede operativa al Teatro Verdi di Fiorenzuola D’Arda (Piacenza) e di recente ha ottenuto il patrocinio della Regione Emilia Romagna.
Si tratta di un intenso e vibrante monologo di Ture Magro e Flavia Gallo, con unico protagonista lo stesso Ture Magro. Una storia cruda e inenarrabile resa pubblica nei suoi particolari di cronaca nell’omonimo romanzo scritto dalla giornalista Cristina Zagaria e da Anna Maria Scarfò, edito dalla Sperling & Kupfer.

Lo spettacolo, di circa 60 minuti, da due anni è ospite nei palcoscenici di tutta Italia, affrontando l’attuale problematica della violenza sulla donna ed il titolo della pièce, “Malanova”, fa riferimento ad una cattiva notizia, ma in realtà etichetta una ragazzina, Anna Maria, precipitata in una storia orribile, raccontata sulla scena da un giovane uomo innamorato, Salvatore, che ricorda di averle voluto bene, che l’ha desiderata e poi ritrovata coinvolta in una violenza squallida.
Grazie alla forte e sentita interpretazione di Ture Magro, che si muove in una sorta di gabbia (ora piazza, ora paese, ora campagna e carcere, ora luogo chiuso, dal clima claustrofobico, che ti fa mancare l’aria), la pièce effettua una sorte di indagine, esplorando responsabilità, convivenza e connivenza e soprattutto quell’essere coinvolti, come esseri umani, che rende tutti ugualmente responsabili della vita degli altri.
Ture Magro in scena è il giovane Salvatore che racconta la storia di Anna Maria Scarfò, tredicenne di San Martino (Calabria) che ha avuto il coraggio di denunciare, dopo anni di violenze e soprusi, i suoi aguzzini.
A Salvatore che viveva nel piccolo paese con 475 case e 2000 abitanti, batteva forte il cuore quando vedeva passeggiare Anna Maria, avrebbe sempre voluto dichiararsi e, forse, avrebbe potuto fare qualcosa ed evitarle l’ingresso in quell’orribile tunnel.
Ma il coraggio, però, non lo ha mai trovato.

I protagonisti della storia e dello spettacolo, attraverso il racconto emozionante e terribile di Ture Magro, sono Salvatore, Anna Maria, Domenico, i cittadini di un piccolo centro della Calabria che cela soprusi e che va avanti con l’omertà di donne, mariti, vecchi, parroci, additando a “Malanova” (cattiva notizia) chi vuole dire la verità o denunciare.
Il disperato Salvatore attraversa a piedi piazze e vicoli stretti, racconta delle donne, dei loro silenzi, delle loro leggi omertose, di matrimoni, battesimi e funerali, partecipa alle feste ed ai riti di sempre e si interroga sulle cose viste e sentite, sul rispetto e sull’onore.

La notte di Pasqua del 1999 Anna Maria, una ragazzina di tredici anni,

 

Ture Magro


si allontana dalla messa per seguire Domenico, il suo innamorato che le promette mari e monti ed anche il matrimonio con l’abito bianco.
Quella sera Anna Maria sarà vittima di uno stupro di gruppo che si perpetrerà per anni, tra minacce ed umiliazioni di ogni genere. Un giorno, però, la ragazzina si ribellerà ai soprusi, all’omertà della famiglia e del paese denunciando, uno per uno, i suoi aguzzini. “Malanova”, come la chiamano in paese, violerà le regole e in un mondo fatto di rispetto e di onore avrà il coraggio di difendere la propria dignità.

Molto intensa l’interpretazione di Ture Magro – alla fine lungamente applaudito dal pubblico -, che si disimpegna in vari ruoli, facendo rivivere al pubblico tutta la storia, ma decidendo però di non raccontare l’atto della violenza.
Testo di assoluto valore e che, mettendo a confronto ferocia e vigliaccheria, coraggio e dignità, permette di conoscere l’ennesima storia di abusi, di violenza inaudita su una donna.
La storia di Anna Maria Scarfò non chiede altro che di essere raccontata, tanto al Sud, dove si è realmente consumata la violenza, quanto nei luoghi d’Italia dove una vita violata può scorrere nella solitudine, nell’indifferenza e nella connivenza silenziosa.

“Malanova”
di Ture Magro e Flavia Gallo
Tratto dall’omonimo libro “Malanova”, edito da Sperling Kupfer Editori Spa, scritto dalla giornalista del quotidiano La Repubblica, Cristina Zagaria e da Anna Maria Scarfò
Con Ture Magro
Scene e luci di Lucio Diana
Produzione Sciara Progetti Teatro in collaborazione con Teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda – Rassegna Altrescene 2017 – Catania – 12 Marzo 2017

Gli Autori: 
Ture Magro attore, regista e sceneggiatore, classe 1984.
Vincitore dei Nastri D’argento 2009 e 2011 come sceneggiatore e di diversi altri premi con gli spettacoli “Padroni delle nostre vite” e “Chopin e l’ipod nano”. La sua formazione si è creata tra l’Italia e l’Inghilterra lavorando nel cinema e nel teatro. Dal 2004 lavora con diverse compagnie in Italia e dal 2008, fondando la compagnia Sciara Progetti, porta i propri spettacoli in tournée in Italia, Germania e Cile.

Flavia Gallo drammaturga, traduttrice, classe 1982.
Ha maturato una ricca formazione universitaria in Lingue e Culture Europee (Laurea Triennale, voto 110/110 e lode), Scienze per la comunicazione internazionale (Laurea Magistrale, voto 110/110 e lode) e mediazione linguistico culturale (Master , voto 110/110 e lode) e parallelamente sviluppa la formazione teatrale come regista e drammaturga. Ha firmato diverse sceneggiature tra le quali lo spettacolo Bella e Bestia, prodotto dall’Associazione Ersilio M., promosso e finanziato dal Teatro di Roma e Teatro India.
Per la drammaturgia ha vinto diversi premi, tra cui, IV Concorso Europeo di Drammaturgia per Giovani Ernesto Calindri Milano, Premio Speciale della giuria al V Concorso di Critica teatrale indetto dal Teatro Libero di Palermo (2005)

 

 

 


 

 

UNO STRAPPO, IL CASO NICOLA TOMMASOLI – Ture Magro e Sara Parziani

Akiko126257842_3452757084778843_8570717938334706466_n

 

Verona, mercoledì 30 aprile 2008.

Dodici anni fa.

Hai una sigaretta?

Una settimana corta, questa, domani è festa e davanti ci quattro giorni di ponte.

Quattro giorni liberi, tutti da inventare. Quattro giorni non programmati. Del tempo da passare in famiglia, con gli amici, da dedicare a ciò che si ama. Quattro giorni per staccare dalla quotidianità.

Quattro giorni. Un giorno, 24 ore ore. E, allora, davanti, 96 ore “impreviste”, tutte da scrivere, tutte da riempire.

Come dappertutto, i ragazzi ne approfittano per uscire e fare tardi che tanto domani non c’è da andare a scuola o lavorare, che tanto “la città è tutta per noi”, “si può fare quello che ci va”, “facciamo un giro in centro”, “vedrai che ci divertiamo”, “Hai una sigaretta?” 

A Illasi, due amici si ritrovano al Boomerang, gente seduta al bancone, la cameriera carina, e il solito gruppo che suona dal vivo. Nessuna novità, insomma, che a Illasi la sera non c’è proprio nulla da fare, e quindi: “Andiamo a  Verona, ti presento qualche mio amico”.

Adesso gli amici sono cinque, seduti ad un tavolo del Caffè Malta, in pieno centro. I ragazzi ridono, parlano, ordinano da bere: “Che birra avete? Mi porti una birra?” “Rossa, chiara, ce l’avete alla spina? Moretti?”

Le ore passano, le risate si fanno più intense, le parole più forti, le birre continuano: “Ancora un giro”, festeggiare,  sì, bisogna festeggiare che l’Hellas Verona ha appena battuto il Novara 2 a 1, che si dice “quest’anno diventiamo la Juve della Serie C”.

Adesso è la 1,30 i cinque prendono giacche, bomber, cappellino ed escono dal locale. Il giro è lo stesso di sempre: piazza Bra, piazza delle Erbe, via Mazzini, via Cappello, il lungadige Bartolomeo Rubele. E poi indietro, di nuovo, ancora mentre si fa più tardi, mentre la città si svuota.

I cinque camminano e le chiacchiere e le risa continuano, nessuno ha ancora voglia di tornare a casa, stanotte si può fare tardi, stanotte non esistono orari, non ci sono regole, stanotte si fanno strappi alle regole.

Così si sta in giro, “Butei, che facciamo?”

“Butei”, lo sapete, a Verona significa “ragazzi”.

Io non lo sapevo, ma ho capito che i butei sono come gli “gnari” bresciani, i “bocia” bergamaschi, i “raga” milanesi.

Perché quella dei butei, degli “gnari”, dei “bocia”, dei “raga” a volte è più un’appartenenza: fratelli che condividono la stessa storia, le stesse esperienze, lo stesso modo di vedere la vita.

La stessa noia, a volte. Magari quando non ci sono partite di calcio, magari quando non ci sono partite di calcio dell’Hellas.

O in quei weekend di ponte troppo lunghi in cui si sta al bar a bere qualche birra e il tempo non passa mai. Come questo di questa storia, questo con le sue 96 ore “tutte da riempire”.

E così, a Verona, i butei iniziano a passeggiare per le strade  quando piano piano si svuotano e sotto il balcone di Romeo e Giulietta non c’è più la folla pigiata a guardare verso l’alto. Camminano e chiacchierano  i butei, stretti nei loro giubbotti. 

“Hai una sigaretta?”

I cinque decidono per un altro pub, adesso è l’ 1,58, così, per bere ancora qualcosa assieme, e si muovono  verso il centro in  direzione Porta Leoni.

In via Cappello, incontrano un ragazzo, vestito come un punk. Gli chiedono dei soldi, 10-15 euro, lui rifiuta, “No” dice, allora insistono, “No, non ce li ho” dice, “Be’, dacci le tue spillette”, insistono, lui allora stacca tutte le spillette dai vestiti e gliele dà.

I ragazzi riprendono a camminare lungo via Cappello, passano circa 15 minuti e all’angolo con Corticella Leoni incrociano tre ragazzi, forse, stanno fumando.

Anche loro hanno fatto serata. Parlato, scherzato, bevuto, fumato. Si sono divertiti. Anche loro domani non andranno al lavoro che domani è il Primo maggio, domani, cascasse il mondo, si dorme.

I tre, sono appena usciti da un locale e stanno tornando alla macchina.

Camminano quando ad un certo punto sentono una frase che è questa: ”Codino, dame na sigareta”, e uno di loro risponde “No”. 

Luca e Maria Tommasoli sono fuori dalla sala operatoria dell’Ospedale di Borgo Trento, Verona.

Maria è seduta e fissa il muro bianco davanti a sé.

Luca percorre avanti e indietro corridoi lunghi e stretti, tutti uguali, che si incrociano, si diramano, che scompaiono dietro a grandi porte, che vengono inghiottiti da grigi ascensori, corridoi che portano a sale piene di sedie in fila e gente seduta che aspetta.

Luca e Maria Tommasoli non parlano molto, ogni tanto guardano l’orologio appeso alla parete, poi il telefono cellulare: “Era Alessandro, sta venendo qua”. Ogni volta che passa un medico Luca Tommasoli gli si avvicina, fa domande nella speranza di ottenere risposte. Anche Erika arriva, ha gli occhi  lucidi, trema e senza una parola si lascia cadere sulla sedia accanto a Maria Tommasoli. Chi è Erika? Erika è la fidanzata del ragazzo che in questo momento sta dentro la sala operatoria dell’Ospedale di Borgo Trento.

Alle loro spalle, la porta della sala è chiusa. Dentro i neurochirurghi, nei loro camici e cuffiette verdi, le mani in guanti di lattice, incidono, aspirano, rimuovono. La concentrazione è massima, i gesti precisi, le parole fitte, si guardano e ricominciano da capo, ”taglia”, “aspira”, “forse ci siamo”. 

Adesso, ci spostiamo, e siamo a Boscochiesanuova e ci sono due ragazzi in una casa che stanno pranzando, si dicono che devono parlare con il loro amico, si dicono che hanno avuto un’idea.  Da ieri in tv, sui  giornali, alla radio, facebook non si fa che parlare del tipo picchiato in Porta Leoni. Del tipo che è a Borgo di Trento per una gravissima emorragia cerebrale.

Sì, i due che ora sono a casa e stanno pranzando, devono assolutamente parlare con l’amico, dirgli di non preoccuparsi, di stare tranquillo e di non dire niente a nessuno, che in questi casi non bisogna dire niente a nessuno, che loro hanno un piano.

Arriva l’amico, parlano e spiegano: il piano è semplice, il solito, quello visto tante volte nei film, andarsene.

“Partiamo, poi si vedrà”, “Partiamo che magari intanto si ripiglia”, “Partiamo che mia madre mi conosce, mi ha già detto che sono strano”, “Partiamo e non ci pensiamo più un po’.

Il loro amico però, non vuole partire. E loro, a questo punto, non hanno altro tempo da perdere. Le borse sono già tutte pronte, perché poche cose si portano dietro, giusto qualche cambio, i documenti, “Mi raccomando, i documenti”, e poi i soldi, tutti quelli che sono riusciti  a trovare.

Prendono la macchina di una delle loro madri, un’Audi A3 grigia, e arrivano fino ad un parcheggio alle Golosine. Scendono dall’auto, la chiudono a chiave e la lasciano lì. C’è un ragazzo con una Y10 che come da accordi li sta aspettando, un ragazzo che conoscono, un ragazzo che uno di loro ha conosciuto tempo fa quando si era candidato alle ultime amministrative.

Salgono sulla Y10 del ragazzo e partono, direzione Austria. Sì, perché gli hanno chiesto di accompagnarli in Austria dove possono trovare due biglietti aerei low-cost, così, per andare a Londra, così, per assistere ad una partita di calcio.

Circa tre ore di viaggio passate tra una sigaretta e l’altra, a parlare di politica, di calcio, e di quel tipo, quello dell’altra notte in Porta Leoni, quello che stanno operando da ore, quello che “Vedi che sicuramente si ripiglia, e quando si ripiglia lui noi torniamo”, si dicono mentre attraversano il Passo di Resia. “Dammi un’altra sigaretta”.

A casa, a San Giovanni Lupatoto, c’è il loro amico, quello che non è partito, sta parlando con il padre. Perché lui, in realtà, ci aveva pensato subito alla fuga. Sì, subito, l’altro giorno, all’alba si era messo una tuta ed era uscito di casa, ma poi era tornato il giorno stesso, e c’era suo padre ad aspettarlo, a fissarlo senza dire niente. Perché suo padre l’ha capito subito com’è.

Mentre lui parla con il padre, a Illasi, due ragazzi aspettano da giorni, fermi, vigili, sentono che qualcosa sta per accadere.

Un giro per le strade del paese, un salto al Boomerang, tutti parlano di Verona, di Porta Leoni, dell’altra notte.  E i due ragazzi tornano a casa che a Illasi la sera non c’è proprio nulla da fare.

L’Y10 arriva a Innsbruck, lì i due con 300 euro pagano un taxi che li porta fino all’aeroporto di Monaco e da lì, con un volo low cost della Easy Jet, arrivano a Londra.

“Hai una sigaretta?”.

Sigarette, caffè, sono giorni e notti che il magistrato Francesco Rombaldoni non fa che visionare i filmati ripresi dalle telecamere del centro di Verona.

Rombaldoni, il viso asciutto, le dita lunghe, li manda avanti e indietro, i filmati, li ferma, ingrandisce le immagini, di nuovo e ancora alla ricerca di “qualcosa”.

Ecco, la videocamera a circuito di una banca inquadra cinque ragazzi mentre corrono veloci in via Leoni. Sì, ci sono cinque di spalle che corrono via, e altri tre, due si reggono in piedi a malapena, appoggiati a un muro, un terzo è disteso a terra, immobile.

I dettagli sono pochi, pochi i dettagli di quelli che scappano: due di loro indossano jeans, due un giubbotto bomber, uno un cappellino.

Intanto i due del muro, quelli che si reggono a malapena in piedi, sono stati ascoltati più  e più volte dalla polizia, ma sono sotto shock, tutto è confuso.  L’unico ricordo che hanno sembra essere quello dell’amico, lì, steso a terra,  di loro che lo chiamano e di lui che non si muove. Tutto il resto, è annebbiato, dicono, si sforzano ma è come se le loro menti si rifiutassero di rievocare quei minuti da incubo, dicono, forse 3 minuti, durati un’eternità, dicono loro.

Quello che emerge, però, è che i cinque sono italiani, “probabilmente di Verona, parlavano in dialetto”, e giovani, “probabilmente 20 – 25 anni”. Almeno questo il magistrato Francesco Rombaldoni ce l’ha chiaro.

E, allora, i carabinieri diffondono queste informazioni tramite la stampa, sperando in qualche altro testimone: altri ragazzi, anche loro in giro fino a tardi, il camion dell’AMIA, o i soliti barboni che girano per Porta Leoni, chiunque. Chiunque possa contribuire alle indagini.

Anche la madre Maria, il madre del ragazzo che ancora dopo ore e ore si trova all’ospedale di Borgo Trento, tramite il quotidiano locale l’Arena lancia un appello: “Chi ha visto qualcosa quella sera non abbia paura di dirlo perché un ragazzo non può essere in fin di vita per una sigaretta”.

A Verona gli anziani ritrovano seduti ai tavolini in piazza delle Erbe, un signore appoggia il  giornale locale di quel giorno, una frase scrive così: “Non fa storia, capita una volta su un milione”, e commenta: “Verona è una città che è sempre stata così, è un po’ estremista, diciamo, ma la famiglia c’entra poco secondo me. Che adesso, la violenza mi sembra che si è un po’ accentuata rispetto agli anni passati, sono più violenti i ragazzi.”

“La famiglia c’entra, come può non c’entrare? È lì che ti educhi”, fa un altro.

“La famiglia non c’entra, non è più importante come prima, ora ci sono gli amici, c’è il gruppo è quello che stravolge quella che dovrebbe essere l’educazione”, insiste quello con il giornale.

“È una violenza che sta dilagando sempre più, per la quale bisogna intervenire. Dipende da tante cose, prima di tutto dalla cultura che non esiste, dall’educazione, e poi da certi principi che si diffondono anche sulla prepotenza, sul contrasto l’uno con l’altro, e finisce che così impiegano il tempo”.

“Famiglia, gruppo… Assurdo, per come la vedo io, è una violenza inconcepibile”, dice una donna mentre con una mano lentamente si sistema le pieghe del vestito.

“Mio figlio, mio figlio è titolare di un ristorante vicino a Castelvecchio, dice che il centro di Verona è pericoloso, lui ha lavorato in una famosa enoteca nel cuore della città e ne ha viste di tutti i colori. Anche nel suo locale le porte dopo una certa ora vengono chiuse.”

“Almeno ora ci sono gli “assistenti civici”, le ronde per la città approvate dal Sindaco, sono aumentati fermi, è vietato dormire per strada“.

“Oggi i la violenza non la puoi controllare, si diffonde più facilmente, internet, la televisione”, commenta la coppia di clienti mentre paga il conto.

Verona si alza un mattino e non si riconosce più.

Verona, dove il benessere del Nord-Est lo si respira camminando nelle strade del centro dove i locali si accalcano l’uno sull’altro e per l’happy hour si preparano spritz a ritmo frenetico: prosecco, seltz, Aperol. Verona, dove i turisti, dicono, sono 3 milioni ogni anno, arrivano da tutto il mondo e si accalcano per entrare in via Cappello per lasciare al balcone di Giulietta bigliettini o scrivere direttamente sul muro i loro messaggi d’amore. Tutti lo abbiamo fatto, no?

La bella Verona, Verona la città dell’amore e delle sue promesse.

Verona si alza un mattino e non si riconosce più. Incredula, sgomenta, sofferente, vuole reagire e chiede sicurezza.

Verona  si alza un mattino e non si riconosce più, o forse almeno per un istante, osserva il suo viso sotto al trucco, che lei lo sa che c’è dell’altro, che c’è da sempre, solo che di solito è nascosto dal trucco, mentre e ora sembra impossibile nasconderlo.

Perché questo è il quindicesimo episodio di violenza dal 2001, contando solo i fatti più gravi.

Ma ci sono cose che le guide turistiche non dicono. Non raccontano le storie della gente e delle strade, non parlano delle sofferenze e delle grida. Non lo scrivono le guide e non lo sanno i turisti tedeschi, americani e giapponesi che sciamano nelle strade.

È così che gli anziani, seduti al bar, parlano dei giovani in quel tiepido mattino di maggio.

Luca e Maria Tommasoli sono ancora seduti fuori dalla neurochirurgia di Borgo Trento, stanno aspettando fuori da quella sala operatoria da 40 ore, 40 ore di intervento. E per 40 ore in quella sala i medici ci hanno provato. E per 40 ore loro hanno aspettato, il lungo corridoio, avanti e indietro, e il muro bianco, freddo, senza una crepa.

“È stato fatto tutto il possibile”, hanno detto quelli nella sala a quelli fuori dalla sala, “ma è entrato in coma irreversibile”.

I giorni passano e sono tutti uguali.

Di nuovo il corridoio, il muro bianco, il sedersi accanto a lui, collegato alle macchine e ai tubi.

È un tempo senza tempo, è un tempo non-tempo.

Le lancette dell’orologio paiono muoversi in modo impercettibile seguendo una linea tutta loro in cui i giorni si accavallano alle notti e i giorni e le notti ad altri giorni e ad altre notti cosicché diventa quasi impossibile distinguere l’oggi dal ieri.

È un tempo in cui sembra che nulla accada. Tutto è fermo, silenzioso e, nello stesso tempo, tutto è attento a cogliere il più piccolo movimento, ogni fatto, ogni gesto, ogni parola che potrebbe tramutarsi in evento.

I giorni passano e sono tutti uguali.

“Le sue condizioni sono stazionarie ma la sofferenza al cervello è gravissima”, spiegano i medici; “a questo stadio rimane poco: o migliora, o peggiora”.

Non ci sono più i rumori, tutto è ovattato, i passi, le voci,  gli odori, gli sguardi.

Sguardi ovattati che incontrano altri sguardi ovattati, e quell’odore acre di disinfettante che arriva al naso come un pugno.

È un luogo che sa  di sospensione quello dell’ospedale.

Solo ogni tanto dei rumori: i passi in fondo al corridoio, la porta dell’ascensore che si apre, la macchinetta del caffè, le monete che cadono. Qualcuno che apre una finestra e dal basso le voci degli infermieri che chiacchierano mentre si fumano una sigaretta.

Ma sembra tutto lontano, distante, chiuso in quell’odore di anestesia e in quel colore bianco che trattiene.

Dentro la stanza, lui, quello dell’altra notte in Porta Leoni, quello con i due amici, quello del “no” alla sigaretta. Lui è disteso sul letto mentre c’è chi entra e gli si siede accanto, gli parla, lo accarezza, e la stanza è un continuo via vai: i suoi genitori, il fratello Alessandro, la fidanzata Erika, e poi gli amici di quella sera durata un’eternità, quelli i cui ricordi sono ofuscati, i due che sono appoggiati al muro e a malapena si reggono in piedi, e poi i colleghi. E poi di nuovo i suoi genitori, e Alessandro, Erika, e gli amici, i colleghi.

In ospedale arrivano fiori, biglietti perché tutti vorrebbero trovare le parole giuste da dire, tutta Negrar, ma anche tutta Verona, si stringe intorno alla sua famiglia.

Le “parole giuste da dire”.

“Coma irreversibile”. “Essere in fin di vita per una sigaretta”, dice Maria Tommasoli nel suo appello.

No, non possono e non devono essere queste le “parole giuste”.

Al parcheggio delle Golosine viene ritrovata l’Audi A3 grigia viene ritrovata, si risale al proprietario della macchina, una donna di Boscochiesanuova. L’auto è chiusa a chiave, sui sedili e nel bagagliaio scarpe, un casco, alcuni cd, un paio di dvd e delle fotocopie di un libro. E ancora, svariati programmi elettorali di Forza Nuova con scritta nera su fondo rosso. E, poi, i volantini dell’Hellas Verona, con lo stemma a righe gialle e blu, la scritta nera e i due mastini con tra loro il tricolore.

Intanto le indagini proseguono. Il magistrato Francesco Rombaldoni intanto ha un’intuizione, che bisogna partire da qualche parte, e allora si mette a cercare tra la “lista dei 17”,  tra i nomi di quei 17 giovani, tutti di Verona, tutti tifosi dell’Hellas e appartenenti all’estrema destra, ritenuti responsabili di vari pestaggi avvenuti tra il 2006 e il 2007, per i quali si ipotizza il reato di “associazione a delinquere con l’aggravante della Legge Mancino, contro la discriminazione razziale, etnica e religiosa”.
Perché Verona dall’estate precedente è tornata prepotentemente sulle pagine di cronaca, come per esempio con aggressioni a extracomunitari, o a tre militari paracadutisti della Folgore perché meridionali, perché “terroni”, a un ragazzo con la maglia del Lecce; o a uno che mangiava un kebab, e a frequentatori di centri sociali.

Rombaldoni legge le parole degli inquirenti: “L’obiettivo era quello di colpire con calci, pugni, colpi di spranga e catene chiunque potesse sembrare diverso.”

Rombaldoni, il viso asciutto, le dita lunghe, legge e pensa. E, forse, la sua intuizione è giusta.

Adesso sono le ore 12, e in questo momento all’ospedale di Borgo Trento scattano le sei ore di osservazione. Cioè, bisogna aspettare 6 ore prima che il collegio  medico possa esprimersi sulle condizioni cliniche del 29enne ricoverato in terapia intensiva e in stato di coma in seguito al gravissimo trauma cranio-cervicale con emorragia cerebrale provocato da un calcio alla testa, “C’è assenza di attività cerebrale”, dicono.

Il ragazzo con la tuta, a San Giovanni Lupatoto parla a lungo con il padre. Lui vorrebbe convincere il figlio a chiamare un legale e a costituirsi. Perché forse questa è la soluzone migliore, perché il ragazzo di Porta Leoni non si ripiglia e, allora, forse questa è la cosa giusta da fare. Il ragazzo con la tuta non sa che fare, “Però forse, sì, forse è meglio costituirsi, forse con un buon avvocato questa storia si sistema”. Il ragazzo ci pensa.

Anche a Londra i due ci stanno pensando, che le notizie dall’Italia non sono buone, le notizie dall’Italia dicono che quel ragazzo aggredito in corticella Leoni non è mai uscito dal coma, e che le indagini sono iniziate. E poi, la vita Londra è cara, si sa, e i due per risparmiare dormono in ostello ma gli basta fare una colazione che spendono una cifra esagerata e in un paio di giorni si trovano senza denaro.

È pieno giorno, al commissariato di Verona l’appuntato vede entrare un ragazzo giovane e due uomini. Il ragazzo è quello della tuta, i due uomini sono il padre e un avvocato.

Il ragazzo della tuta si presenta alla polizia, racconta la propria versione dei fatti ma non fa nomi “per non essere scambiato per infame”, spiegano gli investigatori, “Il padre ci ha fornito subito la massima collaborazione, mettendo per iscritto, senza esserne obbligato, le responsabilità del figlio, l’uomo dice che vorrebbe essere il papà della vittima anziché il padre di suo figlio”.

Anche a Illasi i due ragazzi ci stanno pensando da giorni, camminano per le strade del paese e ci pensano “No, aspettiamo, aspettiamo ancora”.

Il ragazzo con la tuta si è presentato alla polizia e quella notte, in due case di Illasi si sente bussare alla porta, i due ragazzi aprono ed è la polizia che arresta entrambi, nessuno di loro oppone resistenza, solo uno sguardo alla madre che gli  aveva consigliato di costituirsi.

Il ragazzo della tuta e i due di Illasi finiscono in carcere con l’accusa di “lesioni gravissime”.

Ne mancano altri due adesso, quelli a Londra che si stanno chiedendo: “Come facciamo qui senza soldi?” Dicono che il fratello di uno dei due sta collaborando con la Digos e allora provano a mettersi in contatto con i fuggiaschi e li convince a tornare, acquistando loro un biglietto aereo Londra-Bergamo. Il 5 maggio alle 22,30 i due arrivano a Orio al Serio, ad aspettarli ci sono la Digos e il magistrato Francesco Rombaldoni.

I due fuggiti a Londra vengono portati, come il ragazzo della tuta e i due di Illasi, nel carcere di Montorio Veronese.

Adesso sono tutti in carcere.

All’ospedale di Borgo Trento, alle ore 18 viene dichiarato il decesso di quel ragazzo rimasto sotto i ferri per 40 ore e in coma da giorni perché picchiato per un “no” ad una sigaretta.

È proprio mentre alle spalle dei cinque si chiude la cella i cinque capiscono che ora le cose non sanno se si sistemano.

Il giorno dopo il capo d’accusa dei cinque diventa “omicidio preterintenzionale”. “Preterintenzionale” significa che va oltre l’intenzione di chi agisce, che è un’azione in cui l’evento dannoso è più grave di quanto fosse l’intenzione dell’autore. Che è più grave di quanto si pensava.

Forse scappare non è stato un buon piano, forse picchiarlo non è stata una buona idea, forse non è come nei film.

Ci sono dei giorni in cui i cerchi che si chiudono. Nei modi più inattesi, a volte modi desiderati, altri scongiurati, perché nessun genitore dovrebbe seppellire un figlio.

Ci sono giorni come questo 5 maggio 2008, dieci anni fa, come domani, in cui alcuni pezzi strappati sembrano andare al loro posto: le confessioni, gli arresti; mentre altri sembrano destinati a non ricucirsi mai più.

Fine dell’attesa, della sospensione.

Fine dei giorni e delle notti passate a guardare un muro bianco, a bere caffè scadente, a fare su e giù per il corridoio, a entrare in una stanza per parlare e stringere mani e accarezzare un volto sperando, sperando anche in un minimo movimento.

Fine delle preghiere.

Adesso come non mai, Luca e Maria Tommasoli si stringono e cercano di proteggersi e farsi forza, perché un senso è impossibile da trovare e, allora, si rimane così, come quei pezzi strappati tra le mani.

“Oh ce l’hai una sigaretta o no?” 

Chi sono loro?

Adesso ve lo dico.

Il ragazzo della tuta si chiama Raffaele Dalle Donne, lo chiamano “Raffa”, 19 anni, è di San Giovanni Lupatoto, studia al liceo classico Maffei ed è un ex attivista di Blocco Studentesco,  l’associazione giovanile legata a Fiamma Tricolore e Casa Pound.

È già noto alle forze dell’ordine, colpito dal Daspo, nel febbraio 2008, il provvedimento che allontana per un anno gli ultras violenti dagli stadi, ed è implicato nelle indagini della Procura veronese sul gruppo di 17 giovani accusati “associazione a delinquere con l’aggravante della Legge Mancino”. Questo è Raffaele Dalle Donne, ed è un tifoso Hellas Verona.

Quelli scappati a Londra sono Federico Perini, “Peri”, 20 anni, di Boscochiesanuova, ultras della curva sud dell’Hellas, colpito da Daspo. È stato candidato di Forza Nuova alle ultime amministrative per la seconda e l’ottava Circoscrizione, è così che ha conosciuto quello che li ha portati in Austria. E, poi,  Nicolò Veneri,  detto“Tarabuio”, 19 anni, vive a Verona, anche lui già indagato nella lista dei 17; anche lui ultras dell’Hellas, anche lui colpito da Daspo.

E poi ci sono i due di Illasi, quelli che non si sono mossi da lì, Guglielmo Corsi, di 19 anni, metalmeccanico, lui è un tifoso dell’Hellas e fondatore di un gruppo di supporter. E Andrea Vesentini, 20 anni, promotore finanziario, dicono c’entri poco con il calcio e pure con la politica, e che sia sconosciuto alla polizia.

E, poi, c’è il ragazzo di Borgo Trento, il ragazzo che non s’è ripigliato, lui è Nicola Tommasoli.

Nicola che quella notte aveva 29 anni, Nicola che da un anno viveva a Negrar con la fidanzata Erika, che aveva studiato al liceo Maffei e poi a Treviso dove si era laureato in disegno industriale allo Iuav in Industrial design, e lì aveva abitato in un appartamento insieme ad altri studenti. Nicola che adesso aveva un buon lavoro come disegnatore tecnico per una ditta di Affi. Nicola che aveva una creatività incredibile, che esprimeva al computer, aveva vinto anche alcuni concorsi internazionali. Nicola che aveva tantissimi  amici e che spesso usciva anche con il fratello poco più grande di lui. Nicola che non amava il calcio ma aveva una grande passione per i motori, auto e moto da corsa. Nicola che d’inverno praticava lo snowboard e d’estate andava in skate. Nicola non aveva  mai avuto nessun particolare credo politico, che era una persona creativa e sensibile.

Nicola che aveva una bella vita e che e adesso stava pensando al futuro.

Nicola che quella sera era uscito per divertirsi e divertirsi non è reato. Nicola che quella sera aveva rifiutato una sigaretta, e anche dire “no” non è reato.

Nicola Tommasoli che è morto il 5 maggio 2008 all’ospedale di Borgo Trento.

Nicola Tommasoli il cui processo, per il suo omicidio, è iniziato il 9 febbraio 2009 e ancora non è terminato.

Adesso silenzio. 

C’è uno strano silenzio il 10 maggio, a Verona e a Negrar, tutto si è fermato, è lutto cittadino.

Il funerale di Nicola si svolge il 10 maggio nella chiesa del XV secolo di San Bernardino a Verona.

A Verona, e non a Negrar, dove abitava. A Verona perché è lì che è morto, e allora forse è giusto che sia questa la città dove celebralo. A Verona perché il maggior numero di persone possa partecipare al saluto a Nicola, perché questo saluto si diffonda per tutta la provincia.

Per volere della famiglia non ci sono giornalisti né autorità.

La chiesa è piena: la  famiglia, gli amici, i compagni di scuola, gli insegnanti, i colleghi, quelli che Nicola non lo conoscevano bene, ma che ogni tanto lo incrociavano, quelli che Nicola non lo avevano mai visto, ma che in questi giorni non hanno potuto non pensare a lui.

Non ci sono giornalisti o telecamere oggi.

Adesso c’è solo silenzio. 

Anche a scuola c’è uno strano silenzio.

Certo che a uno strano effetto leggere di tuoi coetanei coinvolti in un fatto  di cronaca. Leggere che hanno picchiato un ragazzo, lasciandolo lì, steso a terra, immobile e tutto per un “no” ad una sigaretta.  L’effetto strano si amplifica se sai che quei ragazzi li hai sicuramente incontrati per le strade della tua città, per i corridoi della tua scuola, magari erano seduti al banco dietro al tuo. Magari ti stavano simpatici, o magari no, non ti era mai sembrato così importante.

Fa uno strano effetto anche se sei l’insegnante di questi ragazzi. Ti domandi se c’entri in qualche modo anche tu in quello che è accaduto, se avresti dovuto notare di più, fare di più. O, forse, no, forse sì. Insomma, tu sei l’insegnante, ma poi c’è la famiglia, gli amici, la società…

Sono giorni dall’aria pesante quelli che seguono la morte di Nicola, giorni che non lo diresti che è primavera e che per molti la maturità è alle porte, giorni densi di domande senza risposta.

Nelle classi, gli insegnanti dedicano un tempo per parlare insieme, ragionare, riflettere, i temi sono sempre gli stessi le scelte, il futuro: “Cosa farai l’anno prossimo?,  “E tu? Io ancora non lo so”

Si parla tanto, si parla di Nicola, di quei cinque, di quello che è successo quella notte, di quello che succede in città.

Si parla tanto perché questo è qualcosa di molto vicino a loro, di vicinissimo, perché si parla di loro.

Al liceo Maffei, poi, è ancora più strano. Qualcuno se lo ricorda bene Nicola, passato da lì dieci anni prima, e tutti  conoscono Raffaele che su quei banchi sedeva fino a due settimane fa.

Durante l’intervallo ci si raduna come al solito in piccoli gruppi, tutti parlano sottovoce e guardano quell’aula, quella dove c’era uno di quei cinque, “che io mai l’avrei pensata una roba così”.

Nicola e Raffaele – Nicola dieci anni prima di Raffaele, dieci anni prima di essere ucciso da Raffaele  e dai suoi quattro suoi amici, così, una sera – hanno studiato nello stesso liceo, lo “Scipione Maffei”, fiero di essere il più antico liceo d’Italia. Nato nel 1804, il “Maffei” è orgoglioso della sua storia bicentenaria, ma anche delle virtù custodite, generazione dopo generazione, in una carta dei valori che onora “lo spirito critico; la laboriosità; la legalità; l’assunzione di responsabilità; la coscienza dei diritti e dei doveri”.
Qui si impara a dare forma di parola alle emozioni, nutrimento e argomenti per le passioni e le idee. Qui è radicata la consapevolezza che la democrazia sia “ars dubiae”.

E allora bisogna chiedersi dove nasce la muffa aggressiva che ha rovinato i giorni di Raffaele e spezzato la vita di Nicola?

“Ce lo stiamo chiedendo – dice il preside – e ce lo siamo chiesti. Ci siamo chiesti se abbiamo fatto tutto quanto in nostro potere per educare gli studenti alla buona cittadinanza”, dice, “Mi sento sconfitto, come ho detto ai ragazzi, ma non complice. Non siamo stati né indifferenti né distratti”.

Il preside non vuole e forse non può dire di più. Il circuito istituzionale e mediatico descrive un’occasione perduta di “recupero”, di disvelamento, ma non spiega le ragioni della “caduta” in un “rito della crudeltà”, per nulla occasionale o impulsivo, che nel tempo si è  esercitato nel cuore di Verona contro gli “altri”.

I compagni e le compagne di Raffaele hanno come il muso. Non vogliono difendere Raffaele, ma non si è mai comportato da mostro.

E allora come è potuto accadere ad un loro compagno di classe?
Ne stanno parlando accanto alla fontana del chiostro, Giulia e Simone provano a ragionare – ancora una volta, in questi giorni – su quei perché.

“Come è potuto accadere? Perché?”

Prova a spiegarsi Giulia: “Non c’è spazio per l’ignoranza che produce l’ottusa violenza senza scopo qui. Si viene travolti da quel che c’è là fuori, oltre quel cancello. Se un responsabile e una responsabilità si deve cercare, va trovata non in questo liceo, ma nella città. In quella Verona dove può capitare – e capita spesso – che si senta dire in autobus “non siedo qui, accanto a questo negro” e nessuno che, intorno, disapprovi o censuri quelle parole… Magari chi le ascolta, non oserebbe mai pronunciarle, ma le giustifica”.

Simone ne sta parlando tanto con Giulia e, come Giulia, ha idee lucide e asciutte. “In questa storia, si usano le parole per nascondere quel che è accaduto e ancora può accadere. Si dice: Raffaele era un bullo.
Non lo era. Si dice: è un delinquente. Non lo era. Si dice: è solo una mela marcia, è un caso isolato. È falso che sia la sola mela marcia del cesto, il caso non è isolato ma addirittura, nella sua assurdità, ordinario. Si dice: la politica non c’entra. E invece, c’entra, eccome”, dice Simone, “se politica è l’odio per il diverso, se politica è un’ideologia diffusa là fuori”, indica l’arco, il cancello, la strada, “che legittima chi vuole liberarsi di chi non è uguale a te, per colore della pelle, per convinzioni, per religione, per la lunghezza dei capelli.
Tutto questo ha un nome: razzismo, xenofobia. Se si usano le parole appropriate, le ragioni della morte di Nicola, e di quel ha combinato Raffaele con i suoi amici saranno evidenti.  È quel che dovreste fare: ed è chiamare le cose con il proprio nome”.

Chiamare le cose con il proprio nome.
“Difendi il tuo simile e distruggi il diverso” recita il motto dell’Hellas Verona, una delle curve da stadio più famose in Italia: dura, pura, rigorosamente di estrema destra.

Nel settembre 2004, di fronte ad un bar nei pressi dello stadio, poco prima di una partita, un appartenente alla tifoseria dell’Hellas Verona insulta (“Negro di merda!”) un ragazzo di origine senegalese di passaggio. Il ragazzo nero chiede conto e ragione di questo insulto e, allora, il ragazzo bianco gli lancia un boccale di birra in faccia, che gli procura una profonda ed indelebile cicatrice sul volto.

Nel marzo 2008, un altro ragazzo nero è in un bar della Valpolicella. Tutto il bar sta cantando canzoni da stadio dell’Hellas Verona. E allora anche il ragazzo nero lo fa con gli amici si unisce ai cori, canta le canzoni da stadio dell’Hellas Verona.

Ma lui  è “negro” e questo fatto infastidisce più di qualcuno. Nemmeno il tempo di apostrofarlo con i soliti epiteti, e la furia dei “butei” si accanisce sul ragazzino. Furia violenta a tal punto che il ragazzino è tuttora in sedia a rotelle e non riesce a camminare a causa delle lesioni subite.

Nel bar erano circa 40, ma nessuno ha visto niente.

Chiamare le cose con il proprio nome.

E, allora, torniamo indietro.

Verona, mercoledì 30 aprile 2008.

Dieci anni fa.

Dammi una sigaretta.

Una settimana corta, questa, domani è festa e davanti ci quattro giorni di ponte.

Quattro giorni liberi, tutti da inventare. Quattro giorni non programmati. Del tempo da passare in famiglia, con gli amici, da dedicare a ciò che si ama. Quattro giorni per staccare dalla quotidianità.

Quattro giorni. Un giorno, 24 ore ore. E, allora, davanti, 96 ore “impreviste”, tutte da scrivere, tutte da riempire.

Come dappertutto, i ragazzi ne approfittano per uscire e fare tardi che tanto domani non c’è da andare a scuola o lavorare, che tanto stanotte “la città è tutta per noi”, “si può fare quello che ci va”, “facciamo un giro in centro”, “vedrai che ci divertiamo”, “Hai una sigaretta?”

Corticella Leoni, è uno spazio buio, stretto. Lì ci sono tre ragazzi sono Nicola, Andrea ed Edoardo.

Anche loro hanno fatto serata. Parlato, scherzato, bevuto, fumato. Si sono divertiti. Anche loro domani non andranno al lavoro che domani è il Primo maggio, domani, cascasse il mondo, si dorme.

I tre, sono appena usciti da un locale e stanno tornando alla macchina.

Camminano quando ad un certo punto sentono una frase che è questa: ”Codino, dame na sigareta”, e uno di loro risponde “No”.

96 ore da riempire che cominciano con 3 minuti.

Andrea viene colpito, all’improvviso, di spalle, neanche il tempo di girarsi.

E, poi un altro, secco, duro, mentre fanno per girarsi, senza il tempo di voltarsi, senza il tempo per capire, Nicola, Andrea ed Edoardo hanno i cinque addosso. Sono quelli con il bomber, i jeans, il cappellino. Sono quello della tuta, quelli che scappano a Londra, quelli di Illasi.

Colpiscono, senza un fiato, senza una parola. Solo calci, pugni, capelli tirati, vestiti strappati.

I tre cercano di difendersi, corpi che non riconoscono, che non vedono se non a pezzi. E sono braccia e gambe, e sono bomber, e scarpe, e mani, e un cappello, e capelli e occhi e jeans. Ed è un cadere a terra e rialzarsi, continuamente, con la città che gli ruota intorno, negozi, bar, ciottoli, e quel negozio con le insegne luminose.

I tre cercano di difendersi, gridano, cercano aiuto.

La furia dei cinque è grande, e sotto i colpi, le ginocchia cedono, i corpi si piegano. E ogni volta cadono e ogni volta provano a rialzarsi, fanno leva sulle braccia, ma ogni volta un altro colpo li ributta a terra. Le teste tirate all’indietro, per i capelli, le braccia ora sono bloccate, la schiena inarcata, colpita.

I cinque sembrano un corpo solo, un’unica forma di braccia e gambe. Non parlano, non un insulto, non un nome, non una voce.

Sono bestie. Bestie silenziose, animali impazziti, furie cieche.

Colpiscono, spingono, tirano, calciano. I loro occhi sono fuoco , le bocche serrate. I muscoli tesi, i corpi rigidi, corpi come macchine. Ad ogni colpo ne segue un altro, e poi un altro e un altro ancora.

“Quando finirà? Quando smetteranno?” Non smettono. “Bisogna pensare, capire cosa fare” ma i colpi sono più veloci dei pensieri e pensare diventa praticamente impossibile.

Nessuno pensiero. Solo colpire. Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci e di nuovo.

Gambe che tremano che faticano a reggere il peso del proprio corpo. Paura per il prossimo colpo che arriverà. È arrivato il prossimo colpo.

Sentire i polsi che vengono stretti, torti. Il dolore in ogni parte del corpo fino a non sentire più nulla, a non distinguere più una parte del corpo dall’altra, a non distinguere più il proprio corpo.

Nicola, i pugni serrati cerca di difendersi, vuole difendersi, Nicola, resistere. Le mani le tiene strette, Nicola, più strette per poi sentire un dolore acuto, più forte del resto. Il pollice e l’indice di Nicola scricchiolano, si frantumano.

Un altro colpo, un altro, di nuovo, alle gambe, all’addome, un calcio.

Nicola è a terra. Gambe e braccia non lo reggono più. Rimane a terra.

Lo sguardo su questa notte di metà primavera, su questo blu veronese. Lo sguardo a contare le stelle per provare a non sentire il dolore,

Continuano a colpire.

Nicola è a terra, conta le stelle e si dimena.

Urla di dolore.

Un calcio, ancora, gli arriva dritto alla nuca, un colpo lì alla base del collo.

Un colpo che è l’ultimo.

Adesso Nicola non urla più, non si dimena, resta steso a terra immobile che pare addormentato.

Il tempo sembra essersi fermato,

Il tempo si è fermato all’improvviso, ora che qualcosa è cambiato, ora che qualcosa si è strappato.

I cinque scappano via, ora.

I due amici, Andrea ed Edoardo, si reggono a malapena in piedi, si avvicinano a Nicola, lo chiamano, lui non risponde e loro quasi non lo riconoscono. Che non è Nicola quello, che sembra diverso, gambe  e braccia e dita spezzate. Che non è Nicola quello, che vorrebbero rimetterlo insieme,e allora, per un istante restano lì, contro la parete alta e bianca di Porta Leoni. E poi li riprendono quei pezzi, pezzi di Nicola e li riattaccano insieme, e capiscono che devono chiamare i soccorsi.

Verona, mercoledì 30 aprile 2008.

Dieci anni fa.

Il resto della storia ve l’ho già raccontato.
     a cura di Lucio Rubbino

 

Le fornaci del quartiere di San Giuliano di Carmelo Venezia

                                                          

Carmelo Venezia     Esistono, durante la vita di una persona, periodi di difficoltà morale,  causati  da circostanze dolorose ;  lontananza, malattie,  perdita di persone  più che cari.  Per qualche anno, non ho più voluto continuare a scrivere  il mio diario di un tempo piu’ che passato. 

Innanzi tutto, debbo ringraziare il Prof. Nunziatino Magro ; malgrado  le distanze che ci separano,  telefonicamente mi ha incoraggiato  a riprendere la mia penna, ridandomi il gusto per esprimermi  e di rimemorare il mio  passato.
  Ma, prima di continuare, desidero  chiedere scusa a tutti i miei amici e intellettuali, per l’uso del mio  semplice vocabolario.  In verita’ non ho mai frequentato le aule  e i banchi delle Università. Rappresento una vecchia generazione randazzese possedendo semplicemente un modesto diploma elementare. 
 Ma , amo moltissimo , non solamente la mia città di Randazzo perche’ è stato il luogo della mia nascita,  ma anche i resti delle sue opere d’arte  che  i nostri alleati non hanno osato demolire nel periodo dei  bombardamenti del luglio e agosto 1943.    Spesse volte, mi siedo alla terrazza del mio modesto  appartamento, ammirando il panorama del Principato di Monaco, con le sue moderne costruzioni destinati ad una classe sociale privilegiata e milionaria. 
   Talvolta, socchiudo i miei occhi, facendo divagare la mia mente ed anche il mio pensiero, percorrendo le vecchie stradine dei nostri antichi quartieri di Santa Maria, S. Nicolò e San Martino della nostra  città, luoghi riposanti, pieni di misteri, aneddoti, storie, li’ dove molti anni indietro, erano animati con la presenza di artigiani, carrettieri, contadini , musicisti, pastori, intellettuali,  moltissime signorine ,sedute davanti le loro porte d’ingresso, ricamando la loro  dote eseguendo un lavoro  d’arte e talvolta prezioso, dando vita e animazione a questi luoghi storici. 
  In certi periodi delle stagioni,  sentivamo  gli odori del vino, delle mele  e di altri frutti, che  i nostri antenati e le nostre mamme   avevano l’arte  ed il segreto di conservazione   per il periodo invernale. 
   Ma, ritorniamo  alla realtà. 
  Qualche anno indietro,  trascorrevo un certo periodo di  vacanza presso i miei  famigliari ; qualche giorno dopo il mio arrivo,  ricevo un cortese invito dal Prof.  Nunziatino Magro invitandomi   ad una lunga  passeggiata  piuttosto storica.   A bordo  del suo veicolo, abbiamo  percorso parecchi  kilometri , salendo  verso Santa  Domenica vittoria.  Ma, quale fu la mia sorpresa ? fermandosi, non solamente abbiamo ammirato  lo stupendo paesaggio della nostra Randazzo  ma  anche  il panorama dell’imponente  Etna  molto invidiata  dai nostri turisti stranieri. 
La seconda, è stata la  scoperta dei resti  di una  antica  cappella situata sul lato Sud dei Nebrodi dedicata  in passato  a San Marco
   Da  ragazzo, percorrevo spesso questo cammino  per recarmi  a Santa  Domenica Vittoria  soprattutto per assistere alla festa di S. Antonio , chiedendomi sempre , che cosa rappresentavano questi ruderi.  Penso, che qualche secolo fà ,  è stato  un luogo di raccoglimento  di pellegrinaggio, di raduno e di preghiera non solamente per i contadini ,numerosi  in questo settore agricolo, ma anche per gli abitanti delle  masserie e dei comuni limitrofi.
Finalmente,  dopo tanti anni, la mia curiosità è stata  ricompensata.  Penso, che qualche tempo indietro,  questo luogo è stato citato dal Dott. Salvatore Rizzeri  nel suo libro : Le Cento Chiese . 
     Riscendendo, dopo avere attraversato il Ponte di San Giuliano, l’ho pregato di fermarsi a sinistra su questo piazzale  chiamato volgarmente da noi randazzesi : U Stazzuni , in quanto che, volevo  far conoscere una antica costruzione dove attualmente esiste un mulino inefficiente chiamato dai nostri antenati :  Il Mulinello. 
L’accoglienza del  proprietario è stato molto cordiale e soprattutto amichevole .  Fiero di mostrare  non solamente la vecchia costruzione, ma anche il resto delle vecchie macine  o mole, con qualche resto di antichi accessori.  La  botte  situata sul  piano superiore , la quale serviva di riserva e di pressione, é in eccellente stato di conservazione  e di curiosità per gli alunni di tutte le scuole e soprattutto per  osservare   e  conoscere , i vecchi sistemi idrici usati nell’epoca passata.
   Scendendo, e passando dietro l’antica costruzione, la nostra  seconda grande  sorpresa, è stata di scoprire  una delle  antiche  fornaci , numerosissime qualche secolo fa , in questo quartiere di San Giuliano,  destinate alla fabbricazione  della calce  e nello stesso tempo alla cottura  delle tegole, mattonelle e recipienti di argilla.
  Ed è proprio di questo soggetto, di quest’ arte , di questi artigiani  più che artisti nella loro materia,  dotati di una straordinaria esperienza e di un sapere sconosciuto dai nostri  giovani, i quali  non hanno mai avuto l’occasione e la gioia  di ammirare il lavoro di questi talentuosi artigiani.
   Le fornaci  erano  state  costruite principalmente in questo quartiere ; numerose nei dintorni di  questo piazzale chiamato  come  avevo scritto prima : Stazzone :  in dialetto randazzese,  U Stazzuni.   Sopra questa superfice ,  dove  le costruzioni   in duro non esistevano,  c’erano   circa quattro fornaci ;  un certo numero appartenevano alle  famiglie  Arcidiacono, molto numerose fino agli anni   1960. 
   Altre, si trovavano  nei dintorni  della Via Regina Margherita , oggi chiamata  in onore  del nostro  concittadino  sindacalista e deceduto molto tempo   fa, Via Giuseppe Bonaventura.
   Una di queste, apparteneva  al Signor  Egidio Arcidiacono,  specializzato  nella fabbricazione di anfore, giare , vasi , lampade ad olio,
ed altri oggetti, i quali servivano  per conservare  l’acqua,  l’aceto , l’olio di oliva indispensabile  per la nostra  buona cucina. Questo artigiano, ha smesso la sua attività dopo il 1950 emigrando  come moltissimi dei nostri concittadini in Argentina.  
   Le ultime notizie  del signor Egidio, le ho ottenute nel dicembre del 1987.  Essendomi recato parecchie volte a Buenos Aires,  e dopo nella città di Haedo , situata nella grande  periferia della Capitale, dal nostro concittadino  Nino Luca, fratello del defunto Mario Luca,  all’occasione  di un incontro piu’ che affettuoso  e nello stesso tempo, per la visita della sua , grande fabbrica di mobili .
  Preciso,  che in questa Citta’ , vivevano  moltissime famiglie originarie della nostra  Randazzo.
  Il signor Egidio, si era stabilito  in un’altra regione ; forse nella città di Mendoza. 
   Diverse fornaci,  si trovavano  nei pressi  della chiesa del Signore della Pietà.  Un’atra, apparteneva alle famiglie Mazza ; salvo errore da parte mia, questa era vicino la discesa del Ciapparo. 
    Mi chiedo  sempre, perchè  i nostri antenati , avevano  dato questo nome  .   Oltrepassando la chiesetta, e andando a sinistra  seguendo la strada  che conduceva sia  alle vecchie  vasche di scarico delle fognature del comune ed anche  al vecchio Mulino di Citta’ Vecchia,  una di queste era proprieta’ del defunto Signor Alfio Bordonaro, padre del Dr.  Nunzio Bordonaro,  il  quale da  professionista, aveva creato  una vera  piccola industria  per la fabbricazione della calce e soprattutto   produrre  la migliore  qualita’ del prodotto.  
    Altre fornaci  si trovavano nel quartiere di Murazzorotto,   andando  verso il   lago Gurrida . 
   Anni passati,  questa zona era molto popolata,  dove ancora  si potevano contemplare molte  antichissime  casette costruite in pietra lavica a secco, esistenti  forse anche all’epoca araba, le quali, potevano servire  temporaneamente di alloggio  per i contadini e nello stesso tempo , come riserve di foraggio per nutrire asini, cavalli ,muli,  pecore , numerosi  in quel periodo.
   Ma quasi tutte sono state  demolite per ignoranza ed  incoscienza ,  costruendo casette certo moderne ,  ma  senza stile  ed in un modo piu’ che disordinato.

Monastero San Giorgio

Monastero di San Giorgio

   Un’ altra fornace molto antica, si trovava a fianco del muro di cinta della Citta’ tra il Convento di San Giorgio e la Via Duca degli Abruzzi esattamente a fianco dell’antica Porta dell’Erbaspina , chiamata anche , Porta del Quartarario ; esisteva anche una piccola fontanella chiamata dai nostri antenati, Fontanella dell’Erbaspina.
   Questo artigiano lavorava esclusivamente l’argilla per la fabbricazione delle Quartare, vasi, e diversi recipienti in terracotta. Desidero precisare  che questa porta con il suo semiarco e i suoi due pilastri,  era visibile prima del Luglio 1943. Una parte è stata demolita dai bombardamenti ; il resto, dall’incoscienza umana. 
   Le fornaci, potevano avere la forma di un grande  cubo  munito di  una corta ciminiera  oppure rotonde come un grande cilindro  di un diametro di parecchi metri,  munite  sempre di una ciminiera.  Il materiale  utilizzato,  erano  le  pietre laviche,  murate  con un impasto di  calce e sabbia dell’Etna .  L’ argilla  in certi casi  era  utilizzata    per  la  sua resistenza al  calore.  
    L’ interno, era  diviso in diversi piani ;  si accedeva attraverso una apertura situata a piano terra.  Il  sottosuolo  era riservato per il grande focolare, il primo perimetro , per la cottura delle pietre calcaree . Il piano superiore, per la cottura delle tegole, i mattoni, le mattonelle.  In seguito, le anfore, vasi, ed alti oggetti ad esempio  le lampade ad olio, molto utilizzate  nel periodo  della guerra  e specialmente nel periodo dei bombardamenti del luglio  e agosto 1943.  I  focolari, erano alimentati  con parecchie tonnellate di legno proveniente dalle nostre foreste comunali  ed anche da foreste private. 

DA  DOVE  PROVENIVANO  LE  PIETRE  A  CALCE ?        

La cava delle pietre a calce, si trovava  sul versante  Nord  dei Monti Peloritani parecchi kilometri dopo  il comune  di Santa Domenica Vittoria.
   Nella mia giovinezza, ho avuto una sola volta di visitarla in compagnia di un conoscente e  concittadino carrettiere , offrendomi un passaggio.  Preciso che questo signore, faceva il trasporto  di materiale edile. Non mi ricordo il nome  di  questa contrada ;  mi ricordo solamente che durante il tragitto , ho potuto ammirare  il magnifico paesaggio, ma anche  i lavori dei campi  eseguiti dai nostri bravi contadini.
  L’ estrazione delle pietre, era un lavoro molto faticoso e soprattutto pericoloso per  gli operai.  I mezzi  meccanici moderni non esistevano.   Tutto era eseguito con la forza delle loro braccia, a colpi di mazza , picco ed altri rudimentari arnesi per potere spaccare le grosse rocce, ottenendo cosi’ il volume desiderato. 
     Il trasporto  era eseguito con l’aiuto dei carretti  trainati dai muli e per i piu’ ricchi, dai cavalli.    Moltissime  famiglie di carrettieri della nostra città eseguivano il trasporto di   questo materiale, approvvigionando i proprietari delle fornaci.
   I carrettieri   partivano  nella notte, per ritornare  di buon mattino evitando cosi’ l’afoso calore  dell’ estate.  Il lavoro degli artigiani carrettieri,  era molto impegnativo  e faticoso , anche per gli  animali che in realtà erano  ben nutriti , ben curati  e ben protetti.          

IL LAVORO DELL’ARGILLA                      

  Diversi  proprietari di fornaci,  come avevo accennato prima,  si erano specializzati  nella lavorazione dell’argilla , fabbricando mattoni, mattonelle, anfore, piatti e casseruole, molto usate  dai nostri antenati  per la cottura dei cibi prelibati e gustosi.
  Queste piccole imprese,  erano proprieta’ di parecchie famiglie randazzesi.  Desidero citare  la famiglia  Mazza,  la famiglia  Bordonaro e soprattutto, le numerosissime  famiglie  Arcidiacono.
   Sicuramente,  ne esistevano altre , ma onestamente non ho mai avuto l’occasione di conoscerle.
   Per quanto concerna la famiglia Arcidiacono,  ho conosciuto i due fratelli , Luigi  e Battista,  intimi amici musicisti, che per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo, all’epoca in cui era diretto dal Maestro Lilio Narduzzi e sovvenzionato dal Comune di Randazzo e soprattutto con l’aiuto e la contribuzione degli abitanti  molto fieri del loro  complesso.
  Parlerò  di Battista Arcidiacono  nelle prossime pagine. 
   La  nostra argilla, era estratta  nel piano della Gurrida.  All’epoca, questo terreno , era molto argilloso.  In certe stagioni il fiume Simeto e  Flascio ,  non solamente alimentavano  il lago Gurrida ma anche moltissime superfici adibiti a vigne e ortaggi.  Alimentavano  anche un piccolo corso d’acqua che scorreva  ai piedi del Castello Svevo per finire nel fiume Alcantara. 
   Non posso precisare  il luogo esatto dove l’argilla era prelevata.  Sicuramente all’interno di certe proprietà private ed anche  nei terreni comunali pagando  una tassa.    Questa materia,  era trasportata con i carretti a Randazzo e depositata  sul luogo  di  lavoro.  Ma, prima di usarla, necessitava una lunga preparazione.  Depositata al suolo ed al sole per moltissimi  giorni l’ argilla  si riduceva cosi’ in finissima polvere.  In seguito, era depositata in un grande bacino dove era mescolata e dosata con una qualità di terra che ogn’uno di loro, conosceva il segreto ed il dosaggio.
   Il lavoro più faticoso, era quando tutta questa materia doveva essere mescolata, umidificata e pigiata da parecchi operai con la forza dei loro piedi e delle gambe, ottenendo così una materia  omogenea , malleabile e pronta per la lavorazione . 
   Gli artigiani, lavoravano a cielo aperto. Moltissime erano le donne, figlie di artigiani adibiti a questo lavoro. Sopra i loro banchi di lavoro ,confezionati in legno  oppure  con  i mattoni,  avevano  parecchi telai  in legno duro molto  resistente  all’umidità; per le tegole  di forma  trapezoidale, per  i mattoni  rettangolari, per le mattonelle in terra cotta,  i telai erano quadrati  a secondo la superfice richiesta dai clienti.  
   Per la confezione delle tegole, l’argilla era  spalmata  con le mani, livellata con una piccola regola nel suo apposito telaio, e dopo averla uscita dal telaio con l’aiuto di una piccola cordicella, era depositata sopra una forma  semi rotonda, e impermeabilizzata  con  un impasto liquido a base di argilla e depositata al suolo e al sole  per molti giorni ; in seguito all’interno della fornace  per la cottura.  Così per i mattoni ed altri oggetti.
   Giovane apprendista falegname, ho avuto parecchie occasioni di costruire molti di questi telai. Da ragazzino, vedevo lavorare molte donne ed anche uomini con una enorme rapidità. Questo lavoro era molto impegnativo ; per proteggersi dal sole, specialmente nei mesi estivi,  il loro capo era coperto  con un cappello di paglia oppure con l’aiuto di un grande fazzoletto .
Gli uomini, erano vestiti   con un semplice  pantaloncino, talvolta torso nudo  e con i piedi scalzi,  molto allegri,   fieri della loro arte e del loro sapere.      

COME  LE FORNACI ERANO PREPARATE ?     

Maestro Pippo Madè

   Il  primo  lavoro,  consisteva  allo sgombero  delle  scorie del grande focolare situato  nel piano inferiore ed alla pulitura  del perimetro interno .  Le pietre a calce, erano squadrate  con colpi di martello e mazza ;  parecchi  muri a secco erano costruiti  all’interno , occupando  cosi’ la  prima parte inferiore.  Le  tegole  , le  anfore , i grandi vasi ed altre  oggetti  da fare cuocere, erano situati sulla parte superiore.
   L’ entrata  veniva murata,  lasciando  semplicemente  un’ apertura  per  l’alimentazione del focolare   con piccoli  tronchi  d’alberi , truccioli ed anche  con enormi  mazzi di legno secco  di poco  valore , usato  generalmente per questo  lavoro.
   Il  focolare  acceso,  la fornace  doveva  essere  alimentata  e soprattutto  sorvegliata  giorno  e  notte  per  parecchi  giorni.   Talvolta,  e questo dipendeva  della quantità del materiale  da cuocere,  circa una settimana. 
  Nel periodo della mia giovinezza,  ho avuto molte occasioni  di percorrere di notte in compagnia di  mio padre  Giuseppe  e mio  nonno paterno  Carmine Venezia , mugnai di professione, la strada  che partiva   dal  vecchio mulino di Citta’ Vecchia, e che conduceva  verso la chiesetta del Signore  della Pieta’,  soffermandomi  vicino a queste  fornaci , per ammirare le fiamme che sgorgavano dal focolare  e della ciminiera ,  creando  cosi un  gioco  d’ artifizio , sviluppando  non solamente  un  grande  calore ,  ma  anche  un fumo  molto  denso ,  soffocante ,  rendendo  ancora più faticoso  il lavoro  degli operai .
   Durante  la cottura  della calce, le fornaci  erano  soggetti  ai cambiamenti  atmosferici ;  un  giorno,   parlando  con il Signor  Bordonaro,  proprietario  di questa  grande  fornace  situata in questi  paraggi ,  mi spiegò che  un cambiamento  atmosferico  durante  la cottura , poteva  influenzare  sulla durata del  fuoco.  Non posso precisare quanti gradi erano necessari per ottenere una eccellente qualità di calce ; forse  circa  900 gradi .
   Questi talentuosi artigiani pieni di esperienza e di maestria, conoscevano il momento in cui la fornace doveva essere spenta.  Talvolta, una settimana di tempo era necessaria per raffreddare l’insieme di questa piramide, e accedere all’interno recuperando   tutto il materiale  il quale era venduto a tutti gli artigiani edili  ed anche ai privati  per la costruzione e la copertura delle nostre  vecchie e moderne dimore.
Per la preparazione delle pietre a calce, i nostri artigiani muratori usavano un metodo molto semplice ;  creavano  un piccolo bacino di una profondità desiderata e secondo la quantità di calce da fare sciogliere.
  La  pietra a calce  già cotta, veniva depositata nel fondo di questo bacino e ricoperta con molta acqua. La calce al contatto con l’acqua, si scioglieva, sviluppando  un forte calore che talvolta al contatto della pelle  e del corpo, causava moltissime ustioni.
   Dalla calce sciolta,  qualche giorno dopo , si otteneva una materia  bianchissima e cremosa, la quale mescolata con la sabbia dell’Etna e con una certa dose di acqua,  ottenevano così un impasto per la costruzione  dei muri in pietra lavica ma anche per costruire case ed altre opere.    Serviva  anche per imbiancare  i muri e le pareti . 
   Possiamo anche dire, che tutte le costruzioni  della nostra vecchia Citta’, sono state eseguite e realizzate con questi materiali.  Voglio precisare un dettaglio molto importante ; nei  secoli  passati, la calce prodotta  dai nostri artigiani, era molto usata da tutti gli artisti frescanti , specializzati  nelle esecuzioni  degli affreschi.
   Ma, prima di usarla, ciascuno di loro, aveva il loro segreto di conservazione. 
   Moltissimi artisti di grande nome, conservavano la calce all’interno delle botti di legno per circa  venti anni cioè conservata per le future generazioni ;  per i  loro figli ed anche per i nipoti. 
   Non sono capace  di spiegarvi  l’effetto e la reazione chimica  di questa materia , dopo molti anni  di conservazione, posso invece affermarvi,  che questo metodo è esistito.  Onore  ai nostri artisti del passato , i quali  ci permettono di ammirare gli affreschi  e capolavori  dopo molti secoli passati.
  Molte cose si potrebbero scrivere  concernante la preparazione di questi  lavori ; ma il soggetto  è troppo importante.
Nelle precedenti  pagine,  avevo accennato   il cognome  delle famiglie  Arcidiacono.  Mi  permetto ancora di parlare  di Battista  e Luigi ;  due fratelli  che pur essendo specialisti dei lavori in terracotta erano anche due eccellenti  musicisti.
  Per molti anni, hanno fatto parte  del Corpo Musicale di Randazzo ; prima sotto la direzione del Maestro  Marrone , dopo sotto la direzione del  nostro  talentuoso maestro  Lilio  Narduzzi , deceduto a Roma  molti anni indietro.
  Ho avuto  l’onore  di averli  frequentato  dal  1950 al gennaio 1957  facendo parte  anch’io  di questo  prestigioso Complesso musicale  molto  amato da noi Randazzesi . 
  Mi  ricordo , che  tutte le domeniche  e nei giorni festivi  nel periodo  estivo,  i  cittadini   potevano assistere   e  ascoltare nelle piazze  comunali  concerti  di musica  lirica e non solo.
   Colgo  l’occasione  per ricordare un artista  dimenticato da noi randazzesi , deceduto
 a Milano qualche decennio  indietro: Battista  Arcidiacono ,  da  giovane,  a parte le sue qualità artigianali,   possedeva  una   eccezionale  dote musicale . Primo  Trombone  solista  del  Corpo musicale  sotto la direzione  del Maestro  Lilio  Narduzzi . Battista,  era sempre  alla ricerca della  perfezione , dei coloriti  e  della  raffinatezza  musicale. 
   Una  sera,  , i componenti  del  Complesso , eravamo  riuniti  nella sala del Concerto  della  Via San Giacomo per la  ripetizione  generale  di una romanza  dell’opera  Rigoletto  di Giuseppe Verdi . Il  maestro  Narduzzi  con la sua  bacchetta , chiama con un segno il primo  trombone solista !    La risposta  è stata  più che negativa !  nessun  suono.  Battista, invece di suonare,  si é messo a cantare  la romanza  mettendo un po’ in collera  il maestro ; ma dopo qualche secondo,  la collera si è  trasformata  in un grande sorriso paterno  facendo  anche ridere  tutti i componenti del Corpo  musicale.  Battista, possedeva una bella voce  ,un  orecchio  più che perfetto  sempre alla ricerca della  sensibilità  musicale.
La sua esecuzione  della Cavatina di Figaro del  Barbiere di Siviglia  era  eccezionale ;  un vero delizio per  gli  appassionati della musica lirica.  
Come  moltissimi  randazzesi,  nel periodo   del  1960  è partito per Milano, continuando  a perfezionarsi  nella storia musicale . Mi  è stato riferito  che dirigeva  un complesso  musicale, dedicandosi  anche  alla composizione.
    Ho avuto l’ occasione di rivederlo a Randazzo nel periodo estivo con il complesso  Marotta  presentando  prima dell’esecuzione  dell’ opera musicale,  i dettagli  storici  dei grandi compositori  italiani.  
   Tante storie  potrei  scrivere concernente  certi componenti  del vecchio  Corpo Musicale di Randazzo. 
  Non  volendo cambiare i miei  propositi ,  prima di terminare  questo modesto  diario,  desidero  semplicemente  citare  qualche cognome  di  concittadini  , facendo parte del Corpo musicale  negli anni  1950 ed  anche dopo.
   Gaetano  Lazzaro , grande clarinettista,  grande  copista, dotato di una eccezionale calligrafia musicale ,abitava in Piazza San Martino , allievo del Maestro Marrone,  primo clarinetto  A  sotto la direzione del Maestro Narduzzi .  Il  nostro   concittadino è deceduto  a Milano ,      Carmelo  Scalisi ,  primo clarinetto , di professione  ebanista.
   Salvatore  Mendolaro , clarinetto,  di professione calzolaio
   Salvatore  Raciti , primo clarinetto , accompagnato  dal figlio  Mario  Raciti  trombettista. In realtà Mario suonava parecchi strumenti. Voglio  ricordare  ai nostri giovani  randazzesi ,  che il Signor  Salvatore  Raciti , era un grande maestro  scalpellino ; accompagnato  dal figlio Mario,  verso gli  anni 1947  cioè nel dopo guerra,  le dobbiamo  il restauro  del Chiostro , colonne , banchine  e  finestre  del  nostro  Palazzo  Comunale , la  realizzazione  della  scalinata  del  Santuario del Carmine ,  moltissimi  lavori in pietra lavica , e innumerevoli monumenti  funerari . 
   Pietrino  Grasso , anche lui  suonava  il clarino  ed anche  i  saxsofoni . Eccellente  copista sicuramente  negli  archivi  del Complesso  Marotta,  si possono  trovare  ancora  molte  partizioni  musicali  trascritte  dalle  sue  mani.
Per  completare,  voglio accennare  la fine delle nostre  antiche  fornaci. 
   Nel quartiere  di San Giuliano  e nei  pressi della  Via  Carcare,  quasi tutte le fornaci sono state demolite .  Ci sarebbe  da  conservare  e proteggere  ancora qualche fornace più che nascosta e che  sarebbe  dell’ epoca  Araba , non  voglio citarla , per paura  della  demolizione.
Ricordo, la sera  dell’ 11 agosto 2001 in occasione  dell’ inaugurazione  della  Grande  Esposizione in onore  di Federico II , realizzata  dall’artista  siciliano Pippo MADE’   e presentata  all’ interno del Chiostro Municipale dal   Rev.mo Monsignore Santino Spartà Dopo la presentazione di questa  grandiosa esposizione, dei  suoi oggetti preziosi e del suo libro, terminò il suo discorso  accennando  la delicata questione  della  protezione e  della conservazione  dei resti antichi lasciati  per miracolo  in salvo  dopo  i bombardamenti  del  luglio e agosto 1943 . 
   Ascoltai  e  ammirai il coraggio di  questo  eminente religioso , affermando  pubblicamente  che questi,  non sono stati  ne curati  ne apprezzati  da certi cittadini .   Noi  dobbiamo essere fieri  di avere  un religioso intelligente , un uomo di  lettere , dotato di un grande sapere ,  con moltissime buone  idee  non   solamente  al livello amministrativo ,  ma anche  per la protezione dei nostri monumenti,   e per lo sviluppo del turismo locale. 
   Molte volte le sue buone idee non sono state ben seguite ed eseguite da certi dirigenti  della nostra Amministrazione .  La citta’ di Randazzo, ha bisogno di un grande sviluppo economico. Molti giovani  non hanno occupazione . Per rimediare a questa  grande lacuna, male cancerogeno della nostra epoca, due soluzioni esistono ; rilanciare  l’ agricoltura e il turismo.
    Non dimentichiamo  che il nostro territorio, è stato  sempre   una grande zona artigianale e agricola.  Produrre locale, significa creazione di posti di lavoro e impieghi per i nostri giovani , evitando così l’immigrazione  e la separazione dell’unità famigliare. Nelle contrade del nostro Comune, esistono ancora bellissime proprietà agricole con sontuose palazzine antiche di una vera bellezza architetturale inestimabile.
   Ammiro  sempre, il coraggio  dei proprietari, i quali con la forza fisica e mentale, malgrado gli inconvenienti  amministrativi, riescono con molta volontà e gusto,  al restauro,  trasformandoli in  alberghi,   ristoranti  e luoghi di vacanza , creando  qualche posto di lavoro per i nostri giovani .
      Ma, tutti  i cittadini  randazzesi  amano le  nostre antiche costruzioni ?   Trovandomi  molto distante  della mia amata Randazzo, la mia risposta è forse negativa.
   Senza  la forza  e la fede  degli abitanti, un giorno o l’altro , moltissimi vestigi antichi e meno antichi, saranno distrutte .  Non desidero impicciarmi  di certi affari . Ultimo caso , la parte  antica Est  del vecchio palazzetto  Germana’ ; questa piccola particella piu’ che antica,  è rimasta per miracolo in piedi  dopo i disastrosi  bombardamenti del 1943. 
  Da ragazzo,  ho conosciuto il vecchio palazzetto ; potrei anche  descrivere  come era , il pianoterra, era occupato  da parecchie botteghe  di artigiani ; falegnami, barbieri,  stagnini e venditori di buon  vino.
    Era possibile salvarla ?  questa particella, poteva essere inglobata nella nuova costruzione ?  Non essendo un esperto  in questa materia , non posso  rispondere a queste spinose questioni.
 Amici miei randazzesi,  amministratori comunali di tutte le tendenze ,   avete pensato al salvataggio  del nostro vecchio  Convento  di San Giorgio ?   al nostro Convento  dei Frati  Cappuccini ? al nostro rinomato  Collegio  San Basilio ?     volete  che questi monumenti cadono in rovina e dare via libera ai demolitori ?  Sarebbe un gesto ed un atto più che grave .
Il turismo,  si attira  proteggendo le vecchie pietre e non costruendo muri  in cemento  oppure in calcestruzzo . 
Ho avuto  diverse occasioni  di visitare  molte regioni della Francia  con i suoi sublimi antichi villaggi ;  talvolta  abbandonati  a causa delle guerre e delle carestie , oggi  risuscitati  dal  disastro , con la forza  e la volonta’ dei cittadini , ridando vita a queste antiche dimore , attirando molti turisti  e  molto benessere per gli abitanti.
Con la volonta’ e l’aiuto delle numerose associazioni locale,  nei nostri antichi  quartieri, molte cose  si potrebbero imbellire ;  molti abitanti lo fanno, mettendo in valore i lavori in pietra lavica, archi di porte , finestre, balconi ed altre belle cose. 
   Di ritorno nella mia Randazzo,  mi rendo conto  che certe mentalita’ e principi, non cambiano ;  pertanto, l’intelligenza e l’istruzione  esiste . 
  I cittadini randazzesi, possiedono un enorme potenziale  intellettuale , artistico e culturale .  Non dimentichiamo  che  le belle  realizzazioni culturali  , intellettuali  e architettoniche , si possono realizzare con le idee e la volonta’ di tutti gli abitanti , all’infuori  della politica e delle idee politiche.

Ringrazio il  Prof.  Nunziatino  Magro e la sua equipe  di T.G.R.  Televisione  Randazzo ,  il  Signor  Giuseppe Portale per le sue interviste ,  i suoi libri , per i suoi inteventi . Il Signor  Francesco  Rubbino per il suo sito   internet  “Randazzo . Blog” il quale con il suo lavoro  e le sue ricerche , ha onorato  e onora  la  memoria dei nostri  defunti  illustri cittadini ,   ma anche a noi immigrati randazzesi presenti  in tutti i luoghi d’Italia  e  del mondo .
Grazie  Signor Rubbino. Grazie  a tutti  coloro che hanno pubblicato  sui siti internet , e consultati  da noi residenti all’ estero.
   Auguri  a tutti i  cittadini di Randazzo , e che la nostra  Citta’ sia sempre piu’ bella, piu’ prospera, più tranquilla.
  Carmelo Venezia     Beausoleil   Agosto  2019 .                                                                                            

                                                                

Salvatore Rizzeri – La Storia dei Templari

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Grasso Fernando Antonino

http://www.fernandoagrasso.altervista.org/SUGNU_RI_RANNAZZU/Sugnu_ri_Rannazzu.htm

Biblioteca di Randazzo

 

   

            Don Biagio Tringale, responsabile della Casa Salesiana di Randazzoci fa sapere che si sta  “digitalizzando”  la – BIBLIOTECA COLLEGIO SALESIANO SAN BASILIO – e BIBLIOTECA COMUNALE “Don Calogero Virzì, Salesiano”. 

  Si può anche dare la propria adesione al Volontariato per la Biblioteca e collaborare per una migliore riuscita di questa nobile iniziativa.

Chiunque fosse interessato i contatti sono: 
blasiusprof@virgilio.it  oppure  biagio.tringale@tin.it.  “Di tutto di più”.

 Di seguito il link del sito con gli elenchi dei libri che si possono consultare.

               https://biblioteca-randazzo.weebly.com/

 1-elenco_libri_a-d


2-elenco_libri_e-q

Raffigurazioni musicali nella collezione Vagliasindi di Randazzo di Maria Teresa Magro*

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Enzo Maganuco

                                                                                ENZO  MAGANUCO  (1896-1968)

Il 4 febbraio 1968 si è spento a Catania il Professore Enzo Maganuco, figura eminente di umanista che vivrà sempre ne ricordo di quanti lo ebbero come Maestro e come collega.
Enzo Maganuco nacque ad Acate il 10novembre 1896, compì i suoi studi a Genova, dove si laureò in Letteratura Italiana; specializzandosi poi a Firenze in Storia dell’Arte. Insegnò Storia dell’Arte nei licei statali di Catania (Cutelli e Spedalieri)  per molti anni.
In questo periodo pubblicò pregevoli saggi artistici.

Maria Cristina Maganuco

Impegnato nell’insegnamento medio, iniziò l’attività universitaria dopo aver conseguito la docenza nel 1938.
Fu Accademico d’Italia nel 1939.
Gli fu conferito l’incarico di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna presso l’Università di Messina, che mantenne per venti anni; contemporaneamente insegnava presso l’Università di Catania in un primo tempo Storia della Musica e Storia delle Tradizioni Popolari ed in seguito Stria dell’Arte Musulmana e Copta.
Dal 1950 in poi e fine alla fine insegnò Storia dell’Arte Medioevale e Moderna presso l’Istituto di Magistero di Catania.
Suoi argomenti preferiti di ricerca furono i problemi relativi all’Arte Siciliana.
Nel 1962 conseguì anche per questo la Medaglia d’Oro al merito della Cultura e dell’Arte.
Diresse con appassionata cura il Museo Civico del Castello Ursino fino alla morte.
Fra le sue pubblicazioni notevole risonanza ebbero gli studi sui problemi di datazione e sui pittori Pietro Novelli e Giuseppe Paladino.
Grande è il vuoto che Enzo Maganuco ha lasciato nel mondo della Cultura. Particolarmente in quello Siciliano, che aveva trovato in Lui il Maestro sempre aperto ad ogni entusiasmo, sempre pronto ad esaltare la generosità della sua terra di Sicilia.
Egli, irridendo la vita, insegnò ad amarla perché della vita fece intendere i valori eterni e, sprezzante di ogni conformismo sociale, rivelò i veri ideali umani per i quali vale la pena di vivere.

 

                                        Enzo Maganuco

OPERE: 
   –   Lineamenti e motivi di storia dell’arte siciliana, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, 1932
   –   Architettura plateresca e del tardo cinquecento in Sicilia, Catania 1939
   –   Problemi di datazione nell’Architettura Siciliana del Medioevo, Catania 1940
   –   Icòne di Antonello Gagini in Roccella Valdemone, Catania 1939
   –   Cicli di affreschi medioevali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, Catania 1939
   –   Opere d’Arte catanesi inedite o malnote in Catania, Catania aprile 1933
   –   La pittura a Piazza Armerina, Siciliana, agosto 1923
   –   Artigianato e piccole industrie, 1932
   –   Le decorazioni dei carri e delle barche, 1945
   –   Motivi d’Arte Siciliana, 1957
   –   Bibliografia: Salvatore Nicolosi, Enzo Maganuco, in “La Sicilia”, 6 febbraio 1968, p. 3. 

 

 

 

Catania-1930.-A-sinistra-Vitaliano-Brancati-il-fratello-Enzo-Maganuco-Franca-Santangelo-un-amico.-In-basso-Maria-Maganuco-DAmico-Maria-Concetta-Santangelo-Maria-Concetta-DAmico (foto di Maria Cristina Maganuco) ..jpg

                                                                                                               ***

  Enzo Maganuco nella sua attività di critico d’arte ha scritto molti articoli alcuni riprodotti qui di seguito:

 

01-La-Sicilia-4-gennaio-1966 (1) Enzo Maganuco
il pittore Antonino Gandolfo, articolo di Enzo Maganuco, 1933
Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

   Libri:

 

 

 

Alcuni articoli sulla figura umana, professionale, artistica, storica del prof. Enzo Maganuco.

La Sicilia

 

L’amore per la Sicilia

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Quel pendolare

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Cagini e Roccella Valdemone

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

La lucerna

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

 Piccola curiosità raccontata da Santino Camarata.

  Enzo Maganugo era solito venire a Randazzo accompagnato da alcuni dei suoi alunni e scendendo dalla stazione della CircumEtnea saliva lungo il corso Umberto I. Si fermava quasi sempre davanti alla sua parruccheria ad ammirare una colonnina di marmo bianco che Santino aveva collocato nella vetrina  su un piccolo piedistallo. Il negozio allora si trovava quasi all’angolo del corso Umberto I con piazza Municipio.
La colonnina era quello che restava della casa paterna in quanto negli anni cinquanta del novecento era stata completamente distrutta da un incendio. 
La casa si trovava quasi accanto il Castello Svevo dove ora vi è ubicato il Museo Archeologico Vagliasindi .
Osservando con quanto ammirazione il Maganuco guardava la colonnina Santino gli fa la proposta che l’avrebbe regalata al Comune, per metterla nella via degli Archi, se avesse fatto ottenere un finanziamento dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania. 
E così fu. 
Le foto sottostante dimostrano questa piccola e bella curiosità.

 

                                              La vetrina della parruccheria di Santino Camarata.

 

 

 

Randazzo – La casa paterna di Santino Camarata. In fondo si nota la colonnina.

 

Randazzo – La via degli Uffici ora via degli Archi con la vecchia colonnina che è andata distrutta.

 

Randazzo – Via degli Archi, in bella vista la colonnina di Santino Camarata.

 

Randazzo – La colonnina di via degli Archi

     La prossima settimana pubblicheremo alcuni articoli dedicati a Randazzo alla sua Architettura, alla Pittura, alla Miniatura, e al libro di preghiere di Giovannella De Quatris scritte da Enzo Maganuco nella rivista “Panorami di Provincia – Randazzo” . (1937/1938).

 

 

TESTIMONIANZE

 Una figura eccezionale. Dovevo dare con lui un esame ma lui guardava il mio libretto universitario e poi guardava me: ah, lei è di Randazzo! Bene, per giudicarla mi basterà sentire quel che mi dirà del suo paese e come lo dirà.
Naturalmente Randazzo non era nel programma.
Foti Olga

Collegio Salesiano S. Basilio esami  V° Ginnasio 1955 Enzo Maganuco presidente della commissione. Una persona austera che incuteva non soggezione, ma terrore a vederlo. Si dimostrò un’animo gentile e disponibile mettendoci a nostro agio. Ci disse che eravamo fortunati a vivere a Randazzo che, si capiva, amava moltissimo.
Nino Calcagno

Enzo Maganuco era innamorato di Randazzo e ha fatto innamorare anche me, al punto che ,dopo 40 anni di vita nella metropoli ho avuto il coraggio di tornare a vivere qui. Ricordo con quanto amore ci portava in giro per le vie dei vecchi quartieri in compagnia di Don Virzi ,del prof. Edoardo Bonaventura o del prof. Pietro Virgilio. Si entusiasmava nel descrivere i monumenti o le vie come via dell’Agonia a parer suo la strada più bella di Randazzo assieme a via degli Archi . Un uomo non bello in viso ma intelligente, cordiale e semplice. Mi  ha fatto piacere rivedere la sua foto.
Avv. Vittorio Nunzio Zappalà.

Ho conosciuto Enzo Maganuco al Santuario di Valverde nel 1947. Ero lì per gli esercizi spirituali. Lui si aggirava nella chiesa ammirando i dipinti. Il parroco lo chiamò presentandolo come il migliore critico dell’Arte Siciliana. Una persona di gran fascino.
Don Santino Spartà

Enzo Maganuco fu il presidente della commissione degli esami di V° ginnasio nel 1952 al Collegio Salesiano S. Basilio. Una persona che non passava inosservata e lo si incontrava fuori fra le stradine del centro storico.
Avv. Nando Camarata

Si ringrazia Maria Cristina Maganuco per il materiale letterario che ci ha messo a disposizione e la signora Paola Fisauli Appassionata di Arte e Storia di Randazzo che gentilmente ci ha messo in contatto.

         

      

 

 

 

 

Enzo Crimi: la bellezza della Natura – otto articoli inediti.

ENZO  CRIMI

Feudo Vagliasindi

 

Feudo Vagliasindi: 200 anni di storia in un calice di vino

Tra le più rinomate cantine dell’Etna non possiamo non citare Feudo Vagliasindi a Randazzo, la storica villa in stile liberty che si affaccia sul vulcano e i monti Nebrodi.

 
 
 

Gli esterni di Feudo Vagliasindi a Randazzo. Elia Priolo

Quella che ti stiamo per raccontare è una storia di vino, che ha a che fare con il rispetto del territorio, il legame con le proprie radici e l’amore per la conoscenza.
Cosa c’entra tutto questo con il vino, ti chiedi? C’entra, eccome se c’entra! Come scriveva Mario Soldati, il vino lo capisci davvero soltanto quando entri in confidenza con l’ambiente dove è nato, quando vieni a conoscenza della sua storia più genuina e autentica. E noi te la raccontiamo.

Una ricca storia secolare

La storia di Feudo Vagliasindi comincia così ed ha un nome e un cognome: quello del barone Paolo Vagliasindi, per l’appunto.
Siamo nel 1850 e Paolo Vagliasindi dà vita alla prima e originaria azienda agricola produttrice di olio e vini etnei, il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio. Questi pregiati prodotti avranno ben presto successo e non solo nel territorio circostante: sbarcheranno infatti fino ai porti di Genova e di Marsiglia. L’azienda, di ben 60 ettari, è allora conosciuta dai lavoratori agricoli per gli infiniti (e temuti!) filari dei suoi vigneti; un racconto popolare vuole che i contadini implorassero Dio di liberarli dalla fatica di lavorare quei filari.

Dio ne scampi do filagnu do fieu

Da allora sono davvero molte le vicissitudini che riguarderanno il buon nome del barone e di questo posto. Si racconta che, a fine ‘800, una contadina dell’azienda abbia trovato nei terreni del noccioleto un oggetto d’oro. Lo consegnò quindi al barone che, rendendosi conto dell’elevato valore, avviò una campagna di scavo nella zona.
Gli scavi portarono alla luce i resti di una cuba bizantina e vasellame, ceramiche, oggetti d’oro, di bronzo e d’argento, oggi esposti al museo Archeologico Paolo Vagliasindi di Randazzo.
Lo splendore di questa azienda, però, è destinato a svanire con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando Randazzo diventa base del terzo Reich: Feudo Vagliasindi viene assediato dai tedeschi e trasformato in ospedale militare prima e civile poi.
Feudo Vagliasindi ha assistito a tutto questo e ha subìto persino un breve periodo di abbandono, ma oggi si trova in una nuova fase di splendore grazie ai fratelli Paolo e Corrado Vassallo Vagliasindi che hanno dato all’azienda una nuova vita e si sono ripresi cura dei vigneti, degli uliveti e di questa villa che poi, diciamoci la verità, è un importantissimo pezzo di storia.

I vini di Feudo Vagliasindi
Ma parliamo dell’azienda oggi.

La Villa è circondata da 10 ettari di terreno. Non molti in confronto ad un tempo, potrai pensare, ma è da qui che prendono vita i pregiati prodotti dell’azienda, ora come allora: l’olio extravergine d’Oliva da Nocellara Etnea e i Vini Etna Rosso Doc, Etna Rosato DOC, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese e, da quest’anno, Carricante.

L’Etna Rosso DOC è il pezzo forte dell’azienda Vagliasindi. È un vino tra i più pregiati ed è ottenuto dalle due uve autoctone dell’Etna, Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio.
Il suo affinamento? Rigorosamente in botti di rovere francese.

Passiamo ai rosati. L’elegante rosato del Feudo nasce anch’esso dal connubio Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio e viene prodotto tramite la tecnica del salasso. Questa consiste nel prelevare, dalla vasca di macerazione dove si sta preparando un vino rosso, un po’ di mosto il quale verrà vinificato in bianco. Ed ecco la magia: l’Etna Rosato DOC! 

Se sei interessato ad acquistare:  Feudo Vagliasindi Etna Rosato DOC.

Tra i vini dell’azienda troverai pure etichette di 100% Nerello Mascalese e di 100% Nerello Cappuccio. Da sottolineare che Feudo Vagliasindi è una delle poche cantine a vinificare il Nerello Cappuccio in purezza ottenendo magnifici risultati.

Se sei interessato ad acquistare:  Feudo Vagliasindi Nerello Mascalese Terre Siciliane IGP e Feudo Vagliasindi Nerello Cappuccio Terre Siciliane IGT

Potrai assaggiare tutti questi vini prenotando una degustazione con visita dei vigneti, dell’antica cantina e del palmento QUI.

 
 
 

La cultura dell’olio

Cultura dell’olio, questa (quasi) sconosciuta! Dovremmo proprio valorizzarla di più: anche Paolo crede che presto questa possa superare di gran lunga quella del vino. In fondo a permetterlo sarebbe la terra fertile della nostra Etna, dato che è grazie a Lei che cresce sana e forte la Nocellara Etnea, l’ulivo rigoglioso che dà vita all’olio extravergine d’oliva di Feudo Vagliasindi: puro, genuino e che sa di Sicilia. Anzi no, sa proprio di Etna.
L’olio di Nocellara non è solo buono e pregiato, ma è anche benefico per la salute. Proprio così: mantiene giovane il sistema cardiocircolatorio e quello neurologico, protegge la pelle dalle radiazioni solari, è ricco di antiossidanti e antiradicali ed è facile da digerire. Davvero prezioso, oro colato!! 
Se sei interessato ad acquistare : 
   Olio Extravergine d’Oliva Feudo Vagliasindi

Il sogno di un ritorno alla terra

Rispetto per il territorio e legame con la propria terra: sono questi i valori principali dell’azienda Vagliasindi ed è grazie a questi concetti che ogni prodotto riscuote successo.

Il sogno di assistere ad un ritorno alla terra, alla genuinità ed autenticità non lo ritroviamo solo nella scelta di coltivare ulivo biologico e di produrre in purezza il nerello cappuccio, ma è vivo anche nel piccolo orto, anche questo biologico. Da questo pezzo di terra vengono raccolti infatti gran parte degli ingredienti, di prima qualità e rigorosamente di stagione, che rendono speciali i piatti del ristorante del Feudo, nato nel 2010.

 
 
 

Insomma, Feudo Vagliasindi ha proprio tutte le carte giuste per essere la prossima meta che vorrai raggiungere: buon cibo, eccellenti vini, antiche cantine e palmenti, una meravigliosa vista sull’Etna, una piscina immersa nel verde, vigneti ed uliveti… e che dire poi dell’accoglienza? Non puoi che sentirti come a casa della nonna, specie a colazione, quando ad accoglierti ci saranno conserve fatte in casa, yogurt, croissant e squisite torte.

Eh già, proprio come dalla nonna, una nonna di classe che vive in una villa novecentesca.

Raggiungi Feudo Vagliasindi

Indirizzo: Contrada Feudo Sant’Anastasia, Strada provinciale 89 – 95036 Randazzo (CT)

Sito Web: www.feudovagliasindi.it

Shop Online: www.feudoshop.com

Contatti: +39 095 799 1823 – info@feudovagliasindi.it

   Chiara Proietto

Etna 1981

 

 

 

 

     Pino Portale 

 

 

 


 Randazzo Notizie – Febbraio 1983.  

 

 

Vent’anni fa la colata lavica che minacciò Randazzo  

Cominciò verso mezzogiorno e mezzo, con una folata di vento fortissimo. Il balcone, che era socchiuso, si spalancò violentemente, alcuni soprammobili si rovesciarono, eppure non sentii oscillare il suolo, perché mi trovavo in movimento. Seppi soltanto dopo che si era trattato di una violenta scossa di terremoto.
Era il 17 marzo 1981, venti anni fa.

Maristella Dilettoso

Solo nel primo pomeriggio, quando cominciarono i boati, sordi, incessanti, comprendemmo che ‘a Muntagna ci stava dichiarando la guerra. Affluivano già le prime notizie: “Si è aperta una bocca a 1800 metri… a 1500… a 1200… c’è una colata imponente in corso…”. Mentre i boati si facevano più cupi, più frequenti, più snervanti, cominciavamo a diventare tutti più nervosi, a scrutarci in faccia, esprimendo solo con gli occhi la domanda che ci premeva dentro, ed ognuno temeva di formulare: “E se…?”. Ma no, via, l’Etna ci voleva bene, ci aveva sempre risparmiati, per secoli, non avrebbe potuto mai…

Eppure l’inquietudine cresceva in noi, all’imbrunire cominciammo a salire sulle terrazze, sulle alture, per vedere, per capire, ma si era levata la nebbia, e in quella foschia si distingueva solo un rossore diffuso, poi più nulla. Forse non c’era pericolo, magari la lava si era arrestata – l’aveva fatto tante volte in passato – e potevamo tornare alle nostre case. Poi qualcuno disse: “È a un chilometro da Montelaguardia, scende come un fiume!”. E saltò la corrente.

Si seppe in seguito che il magma aveva travolto i tralicci della luce. Prendemmo a girare per il paese sulle auto, c’erano anche alcuni abitanti di Montelaguardia, muti e con gli occhi fissi. Per noi era cominciata veramente la paura.

Quella notte non si dormì, ci si assopiva sfiniti sulle sedie, a intervalli, per svegliarsi di soprassalto, con il cuore sempre più piccolo, si telefonava, si cercavano notizie, si usciva, si rientrava… e intanto – anche questo per fortuna lo sapemmo molto tempo dopo – si stava disponendo di suonare le campane a martello.
Giungevano altre notizie: Montelaguardia era stata risparmiata dal passaggio della colata, ma era rimasta tagliata dal paese; la lava, scendendo come un liquido, vorticoso fiume rosso, aveva attraversato la SS 120, la SP 89. Attraversato si fa per dire, il fronte che aveva tagliato le due arterie misurava dai 1500 metri ai 2 Km. Praticamente, dal lato di Fiumefreddo Randazzo era isolata, se fossimo dovuti scappare, sfollare, si poteva prendere soltanto la direzione di Bronte.
Quel che la lava aveva incontrato sul suo cammino, investendoli, ricoprendoli, erano boschi, terreni, vigneti, oliveti, masserie, villette… anni, secoli di lavoro, spese, sacrifici, una zona fertilissima, amena.
Si pianse molto, dopo, per questo, ma allora si temeva per l’abitato, per le nostre case, ma anche per le nostre chiese, i nostri monumenti, i pochi lasciati in piedi dalle bombe del ’43. E venne l’alba, livida e grigia, si accesero radio e televisori, era strano, seppure con la lava a breve distanza, si ascoltavano i notiziari che giungevano da lontano, che davano i brividi: “Randazzo, il paese che rischia di scomparire, di essere cancellato…” esordì la radio quella mattina. Ci trovavamo sospesi, nessuno pensò alle incombenze quotidiane, stavamo vivendo l’eccezionalità, qualcuno già aveva lasciato il paese, raffazzonando alla meglio qualche oggetto di valore, qualche indumento, qualche ricordo, altri vagavano per il paese su macchine cariche all’inverosimile, senza decidersi.
Erano arrivati i mezzi della protezione civile, dell’Esercito, dei Vigili del fuoco, schierati in fila sulle piazze, pronti a caricare e partire, militari e uomini in divisa dappertutto, sembravamo in guerra.

Andammo a vedere la lava: più lenta e solida della sera prima, superata ormai la fase parossistica, avvicinandosi si sentiva un rumore metallico, agghiacciante, e un odore acre e soffocante di zolfo, l’odore dell’Inferno. Mi ritrovai di fronte ad una sorta di muraglia nera e rosseggiante, orribile.

La tranquillità per il nostro tormentato paese era di là da venire. Quella sera del 18 marzo un’altra bocca prese ad alimentare una nuova colata, che questa volta scendeva diritta verso Randazzo, ci salvò solo il fatto che la prima furia del vulcano s’era ormai esaurita.
La mattina del 19, l’inclemenza del tempo portò anche una nevicata, mentre ai militari, ai soccorsi, si aggiungevano ora liete comitive di gitanti, brigate di curiosi: c’erano compagnie di ragazzi che, a pochi metri dalla lava, cantavano allegramente tenendosi per mano, qualcuno pensò pure di allestire una grigliata, mettendo ad arrostire le salsicce sul magma incandescente, buscandosi un’esemplare quanto memorabile intossicazione.

In paese, invece, quella sera ci si ricordò dei Santi. Già il pensiero era andato alla Madonna – la leggenda, come ricordato dall’affresco della Madonna del Pileri, dalla tavoletta di Girolamo Alibrandi, e dalla statuetta marmorea posta sulla porta di mezzogiorno della Basilica di S. Maria, voleva Randazzo edificata su sette strati di lava, ma comunque salvata più volte dall’intervento della Vergine, nel 254 forse (?), di sicuro nel 1536, 1614, 1624 – ma era la ricorrenza del compatrono S. Giuseppe, e la gente uscì in processione e in preghiera, con le fiaccole, fino al punto in cui era giunto il fronte lavico.

L’eruzione andò a rallentare nei giorni successivi, fino a esaurirsi e fermarsi, il 23 marzo.

Restò una nera muraglia, altissima e minacciosa, una distesa immensa di sciara, ancora calda, sotto la quale erano rimasti sepolti per sempre 740 ettari di terreno, di case; da quella distesa si levò, dopo qualche mese, alle prime piogge, una densissima nebbia e un pungente odore di zolfo.

L’economia del paese era in ginocchio, eppure i randazzesi cominciarono a leccarsi le ferite, a ristabilire e delimitare le antiche proprietà, irriconoscibili ormai, a trasportarvi terra, senza attendere che il suolo ridiventasse fertile – si dice che, perché la sciara torni a produrre, ci vogliono 500 anni! – hanno dissodato, piantato, seminato, si sono riappropriati della loro terra, sottraendola alla lava, chiesero aiuti e sussidi, non sempre ottenendoli, per ricostruire, per tornare a vivere, perché il ciclo della vita deve continuare. A un anno da quei tragici eventi, sulla collinetta di S. Pietro fu posta una statua di S. Giuseppe, interamente sbozzata in pietra lavica (!) dallo scultore Gaetano Arrigo, una statua che sembra guardare dritto verso il vulcano. Sul basamento poche semplici parole:

Nei giorni della prova, come allora, proteggici”.

Venti anni sono passati, eppure da quel giorno i miei rapporti con l’Etna si sono incrinati, anche quelli dei miei concittadini, credo. Fino allora c’era stato un rapporto reciproco amore-odio, si era sempre creduto, o sperato, che a Muntagna, madre provvida e matrigna nefasta al tempo stesso, mai avrebbe fatto sul serio, che si sarebbe limitata tutt’al più a qualche scossa, un pennacchio, una fumata, una spolverata di ginisi ogni tanto, giusto per imbrattare i panni stesi e sporcare le vie, ma avrebbe mantenuto le colate sempre ad alta quota. Ora che il nostro termostato s’è alterato, da quel fatidico 17 marzo di venti anni fa, anche se l’abitato non fu provvidenzialmente colpito, ogni fenomeno eruttivo ci allarma, ed i nostri sonni non sono più tranquilli come un tempo.

Maristella Dilettoso
(Gazzettino di Giarre, n. 10 del 17 marzo 2001)

 

A 40 anni dall’evento, ti raccontiamo gli attimi di quella spettacolare e spaventosa eruzione dell’Etna che per giorni tenne tutti col fiato sospeso. Ecco per te, i racconti degli abitanti di Randazzo.

                                                          

 

                      Eruzione Etna marzo 1981: 40 anni dopo che “Idda” minacciò Randazzo                                                                           

 

Chi c’era lo sa cosa vuol dire restare impotenti davanti alla furia della nostra Etna; chi non c’era, come me e tutto lo staff di Tripnacria, può solo immaginarlo grazie a racconti da brivido.
Siamo sicuri che queste storie l’avrai sentite anche tu, ma noi vogliamo fartele raccontare da chi quei fatti li ha vissuti in prima linea, dai nostri genitori, zii, nonni e compaesani randazzesi.

Leggi un po’ questa storia!

17 marzo 1981

Una nuova alba dà colore al cielo di Randazzo. La primavera è alle porte e tutti gli abitanti si impegnano nelle loro faccende in una giornata qualunque di fine inverno, inconsapevoli di tutto ciò che sta per accadere.
La signora Concetta si alza presto al mattino, stende i panni e canticchia una canzone. Non inizia mai la giornata senza aver dato un’occhiata alla sua Etna, che da un po’ sembra volersi far notare.
“Si sa” – pensa fra sé e sé – “le donne amano essere al centro dell’attenzione di tanto in tanto!”
Rosaria, che abita a Passopisciaro, sta invece andando in stazione, deve prendere la littorina per andare a scuola a Randazzo. La scuola la odia proprio; ama invece il tragitto che la porta fino a lì. E come darle torto: l’Etna sullo sfondo e un trenino che corre lento attraversando vigneti e tanta vegetazione è un’immagine di sicuro più piacevole di una lezione incomprensibile di matematica!
Giuseppe, uomo devoto alla sua terra, va come ogni mattina al suo piccolo pezzo di terreno. La vigna e gli ulivi sono la sua vita. È impossibile per un uomo, ormai in pensione, starsene a casa con le mani in mano.

 

Eruzione Etna 1981 Randazzo, Eruzioni dell'Etna

                                                                             Eruzione Etna marzo1981- Randazzo


La campagna è il suo luogo d’evasione bucolica.
Ma qualcosa silenziosamente sta per abbattersi a pochi passi dal paese: l’Etna comincia ad avvertire tutti della sua incombente furia con tremori e scosse, inizialmente impercettibili agli abitanti.
Ore 11:30 circa. Ecco la prima scossa. Boati, tremori ed una cappa di fumo nero avvolge la montagna, ma questo non desta particolare preoccupazione: i randazzesi lo sanno che vivono sotto un vulcano e l’Etna non è mai stata un pericolo per loro. Qualcuno, però, presto inizia a provare strane sensazioni: i boati si intensificano e dei venti hanno cominciato a soffiare forte, come a presagire un terribile evento. Che succede?
Una folata di vento fortissima, verso le 12.30, scosse impetuosamente gli alberi e fece cadere tanti piccoli oggetti posati sui mobili.
Ore 13:37. Nancy viaggia sulla littorina di ritorno verso casa. Ma quel giorno il suo solito tragitto non è tranquillo come gli altri.

Andavo alle Magistrali e viaggiavo sulla Circumetnea. Ricordo il rombo dell’Etna che superava lo sferragliare del trenino e incuteva terrore.
Ore 18 circa. È adesso che la paura ha la meglio su tutti, quando l’eruzione vera e propria ha inizio. Si aprono bocche a 2.500 e a 1.900 metri e da quota 1.500 l’Etna sputa fuori un fiume di lava così fluido e veloce da ricoprire enormi distanze in pochissimo tempo. È inevitabile (ed anche comprensibile): i randazzesi si allarmano e alla paura si aggiungono panico e apprensione mentre girano le prime notizie.

Tra i boati cupi, incessanti, e quel bagliore rossastro nel cielo, cominciavano ad arrivare notizie concitate: “è ‘a Muntagna!”, “Si è aperta una bocca nuova, un’altra, un’altra ancora a quota 1200 m.”, “La lava scende velocissima, sembra un fiume rosso.”

 

                                                           La colata lavica raggiunge i terreni. Foto di repertorio dal web

Tutti scendono per le strade, ammirando – con spavento e meraviglia – l’essenza furiosa della loro Etna. Il sindaco e l’amministrazione iniziano a pensare ad uno sfollamento del paese.

     Ricordo il macigno sul cuore quando ci dissero che Randazzo doveva essere pronta all’evacuazione e che “a chiazza”, il salotto della mia cittadina, poteva sparire sotto il fiume incandescente della lava. Ricordo le mie lacrime e la grande fiducia di mio padre che mi ripeteva che la Madonna e San Giuseppe, in Paradiso, erano alla ricerca di Gesù per chiedere il suo intervento miracoloso. Ricordo il cielo fumoso e l’odore di zolfo sulle nostre teste e i militari dappertutto.

Montelaguardia è il primo centro abitato ad essere travolto dal terrore di una ipotetica distruzione, ma per un pelo è salvo. Una piccola montagnola, infatti, ha deviato il corso di lava verso il fiume Alcantara salvandolo. Molte ville, case di campagna e terreni tuttavia sono distrutti; solo pochissimi beni e costruzioni, frutto dei sacrifici di una vita intera, riescono ad essere salvati in tempo sulla SS 120.
La disperazione di chi sta perdendo tutto è immensa.
Mio zio, saputo della perdita del suo terreno con all’interno una bella casa, ebbe una febbre altissima per molti giorni e passò un periodo che somigliava alla depressione molto lungo.

 

La notte di certo non trascorre meno terribile del giorno. Qualcuno dalla paura non chiude occhio fino a quando non sorge il sole, pensando al peggio.
Fu una notte di paura, nessuno andò a dormire, si restò in piedi, sulle sedie, coi vestiti addosso, finché di prima mattina qualcuno accese la radio.
Il Giornale Radio diceva: “Randazzo, il paese che sta rischiando di venire sepolto dalla lava…” e qui le lacrime partirono da sole.

18 Marzo 1981

Ore 10:30 circa. Il giorno seguente, alle notizie di certo non rassicuranti dei media, un gruppo di fedeli si raccoglie in preghiera, ma proprio in questo momento una seconda colata lavica prende piede da 1150 metri, anche lei minacciando Randazzo e scorrendo verso la zona del Cimitero Comunale.
Randazzo è adesso in una morsa di fuoco dalla quale sembra impossibile scappare; la strada statale è già stata bloccata e con essa anche i binari della ferrovia circumetnea. Forze dell’ordine, vigili del fuoco e militari tutti si mobilitano per venire in soccorso; la gente impaurita non sa cosa fare né tanto meno dove rifugiarsi. Fortunatamente, la seconda colata è meno fluida e veloce della prima. Nel frattempo gli abitanti trovarono la forza ed il coraggio di andare a vedere con i propri occhi cosa sta accadendo.
Il 18 la vidi, la lava, in contrada Arena: si muoveva più lenta, con un rumore ferrigno, agghiacciante, era altissima ed emanava un forte odore di zolfo che mi fece pensare subito all’inferno.
Tra gli spettatori c’è anche qualche stolto che “regala” alla lava quello che non si è portata via di sua iniziativa.
Io andai a vedere la lava più da vicino con i miei genitori ed altri parenti: la lava rotolava e si sentiva una forte puzza di zolfo. I meno previdenti lasciarono l’auto parcheggiata lungo quello che sarebbe stato il percorso della lava; le macchine furono inevitabilmente travolte. Molta altra gente arrivò da fuori e ricordo che qualcuno intelligentemente venne ad arrostirsi la salsiccia sulla lava finendo in ospedale.

 

                                                                     La colata lavica presso Randazzo. Foto di repertorio dal web

19 Marzo 1981

Gli abitanti, sempre più impauriti, ricorrono ad una seconda preghiera. Portano in processione la statua di San Giuseppe, oggi santo patrono, per le vie del paese. Ad un tratto il cielo inizia a piovere nevischio ed una lieta notizia inizia a spargersi: la lava ha rallentato la sua corsa e si è quasi fermata a pochi passi dalle prime case del paese! Forse la natura, forse qualcosa di divino ha mandato questi candidi fiocchi di neve come a spegnere il fuoco altrimenti inarrestabile. E la gioia vince sul dramma.
Adesso la lava avanzava appena, in prossimità di case sulle quali nessuno allora avrebbe scommesso, mentre cadevano i fiocchi di neve… E il resto lo sappiamo tutti, ma confesso una cosa: da quel momento in poi il mio rapporto con la Montagna si è guastato, irrimediabilmente.

 

                                                                          Le case distrutte dalla colata lavica a Randazzo

 

Da quel giorno l’Etna non si è di certo fermata.
È un vulcano e come tale continua periodicamente a riempire i nostri occhi di stupore e meraviglia.

Quel che è sicuro è che il rapporto con Lei per molti degli abitanti è cambiato radicalmente: al sentimento di devozione si è aggiunto anche quello di timore e di rispetto, come verso ad una madre severa, ma giusta.
Nessuno ad oggi può dimenticare quegli attimi drammatici e inimmaginabili.

L’Etna intanto è ancora lì, austera e potente, con la sua cima che sembra sfiorare il cielo e la sciara nera ai suoi piedi.
Lei, che è inferno e paradiso insieme, che ha dimostrato ancora una volta a tutti gli uomini che la natura dona e toglie, che è benevola e tempestosa, che nella sua apparente contraddizione non smette mai di affascinarci.

Lei che in fondo si ama sempre e si odia talvolta, o meglio, si teme.

Noi di Tripnacria vogliamo ringraziare tutti gli abitanti di Randazzo che ci hanno raccontato sui social le memorie di quei terribili giorni, in giorni altrettanto difficili come quelli durante l’epidemia da Coronavirus.

Un grazie particolare ai miei genitori Rosaria e Antonio, alla mia zia lontana Silvana, a Nino, Nancy, Maristella, Rosa, Valeria, Antonio, Manuela, Enrico, Antonino, Concetta, Giuseppe e a tutti coloro che ci hanno regalato i loro racconti.

Chiara Proietto

Scalisi Giuseppe

       

                                  Il sottotenente GIUSEPPE SCALISI nasce a Randazzo il 18 maggio 1921 da Salvatore Scalisi e Venera Gangi.
All’anagrafe risulta nato il 22 maggio 1921. A quei tempi i bambini nascevano in casa e la data di nascita ufficiale era quella del giorno in cui il padre si presentava in comune, accompagnato da due testimoni, per denunciare il lieto evento.

Giuseppe Scalisi è il primogenito dei cinque figli avuti da Scalisi Salvatore e Gangi Venera.

I suoi quattro fratelli sono:

Il dr Nunziato, nato nel 1923. Deceduto.

Angelo, nato nel 1925. Deceduto.

Gaetano, nato nel 1927. Deceduto.

Il prof. Mario, nato nel 1941. Vivente. 

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania.
Giuseppe Scalisi viene reclutato il 10 febbraio 1941 e assegnato al 4° artiglieria di Mantova, dove ricopre il grado di soldato scelto, quindi di caporale e, infine, di sergente.

Il 4 settembre 1941 è ammesso alla Regia Accademia di Artiglieria e Genio per frequentare il corso biennale in territorio dichiarato in stato di guerra.
Per tale motivo, il 19 gennaio 1943, la Regia Accademia si trasferisce a Lucca dove l’8 aprile 1943, conclude il corso col grado di sottotenente di artiglieria.

 

Rodi: il sottotenente Giuseppe Scalisi è quello sdraiato a terra con la giacca della divisa chiara.

 

Il 26 luglio 1943 il sottotenente Giuseppe Scalisi è assegnato al Deposito misto delle truppe destinate alle Isole Italiane dell’Egeo (il così detto Dodecaneso) e il 2 agosto 1943 è trasferito, via aerea, a Rodi e assegnato al 56° di artiglieria, operante in territorio dichiarato in stato di guerra.
L’8 settembre 1943 viene reso noto l’armistizio sottoscritto, a Cassibile , dall’Italia con gli anglo americani il giorno 3 dello stesso mese.

Il 12 settembre 1943 scatta la ritorsione dei Tedeschi. Probabilmente seppero prima dei comandi militari italiani che l’Italia aveva  sottoscritto l’armistizio con gli anglo americani.

Il sottotenente Giuseppe Scalisi è catturato e internato in Germania.

La notizia dell’internamento in un campo di detenzione giunge alla famiglia insieme all’informazione che il sottotenente, essendo un ufficiale, non poteva svolgere lavori, così come previsto dall’articolo 27 della convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929. Conseguentemente incontrava difficoltà per integrare l’alimentazione standard stabilita dai Tedeschi e per meglio gestire il vestiario avuto in dotazione.

Il padre del sottotenente, Scalisi Salvatore, era stato istruttore di cavalleria nella celebre scuola di Pinerolo, nei pressi di Torino. Durante la prima guerra mondiale come cavalleggero partecipò alla lunga guerra di trincea contro gli Austriaci.
Suo generale era il conte Paolo Rignon. Durante uno dei tanti attacchi contro le truppe austriache il generale Rignon fu colpito da un tiro di mitraglia. Scalisi Salvatore e un altro randazzese lo sollevarono e lo portarono a braccia dietro la linea di combattimento.
Non appena guarito il generale volle sapere chi gli aveva salvato la vita. In segno di gratitudine propose ai due randazzesi di restare a Torino e offrì loro delle azioni del canale Cavour.
I due ringraziarono per la riconoscenza e per la generosità loro dimostrata dal conte, ma preferirono rientrare a Randazzo dove i loro padri li attendevano per avere aiuto nell’ attività agricola.

Nel 1943 la Sicilia era occupata dagli Anglo Americani mentre il resto dell’Italia era sotto il controllo delle truppe tedesche. Scalisi Salvatore riuscì comunque a mettersi in contatto col conte Paolo Rignon. Da Torino egli trovò il modo per far pervenire a suo figlio Giuseppe  rinchiuso nel campo di detenzione, pacchi viveri e di vestiario.

Il 29 luglio   1945, liberato dagli  Inglesi, il sottotenente rientra in Italia e si presenta al centro alloggi di Verona.
Il centro alloggi, per la precisione, si trovava a Pescantina, poco fuori Verona nella direzione della strada che porta nel Brennero. Da lì arrivavano i prigionieri detenuti nei campi di concentramento nazisti, man mano che venivano liberati. Il centro, organizzato da volontari e volontarie che vi prestavano la loro opera, chiamati dagli stessi reduci “angeli di Pescantina”, costituiva il primo centro in cui i reduci trovavano cure, assistenza e conforto.
In un secondo tempo prestarono assistenza anche la Croce Rossa Italiana e la Pontificia Opera di Assistenza.

Il 12 agosto 1945:Giuseppe Scalisi si presentata al Distretto militare di Catania ed è inviato in licenza di rimpatrio di gg. 90.

Il 15 gennaio 1946 è riammesso in servizio e destinato alla scuola di artiglieria di Bracciano.

 

Palermo: Giuseppe Scalisi e Antonio Fisauli

Il 30 luglio   1946 è trasferito al 22° Reggimento della Divisione sicurezza interna “Aosta” a Palermo.

Il 31 agosto 1946 è trasferito al 6° Reggimento di fanteria della neo costituita brigata di fanteria “Aosta”.

Il 2 ottobre 1946 è comandato a prestare servizio presso la commissione recupero materiali delle FF.AA. per l’impiego bellico d’arma.

Il 15 aprile 1947 è trasferito al Gruppo di artiglieria “Aosta”.

Il 19 maggio 1947 muore a Pantelleria a causa dello scoppio del deposito ordigni bellici recuperati.

Furono formulate varie ipotesi tese a capire chi o cosa avesse provocato quello scoppio, ma nessuna di esse apparve del tutto convincente.

   a cura di    Mario Scalisi  che saluta tutti gli amici avendo Randazzo sempre nel cuore.

Antonio Mursia: “Una breve nota sui due conventi cappuccini di Randazzo (1544-1650)”

Una_breve_nota_sui_due_conventi_cappucci

Chiesa di San Bartolomeo

 

     

  Di questa chiesa in stile barocco è sconosciuta la data di costruzione. E’ l’unico edificio rimasto di tutto il complesso monastico delle suore di clausura, distrutto dai bombardamenti alleati e da un’ incendio nel 1943.
Fu ricostruita ed ampliata nell’anno 1616, come descrive una lapide sulla porta di levante.
Nel 1844, la chiesa venne ulteriormente rinnovata ed abbellita nel suo interno con stucchi e dorature, tanto da farla ritenere una delle più belle chiese della città.
La chiesa, inoltre, era adorna di quadri, paramenti e suppellettili di pregevole valore artistico, parte dei quali sono ancora conservati nella chiesa di San Martino.
   

 

Chiesa di San Bartolomeo – Randazzo

 

CENNI STORICI SUL MONASTERO

     Era uno dei tre Monasteri di Benedettine presenti a Randazzo. Si ergeva imponente, per la sua posizione sul colle di San Pietro, a pochi metri da detta piazza.
Sappiamo che il nome gli deriva da una chiesetta dedicata al Santo, che esisteva nell’ambito del Monastero; e che fu in seguito diroccata per costruirvi quella attuale.
La notizia più antica e certa riguardante questo monastero, risale al 1575, quando essendo scoppiato il terribile morbo della pestilenza nella città , ed essendone infettato il quartiere di Santa Maria, le monache dell’altro monastero benedettino di San Giorgio, si trasferirono in questo per sfuggire al contagio, rimanendovi fino al 1580; anno in cui l’epidemia cessa.
Nel 1746, l’Arcivescovo di Messina Mons. Moncada, giunge a Randazzo per la consacrazione della Chiesa di San Martino, iniziando le funzioni proprio nella chiesa di questo monastero.
 
 

 

Martirio di San Bartolomeo Apostolo. Chiesa di San Martino – Randazzo


    Nel 1866, a seguito delle leggi eversive sulle corporazioni religiose, anche questo monastero fu soppresso.
Le 18 monache che ancora vi abitavano, ebbero concesso il permesso di rimanervi ad abitare vita natural durante.
Il monastero venne distrutto dalle bombe e da un incendio nel 1943.
Unica a salvarsi fu la Chiesa.
 Una lapide in arenaria posta sulla porta di levante ci fa sapere che essa fu ricostruita ed ampliata nel 1616
su progetto dell’Arch. Francesco Rubino: “ Ars et labor – Francisci Rubini – 1616 “.
Sul Prospetto principale si apre un portale in pietra lavica (1637) di stile classico, delimitato da colonne ioniche poggianti su plinti di media grandezza.
Nel 1844 la chiesa fu ingrandita ed abbellita all’interno con stucchi e dorature.
Negli anni settanta fu sede della Associazione “Amici degli Artisti” fondata da Paolino Lazzaro.
 
  a cura di Lucio Rubbino  

Sciascia Leonardo

                                                 

                                                           Guar­da­re e (ri) sco­pri­re la Si­ci­lia at­tra­ver­so gli scat­ti di Federico De Ro­ber­to

         

  É a Ran­daz­zo, se­con­do Leonardo Scia­scia, che lo scrit­to­re emer­ge come fo­to­gra­fo.
Qui co­glie la pro­spet­ti­va del­le vie «che de­li­nea­no que­sto pae­se nel­l’al­tu­ra», come nel­lo scat­to del­le case di via Fur­na­ri, la Vol­ta di via de­gli Uf­fi­zi o la Por­ta Ara­go­ne­se.
         Tra i se­mi­na­ri or­ga­niz­za­ti per la de­ci­ma edi­zio­ne del Med Pho­to Fest 2018, Ro­sal­ba Gal­va­gno, do­cen­te di cri­ti­ca let­te­ra­ria e let­te­ra­tu­re com­pa­ra­te pres­so il Di­par­ti­men­to di Scien­ze Uma­ni­sti­che, ha ri­co­strui­to un iti­ne­ra­rio in Si­ci­lia at­tra­ver­so lo sguar­do di Fe­de­ri­co De Ro­ber­to, nel­le ve­sti non solo di scrit­to­re ma an­che di fo­to­gra­fo, come te­sti­mo­nia­no gli scat­ti pre­sen­ti nel­la gui­da del­la cit­tà di Ran­daz­zo e la Val­le del­l’Al­can­ta­ra pub­bli­ca­ta nel 1909.

 

1964-Sciascia a Randazzo. foto Ferdinando Scianna.

               
                                   Lo scrit­to­re si  av­vi­ci­na alla fo­to­gra­fia  al­l’in­cir­ca al­l’e­tà di ven­t’an­ni  con una «tec­ni­ca che tra­sfor­ma­va in con­ti­nua­zio­ne la­stre ed obiet­ti­vi».

A cau­sa del­la guer­ra e del bom­bar­da­men­to che di­strus­se il pa­laz­zo pre­sen­te tra la via Et­nea e la via San­t’Eu­plio, di­mo­ra ca­ta­ne­se del­lo scrit­to­re, nes­sun ori­gi­na­le è giun­to a noi. Quel che però emer­ge dal­le po­che im­ma­gi­ni è che «po­ne­va at­ten­zio­ne per rea­liz­za­re ser­vi­zi fo­to­gra­fi­ci per­fet­ti».
Nel­l’ar­ti­co­lo “San Sil­ve­stro da Troi­na” pub­bli­ca­to nel­l’a­go­sto del 1908 su “Let­tu­ra”, men­si­le il­lu­stra­to del Cor­rie­re del­la Sera, De Ro­berto «ri­vi­ve con le pa­ro­le quel­lo che si tro­va nel­le im­ma­gi­ni»: l’e­ven­to del­la pro­ces­sio­ne, un tema ama­to, pre­sen­te an­che in “Ran­daz­zo” e ne “I Vi­ce­ré”, che rien­tra nei ser­vi­zi di cro­na­ca mon­da­na di cui si era oc­cu­pa­to da fo­to­re­por­ter.
       Dal­le let­te­re in­via­te a Cor­ra­do Ric­ci emer­ge il suo in­te­res­se per la Si­ci­lia e i suoi luo­ghi, dal­le cit­tà ai ca­stel­li et­nei, alle iso­le Eo­lie che de­fi­ni­sce «iso­le di Dio».
Un’at­ti­vi­tà che uni­sce ri­pro­du­zio­ne fo­to­gra­fi­ca e re­to­ri­ca, in cui il let­to­re vie­ne gui­da­to at­tra­ver­so uno sguar­do sto­ri­co, este­ti­co e poe­ti­co. De Ro­ber­to fo­to­gra­fa pa­laz­zi, bal­co­ni, co­glie il sen­so del­la con­no­ta­zio­ne fi­si­ca dei luo­ghi, og­get­ti su cui si do­cu­men­ta ac­cu­ra­ta­men­te pri­ma de­gli scat­ti.
É a Ran­daz­zo, se­con­do Scia­scia, che De Ro­ber­to emer­ge come fo­to­gra­fo.
Qui co­glie la pro­spet­ti­va del­le vie «che de­li­nea­no que­sto pae­se nel­l’al­tu­ra», come nel­lo scat­to del­le case di via Fur­na­ri, la Vol­ta di via de­gli Uf­fi­zi o la Por­ta Ara­go­ne­se. Fo­to­gra­fa la Fe­sta del­l’As­sun­ta, il cam­pa­ni­le di San Mar­ti­no, le Bal­ze di San Do­me­ni­co, le fi­ne­stre, come quel­le di via Gra­na­ta­ra, aper­tu­re da cui si af­fac­cia­va­no i so­vra­ni che pas­sa­va­no da Ran­daz­zo, una cit­tà ric­ca di ele­men­ti sto­ri­ci, di cui De Ro­ber­to pro­va a cat­tu­ra­re l’at­mo­sfe­ra sto­ri­ca e me­die­va­le.
Ne emer­ge un iti­ne­ra­rio si­ci­lia­no che ha su­sci­ta­to nel­la mag­gior par­te dei pre­sen­ti la cu­rio­si­tà di vi­si­ta­re, o ri­vi­si­ta­re, la cit­tà di Ran­daz­zo, ma­ga­ri scat­tan­do qual­che fo­to­gra­fia.

 DA­NIE­LA MAR­SA­LA

Ritratto di uno Sciascia inedito e inimmaginabile

 

PIETRANGELO BUTTAFUOCO 

Insegnante alle elementari. Questo è Leonardo Sciascia. A chi cerimoniosamente lo appella “maestro!”, da sornione qual è, risponde: “Ebbene sì; maestro di scuola io sono”.
Diplomato alle magistrali dove insegna Vitaliano Brancati, all’istituto IX Maggio di Caltanissetta – la cittadina siciliana d’entroterra della sua più completa felicità – Sciascia, nato cent’anni fa l’8 gennaio 1921, è il pezzo raro della letteratura europea in ragione della sua unicità: essere davvero un intellettuale e, al contempo, un formidabile artista.
A dispetto dei tanti imbonitori di pistolotti moralistici da festival letterari, Sciascia attraversa il suo tempo accompagnando Sandro Attanasio, l’ispettore di Einaudi che alla guida di una Bianchina furgonata vende libri nei più remoti paesi dell’entroterra di Sicilia.
Anni dopo – portando con sé Gesualdo Bufalino – accompagnerà anche Gianni Giuffrida e Mario Andreose per Bompiani mentre con Elvira Sellerio, dagli uffici di via Siracusa a Palermo, inventa la stagione in assoluto più entusiasmante dell’editoria.
Donna Elvira è una vera “comandiera”. Con lei Sciascia affina il dovere sociale e civile della letteratura, inventa la collana della Memoria, fabbrica l’immaginario di libertà a uso di un’Italia bisognosa sempre più di verità nel diritto e della razionalità fuori dall’ideologia dominante e si ritrova “eretico” rispetto alle tante chiese.
Litiga, infatti, con Renato Guttuso, titolare del mistero comunista; in tema di terrorismo polemizza con Italo Calvino che è potente idolo della Cultura col C maiuscolo; si butta alle spalle l’esperienza di consigliere comunale del Pci a Palermo, quella di parlamentare radicale al fianco di Marco Pannella e dopo aver votato la lista del Garofano, scrive – ma senza iscriversi al partito – a Bettino Craxi.
Col leader del Psi, inviso a tutte le anime belle, Sciascia consuma il trauma definitivo presso il ceto dei colti e sulla questione dolente della giustizia – col simbolo della bilancia ormai sostituito con quello delle manette – rompe l’andazzo forcaiolo al punto di essere 

Pietrangelo Buttafuoco.

tratteggiato da Giorgio Bocca al pari di un avvocaticchio; con la paglietta e l’abito bianco dei Don.
Bocca che riteneva l’Inferno un vasto Sud abitato da diavoli raccontava dunque l’autore de Il Giorno della civetta vestito al modo di una macchietta. E lo vedeva perfino “immerso nei ragionamenti mafiosi”. Antonio Di Grado, già presidente della Fondazione Sciascia, non ha mai dimenticato questo inciampo di Bocca, ma gli è che la Buonanima nei suoi viaggi in Italia cercava solo ciò che voleva trovare, al punto d’inventarsi – in un rigurgito razzista – uno Sciascia con la coppola.
È quello che sul Corriere della Sera pubblica il fondamentale editoriale dal titolo “I Professionisti dell’Antimafia” e la milizia di Leoluca Orlando, il comitato antimafia, sfregia ponendolo addirittura “ai margini della società civile”.
A proposito di coppole, di zii di Sicilia – e d’incontri pericolosi – sembra un racconto di Sciascia l’incontro del Maestro di Regalpetra con Marcello dell’Utri, nientemeno.
In un pomeriggio del 1983 a Milano, il non ancora senatore di Forza Italia si aggira tra gli scaffali quando il proprietario, coccolandolo come merita un cliente spendaccione, gli dice: “Di là c’è Sciascia, lo vuole conoscere?”. Imbarazzato, Dell’Utri dice sì “ma” – si premura ad aggiungere – “non voglio disturbarlo”.
Il libraio fa allora le presentazioni, Sciascia è altrettanto imbarazzato nel far un minimo di conversazione con uno sconosciuto, porge timidamente la mano ma il libraio, molesto assai, dice al maestro: “Questo signore è il dottor Dell’Utri, il braccio destro del dottor Berlusconi…”.
Con un’espressione muta che il palermitano Dell’Utri decifra benissimo, Sciascia si sta interrogando – “e cu è?” – mentre il libraio, inesorabile, continua: “Quello di Canale5!”.
L’illustre letterato in un sussulto rimedia alla gaffe: “Certo, certo, la guardiamo questa televisione”. Il libraio, soddisfatto di avere trovato almeno quest’appiglio prende la copia di Cruciverba, un libro edito dalla Einaudi, e lo porge a Sciascia chiedendogli una dedica per il dottor Dell’Utri. “E cosa scrivo?” domanda lo scrittore facendo una faccia sconfortata ed è lo stesso Dell’Utri a soccorrerlo in quel frangente: “Manco mi conosce, non si può sbilanciare; scriva ‘cordialmente, senza cordialità’; e così non sbaglia”.
La battuta piace così tanto a Sciascia da fargli accendere la parlantina e allo sconosciuto avventore incontrato in libreria racconta di quando, nel 1958, da giovane maestro alle elementari – pur distaccato a Roma al ministero, corrispondente da Caltanissetta per L’Europeo – è incaricato di intervistare Genco Russo, il capo della mafia.
Sciascia si adopera con l’avvocato di Genco Russo per organizzare l’incontro a Mussomeli e così fare l’intervista. Il servizio va a buon fine ma quando sta per prendere congedo dai due ecco che l’avvocato porge a Sciascia una copia fresca di stampa de Gli zii di Sicilia e gli dice: “Firmaci una dedica allo zio Genco”.
Tutto poteva immaginare, Sciascia, eccetto che ritrovarsi a fare una dedica a Genco Russo. Il dio del genio e dell’improvvisazione però gli viene in aiuto. E così scrive: “Allo zio di Sicilia, questo libro contro tutti gli zii”.
In tema di “sicilianizzazione” – il progressivo degrado di una povera nazione qual è l’Italia – nel Giorno della Civetta, uno tra i suoi libri più famosi, Sciascia introduce una efficace locuzione: la linea della palma, emblema della prossimità desertica che come il mercurio di un termometro segnala l’immobilità sociale.
Preso a prestito e a pretesto di cavoli a merenda, con lo sciascismo fuori luogo rispetto alla sua stessa poetica – tutta di asciuttezza e rigore – perfino Sciascia è diventato un genere orecchiato ora in un tribunale, ora in una redazione o, peggio ancora, nelle chiacchiere da talk.

Tra le botole dei luoghi comuni, quella della Sicilia, è una delle più capienti. A ritrovarla, oggi, la copia con dedica a Genco Russo, se ne farebbe un feticcio del mistero di un’isola affollata di metafore ma affacciandosi dalla finestra di casa in contrada Noce, la residenza di campagna in quel di Racalmuto, Sciascia si conferma nell’agio di chi vive e conosce il mondo.
Padrone di se stesso, degli asparagi selvatici e dello specialissimo genius loci dell’impostura – quella dell’abate Vella raccontato nel suo Consiglio d’Egitto – più di ogni altro posto, lì, lui è Nanà XaXa, così come la traslitterazione in lingua araba impone, svelando quel che il suo volto olivastro e il suo sorriso già annunciano.
Prima dell’avvento dell’Islam, Racalmuto – ovvero Rahal-Maut – neppure esisteva. E lui stesso, presentandosi con la tipica aspirazione delle vocali – che risente del linguaggio saraceno di dodici secoli fa – non sa darsi memoria prima dell’Egira.
Sciascia che viene ben dopo Verga e i suoi vinti – e dopo le lenzuola sporche di morte descritte da Tomasi di Lampedusa – capovolge la disperazione cui si assoggetta la sua terra e adotta la luce e la vita sul lutto. La sua stessa tomba, al cimitero del paese, è abbagliante di chiarore e lumi. Composto nel sepolcro con le mani strette a un crocifisso d’argento reclama con Pascal la possibilità di una scommessa: l’eventualità del Cielo.
La Sicilia spagnolissima che s’invera nella lezione di Giuseppe Antonio Borgese, quella della cupa pasta “cervantina e riberesca”, ovvero la follia onirica del Don Chisciotte di Cervantes e il contrappunto buio nelle pitture di De Ribera, arretra rispetto alla sua scelta di modernità.

Alle tenebre dello Spagnoletto, Sciascia contrappone la luminosa santità delle foto di Ferdinando Scianna che gli consentono di affollare nell’Es la disperante solitudine dei suoi siciliani.
Non c’è libro più erotico di Feste religiose in Sicilia e, dunque, non c’è rave più sensuale della Settimana Santa, con gli scatti di Scianna a confermarlo in un’intensa trama di Eros e sacro. In Morte dell’Inquisitore Sciascia decifra nel sacramento della confessione “una escogitazione, per così dire, boccaccesca”.
Lo stesso celibato dei preti è pura astuzia, assicura invulnerabilità nello sconfinare il mondo della femmina velata, ammantata e addobbata di mantiglie quando svela azioni e intenzioni: “Un modo escogitato da una categoria privilegiata, cioè quella dei preti, per godere di libertà sessuale sul terreno altrui, e nell’atto stesso di censurare una tal libertà nei non privilegiati”.
L’eleganza del lutto estremo – il più potente rito di consacrazione della carne inchiodata – s’avvolge nella brace, tutto sfarzo e fantasticheria, di un desiderio. Gli uomini sono incappucciati. I bambini, pure. E all’hidalgo che se ne va a cavallo del Ronzinante in cerca di Mulini a vento, Sciascia – chiudendo una volta per tutte con Borgese – predilige Giufà, il furbo sciocco di memoria saracena che si tira la porta di casa portandosela sotto braccio al modo di un Magritte assai saputo di cavilli algebrici ancorché limpidi, illogici e umoristici.
Lui, di suo, è un intellettuale i cui occhiali – quelli della letteratura – lo aiutano a decifrare la realtà anche a costo di fraintenderla. Durante i lavori della commissione parlamentare sul terrorismo da deputato si ritrova interrogare Patrizio Peci, il pentito delle Brigate Rosse, e si prepara come se avesse di fronte un testimone del nichilismo travolto dalla miseria, dalla tirannia e dall’ignoranza, con domande tipo “ha letto La Madre, qual è la sua interpretazione di Maksim Gor’kij?”.
Gli altri parlamentari, vicino a lui, sono ammirati del suo candore da Candide. Lui è solo uno che fa sogni in Sicilia – vorrebbe cavarsela con l’optimisme alla Voltaire – ma quelli la sanno lunga e l’avvisano amorevolmente: “Ma che fai, Leonardo? Cosa credi che siano i brigatisti? Tutt’al più avranno letto solo fumetti e giornalini pornografici…”.

E ancora in tema di osé resta da raccontare di quella volta quando a Parigi, nel quartiere a luci rosse di Pigalle, Scianna e Sciascia, inseparabili cercatori di senso, si ritrovano davanti alla locandina di un locale di spogliarelli.
Il fotografo chiede allo scrittore: “Che facciamo, entriamo?”.
“Entriamo” risponde Sciascia.
I due fanno il loro ingresso nel locale deserto. Siedono a un tavolo e subito si palesa davanti a loro una ragazza che sulle note di una musica diffusa da un registratore comincia a spogliarsi.
Scianna guarda furtivamente lo scrittore che, a sua volta, osserva di sottecchi il proprio compagno di disavventura.
Entrambi, imbarazzati, distolgono lo sguardo dalla scena quando finalmente Scianna sussurra a Sciascia: “Che facciamo, usciamo?”.
“Usciamo” borbotta l’altro e quando una volta fuori, camminando per un bel pezzo in silenzio, Sciascia riprende a parlare, dice: “In quel posto, caro amico, l’unica cosa pornografica eravamo noi due”.

 (articolo pubblicato su La Lettura del Corriere della Sera)  Il 3. gennaio 2021

 

Eredità e attualità di un modello di scrittura: Leonardo Sciascia

 phpthumb_generated_thumbnailjpgdi Rosario Atria

Georges Duby, insigne medievista, tra i maggiori rappresentanti della storiografia sociale francese, rassomigliava i documenti storici alle isolette di un arcipelago sopravvissuto alla scomparsa di un continente sommerso che si pretende di raccontare nella sua interezza [1]. Un’immagine che suggerisce una sconfortante visione della storia e della sua parzialità, palesando la strenua difficoltà di istituire fondate relazioni tra gli sparsi frammenti superstiti e di ricostruire una verità incontrovertibile e assoluta. Questione intricata, che pertiene al metodo storico, ma su cui anche la letteratura, ponendosi sul versante dell’impegno civile, ha spesso steso il proprio sguardo: si pensi al Manzoni della Storia della colonna infame.

Il Novecento letterario italiano ci ha lasciato una delle più alte testimonianze di scrittura votata alla demistificazione, sostenuta da una critica aspra e a tutto tondo rivolta ai tanti, troppi quadri, che la storia ufficiale ha tramandato come inequivocabilmente ricomposti: è il modello di Leonardo Sciascia [2]. Un’eredità importante, da custodire; un patrimonio da tener vivo e trasmettere ai più giovani, di cogente attualità nel tempo presente, popolato di idoli mediatici capaci di conquistare orde di followers nel mondo reale e in quello virtuale, costellato di fake news subdolamente serpeggianti e facilmente destinate a diventare virali, non immune dal pericolo sempre incombente di fascismi di ritorno, di derive politiche pronte a riproporsi «sotto le spoglie più innocenti», come già avvertiva Umberto Eco in uno scritto apparso sul finire del XX secolo, non casualmente ripubblicato lo scorso anno [3].

Sciascia, nato a Racalmuto l’8 gennaio 1921, ci lasciava trent’anni or sono, il 20 novembre 1989, congedandosi con un ultimo, lapidario romanzo giallo, Una storia semplice, ma in verità «complicatissima», data alle stampe da Adelphi nel novembre dello stesso anno [4], e con A futura memoria, raccolta di scritti giornalistici, di taglio politico e civile, che avrebbe visto la luce postuma, nel mese di dicembre, presso Bompiani. Con parentesi scettica al titolo annessa; formidabile, finale boutade di un polemista di razza, maestro nel mescidare ironia e invettiva: se la memoria ha un futuro [5].

9788845907296_0_0_626_75In esergo alla sua ultima prova narrativa, l’intellettuale siciliano inserì una frase di Friedrich Dürrenmatt che, con La promessa, aveva sancito il requiem per il romanzo giallo [6]: «Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia» [7]. Nell’ultima pagina di Una storia semplice, l’«uomo della Volvo», appena scarcerato, percorre cantando «la strada verso casa»: opera cioè una precisa scelta, la rinuncia consapevole a contribuire all’accertamento della verità. C’è un attimo di esitazione in lui, quando riconosce nel prete, padre Cricco, il «capostazione», o meglio colui che aveva «creduto fosse il capostazione» [8]. Ma, nel gioco degli inganni, l’esitazione è subito vinta dal timore di scontrarsi con i meccanismi di una giustizia incapace di distinguere il reo dall’innocente. Così, in quello che può definirsi il testamento letterario di Sciascia, la verità viene tenuta nascosta, taciuta, come altrove – soggiacendo alle logiche del potere – è stata offuscata, insabbiata, artefatta o imposta, divenendo impostura [9].

Come epigrafe di A futura memoria, campeggia invece una citazione da Georges Bernanos: «Preferisco perdere dei lettori, piuttosto che ingannarli» [10]. Nel libro sono riuniti gli interventi più significativi ma anche più discussi dello scrittore di Racalmuto, apparsi tra il 1979 e il 1988 su varie testate giornalistiche, tra cui principalmente “L’Espresso” e il “Corriere della Sera”: da protagonista navigato del dibattito culturale italiano, abituato ad attirare su di sé ripetute critiche e feroci strali, come nel caso della polemica sui professionisti dell’antimafia, anche attraverso quel rimando teneva a ribadire di aver voluto sempre analizzare con fermezza e lucidità la società contemporanea, urlando la sua verità, senza asservimenti, senza timori; e sperava – ma forse era un’estrema provocazione – che le sue pagine potessero essere lette (meglio, rilette) con «serenità» di giudizio, dopo la sua morte [11].

Non semplici omaggi a Dürrenmatt e Bernanos, gli stralci apposti sulle due ultime opere da un lato forniscono utilissime chiavi di lettura per la fruizione delle stesse, dall’altro – combinati fra loro – sembrano offrirsi come cartine di tornasole per la comprensione dell’intero itinerario sciasciano, un universo di scrittura caratterizzato – come recentemente ha ricordato Paolo Squillacioti [12] – da una commistione di soluzioni ed elementi che tende a scardinare le canoniche partizioni riguardanti forme e generi: così, «i romanzi sono ricchi di elementi saggistici, i saggi hanno spesso un andamento narrativo, ed esistono forme letterarie peculiari difficilmente incasellabili fra i generi tradizionali come le cronachette o le inquisizioni alla maniera di Borges» [13].

27269638d2b0062d9d426bb468d9dd24_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyIl pensiero di Borges, un autore che ha influenzato più d’una generazione di intellettuali, da Calvino ad Eco a Tabucchi [14], con la sua concezione della vita e della storia come menzogna e opera contraffatta, viene intercettato e rielaborato da Sciascia, capace di cogliere il senso profondo delle Finzioni e delle Inquisizioni, quella sottile ambiguità di fondo che trasfigura ciascuna pagina in labirinto, ciascuna storia in metafora, aprendo ad una molteplicità di sensi [15]. Come i personaggi di Borges, così anche molti fra i personaggi sciasciani assurgono a simboli: un aspetto che certamente concorre a definire, oggi, trent’anni dopo la sua scomparsa, l’originalità di Sciascia nel panorama letterario italiano e non solo.

Tornando ai grandi temi della verità e della giustizia e all’impegno sin dagli esordi ingaggiato dallo scrittore nel provocare il lettore a pensare, può ben affermarsi che tratto costitutivo del suo intender la letteratura sia stata la vocazione ad inoltrarsi nell’oceano oscuro del taciuto, impugnando le armi della ragione e della polemica per trasporre la scrittura – narrativa, saggistica, pamphlettistica – in pervicace inchiesta e inesausta indagine conoscitiva. «Credo nella ragione umana, e nella libertà e nella giustizia che dalla ragione scaturiscono» [16]: questo il credo laico di Sciascia. Correva l’anno 1956 quando, nelle primissime pagine de Le parrocchie di Regalpetra, esprimeva la propria attestazione di fiducia nel razionalismo, posto a fondamento di ogni società che si presuma equa e libertaria: «Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione» [17].

2570012116139_0_0_0_768_75Sin dagli esordi, è la ragione degli oppressi quella che Sciascia, sulla scorta di quel Paolo Luigi Courier che sapeva assestare colpi di penna come fossero come colpi di spada, mostrò di avere a cuore: «La povera gente di questo paese ha una gran fede nella scrittura, dice – basta un colpo di penna – come dicesse – un colpo di spada – e crede che un colpo vibratile ed esatto della penna basti a ristabilire un diritto, a fugare l’ingiustizia e il sopruso» [18]. Dietro l’identificazione tra penna e arma – come ha rilevato Claude Ambroise – occorre scorgere quel sottile «filo etimologico che alla guerra lega la polemica», frutto di «una convergenza ideologica che fa perno sulla Rivoluzione» scoppiata a Parigi il 14 luglio 1789 [19].

Una data emblematica per Sciascia che, raccontando Regalpetra, osservava: «è come se la meridiana della Matrice segnasse un’ora del 13 luglio 1789». Per aggiungere subito dopo, con palpabile sconforto: «domani passerà sulla meridiana l’ombra della Rivoluzione francese, poi Napoleone il Risorgimento la rivoluzione russa la Resistenza, chissà quando la meridiana segnerà l’ora di oggi, quella che è per tanti altri uomini nel mondo l’ora giusta» [20].

Chissà se oggi segna l’ora giusta, vien da chiedersi, nel villaggio globale dilaniato da diaframmi sociali sempre più evidenti e allarmanti. La possibilità di leggere, interpretare e proporre, a trent’anni dalla morte di Sciascia, la sua opera in chiave attualizzante inestricabilmente si lega al valore assoluto dall’autore attribuito al recupero e alla trasmissione della memoria [21] e risiede, in ultimo, nel significato universalistico e non localistico della sua indagine conoscitiva, assicurato dall’esser ogni opera – alla maniera di Borges, come visto – specchio di qualcos’altro. Non riduttivo esame analitico della realtà siciliana con le sue particolari categorie antropologiche (uominimezz’uominiominicchipigliainculoquaquaraquà), giacché quella realtà è assunta a metafora dell’umanità tutta [22].

d26f2d3a8ff5583681ac68eec63fdc44_xlQuel che, nel Giorno della civetta, era detto del Bel Paese («Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia»), registrando finalmente l’avvenuta unificazione nazionale, ma sotto il segno della collusione del malaffare [23], oggi potrebbe applicarsi all’Europa: come se la linea della palma fosse salita sempre più a nord, sancendo anche in questo caso una singolare unificazione, oltre Roma, oltre le Alpi, fino a Berlino, Strasburgo, Bruxelles, nel cuore dell’Europa che comanda, al cui interno si è già generata una nuova questione morale e sociale.

La divaricazione tra i due poli in perenne opposizione dialettica, quello degli oppressi e degli oppressori, che Sciascia – manzonianamente – ha tratteggiato in tante delle sue opere, è una delle piaghe più evidenti dell’oggi ed è destinata sempre più ad infettarsi, determinando ulteriori diseguaglianze e tensioni.

Chissà cosa ne penserebbe Sciascia di quest’epoca senza ideologie! Chissà cosa direbbe del nostro Mediterraneo, tomba a cielo aperto, uno dei molti teatri del mondo su cui quotidianamente si dispiegano drammi umanitari senza precedenti, soluzioni né consolazioni. Opporrebbe la necessità di una rivoluzione, forse. O forse, affermerebbe ancora – come nell’intervista rilasciata a Marcelle Padovani – che «l’unico modo di essere rivoluzionari, è quello di essere un po’ conservatori», protesi cioè, in una fase storica di inarrestabile disgregazione, a conservare il meglio. Di certo, ci spronerebbe ad indagare, a scrutare, a rigettare l’ovvio, a demolire tutto ciò che ci appare pericolosamente artefatto: «Con molta diffidenza, con tanto scetticismo, ma bisogna vedere» [24].

 

 

L. Sciascia, La Sicilia come metafora (1979)

 

 

a cura di Francesco Rubbino

https://it.wikipedia.org/wiki/Leonardo_Sciascia

Padre Mario Camarda

 

 Padre Mario Camarda, Missionario  Oblato di Maria Immacolata

Coloro che si accingono a leggere la biografia di Padre Mario Camarda, non si annoieranno di sicuro, perché saranno attratti da ciò che è riuscito a realizzare,  nel nome della Fede e di come l’ ha intesa nella sua lunghissima e poliedrica esperienza di Missionario OMI.
Mario Camarda nasce a Randazzo il 18-01-1955.
Non conoscerà il padre che viene a mancare quando lui ha solo 10 mesi.
Ultimo di 11 figli, di cui 7 scomparsi prematuramente, in famiglia rimangono, con la mamma, solo 4 fratelli,  dei quali, due maschi, emigrano presto in Belgio, per lavoro,  mentre la sorella segue il marito in Svizzera.
Mario, il ”piccolino di casa” resta  a Randazzo con “ mamma” come la chiama affettuosamente tuttora, a distanza di anni dalla sua mancanza, facendo trapelare il profondo legame che li univa.
La sua infanzia è povera . Frequenta la scuola elementare all’ “edificio scolastico”, come veniva comunemente chiamata, negli anni 60, l’ attuale scuola Don Milani.
La mamma, intanto, per  far proseguire la scuola a Mario, chiede assistenza ad un ente per orfani, l’E.N.A.O.L.I. che gli permette di continuare gli studi presso il collegio salesiano di Randazzo” San Basilio”, con la frequenza della scuola media e del biennio di Ragioneria.

Mario, infatti, pur riuscendo meglio nelle materie letterarie, razionalmente, sceglie gli studi di ragioneria perché  pensa di poter aiutare economicamente la mamma  ed allo stesso tempo starle più vicino, in quanto, all’ epoca, col diploma di ragioneria e perito commerciale si poteva subito lavorare in banca.

 

 

L’ aspetto vocazionale                                             

Invece la sua razionalità lascia  il posto all’ emozione del cuore  che lentamente e  con netta convinzione lo porta alla vocazione sacerdotale.
I primissimi approcci verso la sua vocazione iniziano durante la frequenza scolastica del collegio  salesiano di Randazzo, grazie a Don Mondìo che è il suo catechista ed anche attraverso i missionari salesiani che passano da Randazzo periodicamente,  venendo a parlare in classe delle loro missioni.
Mario, ascoltandoli, inizia a porsi spesso la domanda:- Perché  un domani non potrei essere io al loro posto? 
Quindi comincia a  prendere strada in lui una prima consapevolezza di vocazione  missionaria, piuttosto che di sacerdote diocesano, anche se questa sua   futura scelta l’avrebbe portato lontano dalla mamma, per cui  opta per il Seminario Diocesano.
Quindi, tramite il Parroco di S. Nicola, allora Don Egidio Galati, ha  un colloquio con Don Giuseppe Costanzo, Rettore del Seminario Vescovile di Acireale (futuro  Arcivescovo di Siracusa), che gli consiglia di proseguire i suoi studi di ragioneria fino al diploma.
Mario, quindi, seguendo la sua vocazione, a solo quindici anni  entra in seminario ad Acireale.
Intanto  l’idea di missione sacerdotale si fa sempre più strada in  lui. Infatti   quando , dopo il diploma di ragioniere, nel 1973, gli arriva la lettera per  un’intervista da parte della CASSA DI RISPARMIO di Acireale, Mario la cestina senza esitazione,  perché pensa più fermamente che la vera strada da seguire sia quella sacerdotale .

 


Quindi sempre ad Acireale frequenta un anno di propedeutica, durante il quale studia latino, greco e storia della filosofia per poter poi accedere allo Studio Teologico a Catania.
La sua  convinzione verso la  missione sacerdotale, viene rafforzata ancor di più nel 1974, quando arriva  a Randazzo la MISSIONE POPOLARE da parte dei Missionari Oblati di Maria Immacolata . Mario, viene attratto dal loro modo di svolgere la missione, che lo porta a seguirli, prima in un campeggio  a Fiumara Calabra,  in seguito a Patti ed infine a Marino Laziale, per un’esperienza comunitaria con altri giovani, provenienti da tutta Italia. In questo Centro , questi giovani, vivono  secondo il principio del Vangelo, come gli Apostoli nei primi tempi, mettendo tutto in comune e svolgendo qualsiasi lavoro fosse  necessario, con umiltà e serenità.
Nel frattempo , Mario  frequenta il primo anno di filosofia all’ Università Pontificia Lateranense.   
Alla fine di quest’anno di discernimento nella comunità,  Mario   comprende , chiaramente e in modo definitivo  che la sua vera strada da seguire non è quella del sacerdote diocesano, ma quella di portare la Parola di Dio tra la gente, come Missionario OMI, dando un grande dispiacere  alla mamma, che lo avrebbe voluto vicino a lei.
 Così nel 1975 inizia il Noviziato e il 29 settembre 1976 pronuncia i voti temporanei per un anno, ricevendo subito dopo la veste talare.
Dall’ottobre 1976, nel Seminario degli Oblati, comincia a frequentare il secondo anno di  filosofia ,  tre anni di teologia  e  di seguito due anni di specializzazione in Teologia della Vita Religiosa all’ istituto di spiritualità CLARETIANUM di Roma.
 Nel 1980 pronuncia i voti perpetui,  durante i quali gli viene consegnato il Crocifisso che indossa sempre, perché simbolo della sua Congregazione.
Alla cerimonia dei voti perpetui partecipano i suoi familiari, compresa la mamma, malvolentieri, ormai rassegnata alla decisione di Mario.

Il 20 febbraio 1982 viene ordinato sacerdote a Randazzo, nella Chiesa di S. NICOLA, e a giugno dello stesso anno riceve” l’ obbedienza” dai superiori come missionario in Camerun, in Africa, che raggiunge il 2 ottobre dello stesso anno.

 

 

 L’ esperienza missionaria… La” sua”prima Africa                                                   

Padre Mario  rimane in Camerun per sette anni, definendo questa esperienza bellissima e stimolante , in una stupenda Africa da sogno.
Abita con un altro missionario in una casetta a 1500 metri d’altezza.
I villaggi che deve raggiungere si trovano in basso, nella bellissima ed immensa foresta pluviale equatoriale, con una straordinaria biodiversità di flora e fauna.  
I piccoli villaggi sono sparsi dappertutto  e, per raggiungerli, Padre Mario, con grande e gioioso spirito di sacrificio,  guada fiumi,  attraversa ponti di liane e  quant’ altro.
ll compito di Padre Mario  è quello di portare la parola di DIO concretamente con amore e dedizione, a questa popolazione immersa nella foresta,  aiutando  i malati insieme agli infermieri e alle suore . Si dedicano,  con amore anche ai bambini, fra cui tanti orfani, dando a loro affetto, protezione e quant’altro …
Ma, purtroppo, in queste sette intensi anni di permanenza in Camerun, Padre Mario viene colpito da varie malattie: prima dalla malaria, poi dalla malattia del sonno provocata dalla mosca tse-tse, che riesce a curare all’ospedale della Missione.
La più pesante, la tubercolosi, lo costringe, nel settembre 1989,  
a rientrare in Italia per curarsi. Una volta guarito viene inviato, nel 1990 “in missione” a Messinacome parroco della Parrocchia di S.Caterina, tenuta dagli Oblati dal 1980, dove vi rimane per 8 anni.
Gli Oblati lasciano la Parrocchia di Messina il 1° Settembre 1998 . Così Padre Mario raggiunge la Francia, esattamente Aix-en-Provence, vicino a Marsiglia, dove rimane per circa tre mesi per un ritiro spirituale.    

 

                                                                                      

La”  sua” seconda Africa
Il suo secondo ritorno in Africa risale  al 21 gennaio 1999, periodo in cui riparte, a 44 anni,  per il Senegal, dove rimane  otto anni per continuare la sua  opera missionaria.
Il Senegal, però non è il Camerun, sia per il clima che per la flora e fauna.  In Senegal, il clima  è tropicale, molto secco, con rare piogge.
Nella zona interna, dove si trova ad operare, la terra è arida, spoglia di vegetazione, a parte tanti baobab…
Quindi, in Senegal quel” mal  d’Africa” che l’ aveva spinto a ritornare, si  attenua ,  anche se l’esperienza con la gente del luogo ,  P. Mario la definisce entusiasmante.
Nel 2006 Padre Mario  rientra in Italia dall’ Africa per celebrare con un ANNO SABBATICO i suoi 25 anni di sacerdozio.
Trascorso l’anno in Molise, il 7 luglio 2007 muore la mamma ed egli viene giù a Randazzo per il funerale, al quale hanno partecipato anche i fratelli del Belgio e la sorella che ormai vive a Randazzo dal 1990.
Nel settembre di quello stesso anno una nuova esperienza l’attende: riceve l’obbedienza per LOURDES, dove rimane fino al 2009, come confessore dei tantissimi pellegrini, in grande parte italiani, che raggiungono Lourdes, soprattutto nel 2008, in ricorrenza del 150 anniversario dell’ apparizione della Madonna .

 

 

 

Il ritorno definitivo in Italia                                 

Nell’agosto 2009 lascia Lourdes per rientrare in Italia, ad ONE’ DI FONTE (in provincia di Treviso).
La comunità viene chiusa  nel 2012, dopo oltre sessant’anni …
Di seguito viene inviato in Molise, al Convento di Ripalimosani (in provincia di Campobasso), anche questa comunità in chiusura . In questa sede rimane insieme ad un altro confratello per svolgere delle piccole Missioni Parrocchiali nel territorio molisano-campano… una bellissima esperienza missionaria,  che gli dà  molte e ricche soddisfazioni.
L’anno dopo, viene inviato a Napoli, dove ha avuto dai superiori l’”obbedienza”,, con l’ intenzione di chiudere la comunità, perché vi sono rimasti, nella sede, solo un padre anziano ed ammalato ed un altro  confratello in dialisi da otto anni. 
Padre Mario rimane a Napoli per due anni, dal 2013 al 2015, dove fa  un’ esperienza pastorale bellissima in un quartiere chiamato Pizzofalcone, vicino ai Quartieri spagnoli, appena sopra S. Lucia. 
La cosa che più colpisce Padre Mario, in questo periodo, è vedere il suo confratello soffrire per la dialisi che fa tre volte a settimana, partendo alle 16:00 e tornando alle 22:00,  stremato.
Un giorno, a pranzo, parlando insieme, Padre Raffaele, così si chiama il confratello, gli confessa  che è stato chiamato 21 volte da Pisa per il trapianto, ma il rene non era mai stato compatibile.
A questo punto Padre Mario, con un gesto partito dal profondo del cuore, si propone di donare lui il rene al suo confratello, nella speranza che sia compatibile. Di fatto risulta compatibile, e così, dopo una lunga trafila ed una lunga attesa, finalmente nel mese di agosto 2015 viene comunicata la data del trapianto, che bisognerà fare a Pisa perché P. Raffaele è in lista d’attesa lì ed ha tutta la documentazione all’ospedale di Cisanello, a Pisa. 
Il rene viene trapiantato il 7 ottobre, giorno della Madonna di Pompei, alla quale P. Raffaele era particolarmente legato. 
Nelle pieghe della vicenda, Padre Mario vede, in quella data,  una protezione particolare della Madonna , per cui, in sala operatoria si  sente ancora più unito al confratello. Dopo il trapianto, Padre Mario, a chi gli chiede sull’ argomento, risponde che, durante lo scolasticato, periodo di studio, i suoi formatori  dicevano che bisognava essere sempre pronti  a dare la vita gli uni per gli altri e lui, con molta modestia, in realtà ,  ha donato solo e semplicemente un rene  per poter lenire le sofferenze del suo confratello. 
Cosi con questo gesto ha dato una nuova e normale vita a Padre Raffaele …
Nel novembre 2015,  viene inviato in Sardegna dove il suo ruolo è quello di parroco ed economo della comunità di cui fa parte, e dopo 2 anni è inviato a Pescara, dove si trova attualmente …
La sua vita è ancora un continuo itinere, per portare la Parola di  Dio, là dove glielo chiederanno, secondo i principi della sua congregazione. 


La storia. Religioso dona rene a suo confratello. 

​​I due si conoscono da 40 anni, sono della congregazione degli Oblati di Maria e hanno dovuto attendere il via libera del Tribunale di Pisa prima di potersi sottoporre all’operazione.
Padre Mario Camarda, sacerdote della Congregazione degli Oblati di Maria, ha donato un rene ad un suo confratello missionario, padre Raffaele Grasso.
Non essendo consanguinei, i due religiosi Omi hanno dovuto attendere il parere del Tribunale di Pisa prima di procedere alle analisi mediche e al trapianto, avvenuto il 7 ottobre.
Ne dà notizia oggi il Servizio Informazione Religiosa della Cei, che rivela un antefatto: padre Raffaele già nel 2000 aveva ricevuto un trapianto, poi andato male e attendeva da tempo che il telefono squillasse da Cisanello di Pisa per la nuova operazione.
Dieci anni di dialisi – sottolinea il Sir – sono tanti, indeboliscono, condizionano la vita di ogni giorno. Così padre Mario ha sentito di “doversi fare ancora più fratello”. “Te lo do io il rene!”.
I due si conoscono dal 1975, sono stati compagni di cammino verso il sacerdozio. “Ricordo durante lo scolasticato che ci dicevano: ‘Siete pronti a dare la vita gli uni per gli altri?’ Ecco, io ho dato solo un rene”, riflette padre Mario. “Pensaci, riflettici, pregaci”, gli aveva chiesto padre Raffaele. “Ho deciso di farlo: se si può dare una vita diversa, lenire le sofferenze di padre Raffaele, perché non aiutarlo?”, racconta padre Mario.
 


Non essendo consanguinei, padre Grasso e padre Camarda hanno dovuto attendere il parere del Tribunale di Pisa prima di procedere alle analisi mediche e all’eventuale trapianto.
Solo dopo 9 mesi i giudici si sono espressi positivamente e sono iniziate le prescritte prove di compatibilità anche attraverso il “cross match”: in sostanza, contemporaneamente sono stati monitorati i reni di diversi possibili donatori. Alla fine, quello di padre Mario è risultato il più compatibile. “È una storia condivisa da tutta la Provincia d’Italia e di Spagna e nelle terre di missione”, chiosa padre Mario, che è ancora in ospedale a causa di qualche intoppo nel drenaggio renale.
Adesso padre Raffaele sta compiendo il decorso operatorio in una casa di accoglienza a due passi da Cisanello, dove è sottoposto ai controlli di routine.
È missionario, abituato ad andare di qua e di là, secondo il carisma della congregazione, secondo la proposta del fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod. Ora, però, i medici gli hanno consigliato riposo assoluto. Lui lo sa, non vuole affrettare i tempi, i suoi giovani, che guida da anni, pazienteranno un pò. “Adesso devo gestire un dono che è frutto dell’atto d’amore di un confratello”. “Per ora – commenta il Sir – è questa la sua missione”.

Avvenire venerdì 23 ottobre 2015 

Guarda il video di Don Mario Camarda è molto, ma molto significativo. 

 

 

 

   A cura di LIDIA  PETRULLO  

Il Mercato Domenicale a Randazzo – La Storia

              Il Parlamento Nazionale nel 1970 approva la riforma delle attività commerciali.
 L’Assemblea Regionale Siciliana la  recepisce  nel 1972.             

La riforma vietava qualsiasi attività nei giorni di domenica e nelle festività.
Il Mercato Domenicale a Randazzo quindi doveva essere chiuso.

Nella cittadinanza incominciò ad esserci un forte malumore. Il Sindaco di allora – Francesco Rubbino – tentò di ottenere qualche decreto e/o ordinanza sollecitando il governo regionale e la prefettura, anche per una questione di ordine pubblico,  ma tutto fu inutile perché era necessario che l’Assemblea Regionale Siciliana legiferasse in merito.
Furono organizzate da parte dei Sindacati e dei partiti (soprattutto quelli di sinistra PSI, PSIUP, PCI, PRI ed  in seguito tutta la DC) varie manifestazioni anche a Palermo con la partecipazione di numerosi cittadini. Per ben due volte quattro  pullman strapieni di manifestanti si recarono a Palermo per sollecitare i vari gruppi politici a presentare ed ad approvare un progetto di legge che garantisse lo svolgimento del Mercato Domenicale. 
C’è da dire che da parte dell’Associazione dei Commercianti vi fu una forte pressione a che si rispettasse la legge. Infatti da molto tempo i Commercianti volevano la chiusura o lo spostamento del Mercato ad un altro giorno della settimana in quanto vedevano lesi i propri interessi. 
In Città vi era una vera e propria ribellione molti, anche per interessi politici/sindacali soffiavano sul fuoco.
I giorni passavano e per due domeniche il Sindaco fu autorizzato dal Prefetto, per pericolo di ordine pubblico,  a consentire lo svolgimento del Mercato Domenicale.
Il Pretore subito se ne lavò le mani dicendo “fate che poi Io vi giudicherò”. 
Intanto a Palermo tutti i gruppi dell‘Arco Costituzionale, come si diceva una volta, erano favorevoli alla proposta di modificare la legge, ma vi era un ostacolo: il Presidente della Regione aveva manifestato la volontà di dimettersi e se questa veniva formalizzata in Aula l’attività legislativa doveva essere sospesa fino a quanto si eleggeva il nuovo governo.
Il clima era molto teso, bisognava trovare qualcuno della maggioranza che prima delle dimissioni del Presidente presentasse questo progetto di legge.
Penso che vi rendiate conto che il nostro problema visto da Palermo era ben poca cosa, un fastidio più che altro.
Santino Camarata, allora Vice Sindaco repubblicano, si recò a Mascali per parlare con l’on.le Rosario Cardillo  repubblicano manifestandogli tutta la Sua preoccupazione per quello che succedeva a Randazzo e sollecitandolo ad essere Lui a presentare la proposta di legge.
E così fu.
Prima che il Presidente della Regione formalizzasse in Aula le sue dimissioni, l’on.le Cardillo si alzò e chiese che si potesse discutere e mettere ai voti la Proposta.
Tutti furono d’accordo. 
E così fu che venne approvata  la legge n. 44 del 22 luglio 1972 , ottenuta a furor di popolo, che autorizzava i  Mercati Domenicali in Sicilia,  ove per tradizione si erano svolti. In esecuzione di questa legge, l’Assessore Regionale all’Industria e Commercio, con D.A. n. 558 del 13 settembre 1972 sanciva il diritto all’apertura del Mercato Domenicale nel Comune di Randazzo, di fatto esistente da oltre trentacinque anni.

Randazzo aveva vinto la sua battaglia; l’unica Città in Italia a poter svolgere Attività Commerciale di Domenica sia per i negozianti sia per gli ambulanti.

 

Una piccola considerazione.
Per molti anni si è discusso della possibilità di organizzare meglio il Mercato Domenicale e però niente si è fatto, anzi si è lasciato che crescesse disordinatamente. 
A parole molte proposte: spostarlo in un altro sito anche alla Stazione delle FFSS, farlo salire per il corso Umberto interessando la piazza S. Nicola e piazza Municipio, o lasciarlo lì dov’è con una organizzazione più razionale.
Tutto si può fare basta che ci sia equilibrio e buon senso da parte di tutti.
Una cosa, penso non si possa fare: che questo Sindaco e questa Maggioranza decidano per tutti noi. Il Mercato – nel bene come nel male – è un Patrimonio di tutti i Randazzesi che lo hanno voluto e hanno lottato per ottenerlo là dove si trova. Quindi, prima di prendere decisioni avventate, è necessario un dibattito tra le forze politiche/sindacali coinvolgendo le Associazioni di categorie e i Cittadini che hanno a cuore questi problemi. 
Al Sindaco, politicamente e moralmente, spetta soltanto quello di capire quello che la Città vuole e farsi carico di realizzarlo. 
Francesco Rubbino .

Dissesto Finanziario

 

                                     BREVE ARTICOLO SUL DISSESTO FINANZIARIO DEL COMUNE DI RANDAZZO

   

                  Per tentare di comprendere il significato di pre dissesto o piano di riequilibro finanziario e il dissesto finanziario vero e proprio occorre fare riferimento alle Leggi che disciplinano il dissesto dei Comuni ed agli atti amministrativi che hanno preceduto il dissesto, che lo hanno dichiarato e che riguardano la sua gestione.
Abbiamo cercato di capire questa problematica, sulla base della documentazione in nostra possesso tutta desumibile da qualsiasi data base giuridico aggiornato e dal sito istituzionale del Comune di Randazzo.

                                                 LA NORMATIVA

Essa consta degli articoli dal 244 al 269 del Decreto Legislativo n. 267/2000, comunemente noto come Testo Unico degli Enti Locali, e del D.P.R. 24 Agosto 1993 “Regolamento recante norme sul risanamento degli enti locali dissestati”.
Ad essi per oggettività e per economia di tempo e spazio si rimanda integralmente.
In questa sede ci preme rilevare solo due fondamentali articoli il 244 ed il 245 di detto Testo Unico.
Il primo l’art 244 recita:
1. Si ha stato di dissesto se l’Ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’Ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’art. 193, nonché con le modalità di cui all’art. 194 per le fattispecie ivi previste.
2. Le norme sul risanamento degli enti locali dissestati si applicano solo a province e comuni.
Il secondo l’art. 245 recita “Soggetti della procedura di risanamento sono l’Organo Straordinario di liquidazione e gli Organi Istituzionali dell’Ente ”
– Inoltre, il dissesto degli Enti Locali (Province e Comuni) è disciplinato anche dal DPR 378 del 24 Agosto 1993

                                                                                  GLI ATTI AMMINISTRATIVI

Si premette che si è svolta una breve ricerca mediante la consultazione e la estrazione di Atti pubblicati sul sito on line del Comune o attraverso la consultazione di notizie di stampa relative al predissesto del Comune di Randazzo, la sua rimodulazione ed il suo dissesto finanziario.
– Già da tempo gli Amministratori Comunali si sono trovati in grande difficoltà nel portare in pareggio i capitoli di bilancio, tant’è che nel 2016 l’Amministrazione presieduta dal sindaco Michele Mangione con delibera n. 111 dello 03/11/2016 e successivamente il Consiglio Comunale con delibera consiliare n. 40 del 18/11/2016 approvavano il predissesto ovvero il “Piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243 bis” per fare fronte ad un indebitamento accertato dai Capi Settore di poco superiore agli € 8.000.000,00;
– Successivamente alla sua elezione avvenuta nel giugno 2018, il Sindaco Francesco Sgroi, rimodulava il suddetto predissesto finanziario modificando da dieci a venti anni la durata per poter recuperare i crediti e pagare i debiti;
– Tale rimodulazione veniva effettuata in un più lungo periodo rispetto a quello approvato dalla precedente amministrazione per fare fronte ad una situazione debitoria certificata simile a quella del piano di riequilibrio del novembre 2016;
– Nel 2019, però, la Giunta Municipale, a seguito di relazione e parere rispettivamente del Capo Settore Ragioneria e Tributi e dell’intero Collegio dei Revisori, con delibera n. 84 del 16 maggio 2019 ha dato avvio alla procedura del dissesto finanziario;
– Il 30 Maggio 2019 il Consiglio Comunale di Randazzo, dopo un dibattito di oltre 6 ore, approva a maggioranza (11 voti favorevoli e 5 contrari) la delibera n. 17/2019 e dichiara il DISSESTO FINANZIARIO ai sensi dell’art 244 e segg. del TUEL. Ciò per una previsione di squilibrio finanziario di €. 800.000,00 circa per il 2019 e di €. 620.000,00 circa per il 2020.
– E’ bene sapere che la dichiarazione di dissesto finanziario non comporta solo un sostanziale e reale depauperamento dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi del Comune (ante 31/12/2018), che vedranno ritardato e ridotto quasi con certezza il pagamento di quanto dovuto, ma determina – come chiaramente dettato dall’articolo 248 del Decreto Legislativo 267/2000 Testo Unico degli Enti Locali – varie negative conseguente per la Cittadinanza.
Imposte e tasse comunali all’aliquota massima
Rideterminazione della dotazione organica entro ben precisi e riduttivi parametri (si legga il decreto del Ministero dell’Interno del 18 novembre 2020 che fissa un dipendente per ogni 166 abitanti, quindi il limite per Randazzo dovrà essere di n. 62 dipendenti a fronte di una precedente dotazione organica ben maggiore con conseguente più ampia erogazione dei servizi).
Impossibilità di stabilizzare i 56 precari storici, i quali, qualora non in dissesto, sarebbero potuti essere stabilizzati a totale carico della Regione per n. 24 ore settimanali.
– Tant’è che ai sensi dell’art. 251 del D. Lgs n. 267/2000, nella prima seduta consiliare utile successiva alla dichiarazione del dissesto finanziario, con deliberazione n. 24 del 28.06.2019 vengono modificate le aliquote delle imposte IMU (tassa sulla casa) e TASI (tassa sui servizi).
L’IMU passa da una tassazione pari a 0,9% a 1,06% per le “seconde case”.
– Nella medesima seduta di Consiglio Comunale con la deliberazione n. 25 viene rideterminata l’aliquota dell’addizionale IRPEF, infatti viene modificato l’art. 3 del regolamento imponendo il pagamento dell’imposta anche a coloro che, fino ad allora esenti, percepiscono un reddito inferiore a 7.499,00 €.
– Successivamente alla dichiarazione di dissesto finanziario, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data 23 agosto 2019, su proposta del Ministero dell’Interno, che ha competenza sulla finanza locale, ha nominato tre Commissari Straordinari che faranno parte dell’Organo Straordinario di Liquidazione al fine di estinguere la massa debitoria del comune.
Sono stati designati, quali componenti dell’Organo Straordinario di Liquidazione (OSL) del dissesto il dott. Giuseppe Milano, Funzionario in servizio della Prefettura di Catania, il Dott. Antonino Alberti, Segretario Generale in quiescenza ed il Dott. Andrea Dara, Dottore Commercialista dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Palermo;
– Che detto OSL con delibera n. 1 del 18 settembre 2019 si è regolarmente insediato ed ha eletto a suo Presidente il Dott. Giuseppe Milano;
– In base alla vigente normativa sopra indicata l’OSL deve provvedere a definire entro cinque anni dall’approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato (avvenuta con delibera consiliare n. 42 del 20/12/2019) il dissesto.

Ciò avviene tramite la rilevazione della massa passiva (la somma totale dei debiti) e la costituzione della massa attiva (cioè l’approntamento finanziario con cui pagare i debiti sorti prima del 31/12/2018).
La massa attiva è sostanzialmente costituita dai crediti (denominati residui attivi) del Comune maturati anche essi prima del 31/12/2018. Al fine del recupero delle somme per il pagamento dei debiti l’OSL può adottare anche azioni forzose nei confronti dei cittadini e in caso di necessità può essere irrobustita aggredendo i beni comunali mediante l’alienazione degli immobili e/o mediante un mutuo finanziato dallo Stato.
– Ove le somme recuperate non soddisfino il debito complessivo del dissesto finanziario, può succedere che il Comune possa rientrare in un ulteriormente dissesto finanziario.
Quindi, l’ammontare dei debiti che l’OSL non riuscirà a recuperare ed a liquidare, sarà interamente pagato dai Cittadini Randazzesi e non, come si fa intendere, dallo Stato.
– Sulla base degli atti amministrativi reperibili sul sito istituzionale on line del Comune Sezione “Atti amministrativi” sottosezione “Delibere Organo Straordinario di Liquidazione” e sottosezione “Verbali Organo straordinario di Liquidazione”, in particolare la delibera n. 11/2021 ed il verbale n. 5/2021 emerge che il totale dei debiti rispetto al piano di riequilibrio rimodulato nell’Ottobre 2018 si è raddoppiato (circa € 16.077.000,00) mentre la massa attiva ad oggi appare ammontare a circa € 45.000,00. Successivamente si entrerà nello specifico della “Massa Attiva” e Massa Passiva”.
Con quanto sopra scritto si intende solo, per quel poco che si può fare, contribuire ad informare e/o confrontarsi su importanti e gravi problematiche della Nostra Comunità con serenità e pacatezza.

Chiunque voglia argomentare e/o portare contributi su questa tema può farlo attraverso WhatsApp o scrivendo a: francescorubbino@gmail.com

a cura di Lucio Rubbino  .

La Rivolta di Randazzo – 25 luglio 1920

                                                   

                         Il 25 luglio del 1920, preceduto da una serie di proteste,  anche da parte di molte donne, vi fu una grande dimostrazione di Cittadini (oltre 700) contro il Commissario Prefettizio Rocco Scriva, a causa della mancanza del pane e da una iniqua distribuzione della farina.
I dimostranti assaltarono il Municipio e dopo che furono stati costretti ad uscire si accalcarono dietro le due porte d’uscita.
I carabinieri , forse impauriti da tutta questa gente, incominciarono a sparare sulla folla.
Il risultato fu che vi furono sette morti:
 – i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro, Giuseppe Sorbello,
 – il pastore Giuseppe Giglio,
 – il calzolaio Luigi Celona,
 – il falegname Benedetto La Piana,
 – lo scalpellino Gaetano Mangione 
e sedici feriti di cui quattro dell’Arma.

Il 27 luglio del 1920 la Camera del Lavoro di Catania delibera uno sciopero generale in seguito ai fatti di Randazzo.

Lo sciopero proclamato dalla Camera del Lavoro venne subito avversato dai ceti medio-alti tramite i giornali. 

Dopo lo sciopero, il 28 Luglio, a piazza Manganelli le guardie regie nascostesi fuori dal teatro San Giorgio caricarono la folla all’uscita di un comizio tenuto da Maria Giudice nello stesso teatro, facendo tre morti e trenta feriti. 

Nei giorni successivi, nel commentare i fatti accaduti, gli industriali e i commercianti della provincia auspicavano l’istituzione di guardie speciali di controllo: i tempi del fascismo erano maturi.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

La rivolta di Randazzo: da pag 34 a pag 38

                                                                          —————————————————————–

 

                                       QUELLA TERRIBILE DOMENICA DI TANTI ANNI FA…

I DRAMMATICI FATTI DEL 25 LUGLIO 1920 A RANDAZZO

di  Giuseppe Portale 

Giuseppe Portale

                Storia si ripete. “Corsi e ricorsi storici”, diceva il famoso filosofo italiano Giambattista Vico (1668 – 1744), come molti ricorderanno avendolo certamente studiato sui libri di scuola.
Ed infatti è così.
Dalle cronache di questi giorni – che si stanno giustamente occupando e preoccupando della pandemia da Covid ’19 – apprendiamo che, scontenti delle varie misure, e conseguenti chiusure, programmate dai vari governi nazionali per cercare di fermare l’espandersi del Coronavirus, molti imprenditori, lavoratori, studenti e semplici cittadini, hanno dato e stanno dando vita a sempre più numerose azioni di protesta, con relativi disordini, in quasi tutte le piazze delle principali città italiane e straniere.
È proprio così. Collegati alle varie epidemie e pandemie, la Storia ci insegna che vi sono sempre stati malumori, tumulti, disordini sociali e chi più ne ha più ne metta.
Chi non ricorda, infatti, i tumulti che vi furono a Milano, ed un po’ in tutta la Lombardia, nel mese di novembre del 1628, con gli assalti ai forni, magistralmente descritti da Alessandro Manzoni nel suo “I Promessi Sposi”?
O chi non ricorda quanto accaduto, nel secolo appena scorso, proprio cento anni fa, a seguito dell’epidemia di “Spagnola” che tanti lutti portò non solo in Italia ma un po’ in tutta Europa e nel mondo intero?
Una delle tante sommosse che si ebbero allora in tutta Italia e, di conseguenza, anche in Sicilia, si verificò pure nella nostra città di Randazzo nella giornata di domenica 25 luglio 1920.
Al già pesante prezzo di vite umane pagato a causa di una prima epidemia di colera verificatasi nel 1897, e di una seconda nell’agosto del 1911 durante la quale si contarono ben 102 vittime, ben presto si aggiunsero anche quelli della Prima Guerra Mondiale (1915-18) e – come si accennava prima – dell’epidemia di febbre “Spagnola” che funestò l’intera Europa, ed ovviamente anche la nostra Randazzo,  dal 1918 a tutto il 1921, facendo sentire ancora i propri terribili strascichi sino a quasi l’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Proprio in quel periodo fra i due conflitti mondiali, Randazzo ebbe a sopportare uno dei più gravi momenti di collasso economico per il fatto che la sua agricoltura toccò livelli così bassi fino ad allora mai conosciuti: la città, infatti, in quei lunghissimi anni, risultò popolata unicamente da donne, vecchi, infermi e bambini.
E come se la guerra e l’epidemia di “Spagnola” non fossero bastate, il 25 luglio 1920, domenica, a seguito di tutta una serie di manifestazioni contro il carovita e per la mancanza di viveri, si verificarono nella nostra città diversi tafferugli tra la popolazione e le forze dell’ordine, durante i quali ben nove randazzesi persero la vita e molti altri rimasero feriti.
I motivi di tali manifestazioni popolari trovava la sua ragion d’essere nelle delusioni post-belliche della Prima Guerra Mondiale, nelle giuste lotte socialiste e rivendicazioni sindacali, e purtroppo nell’azione governativa di allora tendente già ad ammassare grano e nella penuria di generi di prima necessità.
A questo quadro generale si aggiunse per Randazzo la prossimità della battaglia elettorale tra Popolari e Socialisti per la conquista del Comune.
Si capisce, quindi, il tipo di clima che in quei giorni spirava e si respirava in città.
In ultimo, si ricorda che a dirigere la municipalità vi era in quel preciso momento l’inflessibile e – sotto certi aspetti – “terribile” commissario prefettizio Rocco Scriva.
L’incidente cui accennavamo prima ebbe origine nel corso di una riunione che si stava tenendo, in quella calda mattinata domenicale del 25 luglio 1920, al Municipio tra il commissario e una delegazione di cittadini.
La richiesta, peraltro già accettata, consisteva nel mantenere nella nostra città il grano che era stato requisito proprio a Randazzo, dal momento che quello rimasto in mano ai produttori non sarebbe bastato né per i fabbisogni familiari dell’intero anno a venire né per l’ormai prossima semina del successivo periodo autunnale. Richiesta più che legittima la quale – come si accennava prima – sembra fosse stata già accolta ed accettata dal responsabile prefettizio.
A provocare l’incidente, poi, furono alcune donne, particolarmente e comprensibilmente arrabbiate – visto   il delicato e difficile momento che stavano vivendo in quel periodo le famiglie della nostra città – le quali, ad un’infelice battuta da parte di un impiegato comunale presente, fecero letteralmente volare in aria sedie e tavoli degli uffici comunali che venivano letteralmente messi a soqquadro.
Alla forza pubblica intervenuta venne ordinato di allontanare con ogni mezzo la delegazione che, una volta fuori dal Comune, continuò però a protestare.
Sul vero motivo per cui i Regi Carabinieri da lì a poco fecero fuoco sui presenti, attraverso le sbarre del cancello di sinistra del Municipio (quello, per intenderci,  oggi prospiciente al Circolo unione operai e professionisti, ed i cui segni delle pallottole proprio sulle sbarre del cancello sono ancora oggi ben visibili), non si riuscì a fare completa luce.
Fatto sta che sul selciato rimasero privi di vita ben sette persone: i contadini Vincenzo Calcagno, Francesco Paolo Magro e Giuseppe Sorbello, il pastore Giuseppe Giglio, il calzolaio Luigi Celona, il falegname Benedetto La Piana e lo scalpellino Gaetano Mangione; mentre altre quindici rimasero gravemente ferite, due delle quali all’indomani morirono.
Fu così che, per non morire di miseria con le loro famiglie, nove sventurati morirono di piombo. Un’altra grave ingiustizia, nella storia dell’umanità, era stata consumata!

Il successivo mercoledì 28 luglio, a Catania, e più precisamente in Piazza Manganelli, durante una manifestazione organizzata dalla nascente Cgil con la sua Camera del Lavoro, per protestare proprio a causa dell’eccidio che era stato consumato tre giorni prima a Randazzo, si ebbero ancora altri scontri fra le truppe regie in assetto di guerra, i dimostranti ed alcuni provocatori nazionalfascisti che disturbavano il comizio tenuto dai dirigenti socialisti Maria Giudice e Giuseppe Sapienza.
Nei disordini causati soprattutto dai provocatori che, come al solito, cercavano di pescare nel torbido (come sta succedendo ancora oggi) e nelle dure reazioni delle forse dell’ordine che ne seguirono, fra i dimostranti vi furono ancora altri sei morti con circa un’altra quarantina di feriti.
E tutto questo, solo per non morire di fame, loro e le loro famiglie.

Sì. È proprio così: la Storia si ripete come sempre, ancora una volta, anche ai giorni nostri…

Giuseppe Portale

 

 

Angelo Manitta e Salvatore Maugeri ne: ” La Valle dell’Alcàntara – Dalla preistoria all’età contemporanea”   raccontano questo tragico avvenimento così:

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Questi sette Randazzesi uccisi perché reclamavano un giusto diritto non sono morti invano.

Eppure non sono mai ricordati dai nostri storiografi, solo un accenno di padre Luigi Magro a pagina 151 del: “Cenni storici della Città di Randazzo” .

Non una via, una piazza, una lapide per ricordare il loro sacrificio.
 
Sarebbe molto significativo che il 25 luglio del 2021 si potesse inaugurare una lapide nel cortile del Palazzo Municipale
a ricordo di questo tristissimo avvenimento.

                                                                                   ———————————————

a cura di Francesco Rubbino
 

 

Edifici Monumentali CT e Provincia – 1921

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

La battaglia di Francavilla di Angelo Manitta a cura di Maristella Dilettoso

FRANCAVILLA DI SICILIA – Pomeriggio culturale a Francavilla di Sicilia con la presentazione di due pubblicazioni: “La Battaglia di Francavilla. La Quadruplice alleanza e la contesa della Sicilia” di Angelo Manitta e “Il consiglio di guerra di Francavilla di Sicilia dai resoconti di George Byng (28 – 29 giugno 1719)”, di Thomas Corbett, a cura di Angelo Manitta

 

Il 22 Agosto 2020  a Francavilla di Sicilia (ME), presso l’area esterna comunale “Il Giardino della Vita”, nel pieno rispetto delle norme e precauzioni anti Covid-19, sono stati presentati il volume di Angelo Manitta, La Battaglia di Francavilla. La Quadruplice alleanza e la contesa della Sicilia (Il Convivio Editore, 2020), e Il consiglio di guerra di Francavilla di Sicilia dai resoconti di George Byng (28 – 29 giugno 1719), di Thomas Corbett, a cura di Angelo Manitta (Il Convivio Editore 2020). L’incontro culturale è stato introdotto dallo storico francavillese Angelo Pirri, in qualità di moderatore, che dopo i saluti istituzionali del sindaco Vincenzo Pulizzi e del vicesindaco Gianfranco D’Aprile, ha ceduto il microfono all’autore, per un’ampia disamina della genesi dell’opera e dei fatti più salienti in essa descritti. A seguire sono intervenuti diversi storici e operatori culturali del territorio alcantarino, come Giuseppe Carmeni, Salvatore Maugeri, Antonino Portaro, Salvatore Rizzeri, Filippo Zullo, evidenziando ciascuno qualche aspetto particolare dei libri e della personalità dell’autore.

I due scritti, sebbene concepiti a tre secoli di distanza, sono strettamente correlati tra loro, in quanto vi si tratteggia uno scontro, sia bellico che diplomatico, tra le maggiori potenze europee agli inizi del XVIII secolo, che ebbe come scenario proprio il territorio di Francavilla, e Angelo Manitta, trattandone, è riuscito a descriverne tutti gli sviluppi, dando vita ad un’opera corposa e approfondita.

La Battaglia di Francavilla (20 giugno 1719), della quale nel 2019 si è commemorato il 300° anniversario, è uno degli scontri più importanti della Guerra di Sicilia (1718-1720).
La ricerca, basata sulle fonti delle varie parti coinvolte, austriache, spagnole, inglesi, piemontesi e francesi, indagando e consultando anche documenti inediti e rari, vuole far luce su un evento che ha deciso il predominio sul Mediterraneo, di cui la cittadina siciliana, ad una nuova lettura delle numerose testimonianze, appare un tassello più importante di quanto si è potuto credere finora.
Attraverso una dettagliata esposizione, si esaminano le cause che hanno spinto la Quadruplice Alleanza a scontrarsi con le forze spagnole proprio a Francavilla di Sicilia, e si ricostruiscono sia la dinamica dei fatti che la tattica militare, nel tentativo di capire le conseguenze e di contestualizzare le successive azioni all’interno del Mediterraneo.

Per quanto riguarda, invece, la seconda opera presentata, questo è il tema: dopo la Battaglia di Francavilla, il 28 e 29 giugno si svolge nell’accampamento, disposto a nord del paese alcantarino, un Consiglio di guerra, cui partecipano i principali protagonisti e alleati dell’armata, tra i quali il generale Florimondo di Mercy, gli ufficiali dell’esercito imperiale e l’ammiraglio George Byng (plenipotenziario nel Mediterraneo per l’Inghilterra), per discutere le modalità di prosecuzione del conflitto contro gli spagnoli.
Esaminati i motivi della sconfitta, vengono prese delle decisioni determinanti per il successivo svolgimento dell’azione militare. Molto probabilmente al consiglio dovette prendere parte anche l’autore del libro, Thomas Corbett, nella sua qualità di segretario personale dell’Ammiraglio Byng, che ne redasse un verbale.
Da qui parte appunto la ricerca di Angelo Manitta, che decide di rendere nota, e pubblicare, parte di tale verbale, riproponendo il testo inglese e la traduzione italiana, con ampi riferimenti ai documenti contemporanei.

      Maristella Dilettoso

(articolo pubblicato su “Il Convivio” n. 82, Luglio-Settembre 2020).

 

 

 Foto di Maristella Dilettoso

Corpo Musicale di Randazzo: Storia, Ricordi e Aneddoti di Carmelo Venezia

Francesco Rubbino

STORIA , RICORDI E ANEDDOTTI DEL CORPO MUSICALE DI RANDAZZO

      Nei diari personali degli anni passati sono state sempre le prime dieci righe le più difficili  da redigere. Forse perché alcuni ricordi sono, più che incancellabili, sublimi.  Poche persone della nostra Città hanno  scritto a sufficienza  per elogiare il nostro  antico  corpo bandistico Musicale di Randazzo.

    Banda Musicale di Randazzo – 1955 al centro  Lilio Narduzzi con il canonico Edoardo Lo Giudice

  Ma, con  parole semplici e chiare, vi parlerò delle mie esperienze e della mia vita , vissuta dal  1948 a gennaio del 1958 nel seno di questa grande scuola che era il corpo Bandistico musicale di Randazzo. Dopo una lunga ricerca personale ho potuto avere dal nostro concittadino signor Vincenzo Rotella delle informazioni molto precise riguardo la creazione di questo corpo musicale, il più antico della provincia di Catania.

Il  22 settembre 1847, dal sindaco di Randazzo, con l’aiuto del canonico Giuseppe Cavallaro amministratore dell’Opera De Quatris, grazie alle leggi e al consenso dell’amministrazione comunale  dell’epoca, fu creato il corpo bandistico cittadino di Randazzo per abbellire e migliorare le feste cittadine.
Il Canonico istituì anche una scuola per l’insegnamento di musica, solfeggio, strumenti ad ancia e ottone, per giovani ed anche per adulti che avevano la passione per la musica. Il costo, a quei tempi, fu di circa di trenta onze, penso in oro. 
Prima di continuare nella ricerca ho voluto fare un piccolo calcolo per potere conoscere il valore di questa antica moneta  la quale, per l’epoca, rappresentava  una grossa cifra ; oggi sicuramente molte migliaia di euro. 
L’onza,  od oncia, era una moneta che ebbe corso in Sicilia nel XVIII°  secolo fino  all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia  del 1860 .  Il suo valore corrispondeva a 30 tarì. Nel 1732 fu coniata in argento e in oro nel 1733 dal peso di 4,4 grammi d’oro puro.
Prima del 1800 era stata coniata una doppia onza d’oro di circa 8,8 grammi.  Verso il 1814 fu coniata in argento con un peso di circa 69 grammi.
Dobbiamo essere grati ai tanti finanziatori  di quell’epoca appassionati di questa meravigliosa arte musicale, per la loro grande generosità, perché essi pensavano non solamente all’istruzione,  ma anche al bene in generale della  cittadinanza randazzese .
Dal 1847, anno dell’istituzione  e sino al 1967, l’Amministrazione  Comunale  di Randazzo sostenne le spese  per il salario dei maestri e finanziava anche le spese per la fornitura  e per  eventuali riparazioni  degli  strumenti musicali; metteva anche a disposizione un locale spazioso e gratuito non solamente per il solfeggio, ma anche per l’insegnamento degli strumenti musicali e per le ripetizioni generali.
La sala di musica era quella attuale ; cioè l’antica  chiesetta  sconsacrata di San Giacomo ubicata sempre in questa antica stradina che è la via San Giacomo.  Percorrendola a piedi possiamo ancora ammirare moltissime antiche casette con magnifici archi di porta in pietra lavica  decorati con sculture semplici e date di costruzione.
La banda musicale, allora, era composta esclusivamente da uomini;  tutti i mestieri artigianali vi erano rappresentati.
Le donne non erano ammesse; la mentalità e le usanze dell’epoca erano completamente diverse da oggi. Le donne non avevano la libertà di scelta. Forse per un arcano spirito di protezione? Forse per egoismo maschilistico? La risposta non è facile. Tuttavia anche loro avevano il diritto di amare la musica. 
Come avevo scritto nella precedente pagina , il 22 Settembre del 1847 iniziò la storia del nostro corpo bandistico musicale di Randazzo. Certi documenti ci portano poi al 1891 quando ne fu nominato  presidente  un nostro concittadino, uomo d’aspetto un po’ austero , ma  dotato di una grande intelligenza: era il Signor Francesco Vagliasindi. 
Pur avendo consultato  parecchi documenti, purtroppo non posso indicare quale fosse  la sua attività principale. Forse era un eminente funzionario del comune di Randazzo ? Ignoro.   Il signor Francesco Vagliasindi, grazie alla sua intelligenza ed alla sua perspicacia, capì subito  che bisognava assumere  un vero maestro di musica e così insegnare e trasmettere agli allievi  le appropriate tecniche per una adeguata competenza musicale teorica  e strumentale.

Carmelo Venezia

                               Gruppo di Musicanti – Randazzo 1953.


 Vincenzo Rotella mi ha precisato che i maestri, sin dalla istituzione della banda musicale, cioè dal  1847,  erano di origine catanese e si erano formati al Conservatorio di Napoli, scelti da Carmelo e Mario Bellini fratelli di Vincenzo l’autore della  “Sonnambula”, della “Norma” e de “ I Puritani”.
Alcuni documenti ci conducono immediatamente  al 1891, quando il presidente  Francesco Vagliasindi assunse un nuovo maestro di musica, sempre con l’intenzione di perfezionare e migliorare le capacità dei musicanti. 
Questo documento  ci descrive l’incontro  di queste due persone così recitando :

     “Un bel giorno, un signore di altezza media, con un vestito ben curato, con un bel paio di baffetti su un volto rotondo, scese dal treno proveniente da Catania e si presentò subito al Signor Francesco Vagliasindi  che, da circa un’ora, lo attendeva alla stazione ferroviaria di Randazzo. Questo elegante signore era il maestro Antonino Borzì accompagnato da Orazio Scuderi, virtuoso trombettista e capo banda  del complesso bandistico di Biancavilla.
  Il maestro Borzì, dopo parecchi mesi di intenso lavoro, raggiunse tutto quello che aveva desiderato, cioè i frutti del suo lavoro e del suo insegnamento musicale.  La banda musicale aveva raggiunto il numero straordinario di trentuno musicanti bene addestrati”

Malgrado la distanza che mi separa da Randazzo, ho potuto fare una breve ricerca riguardo la famiglia Borzì.  Un documento di quell’epoca specifica che nel 1878, il consiglio comunale di Catania deliberò un sussidio per solida pensione al figlio di Antonino Borzì per altri due anni e per  fargli completare i suoi studi musicali a Napoli.
Antonino Borzì non fu irriconoscente.  Egli regalò la Messa di Gloria che venne eseguita al Duomo  nella festa di Sant’ Agata il 21 Agosto 1882.  Nel 1886, ancora lui, il maestro , istituì la nuova banda musicale di Catania con la denominazione  di “Bellini”.
Il maestro Borzì rimase a Randazzo probabilmente per parecchi anni, praticando sempre il suo insegnamento musicale per i suoi allievi i quali, riconoscenti, lo ricambiavano eseguendo con molta passione, tecnica e melodia, diversi brani musicali sinfonici e fornendo, nei periodi festivi, allegria ai cittadini randazzesi ed anche ai numerosi forestieri che assistevano ai festeggiamenti  del quindici agosto. 
Come è destino di tutte le cose  belle della nostra esistenza, il maestro Borzì, per sconosciuti motivi, dovette lasciare il corpo musicale e la città di Randazzo.  Pur cercando nei miei documenti, non mi è stato possibile   conoscere la data esatta della sua partenza.
Un documento fotografico del 1872, forse unico, si trova nell’archivio fotografico personale del prof. Nunzio Magro.  Si tratta, di una fotografia su lastra di vetro argentato, metodo fotografico in uso in quell’epoca, ed in esso figurano  i componenti della banda.
Questa copia è ancora visibile  nella  sala di ripetizione  della via San Giacomo.
C’è un’altra antica foto, scattata il 5 Marzo 1899 sotto i portici all’interno del cortile del Convento di San Domenico, nella quale possiamo vedere tutti  i musicanti  della banda, vestiti con un’ elegante divisa e con il loro simpatico cappello a piume.

     5 marzo 1899 – Banda Musicale di Randazzo. Al centro elegantemente vestito il maestro Antonino Borzì.           foto di Vincenzo Rotella.

 

 Possiamo anche ammirare  l’elegantissimo maestro Antonio Borzì e, alla sua destra, forse il suo capo banda.
Mi compiaccio di fornire  una precisazione; questa foto è stata eseguita all’epoca sotto i portici, situati all’interno del cortile dell’antico Convento di San Domenico, oggi in rovina, e al centro del quale si trovava un’antica cisterna la quale serviva come riserva d’acqua per i monaci.  Le loro celle erano situate al disopra di questa struttura. Sfortunatamente  una parte della chiesa e dell’ antica costruzione furono danneggiate dai bombardamenti del luglio e dell’ agosto  del 1943. 
In seguito, intorno al 1959, il resto dell’edificio, che in parte poteva essere salvato e conservato come antica rovina, è stata demolito dalle mani  di uomini poco scrupolosi ed indifferenti verso le testimonianze storiche .
Una informazione  ben precisa mi è stata fornita  una sera del 1952, da un anziano musicante  Signor Santo Santangelo ormai deceduto da molti anni .
Nel secolo scorso molte fotografie sono state scattate all’interno di questo cortile che veniva utilizzato  forse saltuariamente. L’interno della chiesa serviva come sala di ripetizione.
Il motivo  dell’utilizzo del cortile era il fatto che  tutti i giovani allievi, dopo molti mesi di insegnamento  musicale e strumentale, prima di essere ammessi  nel corpo musicale per le sfilate  e concerti, dovevano imparare  a camminare  a passo militare  cioè a passo sinfonico.
Ed era appunto all’interno di questo spazio aperto, che certi anziani insegnavano ai giovani questi movimenti  che, come tutti sappiamo, consistono nel camminare  battendo i piedi a tempo e contemporaneamente. 
Il Signor Santangelo suonava il sax  basso con molta passione ed era fiero del suo strumento sempre intonatissimo.
Un’altra antica fotografia , anni fa, era in possesso del signor  Vincenzino Scandurra e  di suo fratello Pippo, due eccellenti clarinettisti e “duettisti”, che erano stati  allievi del maestro Gerardo Marrone;  essa era esposta all’interno della sua antica segheria situata nel quartiere di San Francesco di Paola.  Un membro della sua famiglia vi era rappresentato: forse suo padre.
Dopo la partenza del maestro Antonino Borzì, un altro talentuoso personaggio gli successe alla direzione  del Corpo Musicale: il maestro Sigismondo Manno nato a Monreale (Palermo).  Questa persona dotata da un notevole ingegno musicale e artistico , ha saputo continuare il lavoro e l’opera del suo predecessore, aiutata nello stesso tempo della collaborazione dei due Capi banda Santo Bruno e Orazio Scuderi.
Il maestro Sigismondo Manno, prima di venire nella città di Randazzo, aveva diretto per qualche periodo diversi complessi bandistici.
 L’idea di questa ricerca mi è venuta per curiosità piuttosto storica  concernente  la sua carriera musicale.
Un  altro documento  che riguarda  la banda musicale della città di Augusta, creata nel 1863, e diretta in quell’epoca dal maestro Monteforte, ci informa che nel 1895 costui lasciò la direzione del complesso e a lui succedette il supplente maestro Sigismondo  Manno nato a Monreale.
Nel 1896 a sua volta quest’ultimo si dimise della sua carica lasciando il posto al  maestro Monteforte.
Successivamente la banda di Augusta fu diretta dal maestro Francesco Farina il quale nel 1899  emigrò in Argentina per cui alla direzione della banda di Augusta succedette ancora il maestro Sigismondo Manno fino al 1906, quando ne riprese la direzione il maestro Farina rientrato dall’Argentina. 
Il maestro Manno diresse anche  il corpo bandistico della città di Calascibetta a seguito di pubblico concorso nel 1891. A lui succedette il maestro Antonino Leto di Castelbuono (Palermo) nel 1903.

 

                                       La Banda di Randazzo – foto avv. Nunzio Zappalà

 

Il maestro Sigismondo Manno prese la direzione della banda musicale di Randazzo probabilmente dopo il 1906; ma questa data non è documentata.  Egli era un uomo di un notevole ingegno  musicale e artistico e continuò efficacemente il lavoro del maestro Borzì sempre con l’aiuto e la collaborazione dei due capi banda Santo Bruno e Orazio Scuderi, virtuoso trombettista, come certi scritti attestano.
Il 28 ottobre 1922 un evento politico venne a sconvolgere l’Italia cambiando le abitudini, i costumi, la situazione politica e le manifestazioni della vita di tutti i cittadini. 
Per essere chiari, è stata la creazione del Partito Fascista. In seguito all’affermarsi di questo movimento politico, la banda fu costretta a cambiare il nome trasformandolo in: Corpo Musicale Fascista e fu anche nominato un nuovo  presidente.
La persona scelta fu un  concittadino dell’antica nobiltà randazzese, il dottore Consalvo Vagliasindi, uomo molto intelligente, appassionato di musica, cortese e,  soprattutto, rigoroso e amante della disciplina. 
Quanto ero ragazzino, vi parlo degli anni 1940-1944, mi ricordo di questo simpatico personaggio di grande statura vestito sempre con molta eleganza e raffinatezza  soprattutto i sabati fascisti con la sua elegante divisa militare in compagnia di altri dignitari.
In quel periodo il Corpo Musicale Fascista tornò veramente di moda, usato e impiegato come propaganda  per moltissimi rituali del regime; ad esempio, le parate militari e soprattutto per festeggiare i sabati fascisti.
 Molti concerti sinfonici erano eseguiti sulle piazze della nostra città di Randazzo.  Molte volte, il sabato fascista, era festeggiato con sfilate e parate militari. 
Non volendo commentare questo triste periodo, desidero spiegare brevemente ai nostri giovani in che cosa consisteva il sabato fascista.   Tutti i giovani di allora che avessero compiuto 18 anni, tutti i sabati, avevano l’obbligo di partecipare alla preparazione militare.   Vestiti con una divisa militare  imparavano  a marciare a passo militare, salutare  militarmente ed acquisire  la conoscenza dell’uso delle armi  da fuoco e da combattimento.
Lo scopo  dei dirigenti politici e dell’esercito era che quando  questi giovani sarebbero stati reclutati, arrivando nel loro luogo di assegnazione, erano già quasi preparati e pronti per essere destinati sui campi di battaglia e d’occupazione. 
Molti giovani musicanti appartenenti alla banda, hanno dovuto fare questo percorso.
Un altro  importante fatto storico avvenne nel luglio del 1929, quando il Podestà (massima autorità municipale) essendo  molto soddisfatto  del lavoro compiuto dal maestro Manno, decise di rinnovargli l’incarico per  altri cinque anni. Ma il maestro non era in un eccellente stato di salute.  Le sue condizioni fisiche si aggravarono sempre di più e, nel 1931, circondato dall’affetto della sua famiglia e di molti cittadini randazzesi, lasciò definitivamente  questo mondo. 
Per un breve periodo il Corpo Musicale Fascista fu diretto dal maestro Sebastiani ; pur avendo effettuato una pur breve ricerca, non ho raccolto notizie precise su questa persona.

               Carmelo Venezia a sinistra.


Dopo il decesso del maestro Manno un altro  grave problema  si doveva risolvere : trovare il suo successore.
Il problema  fu presto risolto.  La persona scelta fu un giovane  di circa 36 anni molto simpatico, diplomato dal  Conservatorio di Napoli  e che fu subito assunto.
Era il maestro Gerardo Marrone, nato nella città di Lanciano il 25 luglio 1895, diplomato  in oboe e corno inglese.  Pare che da giovane abbia fatto parte del Corpo Musicale di Chianciano. 
Con il suo aspetto giovanile, con il suo modo di parlare, e con il suo accento continentale, trovò il modo esatto di conquistare l’affetto, la fiducia e la stima di tutti i musicanti e di molti cittadini randazzesi. 
Un documento del 1931 ci informa che il Podestà, con delibera  immediatamente esecutiva , lo nominò subito  direttore della banda e della scuola del dopo lavoro. Da allora il giovane maestro Marrone trasferì  a Randazzo la sua famiglia.  La moglie era originaria della città di Giarre ; aveva due figli, una femminuccia e un maschietto chiamato Paolo.  Non posso  indicarvi  il loro luogo di nascita, ma posso  affermare  che la loro giovinezza l’hanno trascorsa  nella nostra città di Randazzo.
Il maestro Gerardo Marrone , con il suo grande zelo e con le sue capacità musicali, si impegnò moltissimo nel il suo nuovo lavoro.  All’inizio il suo cambiamento di metodo disorientò un po’ i  musicanti, abituati ad un altro modo di direzione.  Quando questi  si resero conto del valore umano , artistico e musicale del maestro, modificarono il loro comportamento ed i loro atteggiamenti; ed  un particolare trattavano con grande rispetto il giovane maestro che si dimostrò  un eccellente insegnante rispettoso dei  i suoi allievi, ma molto severo nell’ ’insegnamento del solfeggio. 
Dopo il suo arrivo alla direzione della banda, impose un sistema di lavoro molto severo e in certi periodi anche faticoso. 
Le prove si effettuavano a partire delle diciannove e trenta senza limiti di orario finale. Con questo metodo la banda progredì musicalmente e artisticamente con un ritmo più che veloce.

                       Locandina Banda Musicale di Randazzo – 5 maggio 1932.

Nel periodo dei concerti domenicali e festivi la presenza dei cittadini era sempre più numerosa ; costoro, dopo avere ascoltato diversi brani musicali, applaudivano con molta energia e passione il maestro e tutti i componenti del corpo bandistico. 
Desidero aggiungere che, anche sotto la direzione  del Maestro Lilio Narduzzi, quest’orario è stato mantenuto.
I principali periodi delle feste nella città di Randazzo incominciavano sempre a Capodanno, con un grande concerto sinfonico eseguito su una delle piazze scelte dall’autorità municipale:  molte volte all’interno dell’antico chiostro del nostro Municipio.
Seguivano le processioni della Settimana Santa, la festa della Santa Pasqua, dell’Annunziata con la sua grande fiera del bestiame, la festa di San Giovanni Battista nel quartiere di San Martino, sempre con la sua particolare fiera del bestiame  tenuta all’esterno della Porta San Martino nei dintorni dei ruderi dell’antica chiesa oggi nascosta da parecchie nuove costruzioni forse abusive.
Questi due importantissimi avvenimenti duravano circa una settimana attirando moltissimi commercianti forestieri .
La città di Randazzo, in questi periodi, era un centro molto animato e vivace; il commercio locale prosperava e  soprattutto l’artigianato era molto attivo, tornando ai livelli di prima degli eventi bellici del luglio e dell’agosto 1943.

Gli Alleati sfilano davanti alla chiesa di San Martino bombardata. – luglio/agosto 1943.

La stagione lirica terminava sempre  nel  mese di settembre in coincidenza con le feste dell’Immacolata nel quartiere di San Pietro  e  del Signore della Pietà sulla piazzetta dello storico quartiere di San Giuliano.

Nelle precedenti pagine avevo scritto che, dal 1847 fino al 1940, moltissimi avvenimenti si verificarono sotto la  direzione del corpo bandistico.  Essendo io nato nel 1934, il maestro che ho conosciuto nel periodo della mia infanzia è stato il maestro Gerardo Marrone.
Da ragazzino e nei periodi festivi i miei genitori mi accompagnavano per assistere alle animatissime feste ed anche ai concerti serali eseguiti con molto talento dalla banda municipale  diretta dall’infaticabile maestro Marrone.
Mi divertivo vedendolo gesticolare  tenendo nella sua mano destra una bacchetta anche se non capivo i suoi movimenti. 
Il suo fisico era  piuttosto robusto; indossava una elegantissima divisa sicuramente confezionata  da qualche maestro sarto della nostra Città. Non capivo i gesti ed i segni della sua mano sinistra come della mano destra.
Cosa esprimevano questi gesti ora lenti ora veloci ? Per me ragazzino erano gesti appartenenti ad uno strano ed incomprensibile linguaggio. Con il passare degli anni ho capito  l’importanza di questi gesti e movimenti.
Nel 1939  iniziò la seconda e disastrosa guerra mondiale, creando disordine ed un grande disagio economico e sociale in tutte le nostre famiglie. 
Molti musicisti furono arruolati e inviati sui campi di guerra: in Grecia , in Africa, in Russia.
Il corpo musicale subì grandi perdite tra i principali componenti. Molti non sono più ritornati, dispersi o deceduti sui campi di battaglia.  Malgrado questi inconvenienti, il complesso bandistico con la forza e l’impegno del maestro Marrone, continuò a sopravvivere sino al 1943.
Tra  luglio e agosto 1943 la nostra antica città di Randazzo fu bombardata più che duramente dai nostri alleati. L’ottantatré per cento circa delle nostre case e dei nostri antichi monumenti furono distrutti .
L’antica chiesetta sconsacrata della via San Giacomo che era adibita a sala di musica, d’insegnamento e ripetizioni, fu distrutta dalle micidiali bombe privando il corpo musicale del suo luogo di raduno.
In seguito a questi disagi (forse poche persone  ne sono a conoscenza) è stata utilizzata una sala provvisoria all’interno del nostro Municipio pur essendo stato bombardato  anch’esso assieme all’antica chiesa di San Francesco oggi inesistente.
Questa si trovava, dopo l’entrata dal cancello, a sinistra,  a piano terra, prima di accedere alla scala che conduce al primo piano. Un nostro simpatico concittadino, il papà del nostro musicista, artista, trombettista Massimo Greco, conosce bene questo dettaglio, in quanto la sua famiglia, nonni, mamma e papà, erano stati guardiani del palazzo comunale.
Un altro luogo di insegnamento  e ripetizione  è stato l’interno dell’antica chiesa e Convento di San Domenico anche se una parte dell’edificio, cioè le celle e un lato del campanile furono semidistrutte.

Per un breve periodo  ospitò anche la scuola per l’insegnamento dei mestieri, in particolare per la lavorazione del legno cioè ebanisteria e falegnameria.
Ho avuto l’occasione di leggere, in un breve commento scritto forse da un nostro concittadino, che la chiesa di San Martino sarebbe servita provvisoriamente come sala di ripetizione; questo non è possibile in quanto la chiesa era stata bombardata nel luglio del 1943.
Desidero apportare una precisazione; quando ero adolescente, prima delle feste di San Giovanni ed anche in occasione di altri eventi festivi, in certi giorni piovosi, il corpo musicale si metteva al riparo  all’interno della chiesa eseguendo marce sinfoniche ed anche liriche. Tutto questo però avveniva molto di rado.
Vorrei dare una precisa informazione storica ai giovani che non hanno conosciuto e visto l’interno di questa chiesa prima del disastro bellico. Entrando dalla porta centrale ,sulla destra , esisteva un grande antico organo poi distrutto nel periodo dei bombardamenti e mai ricostruito.  La grande porta centrale con le due porte laterali, erano in bronzo con pannelli in rilievo che raffiguravano vari santi e personaggi della liturgia cattolica.  Queste porte richiamano quelle esistenti nel Battistero di Pisa.
Forse, negli archivi della chiesa, esiste qualche documento fotografico di queste opere d’arte oggi distrutte.
Molti anni di lavoro sono occorsi a queste persone per ricomporre il corpo musicale. Molti giovani appassionati di musica  frequentavano i corsi gratuiti in questi luoghi provvisori. 
Per quanto mi riguarda, la persona che mi ha veramente trasmesso la passione per la musica e per il clarino è stato mio padrino di cresima Carmelo Scalisi, clarinettista, fisarmonicista e pianista, che era stato allievo del maestro Gerardo Marrone.
Una sera del 1947 mi presentò al maestro Marrone; dopo un breve colloquio con moltissime domande, egli non esitò ad assumermi nella sua scuola per l’apprendimento del solfeggio e solo l’anno seguente per l’apprendimento del clarinetto in la bemolle chiamato anche sestino a causa delle dita delle mie mani non abbastanza lunghe essendo ancora giovanissimo. 
Le prime lezioni di solfeggio mi erano state impartite nella sua abitazione situata nel quartiere di Santa Maria, all’angolo tra via dei Caggegi e la via G. Marconi.   In seguito i corsi e le prove  si tenevano all’interno della chiesa dell’antico Convento di San Domenico.  Dopo la guerra la ricostruzione fu molto laboriosa e difficilissima per la comunità randazzese. 
Il maestro  Marrone fece molto con le sue capacità ed il suo coraggio ,  ma fu anche aiutato da molti anziani musicanti soprattutto dal capo banda Signor Francesco Di Silvestro e da suo padre Signor Antonino Di Silvestro; preciso che essi erano anche due bravissimi baritoni dotati di un eccezionale cultura musicale,  e furono aiutati da altri musicanti quali Gaetano Lazzaro , Carmelo Scalisi, Pietrino Grasso ed altri, riuscendo a riorganizzare i corsi di musica e d’insegnamento strumentale.

                                                               15 agosto 1960 Banda Musicale di Randazzo e di Catania.


In questo periodo  moltissimi antichi strumenti musicali furono inviati a Messina per una completa revisione. Aggiungo un piccolo dettaglio: il signor Antonino Di Silvestro aveva conosciuto il maestro Manno. Lo troviamo con altri anziani musicanti su un foto dell’otto aprile 1928 dove possiamo riconoscere il signor Salvatore Raciti, clarinettista, il signor Antonino Di Silvestro, il giovane Luciano Samperi con il suo tamburo e piatti ed altre persone come il signor Baieri Carmelo con i suoi piatti, il signor Santangelo, il signor Papotto con il suo bombardino, il signor Salanitri con il suo saxofono soprano.
Persone con molta cultura musicale, oggi passate al mondo dei defunti.
In attesa della fine dei lavori nella nuova sala dei concerti della via San Giacomo, l’antica chiesa di San Domenico serviva ancora come luogo di insegnamento e raduno.
Il metodo d’insegnamento del maestro Marrone era molto impegnativo per noi giovani allievi. Egli teneva moltissimo all’ottima conoscenza del solfeggio; anche ad una rapidissima lettura delle note musicali.  Durante il mio percorso di vita musicale ho avuto moltissimi consigli e lezioni particolari da due clarinettisti, il signor Gaetano Lazzaro bravissimo copista dotato di una bellissima calligrafia musicale e il signor Carmelo Scalisi anche lui insegnante.
Finalmente tra il 1949 ed il  1950 e dopo molti mesi di lavoro edile, la sala della Via San Giacomo fu riaperta. 
Con grande sorpresa dei dirigenti i muri interni, compreso il soffitto, non erano stati isolati; durante le ripetizioni i suoni producevano un eco, creando  disturbo sonoro per l’accordo degli strumenti. 

Ettore Di Stefano

Dopo molte consultazioni e discussioni, il capo banda signor Francesco Di Silvestro ed il maestro apportarono un grande miglioramento acustico facendo collocare un gran telone sotto il soffitto.
Qualche anno dopo la sala fu arricchita di una grande cattedra (palco) in legno che formava un semicerchio con diversi livelli che permettevano di separare gli strumenti ad ance da quelli in ottone e percussione.
 Quest’opera fu eseguita da un nostro concittadino, oggi defunto, signor Salvatore Di Stefano con l’aiuto del giovane  figlio Ettore. La sua falegnameria si trovava in Via Umberto dirimpetto alla chiesa di San Martino.
Nel 1949 il Comune di Giarre decise di ricomporre il suo corpo musicale facendo appello al maestro Gerardo Marrone.
Il bravissimo maestro decise di lasciare la città di Randazzo e la sua banda per andare a dirigere quella di Giarre. Aggiungo una precisazione: tutti i musicanti  della nuova banda della città di Giarre era stipendiati e pagati mensilmente dal Comune. In pochi mesi di lavoro egli fece progredire il complesso bandistico ad un alto livello artistico essendo lui, all’epoca, il migliore e il più rinomato della provincia.
Non volendo abbandonare definitivamente i suoi allievi e la sua banda di Randazzo, ritornava per  brevi periodi circa due volte la settimana. Per qualche anno la banda di Randazzo rimase senza maestro. Con la tenacia e le capacità del capobanda Francesco Di Silvestro, aiutato da suo padre signor Antonino, si riuscì, malgrado gli innumerevoli problemi finanziari, a mantenere il complesso bandistico efficiente.

Cav Pietro Vagliasindi sindaco di Randazzo

Nel 1950 l’amministrazione comunale, col contributo  del sindaco cav. Pietro Vagliasindi, fu creata una nuova commissione . L’affidamento della presidenza fu dato ad una persona che noi tutti abbiamo conosciuto e che troviamo su molte fotografie con il maestro Manno; si tratta del canonico Edoardo Lo Giudice, persona dotata di una grande cultura ecclesiastica e musicale.
Altre tre persone facevano parte della nuova commissione: il notaio Cammarda, il signor Castiglione ed un altro concittadino; perdonatemi se non ricordo il suo cognome. 
Il rev.mo canonico Lo Giudice era nato a Randazzo il 21 febbraio 1888 e morì il 9 gennaio 1977.
Il suo corpo riposa nel cimitero di Randazzo accanto alla tomba di padre Luigi Magro da Randazzo, monaco Cappuccino e grande storico. 
Il nuovo presidente, nei primi mesi del 1951, andò alla ricerca di un nuovo maestro. Dopo una consultazione tra i componenti della nuova commissione, il canonico Lo Giudice decise di chiamare un giovane maestro proveniente dalla provincia di Viterbo. 
La mattina del 13 febbraio 1951 un piccolo gruppo di musicanti si recò  alla stazione della Ferrovia Circumetnea ad attendere il treno proveniente da Catania. Il maestro Lilio Narduzzi scese dal treno un po’ infreddolito; ma, con molto garbo, andò incontro a questo piccolo gruppo composto anche dal signor Vincenzino Trazzera.
Dopo le rituali presentazioni il maestro Narduzzi fu accompagnato in Via Dei Lanza alla dimora del canonico Edoardo Lo Giudice, il quale aveva già fatto preparare  per lui un piccolo alloggio. L’incontro tra i due fu più che caloroso; la stretta di mano fu lunga e calorosa.
Il maestro, che discendeva da una famiglia di musicisti, era nato nella città di Vallerano (Viterbo) il 7 gennaio 1921 e si era diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma in fagotto e composizione musicale.  Nel 1946 diresse la storica banda musicale G. Verdi della città di Corchiano, facendole vivere un grande rinascimento artistico. Lilio Narduzzi aveva anche diretto la banda della città di Orte. Sarebbe stato anche ( ma io non ne ho notizie certe) direttore sostituto della RAI e di Gorizia.
Nella serata del 13 febbraio egli convocò tutti i componenti della banda all’interno  del nuovo luogo di ripetizione della via San Giacomo. Tutti erano presenti; eravamo circa 65, numero molto importante. Il maestro, dopo avere fatto conoscenza di noi tutti e dopo aver accordato i nostri strumenti, ha voluto che provassimo un brano sinfonico. L’esecuzione fu più che soddisfacente, sia per la nostra preparazione musicale, sia per l’eccellente esecuzione. 
Per parecchi mesi le prove serali furono molto intense e laboriose.
Il maestro Narduzzi dirigeva le ripetizioni sempre con molta eleganza gestuale, ricercando sempre la perfezione, l’armonia, con la sua mano sinistra, i coloriti musicali, la sensualità e la sensibilità musicale. Ed era così che preparava il corpo bandistico ai nuovi concerti per la nuova stagione estiva, la quale si presentava molto promettente.
Il nuovo presidente dovette affrontare un altro importantissimo problema; il corpo musicale di Randazzo non possedeva le divise. Con l’aiuto del sindaco che (se non faccio errore) era il cav. Pietro Vagliasindi e, del consiglio municipale di allora, una importante somma (forse cinquecentomila lire) fu stanziata per la confezione di divise, cappelli e accessori. I migliori sarti della nostra Città furono consultati per la scelta e la confezione del modello. Cito semplicemente quattro sartorie:
la sartoria Ferro, situata in via Umberto nelle vicinanze della chiesa di San Martino,
 la sartoria Livello, la sartoria Caggegi e quella dei fratelli Scuderi.
Posso affermarvi che questi artigiani , possiamo anche dire artisti nella loro materia, erano i migliori della città di Randazzo e forse anche della provincia.
Il modello, confezionato con tessuto di lana colore nero, forse fu creato dal signor Ferro, accogliendo anche i suggerimenti dei suoi colleghi.
Tutti gli artigiani sarti di Randazzo  parteciparono alla confezione delle divise. Ogni artigiano confezionava circa sette divise su misura pagate dal Comune. I cappelli furono confezionati, sempre su misura, a Messina. Per il ritiro delle confezioni fummo invitati all’interno della sacrestia della Basilica di Santa Maria, dove il presidente can. Edoardo Lo Giudice consegnava con molto orgoglio e soddisfazione il nostro cappello decorato con una superba lira musicale dorata.
Il maestro Narduzzi accelerava le ripetizioni serali per presentare il complesso non solamente alla cittadinanza randazzese, ma anche per eseguire il primo concerto sinfonico e lirico previsto in Piazza Santa Maria per il 14 maggio 1951. 
Il giorno della sfilata tutti i musicanti vestiti elegantemente con le nuove divise, camicia bianca, pantaloni e giacca neri, con cravatta e scarpe nere e con il nostro superbo cappello decorato con la simbolica lira musicale, ci adunammo all’esterno della sala di ripetizione della via San Giacomo.
Certo noi giovani con un po’ di apprensione; ma fummo aiutati da qualche anziano. Cito semplicemente il signor Giuseppe La Piana, cornista, il quale incoraggiava noi giovani ancora senza esperienza.   Dopo esserci inquadrati eseguendo gli ordini del maestro Narduzzi e del capo banda Francesco Di Silvestro, il signor Vincenzo Spitaleri, con il suo tamburo, diede il segnale della partenza a passo sinfonico, per procedere verso la via Umberto sotto gli applausi di molti abitanti del quartiere di San Martino.
Attraversando piazza Municipio, cittadini e curiosi erano fieri di rivedere e applaudire il loro nuovo corpo bandistico con i suoi nuovi strumenti musicali in ottone più che brillanti.

 

                                                                                          La banda Musicale – foto di Carmelo Venezia


Ricordo il signor Vincenzo Facondo, in piedi davanti alla sua pasticceria, che applaudiva con un grande sorriso il complesso musicale che eseguiva le nuove marce sinfoniche e percorreva la via Umberto fino a Piazza Loreto sempre applaudito e accompagnato da molti cittadini di tutte le età.
Dopo le festività della Settimana Santa in Randazzo i membri della commissione  erano soddisfatti per le loro iniziative e dei risultati ottenuti. Per noi giovani ed anche per gli  anziani musicanti, il giorno più memorabile fu quello del 14 maggio1951 quando tenemmo il nostro   primo concerto lirico, eseguito in Piazza Santa Maria in presenza dei membri della giunta municipale, della commissione e, soprattutto, di moltissimi cittadini.
Per immortalare quella serata una fotografia in bianco e nero fu realizzata dallo studio fotografico Longo, situato in Via Sciacca, oggi inesistente.  In essa possiamo riconoscere i volti di tre guardie municipali, oggi decedute, il signor Cernuto, il signor Varsallona, il signor Zappalà, il padre di Monsignore Vincenzo Mancini con i suoi nipoti, Pietro Giusa con suo fratello, il signor Giuseppe Facondo all’epoca molto giovane in compagnia di altre persone oggi assenti al mondo.
Non mi ricordo del programma serale; penso che nella prima parte del programma si eseguiva l’opera Ernani. Per molti anni avevo conservato questa foto, in seguito smarrita a causa dei miei viaggi di lavoro in Francia.
I musicanti erano posizionati in parecchi semicerchi piramidali e per categorie strumentali.La parte inferiore era riservata  alla cattedra del maestro.
Dopo l’accordo dei nostri strumenti eravamo pronti per l’esecuzione del primo brano lirico. Poi il tradizionale colpo di timpano eseguito dal signor Vincenzo Spitaleri che significava per noi metterci in piedi. Qualche istante dopo arrivò il maestro Lilio Narduzzi, il quale con molta eleganza e agilità salì sulla sua cattedra.
Il mio posto  era in prima fila, alla mia destra c’erano due clarinetti in mi bemolle, cioè il signor Gaetano Catania e il suo secondo il giovane Rasano; dopo c’ero io con il mio clarinetto in la bemolle ed alla mia sinistra l’oboe suonato dal mio amico Paolo Maio partito qualche anno dopo per l’Australia. 
Essendo a poca distanza dal  maestro, sul suo leggio notai che mancava la sua partizione generale. Pensavo che fosse stata una dimenticanza del nostro simpatico bidello signor Santangelo; volevo avvertire! Troppo tardi! Il maestro Narduzzi sempre con molta eleganza e con delicati gesti, tenendo nella sua mano destra una lunga bacchetta in acero bianco (confezionata dalle mie mani)  diede il via al complesso bandistico. Con nostra grande meraviglia notammo che il maestro con la sua memoria ed abilità dirigeva senza leggere la sua partizione. Per noi tutti fu una grande sorpresa; questo tipo di direzione era molto rischioso; ma la sua memoria fu  infallibile. Molte altre composizioni si sono succedute.

Nelle prossime pagine mi permetterò di enumerare una parte dei suoi scritti e composizioni.
Con l’impegnativo lavoro del maestro, aiutato dal capo banda Francesco Di Silvestro, da suo padre Antonino, dai clarinettisti Gaetano Lazzaro, Carmelo Scalisi, Pietrino Grasso, Vincenzino Trazzera trombone e tromba, Salvatore Mannino tromba e filicornino, Gaetano Papotto primo flicornino, queste persone con il loro insegnamento trasmettevano agli allievi il loro prezioso sapere musicale.
Con tale metodo la banda musicale aveva raggiunto un alto livello  artistico; essa era rinomata non solamente nella nostra provincia ma anche in tutta la  nostra isola.
Il 31 maggio 1952 la banda municipale di Randazzo fu chiamata dal comune della città di Assoro in provincia di Enna per animare la festa di Santa Petronilla patrona di questa antica città. La sera un grande concerto lirico fu eseguito sulla grande piazza, sotto la direzione del maestro Narduzzi, riportando un grande successo e molti applausi dalla cittadinanza di Assoro.

 

      Carmelo Venezia con il clarinetto, altri musicanti e il Comandante VV.UU. Zappalà


Mi ricordo con molta precisione questo viaggio in autobus della ditta Giovanni  Pagano. Eravamo accompagnati dal capo delle guardie municipali, signor Zappala’ padre del nostro concittadino avv. Zappalà.
Una foto ricordo fu scattata con il mio apparecchio fotografico al gruppo del signor Zappalà, del  capobanda Francesco Di Silvestro, del signor Antonino Di Silvestro, del signor Papotto, del signor Santangelo e del  nostro autista.
Questa foto  in mia possesso, è visibile sul sito internet : www.randazzo.blog. 
Durante il viaggio, abbiamo  potuto ammirare i meravigliosi paesaggi di questa provincia sconosciuti all’epoca da noi giovani. All’alba del primo giugno 1952, malgrado la nostra stanchezza, eravamo pronti per l’apertura dei festeggiamenti della Madonna dell’Annunziata in Randazzo; infatti, arrivati di buon mattino, il corpo musicale percorse la via Umberto eseguendo qualche marcia sinfonica, terminando il nostro servizio davanti la chiesa dell’Annunziata.
Agli inizi dell’estate 1954, in presenza del presidente rev.mo canonico Edoardo Lo Giudice, dei membri della commissione, del maestro Lilio Narduzzi, del capobanda Francesco Di Silvestro, una foto possiamo dire leggendaria del Corpo Musicale di Randazzo fu scattata davanti alle scalinate della Basilica di Santa Maria dal fotografo signor Longo. Vi possiamo riconoscere molti anziani musicanti i quali avevano conosciuto il maestro Manno e forse  erano stati anche suoi allievi. Una copia di essa si trova esposta all’interno della sala di ripetizione della via San Giacomo.

 

                                               14 agosto 1952 Banda Musicale di Randazzo e di Noto.


Un altro importante avvenimento si verificò nel periodo di Ferragosto; non posso affermare la data esatta, forse il 15 agosto del 1952; si tratta della venuta a Randazzo del corpo bandistico della città di Noto, quando i due complessi bandistici percorsero insieme, la nostra via Umberto, fermandosi in Piazza Santa Maria e quando la sera in Piazza Loreto meravigliosamente illuminata, fu tenuto un grande concerto lirico. Una foto, possiamo anche dire rara dei due complessi, fu scattata in Piazza Santa Maria dal nostro concittadino maresciallo Bonaventura fotografo, ed in essa possiamo ancora vedere le antiche facciate  delle case, oggi  modernizzate.
Desidero ricordare ai nostri giovani che il signor maresciallo Bonaventura era stato un grande reporter   nell’esercito italiano nel periodo della guerra. Il suo archivio fotografico era molto importante; moltissimi avvenimenti svoltisi nella nostra città, sono stati fotografati e penso conservati dai suoi figli e eredi.
Ci sarebbero molte cose e molti avvenimenti da raccontare e scrivere riguardanti il periodo della  direzione del nostro talentuoso maestro Narduzzi. Altre trasferte si sono effettuate nel periodo tra il 1951 e 1957; tra di esse un grande concerto lirico nella città di Biancavilla, a Passopisciaro, a Malvagna per le feste di Cristo Re,  a Montelaguardia ed  in altri luoghi della provincia. Mi ricordo perfettamente del viaggio della banda a Riposto per animare la festa di San Pietro. Fu un viaggio speciale con la littorina andata e ritorno organizzato dai dirigenti della Ferrovia Circumetnea e la sera, sulla piazza e davanti alla chiesa, fu eseguito un grande concerto lirico diretto dal nostro maestro Lilio Narduzzi in presenza del nostro maestro Gerardo Marrone il quale alla fine del concerto, si complimentò con Lilio Narduzzi per la sua eccellente direzione.
Per noi tutti fu un grande onore e piacere  rivedere il nostro anziano maestro e insegnante. Il tempo trascorre velocemente; malgrado la mia buona memoria, molti altri avvenimenti sono stati dimenticati.
Nelle prossime pagine, vi racconterò,  evidentemente con un po’ di nostalgia del passato, parecchi aneddoti, verificatisi all’interno della sala di ripetizione della via San Giacomo.

 

                                                            Banda Musica Randazzo. foto di Tony Trazzera

Dopo parecchi anni di intenso esercizio musicale con il mio clarinetto in la bemolle, il maestro Narduzzi mi consigliò di cambiare strumento e di suonare il clarino in si bemolle. Ho percepito questo consiglio come una promozione  meritata.
Il mio piccolo clarinetto , qualche anno dopo, fu affidato ad un giovane allievo molto volenteroso: Egidio Cavallaro.
Con il mio nuovo strumento trascorrevo molte ore eseguendo moltissime scale tenute e arpeggi; esercizi molto seccanti e talvolta noiosi ma necessari essendo il solo metodo per tutti i clarinettisti per raffinare i suoni, alla ricerca dei coloriti e sviluppare l’agilità delle dita.
Il giorno più lieto fu quello in cui il maestro mi assegnò un posto tra i primi cinque clarinetti, ritrovandomi a fianco dei clarinettisti Gaetano Lazzaro, il signor Salvatore Raciti, il signor Carmelo Scalisi ed il signor Pizzino.
Essere a fianco di questi bravi insegnanti è stato per me un grande riconoscimento, una gioia goduta con grande umiltà.
Desidero citare altre persone: il signor Salvatore Mendolaro, il signor Vecchio ed suo amico anche lui clarinettista; venivano da Linguaglossa viaggiando con la loro vespa.
Non posso dimenticare i fratelli Scandurra, Vincenzino e Pippo eccellenti duettisti,  senza dimenticare il signor Gaetano Catania con il suo clarinetto in mi bemolle, accompagnato da un suo allievo, il giovane Rasano. Ricordo un altro clarinettista, uno dei primi allievi del maestro Marrone, il signor Varotta, figlio del signor Paolo Varotta, ma che non aveva conosciuto Narduzzi; questi, dopo la fine degli avvenimenti bellici del 1943, emigrò in Belgio. Ricordo ancora il signor Santo Santangelo con il suo basso sempre lucido e brillante ed il signor Presti, con il suo saxo basso, partito per  l’Argentina verso il 1955. E poi i fratelli Vecchio, Rosario, saxo contralto, emigrato in Australia, il quale poco dopo il suo arrivo, creò la sua orchestra composta di sedici musicisti riportando molto successo.

Egidio Cavallaro capo della Banda Musicale di Randazzo

Il fratello Antonino Vecchio, trombettista, il giovane Antonino Gullotto, basso in si bemolle deceduto in un incidente di lavoro; ed ancora, un altro caro amico, Salvatore Mascali, saxofono, ma che da principio aveva suonato il clarone. Non possiamo dimenticare i nostri anziani, il signor Giuseppe La Piana, bravissimo cornista nato a Randazzo il 13 aprile 1913, anche lui dotato di un’ottima cultura musicale, uomo rispettoso con noi giovani, Salvatore Mannino, tromba e flicornino, deceduto nel 2015 a Randazzo, senza dimenticare un altro caro amico, Gaetano Papotto, primo flicornino solista del corpo musicale di Randazzo, uomo molto appassionato per il suo strumento e per la musica.
Lo ricordo sempre nell’esecuzione dei suoi brani lirici, soprattutto nella Norma, nella sua “ Casta Diva”. Il suo suono era chiaro, trasparente, melodioso; anche nel Barbiere di Siviglia ed anche in altri brani lirici come Rigoletto, Ernani, Traviata, Cavalleria Rusticana, Puritani ed altre opere. Gaetano, dopo qualche ora di esecuzione musicale, sentiva il bisogno di riposare le  sue labbra a causa del suo bocchino; in quel periodo la scelta era molto limitata e difficile in quanto i modelli non erano abbondanti come adesso. Ma, al suo fianco sinistro, aveva l’aiuto di Mario Raciti che spesse volte, con il leggendario segnale del piccolo colpo di gomito, su certi brani secondari prendeva la rileva.
Un altro importante personaggio, scherzoso nei suoi modi di agire, era il signor Vincenzino Spitaleri  percussionista; suonava i timpani, il tamburo ed altri strumenti musicali. Nelle serate di ripetizione generale entrava in sala frettolosamente. Il suo primo lavoro consisteva nell’accordo dei suoi timpani; con le sue mazzuole eseguiva delicati colpi sulle pelli con molta cura e precisione cercando l’accordo perfetto.
Il signor Vincenzino Spitaleri era un personaggio attraente, svelto e virtuosissimo nei suoi gesti. Egli trasmise la sua passione a moltissimi allievi. Desidero citare suo nipote Antonino Spitaleri il quale , sia nelle prove, sia nei concerti, era sempre al suo fianco.
Per i giovani che non hanno avuto il piacere di conoscerlo, cito il signor Vincenzino che suonava le campane in quanto era il sacrestano della chiesa di San Nicolò in Randazzo. Uomo di gentile e rispettato da noi giovani musicanti; amatore e degustatore del nostro buon vino locale, durante le processioni sapeva, assieme ad altri, dove fermarsi per qualche istante, per potere rinfrescare il suo palato nei momenti afosi della nostra estate, riprendendo con molta discrezione il proprio posto con un grande sorriso. Molte volte queste furtive assenze non piacevano al capo banda Francesco Di Silvestro il quale teneva molto alla disciplina. Erano periodi di festa e gioia; tutto si svolgeva nel buon umore e tra le risate.
Il signor Spitaleri è deceduto nella nostra città di Randazzo nel 1977.
Mi è molto difficile raccontare le storielle svoltesi nel seno della banda municipale diretta dal maestro Narduzzi. Per anni, in inverno come anche in estate, le prove si svolgevano con molta puntualità e disciplina. Certe sere molte autorità comunali venivano ad assistere alle nostre  ripetizioni. Spesso abbiamo avuto l’onore di ricevere il nostro celebre e onorevole concittadino avvocato Ferdinando Basile; chi di noi non ricorda questo illustre personaggio? Uomo di cuore e buono, è stato lui che in più anni di lotta amministrativa, si interessò per il completamento della tratta ferroviaria Taormina- Randazzo, oggi ridotta in uno stato di disordine e macerie.
L’avvocato Ferdinando Basile, amava molto la musica; il suo compositore preferito, era Boccherini. Vestito sempre con pantaloni, camicia e cravatta colorati, con scarponi, lungo pastrano, grande cappello, sempre con il suo fazzoletto in mano e soprattutto con la sua leggendaria pipa.
Il maestro Narduzzi, conoscendo le sue preferenze, distribuiva a noi tutti le partizioni del Minuetto di Boccherini.
Seduto a fianco del maestro, ascoltava con molta religiosità questa dolce, melodiosa e sentimentale composizione. Alzandosi e prima di ripartire, con il suo simpatico gesto, tenendo in mano il suo cappello e la sua pipa, salutava il maestro e tutti i presenti uscendo dalla sala con un grande sorriso.
Molte pagine si potrebbero scrivere su questo illustre personaggio conosciuto, stimato, e rispettato  da tutti i cittadini.
Altre persone che mi vengono in mente sono i tre fratelli della famiglia Turnaturi: Michelino, Nicolino e Pippo, tre fratelli intelligenti, simpatici e divertenti. Michelino era il fratello maggiore, suonava la tromba in si bemolle e per un lungo periodo anche il trombone. Come tutti i bravi solisti, suonava cercando la perfezione.
Una sera, in periodo di prove, con sorpresa del maestro , smise di suonare e con molta gentilezza chiese scusa al maestro perché le sue note e la sua romanza non erano perfette.
Nicolino suonava la tromba, Pippo il flicorno. Era un giovane molto scherzoso, sempre con un sincero sorriso, e raccontava sempre le sue solite barzellette facendo ridere gli amici. I tre simpatici fratelli, per motivi personali e di lavoro, si trasferirono  in altri luoghi della nostra Isola, lasciando definitivamente il corpo musicale.

 

Battista Arcidiacono. foto di V.Rotella 

       Luigi Arcidiacono


In un mio precedente diario scritto nell’agosto del 2019 con il titolo: Le fornaci del quartiere di San Giuliano, avevo ricordato i nomi di Luigi e Battista Arcidiacono, due fratelli che non solo erano specialisti nei lavori in terracotta, ma erano anche due eccellenti musicisti. Per molti anni hanno fatto parte del corpo musicale di Randazzo.
Luigi suonava il basso, prima con il maestro Marrone, dopo sotto la direzione del maestro Narduzzi.
Per moltissimi anni ho avuto il piacere di essere uno dei suoi veri amici. Con Battista ci conoscevamo da quando siamo nati cioè prima della seconda guerra e colgo l’occasione  per ricordare con lui un artista dimenticato da noi cittadini randazzesi, deceduto a Milano qualche decennio fà.
Battista Arcidiacono, a parte la sua perizia come artigiano della terracotta, possedeva un’eccezionale dote musicale. Primo trombone solista del corpo musicale sotto la direzione del maestro Narduzzi, Battista con il suo brillante strumento era un grande perfezionista che ricercava sempre i coloriti, l’intonazione ed anche l’armonia musicale.
Una sera, come sempre, il complesso si riuniva nella sala di ripetizione della via San Giacomo; c’era in programma il Rigoletto : opera di Giuseppe Verdi, con una trascrizione del maestro Narduzzi. Da principio tutto si svolgeva nella precisione e nell’armonia; l’esecuzione  era perfetta e noi tutti leggevamo la nostra  partizione con molta attenzione seguendo sempre i gesti del maestro con un particolare sguardo. Narduzzi, tenendo sempre nella sua mano destra la sua bacchetta, sempre con il suo delicato gesto, chiamò il primo trombone solista. La risposta fu più che negativa: nessun suono. Battista, invece di suonare, si mise a cantare la romanza mettendo un po’ in collera il maestro; dopo qualche secondo la collera si trasformò in un grande sorriso paterno facendo ridere tutti i componenti del corpo musicale.  
Battista Arcidiacono possedeva una bella voce, aveva un orecchio più che perfetto, sempre alla ricerca di una certa sensibilità musicale. La sua esecuzione di Figaro nel Barbiere di Siviglia di Rossini era eccezionale, ma anche in altri brani lirici come Ernani, Traviata, il Trovatore, Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni , La Forza del Destino, opere di Verdi, Puccini ed altri compositori .
Ascoltarlo era una vera delizia musicale per gli appassionati della musica lirica. Come moltissimi cittadini randazzesi, nel periodo del 1960, si è  trasferito a Milano, continuando a perfezionarsi nella storia musicale. Mi è stato riferito che a Milano dirigeva un  complesso bandistico e che si dedicava anche alla composizione musicale.
Ho avuto l’occasione di rivederlo a Randazzo in periodo festivo e prima del suo decesso, principalmente nei mesi di agosto, con il corpo bandistico Erasmo Marotta quando presentava, prima delle esecuzioni, i dettagli storici dei nostri grandi compositori italiani.
Altre storie si potrebbero scrivere su altri anziani componenti del corpo musicale di Randazzo, oggi deceduti, ma che noi non dimentichiamo.
Voglio citare un altro penultimo aneddoto che si è svolto sempre durante le ripetizioni. Una sera il maestro Narduzzi  aveva deciso di mettere in programma una trascrizione dell’opera Andrea Chenier, scritta dal compositore Umberto Giordano e con il libretto scritto di Luigi Illico. La storia è ambientata nel periodo della rivoluzione francese del 1789. In essa Andrea Chenier, accusato di essere un rivoluzionario, fu rinchiuso a Parigi nella prigione di Saint Lazare ed in seguito fu ghigliottinato nel 1794.
L’opera fu data alla Scala di Milano il 28 marzo 1896 riportando un enorme successo. In quest’opera c’è un’importante romanza eseguita dal baritono solista cioè dal capo banda Francesco Di Silvestro; alla sua sinistra, era seduto il padre, il signor Antonino.
Questa romanza era il canto patriottico dell’Inno nazionale  francese cantato da Andrea Chenier dietro le griglie della sua prigione prima della sua  esecuzione capitale. Questo canto doveva essere eseguito con una certa lentezza , dolcezza e  armoniosamente, e non con un tempo marziale. Il capo banda, con molta diligenza, eseguiva la sua partizione; il maestro lo pregò di rincominciare, ma questa esecuzione non piaceva al padre il quale con un gesto di nervosismo pregò suo figlio di fermarsi e disse : “Non è questo il modo esatto di eseguire questa romanza !” e riprendendo il suo strumento, eseguì con molto talento questo nostalgico brano musicale chiamato  La Marsigliese. Dobbiamo dire che il signor Antonino Di Silvestro era il più anziano dei componenti del corpo musicale ma, malgrado la sua età, era ancora in grado di eseguire meravigliosamente tante leggendarie romanze del nostro grande repertorio lirico italiano.
Prima di finire con i miei brevi aneddoti, desidero raccontarvi una piccola storiella, svoltasi una sera d’estate  intorno al 1954.
Come tutte le settimane, dopo le prove serali del complesso bandistico, terminandosi sempre  dopo le ore 22, in compagnia di Gaetano Papotto ed altri amici, avevamo sempre l’abitudine, uscendo dalla via San Giacomo, di percorrere la via Umberto, Piazza Loreto e Via Vittorio Veneto, sino ad arrivare nelle vicinanze della stazione Circumetnea, e nello stesso tempo avevano l’occasione di ossigenare i nostri polmoni respirando l’aria pura e odorosa del gelsomino ed anche l’occasione di ammirare questo decoro naturale, illuminato in  piena luna d’estate, che è la nostra Etna.
Bisogna dire che tra il 1950 ed il 1960, gli abitanti di Randazzo numerosi in questo periodo, potevano andare a passeggio in tutti i luoghi senza essere disturbati dalle automobili in quanto  pochi veicoli circolavano all’interno della nostra Città.
Ognuno di noi trovava sempre spunti di discussione. Si parlava di musica, delle nostre belle e simpatiche signorine, di avvenimenti culturali, dei nostri mestieri, del nostro lavoro. Una sera, percorrendo la via Vittorio Veneto, passando davanti le nuove palazzine costruite dal comune anni dopo la fine dei bombardamenti del 1943, in un appartamento situato al primo piano, giungemmo  all’altezza del luogo in cui  abitava il nostro bravo fotografo maresciallo Bonaventura.
Erano circa le ore 23, la temperatura era un po’ afosa; Gaetano Papotto si accorse, attraverso la sua finestra, che il signor Bonaventura aveva tirato fuori dalla sua ghiacciaia una bottiglia semipiena di vino depositandola sul bordo della sua finestra a circa due metri di altezza, punto facilissimo per recuperarla dall’esterno. Gaetano  volle fare uno scherzo al nostro bravo fotografo sapendo che, anche lui, era un grande estimatore del nostro buon vino. In un istante  la bottiglia con il  suo contenuto molto fresco si trovò nelle sue mani. Ci nascondemmo tutti  per goderci la reazione del signor Bonaventura.
Il maresciallo era stupito di non trovare più il suo prezioso liquido e cercava in tutti gli angoli della sua cucina, e chiedeva  anche a sua moglie  dove avesse sistemato la bottiglia. Quando si rassegnò, pensando forse a qualche allucinazione, andò a prendere un’altra bottiglia. Posso assicurarvi che la scena è stata unica, molto divertente  e con molte risate. Prima di ripartire la bottiglia fu rimessa al suo posto senza causare rumori e con molte precauzioni. Carissimo maresciallo, tu che ci guardi dall’alto dei Cieli, perdonaci di questo gesto più che monello; ma l’abbiamo commesso perché ti volevamo bene, sapendo che  anche tu sapevi ricambiarlo con la tua arte cioè con le tue magnifiche fotografie in bianco e nero. Grazie, sperando che nel tuo Paradiso trovi ancora il nostro buon vino genuino.
Dopo i racconti di questi aneddoti veri, bisogna riprendere la storia del corpo bandistico di Randazzo. Per lo svolgimento di un altro spettacolo lirico nella nostra Città, nel ferragosto del 1955 è stata invitata  la banda municipale di Giarre, e la sera del 15 agosto assieme al corpo bandistico musicale di Randazzo, un grande concerto lirico fu diretto dal maestro Gerardo Marrone riscuotendo un grande successo e moltissimi applausi dalla cittadinanza randazzese e dai numerosi turisti in Piazza Loreto.
Nel 1956 si è svolto un altro importante cambiamento  nel seno  della presidenza; il nostro amato e rispettato eminente canonico Edoardo Lo Giudice dimissiona lasciando la carica al nuovo presidente Signor Gaetano Fisauli il quale per dieci anni ha avuto anche lui molta passione e molto interessamento per la musica e per l’organizzazione del complesso bandistico fino al 1965.
Riferisco un altro dettaglio concernente il rev.mo Edoardo Lo Giudice; quando un giovane musicante partiva per compiere il servizio militare, il sacerdote si interessava moltissimo per la sua nuova situazione chiedendo sempre le sue notizie. Spesse volte, e grazie ai suoi interventi presso le autorità militari e con il loro accordo, in certi periodi festivi potevamo  ottenere una breve licenzia premio per rivedere la famiglia e nello stesso tempo partecipare alla festa ed ai concerti  aumentando così il numero dei musicanti.
Nel 1957 un altro concertone fu eseguito assieme alla banda municipale di Catania diretto dal maestro Michele Ventre.
Debbo affermare che a questo concerto non ho potuto partecipare a causa dei miei obblighi militari, trovandomi in sevizio al XXI Battaglione Trasmissioni F.T.A.S.E. nella magnifica e storica città di Verona.
Dopo molti anni trascorsi nella nostra città il maestro Narduzzi era diventato per noi tutti non solamente un vero cittadino randazzese ma anche un figura indispensabile perché partecipava attivamente alla vita artistica; per cui era rispettato e ammirato per le sue composizioni musicali da noi tutti, allievi e musicanti, e da tutta la comunità randazzese.
Durante le sue poche ore di riposo amava percorrere certe stradine antiche della nostra Città, ammirando  i resti dell’antica architettura soffermandosi spesso davanti alle antiche botteghe degli artigiani, numerosissimi ancora in questo periodo, oggi spariti,  ed ammirava il loro lavoro eseguito manualmente con molta arte e passione.
La sua famiglia, con la nascita dei suoi figli, si era ingrandita; possiamo dire che era un uomo felice! La sua abitazione si trovava nel quartiere di San Pietro , in un piano elevato, dove di buon mattino poteva ammirare e contemplare l’alba, la nascita del sole e nello stesso tempo il superbo panorama della nostra Etna, la quale ispirò al maestro qualche composizione musicale.
A proposito di composizione, qualche anno dopo il suo arrivo,  egli ha voluto innovare la fine dei concerti lirici, con le tradizionali marce sinfoniche molto conosciute dai cittadini, trascrivendo, esclusivamente per la banda municipale di Randazzo, una lunga composizione di vecchie canzoni napoletane e  del repertorio italiano dalla fine del 1800 al 1950.
Posso affermare che le armonie e i coloriti della sua trascrizione erano perfetti. Il nostro stile di interpretazione era completamente cambiato: non era più la lirica ma un altro linguaggio musicale moderno, veramente una musica popolare cantata e conosciuta dalle nostre mamme, nonni ed anche dalle nostre belle signorine.
Questo nuovo repertorio diretto sempre da Narduzzi fu eseguito una sera del 15 agosto in Piazza Loreto. I nostri giovani cantavano, i nostri anziani , e tutti i presenti, ascoltavano con molta, possiamo dire, nostalgia di tempi passati, questi magnifici melodiosi brani musicali.
Il canzoniere era sempre eseguito alla fine del concerto lirico e molte volte richiesto da moltissimi cittadini, e  il maestro Narduzzi lo dirigeva sempre con un grande sorriso.
Alla fine del mio servizio militare nel dicembre del 1957 ho ripreso il mio posto nel seno della banda musicale della nostra Città, felicissimo di ritrovare i miei amici e soprattutto la presenza del maestro Lilio Narduzzi.
La mia gioia fu molto breve; qualche mese dopo, precisamente il 17 gennaio 1958, per ragioni di lavoro, sono partito a malincuore per la Francia dove per circa ventidue anni mi sono stabilito nella città di Lyon. 
Il maestro Narduzzi ancora per anni continuò sempre il suo intenso lavoro, facendo progredire il complesso bandistico attirando moltissimi allievi tra i quali possiamo citare due dei nostri cittadini, Massimo Greco ed il  fratello Antonio.
Massimo
fu un allievo esemplare, intelligente e volenteroso. E’ stato anche un allievo di mia sorella nel periodo dell’insegnamento elementare e, con la sua caparbietà e con la sua capacità intellettuale, è stato sempre uno dei primi della sua classe.
La passione per il suo
flicornino e dopo per la tromba,a trasmessa da Gaetano  Papotto.
E’ stato proprio lui che si accorse che Massimo aveva la passione e la capacità per questi due strumenti. Con l’insegnamento ed i consigli prodigati dal maestro Narduzzi, egli aveva quasi raggiunto il vertice dell’apprendimento.
Massimo, ripeto, era molto volenteroso; e con la sua ambizione ha voluto raggiungere il vertice frequentando ( se non mi sbaglio )  il Conservatorio Musicale di Catania, ottenendo agli esami un alto punteggio.
Massimo Greco suonò con l’orchestra del Teatro Massimo di Catania. Fu poi trombettista del musicista e cantante Zucchero Fornaciari, in seguito lavorò con Luciano LigabueNeffa (pseudonimo di Giovanni Pellino) ed anche con altri complessi.
Oggi dirige molti complessi artistici in Italia ed anche all’estero. Ha diretto diversi spettacoli all’interno di quel luogo più che mitico che è l’Arena di Verona.
Durante il mio servizio militare, nell’estate del 1957, ho avuto l’occasione e la gioia di assistere a quattro rappresentazioni liriche con i tenori Franco Corelli all’epoca molto giovane, Giuseppe Di Stefano ed altri artisti.

                  Massimo Greco 

Possiamo affermare che Massimo ha fatto e farà onore alla nostra città di Randazzo assieme al fratello Antonio eccellente clarinettista.
Anni addietro in periodo estivo, in compagnia di mia sorella, ho avuto il piacere di incontrare Massimo Greco nella nostra cittadina in compagnia della sua famiglia.  Mia sorella fu molto sorpresa  nel vedere che, l’allievo che aveva avuto anni passati, non era più un adolescente. Era vestito molto alla moda con capelli e barba lunghi, grande cappello e stivaletti; noi ammiravamo un personaggio di televisione, un vero artista!
Nel giugno del 1956 il maestro Narduzzi, per ragioni personali, decise di ritornare con la sua numerosa famiglia a Roma.
Leggendo un articolo pubblicato sulla ‘’ Rassegna Periodica di Randazzo”  del 1990, trovo che il vero motivo della sua partenza sarebbero state le avverse condizioni economiche del comune di Randazzo il quale non era più in grado di versare lo stipendio mensile al maestro. Forse anche per altre ragioni? Personalmente non affermo niente in quanto in quel periodo vivevo lontanissimo della mia Randazzo e  non ne seguivo bene le vicende.
Dopo la dipartita del maestro Narduzzi il complesso bandistico rimase per parecchio tempo sotto la direzione del capo banda Francesco Di Silvestro.
Lilio Narduzzi  ritornava una volta l’anno per dirigere il complesso nel periodo estivo, soprattutto per i concerti lirici eseguiti nei periodi festivi cioè per la festa dell’Annunziata, di San Giovanni Battista il 24 giugno e la festa dell’Assunzione  il 15 agosto.
Era sempre una gioia per allievi, musicanti, amici e cittadini rivederlo nella nostra Città.
Dopo il decesso del capo banda Francesco Di Silvestro diversi anziani musicanti desideravano occuparne il posto vacante.  La scelta era un po’ imbarazzante e difficile.
Verso la fine del 1970 il signor Vincenzino Trazzera fu scelto e nominato capobanda.
Vincenzino era un ottimo trombettista, suonava il trombone, il saxofono ed era anche un bravo fisarmonicista.  Nel periodo della sua direzione apportò un gradevole cambiamento all’interno della banda, facendo partecipare ai  concerti pubblici altre voci cioè invitando molti cantanti lirici: soprani, tenori, e baritoni nei periodi festivi
Questi artisti  venivano abitualmente dal Conservatorio di Catania, forse anche dal Teatro Massimo ed anche da altri luoghi della nostra isola. Questo cambiamento è stato non solamente un’innovazione artistica , ma anche  musicale.
Come tutte le cose belle, dopo qualche periodo, il signor Vincenzino Trazzera è stato sostituito dal signor Salvatore Mannino, in seguito dal suo amico Gaetano Pappotto, a sua volta sostituito da Egidio Cavallaro.
Un altro cambiamento avvenne anche in questo periodo: la nomina di un nuovo presidente. Il signor Salvatore Mannino fu scelto non solamente per la sua esperienza ma anche per le sue capacità musicali e intellettuali ; personalmente l’avevo conosciuto quando ero suo allievo.
Salvatore Mannino era molto legato al complesso bandistico ed anche ai suoi dirigenti. Con l’accordo del direttivo nominò un giovanissimo maestro molto valente: il signor Giovanni Blanca.
Dopo la nomina del nuovo giovane capobanda Egidio Cavallaro, con l’accordo dei dirigenti, un cambiamento che possiamo dire importane, si verificò nel seno del complesso bandistico.
Dopo più di un secolo di esistenza la porta della sala di ripetizione della via San Giacomo  fu finalmente aperta a tutte le giovani donne desiderose di imparare la musica e suonare  uno strumento musicale; in seguito fu data anche la possibilità di accedere nel seno del corpo bandistico. E’ stata  un’eccellente idea  la quale ha permesso di aumentare considerabilmente il numero degli allievi e per conseguenza, per il futuro, i membri del complesso. Finalmente le donne entrarono in questa sala, che per anni era riservata esclusivamente agli uomini, assicurando la continuità e la tradizione di questo antico  complesso musicale.

Dopo la dimissione del signor Salvatore Mannino un’ altra persona conosciuta e stimata da noi tutti cittadini ha avuto il coraggio e possiamo anche dire la vera passione musicale  di ricoprire la carica di presidente ; il   signor Vincenzo Rotella.

 

                  Pasqua 1988 – La Banda Musicale al centro il Presidente Vincenzo Rotella.


Vincenzo Rotella
è stato Presidente dal 1987 al 1990. Per tutti questi anni la sua collaborazione nel seno del corpo bandistico è stata molto efficace.
Nel luglio del 1987, non essendo più sovvenzionato dal Comune, il corpo bandistico diventò un’Associazione e venne chiamato: “Corpo Bandistico Erasmo Marotta”, musicista nato a Randazzo il 24 febbraio 1576 e morto a Palermo il 6 ottobre 1641. Inventore del dramma musicale pastorale nel 1620 pubblicò  l’Aminta musicale… Il primo libro di madrigali a cinque voci, con un dialogo a otto.
L’associazione comprendeva circa 65 elementi giovani da 14 a 20 anni e una media tra i 40 ai 60 anni.
Vincenzino Rotella modernizzò l’interno della sala di musica, attrezzandola con un locale igienico, dotando il complesso bandistico di nuove divise e nuovi strumenti e nello stesso tempo attirò molti giovani elementi, i quali non avevano la possibilità di frequentare i conservatori musicali di Catania e di Messina. Grazie al suo dinamismo ed alla sua passione riuscì a dare un’anima musicale al corpo bandistico coinvolgendoli nella gestione dell’Associazione facendoli sentire parte di un progetto prestigioso per la nostra Randazzo.

Il presidente V. Rotella consegna le targhe ai Musicisti che hanno compiuto 50 anni di attività musicale.

 


Per un lungo periodo molti maestri si sono succeduti:  Giovanni Blanca, Francesco Letta, Salvatore Miraglia, Francesco Sapienza, Toni Trazzera.
Attualmente in Corpo Bandistico Erasmo Marotta, è sotto la direzione di un nostro bravissimo concittadino, il giovane maestro Angelo Zirilli diplomato dal Conservatorio Musicale di Messina in direzione e composizione. 
Il maestro Angelo Zirilli discendeva anche lui da una grande famiglia di musicisti e cantanti più  che amatori. Ho avuto l’onore di conoscerne i  bisnonni, i  nonni, le zie e gli zii.

 

                      9 agosto 1988 il primo concerto dell’Associazione Erasmo Marotta.


Desidero citare il bisnonno signor Giuseppe Adornetto, costruttore edile e chitarrista, dotato di una straordinaria memoria, che si accompagnava sempre con la sua antica chitarra, recitando e cantando tutte le antiche e meravigliose canzoni dialettali siciliane ed italiane del secolo passato, assieme ai suoi figli e molte volte accompagnato da sua moglie signora Margherita la quale aveva una straordinaria voce di soprano. Desidero anche citare il nonno, signor Alfredo Adornetto e  lo zio Gino; anche loro erano due melodiosi chitarristi. Ricordo sempre le serate trascorse assieme ad altri ragazzi e giovani signorine del quartiere in compagnia del signor Giuseppe seduto davanti la sua dimora sopra un grosso blocco di granito il quale serviva da sedile, ancora oggi esistente, con la sua celebre chitarra in mano, quando raccontava le antiche storielle dell’epoca passata accompagnandosi sempre con il suo melodioso strumento.
Molti di questi antichi racconti e canzoni sono stati registrati con magnetofoni da turisti americani di origine randazzese, venuti per rivedere le loro famiglie , ritrovare le loro origini e per conoscere versi , poesie e antiche canzoni, da riascoltare nei loro luoghi di residenza negli Stati Uniti d’America ; dolci ricordi.
Altri tempi! altri periodi, i quali malgrado molte difficoltà quotidiane, erano forse più ricchi di sentimento  e la gente era più sensibile e più sincera.
Gli anni di lavoro trascorsi da me in Francia sono passati più che velocemente non dimenticando mai il mio luogo di nascita , ritornandovi quasi ogni anno . Una sera, un venerdì d’estate del 2017 trovandomi in vacanza nella nostra città di Randazzo, il maestro Angelo Zirilli mi  invitò nella sala di ripetizione della Via san Giacomo per presentarmi tutti i giovani componenti del complesso bandistico ed assistere alla ripetizione generale
Da circa sessanta anni non avevo più avuto l’occasione di ritornare in questo luogo, per me più che mitico e pieno di dolci ricordi della mia giovinezza. Con moltissima  emozione ed anche con qualche lacrima, ho socchiuso per qualche istante i miei occhi, rivedendo nella mia mente la presenza dei miei amici giovani e anziani musicanti assieme al maestro Lilio Narduzzi, oggi deceduti.
Di  questo memorabile ricordo rimangono le antiche fotografie esposte in permanenza sui muri di questo “tempio” musicale ed esse rappresenteranno sempre, anche simbolicamente, la presenza di questi persone, possiamo dire artisti nelle loro materie e competenze professionali.

 

           Corpo Musicale “Erasmo Marotta” nella suggestiva piazza di San Giorgio. Dirige il maestro Tony Trazzera

 

Molti di questi non avevano mai frequentato i conservatori musicali, ma la loro perizia musicale era indiscutibile ed essi avevano trasmesso sempre il loro sapere e le loro esperienze a noi giovani allievi.
Seduto in un angolo della sala ammiravo il nostro giovane maestro Angelo Zirilli con i suoi elegantissimi gesti quando dirigeva con molta maestria ed abilità questo complesso  composto di elementi giovani e anziani.
Modestamente, desidero citare il nostro concittadino Santo Anzalone con il suo trombone, dedicato sempre alla composizione di canzoni e musica moderna. E’ stato sempre una persona molto attiva sia nella sua carriera musicale che nella sua professione. 
Ascoltai con molta attenzione questi giovani che eseguivano con molta perfezione e brio la loro partizione; meravigliato per il loro insegnamento, molti frequentano i Consevatori.
 Desidero citare i clarinetti, gli oboi suonati da due simpatiche signorine, anche le trombette, gli eccellenti giovani cornisti, i baritoni, i tamburi , i bassi, i saxofoni, le percussioni.  Ho potuto notare la presenza della signorina Greco con il suo oboe; i suoni del suo strumento erano pastorali e melodiosi. Farà ancora qualche anno di studio per raggiungere la perfezione.
La signorina Greco è la figlia dell’attuale presidente Antonio Greco , clarinettista e fratello di Massimo Greco. 
Questa gradevole serata, terminò con una squisita degustazione di pizzette e varie specialità culinarie prodotte dai nostri eccellenti artigiani di Randazzo. Che magnifica serata trascorsa assieme a questa gioventù appassionata e capace di continuare e proseguire questa antica tradizione artistica.
Con il signor Antonio Greco ci siamo incontrati nel mese di giugno 2020 proprio a Montecarlo. Rivederlo per me è stato non solamente una gioia ma anche un gradevole piacere. Abbiamo anche avuto il tempo di parlare della nostra Città e del corpo bandistico.
Un appuntamento e un incontro è stato fissato per la sera de 15 agosto a Randazzo alle ore ventuno, ai piedi  della scalinata dell’antico convento dei Cappuccini  per assistere ad un concerto lirico organizzato gratuitamente dai membri del corpo bandistico Erasmo Marotta.   La puntualità è stata rispettata. Il complesso bandistico, malgrado le difficoltà causate dal coronavirus, e dalla mancanza di un podio per la comodità dei musicanti, era disposto ai piedi di un’ imponente scalinata composta di 107 gradini, quella che conduce sul piazzale  davanti alla chiesa   del nostro antico Conve
nto dei Frati Cappuccini, oggi senza anima e senza presenza umana.
Negli anni passati questo convento non era semplicemente un luogo di insegnamento e di preghiera. Molti frati cappuccini, con la loro presenza, si occupavano della loro organizzazione e della loro vita monacale; ma anche aiutavano i bisognosi, gli ammalati , e si dedicavano all’educazione dei giovani. Nei periodi festivi partecipavano alle processioni organizzate da altre parrocchie della nostra Città, dando anche vita e animazione al quartiere dei Cappuccini, luogo di tranquillità abitato da moltissimi agricoltori, artigiani e professionisti, oggi quasi spariti.
  Desidero ricordare , fuori dal racconto sulla musica, sempre in questo convento, la presenza di un nostro illustre concittadino, Padre Luigi Magro da Randazzo, monaco cappuccino deceduto nel 1951. La sua vita monacale è stata consacrata non solamente alla religione, ma anche alla scrittura ed al servizio dei bisognosi. Molti scritti e ricerche, dopo la sua morte, sono state recuperati da storici e studenti randazzesi, sperando che presto siano pubblicati nell’interesse dei nostri numerosi studenti e della nostra storia locale.
Quasi tutti i componenti del corpo musicale erano presenti; vestiti con molta eleganza e classe; assieme al maestro Angelo Zirilli, la mezzo soprano Daniela Caggegi, il baritono Ludovico Cammarda, il presidente e clarinettista Antonio Greco.
L’insieme visto e ammirato in un decoro naturale possiamo anche dire in un quadro antico. Quasi tutti i gradini di questa scalinata erano stati occupati da molti cittadini: bambini, giovani ed anziani amanti di quest’arte musicale. Malgrado la mancanza di ripetizioni per causa della pandemia, il concerto si è svolto in una gioiosa ambientazione.  Molti brani lirici sono stati eseguiti con molta professionalità, melodia e coloriti, eseguiti dai nostri artisti  e concittadini Daniela Caggegi e dal  baritono Ludovico Cammarda .
Complimenti per il nostro giovane baritono. Il suo timbro di voce è stupendo, vibrante, melodioso! Spero che nei prossimi anni avremo il piacere di ascoltarlo in un grande teatro lirico: questo è il mio augurio; attualmente però frequenta il conservatorio.

                     Daniela Caggegi mezzo soprano

        Daniela Caggegi mezzo soprano


Non desidero dimenticare i meriti della signora Daniela Caggegi; anche lei ha un voce sublime, melodiosa, delicata e colorita. Moltissime serate d’estate sono state animate da suo padre, Nino Caggegi, anche lui pianista e cantante nei suoi momenti liberi, nella nostra città di Randazzo ed anche in altri luoghi della nostra isola.

Nino Caggegi

Possiamo affermare che nella nostra Città ,malgrado certi problemi, la passione per la musica  è stata sempre viva. 
La sorpresa in questo concerto lirico è stata l’esecuzione della  composizione musicale del nostro celeberrimo compositore Ennio Morricone : Il etait une fois dans l’ouest : ( C’era una volta il West )  e, malgrado le poche ripetizioni, la voce di Daniela Caggegi, con il suo stile, con la sua squillante voce, e con gli effetti sonori del complesso bandistico, trasportò per qualche momento noi spettatori nel deserto americano dell’Arizona.
Il giovane maestro Angelo Zirilli diresse questa difficile composizione con molta eleganza e affermo con molta maestria. Bravissimi tutti i componenti che suonavano gli strumenti ad ancia, in ottone, percussioni senza dimenticare i bravi cornisti e i trombonisti.

La serata del 15 agosto 2020 terminò con moltissimi applausi, ringraziamenti e felicitazioni da parte di noi tutti spettatori e con i ringraziamenti pronunciati dal presidente Antonio Greco, persona meritevole per la sua efficacia artistica e musicale nel seno del Corpo Musicale Erasmo Marotta.

 

           Il presidente Antonio Greco e il maestro Angelo Zirilli.


Nella tarda sera, dopo aver trascorso questi magnifici momenti d’estate, e percorrendo le stradine dell’antico quartiere di San Martino, passando per via San Giacomo, ho avuto un particolare pensiero per il maestro Lilio Narduzzi ed anche per il maestro Gerardo Marrone. Un altro aneddoto mi è venuto in mente. Una sera, come tutti i venerdì ,era in programma l’esecuzione della Cavalleria Rusticana scritta dal nostro compositore Pietro Mascagni nato a Livorno ne 1863, deceduto a Roma nel 1945.  L’opera fu data nel 1890.
Il maestro Narduzzi con il suo solito gesto della mano destra diede il via, marcando delicatamente il tempo di questa melodiosa composizione.
Leggendo la mia partizione davo uno sguardo ai suoi gesti i quali, con la sua mano sinistra, indicavano a noi tutti musicanti i coloriti musicali e melodici. Il suo sguardo era fissato sul suo leggio . In questi  momenti un musicante legge una linea della sua partizione mentre il maestro  ne leggeva quasi una ventina.
Questo lavoro necessita una grande forza mentale e di resistenza; due  qualità complementari che Lilio Narduzzi possedeva, cui si aggiungeva il suo raffinato sorriso, e il suo affiatamento con i musicanti. Il finale di questo melodioso intermezzo terminava con il gesto della sua mano destra che disegnava  simbolicamente un punto coronato, il quale per noi musicanti significava la fine di questo lungo brano musicale eseguito con molta attenzione, grazia, e melodia da tutti i componenti del corpo musicale.
Il maestro Lilio Narduzzi era nato nella citta di Vallerano in provincia di Viterbo il 7 gennaio del 1921. Nella metà del 1966 lasciò la nostra città di Randazzo per stabilirsi a Roma. Nel 1974 ha diretto la banda musicale della città di Squinzano; in seguito, dal 1981 al 1997, ha diretto la banda musicale della città di San  Giovanni Valdarno.
Dopo l’unione con una nostra cittadina, sono nati quattro eredi: Nello, direttore musicale dei Vigili Urbani della città di Roma nel 1987, Esmeralda insegnante, Massimo, e infine Alessandro architetto.
Moltissime composizioni musicali sono state scritte dal maestro Narduzzi. Non avendo consultato nessun archivio, posso solo citare le sue composizioni da me conosciute:_ La Strega, Esmeralda, Il Pianto dell’Etna, marcia funebre scritta a Randazzo esclusivamente per il  nostro corpo bandistico ; ed ancora: Romeo e Giulietta; Passeggiando; Persistenti; Dialogo, composizione per clavicembalo. Continente Nero,  prima e seconda parte; Week- End; Danza Selvaggia; Angolazioni, composizione sempre per clavicembalo; Meravigliosa Natura; Impulsi e Ricerche. 
Molte di queste composizioni, sono state registrate e forse diffuse. Il maestro si è spento il 24 luglio del 2008 a Roma.
La sua salma riposa nel cimitero di Vallerano secondo le sue volontà. Ed  è sempre col  dito coronato che termino il mio diario. Grazie maestro Narduzzi, grazie maestro Gerardo Marrone per i vostri insegnamenti; i vostri ultimi allievi, oggi  anziani, malgrado gli anni passati più che velocemente, si ricordano di voi.  Penso che, dall’alto dei cieli, circondati dalla musica degli angeli, volgete sempre lo sguardo sulla nostra bella città di Randazzo con la sua Etna, “A MUNTAGNA”, circondata dai suoi paesaggi, boschi, vigneti con le sue antiche costruzioni, lì dove la natura nasce , lì dove muore 
Spero che verrà il giorno in cui concittadini e dirigenti municipali amanti della musica, quest’arte nobile, pacifica e internazionale, avranno l’idea di dedicare due nuove strade in onore di questi due maestri:
“Via Lilio Narduzzi Direttore Musicale e  Compositore”, ed anche “Via Gerardo Marrone direttore musicale”.
      Desidero nuovamente ringraziare il signor Vincenzo Rotella Presidente per più di un decennio,  nonché memoria storica del ” Corpo Bandistico Città di Randazzo ” e dopo rinominato “Associazione Corpo Bandistico Scuola Musicale Erasmo Marotta”, .
         Molti avvenimenti mi sono stati precisati da Lui. 

Disidero pure ringraziare il prof. Santino Casalotto e Francesco Rubbino per l’aiuto dato nella stesura del testo anchè se lasciato a mò di memoria e scritto come la mia mente ma,  soprattutto il mio cuore dettava.

          Carmelo Venezia . Montecarlo Aprile 2021.  

 

ATO CT1 – Soc. Joniambiente

 

Costituzione della Società per Azioni a partecipazione pubblica per la gestione dell’Ambito Territoriale Ottimale
( ATO CT1 ).

Nomina componenti del Consiglio di Amministrazione.
Atto stipulato in data 30 dicembre 2002 presso lo studio del notaio Carlo Saggio. 

I SOCI:

Provincia Regionale di Catania, Assessore Provinciale Salvatore Cristaldi, delegato dal Presidente Sebastiano Musumeci;

Comune di Bronte, Leanza Salvatore Sindaco;

Comune di Calatabiano, in persona del Sindaco pro tempore Maccarrone Salvatore;

Comune di Castiglione di Sicilia, in persona del Sindaco pro tempore  Cardile Concetta;

Comune di Fiumefreddo di Sicilia, in persona del Sindaco pro tempore Nucifora Sebastiano;

Comune di Giarre, in persona dell’Assessore Vitale Salvatore, giusta delega del Sindaco pro tempore Toscano Giuseppe; 

Comune di Linguaglossa, in persona del sindaco pro tempore Stagnitta Antonino Felice;

Comune di Maletto, in persona del Sindaco pro tempore Parrinello Nunzio;

Comune di Maniace, in persona del Sindaco pro tempore Conti Emilio;

Comune di Mascali, in persona dell’Assessore Maccarrone Alfio, giusta delega del Sindaco pro tempore Carota Silvestro;

Comune di Milo, in persona del Sindaco pro tempore Sessa Paolo;

Comune di Piedimonte Etneo, in persona del Sindaco pro tempore Cavallaro Giuseppe;

Comune di Randazzo, in persona del Sindaco pro tempore Del Campo Ernesto Alfonso;

Comune di Riposto, in persona del Sindaco pro tempore D’Urso Carmelo;

Comune di Sant’Alfio, in persona del Sindaco pro tempore Patti Leonardo;  

 

                Componenti del Consiglio di Amministrazione, nominati dai Soci, per il primo triennio:

Spampinato Mario, presidente
Tomarchio Salvatore, vice presidente

Di Maria Orazio, consigliere
Pavone Giovanni, consigliere
Rubbino Francesco, consigliere
Spartà Salvatore, consigliere
Vasta Gianni, consigliere

Componenti il Collegio Sindacale, nominati dai Soci, per il primo triennio:
Bonaccorsi Roberto, presidente;
 Barbagallo Salvatore, sindaco effettivo;
Caprino Campana Gaetano, sindaco effettivo 
Scaglione Antonio, sindaco supplente;
  Caruso Paolo, sindaco supplente.

I Presidenti che dal 2002 ad oggi si sono susseguiti : 

 

 

 

 

 

                          Amministratori ATO CT1  Società Joniambiente

                               

Contenzioso con il comune di Randazzo

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede
giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe
proposto, lo accoglie in parte, nei termini di cui alla motivazione e per la restante
parte lo respinge, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in
parte il ricorso introduttivo e per la restante parte lo respinge.
data: 7 luglio 2021.

Qui di seguito la sentenza che modifica la parte riguardante la possibilità che il comune potesse uscire dall’ATO CT1 – Società Joniambiente SpA in liquidazione.

Il Consiglio N. 00026/2021 REG.RIC.
N. _____/____REG.PROV.COLL.
N. 00026/2021 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 26 del 2021, proposto dalla società
Joniambiente s.p.a. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Agatino Cariola e Fabio Santangeli,
con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico
eletto presso lo studio Agatino Cariola in Catania, via Gabriello Carnazza, 51;
contro
Comune di Randazzo, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da
PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Bronte non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione
staccata di Catania (Sezione Prima) n. 2932/2020, resa tra le parti
N. 00026/2021 REG.RIC.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Randazzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2021, tenutasi ex art. 4 del d.l. n.
84 del 2020 e ex art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, così come modificato dall’art. 6 del
d.l. n. 44/2021, il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati
Agatino Cariola e Giovanni Parisi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Consiglio comunale di Randazzo (CT), con deliberazione n.10 del 2020 ha
deliberato il recesso dalla società Joniambiente s.p.a. in liquidazione (di seguito:
“Joniambiente”), ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 20 del medesimo d.
lgs. n. 175 del 2016.
2. Detta deliberazione è stata impugnata da Joniambiente, la quale ha proposto
ricorso anche per il “riconoscimento dell’obbligo del Comune di Randazzo a
contribuire alle spese di gestione della Società partecipata Joniambiente s.p.a.
[…], sino alla fine della stessa liquidazione”, per la dichiarazione di inefficacia
della deliberazione impugnata (e del correlato recesso ivi disposto) rispetto alle
obbligazioni nei confronti di terzi che Joniambiente s.p.a. in liquidazione sarebbe
costretta a soddisfare “in dipendenza dei rapporti contrattuali insorti per la
gestione del servizio di igiene pubblica anche a favore del Comune di Randazzo ed
all’esito di tutti i contenziosi pendenti”.
3. Il Tar Sicilia – Catania ha respinto il ricorso con sentenza 9 novembre 2020 n.
2932.
4. La sentenza è stata appellata davanti a questo CGARS con ricorso n. 26 del
2021, corredato da istanza cautelare.
5. Con ordinanza 5 febbraio 2021 n. 69 l’istanza cautelare è stata accolta al solo
fine della fissazione dell’udienza di merito, che è stata fissata il 7 luglio 2021.
N. 00026/2021 REG.RIC.
6. Nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Randazzo.
7. All’udienza del 7 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
8. L’appello è parzialmente meritevole di accoglimento.
9. Prima di scrutinare il ricorso in appello si rileva che non costituisce un motivo
sul quale questo CGARS è chiamato a pronunciarsi il paragrafo rubricato “In via
preliminare: sull’obbligo degli enti locali soci di rispondere delle obbligazioni
della Società d’ambito e sulle conseguenze che ne derivano a carico degli enti
soci”, nel quale viene esposta la disciplina “circa l’obbligo dei Comuni-soci di
rispondere delle obbligazioni assunte dall’Ato per prestare i servizi di riferimento”,
in quanto non contiene un motivo di doglianza, tanto è vero che
è articolato prima (e separatamente, anche dal punto di vista grafico) rispetto alla
successiva illustrazione delle specifiche censure avverso la sentenza gravata, così
come nel ricorso introduttivo detto paragrafo è articolato prima (e separatamente)
rispetto alla successiva illustrazione delle specifiche censure avverso l’atto
impugnato.
Ciò comporta che non attiene alla presente controversia la questione degli asseriti
debiti del Comune di Randazzo nei confronti della società appellante con
riferimento alla gestione del servizio dei rifiuti svolta dalla stessa società (sui quali
ha interloquito anche controparte e poi controdedotto nuovamente parte appellante).
10. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella
parte in cui il Tar ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di primo grado per la
“la mancata impugnazione della deliberazione consiliare n.18/2020 in tema di
revisione delle partecipazioni che ha previsto il recesso […] i profili di
inammissibilità che da ciò – pacificamente – discenderebbero”.
Il motivo, ininfluente rispetto alla decisione del Tar, che ha comunque scrutinato il
merito del ricorso, con pronuncia di infondatezza (cui sono rivolte le censure
scrutinate infra), diviene rilevante nel caso di specie in ragione del parziale
N. 00026/2021 REG.RIC.
accoglimento del ricorso.
Esso è fondato.
In primo luogo la deliberazione è stata impugnata con ricorso straordinario al
Presidente della Regione il 21 dicembre 2020.
In secondo luogo, l’eventuale mancata impugnazione della deliberazione consiliare
n. 18 del 2020 in tema di revisione delle partecipazioni, che ha previsto il recesso
da Jonica, non determina l’inammissibilità del ricorso introduttivo del presente
giudizio (avverso la deliberazione attuativa).
La deliberazione n. 18 del 2020 assolve infatti una funzione programmatoria e
compulsiva delle future attività dell’ente in tema di razionalizzazione degli
organismi partecipati.
Essa non rileva nella prospettiva dell’immediata lesività, atteso che quei programmi
possono poi subire delle modificazioni nell’an, nella tempistica e nel quantum e che
comunque scontano la possibilità della mancata attuazione. In termini generali, è
infatti l’atto che esegue le intenzioni dell’Ente che manifesta un’immediata lesività.
Il piano di razionalizzazione di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 175 del 2016 trovano la
propria ratio nell’esigenza di incentivare la dismissione delle partecipazioni
societarie antieconomiche o superflue, imponendo agli enti di verificare
periodicamente le ragioni delle partecipazioni detenute. Detta funzione è presidiata
da istituti tipici dell’ordinamento contabile, la previsione di una sanzione per la
mancata adozione del piano e l’eventuale ricorrenza di una responsabilità
amministrativo contabile.
E’ in linea con tale impostazione il fatto che la Corte dei conti, nell’ottica di una
sana gestione finanziaria degli enti, consideri la “revisione delle partecipazioni” un
atto doveroso (“la mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4 da parte
degli enti locali comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma
da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno
eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata
dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti”, così la
N. 00026/2021 REG.RIC.
Sezione delle autonomie, delibera n. 22/2018/INPR).
Detta obbligatorietà, infatti, riguarda l’adozione del piano di cui all’art. 20 del d.
lgs. n. 175 del 2016, non la successiva attuazione, ed è presidiata da una sanzione e
dall’eventuale responsabilità amministrativo contabile, così spostando nell’ambito
del particolare ordinamento contabile gli effetti e le conseguenze, oltre che la
rilevanza, dell’adozione dell’atto di programmazione.
In tale prospettiva gli istituti introdotti dal d. lgs. n. 175 del 2016 non possono
essere interpretati in senso ostativo rispetto alla volontà del legislatore di riordino
delle partecipazioni pubbliche (sicché l’omesso inserimento di un’operazione di
razionalizzazione nella delibera programmatoria non può essere inteso come
impedimento alla realizzazione di detta operazione), mentre l’avvenuto inserimento
dell’operazione di snellimento nell’ambito del programma è funzionale a facilitare
la successiva implementazione concreta della scelta amministrativa, scelta che
viene attuata successivamente.
D’altro canto neppure gli esiti del ricorso straordinario avverso la deliberazione
presupposta producono necessariamente riflessi nell’ambito della presente
controversia (dipendendo dal tenore del singolo atto e dai motivi di ricorso), con la
conseguenza che neppure l’annullamento di uno di detti piani (che comporta fa
venir meno lo specifico progetto di dismissione nell’atto di programmazione)
impedisce necessariamente di cedere la titolarità delle quote sociali con un atto
indipendente. Ciò perché altrimenti l’atto programmatorio di cui all’art. 20 del d.
lgs. n. 175 del 2016 (o, meglio, la mancata previsione di un’operazione di
razionalizzazione, o l’annullamento di essa) produrrebbe un effetto contrario
rispetto alla volontà legislativa di incentivare, anche attraverso quel piano, gli
interventi di dismissione di partecipazioni antieconomiche.
E in ogni caso non risulta agli atti che sia intervenuta una decisione sul ricorso
straordinario.
10.1. Il motivo è quindi fondato, con conseguente ammissibilità della domanda
N. 00026/2021 REG.RIC.
introduttiva del presente giudizio.
11. Con il secondo e il quarto motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della
sentenza nella parte in cui il Tar ha dichiarato legittimo il recesso del Comune di
Randazzo.
11.1. Il motivo è meritevole di accoglimento.
Il tema sotteso alla presente controversia necessita di essere affrontato considerando
la prospettiva pubblicistica e la prospettiva privatistica, sia in riferimento all’istituto
del recesso (del Comune di Randazzo), sia in relazione all’istituto della
liquidazione societaria (di Joniambiente).
Con l’atto qui impugnato il Comune di Randazzo ha esercitato il recesso nei
confronti di Joniambiente, società in liquidazione.
In particolare, a tale ultimo riguardo, l’ambito territoriale ottimale per il servizio di
gestione dei rifiuti è stato introdotto con l’art. 23 del d. lgs. n. 22 del 1997.
Successivamente il d. lgs. n. 152 del 2006 ha istituito e disciplinato le Autorità
d’ambito, le quali agiscono attraverso gli ATO, destinatari di alcune prerogative
precedentemente affidate alle regioni e alle province in merito di gestione dei
rifiuti.
Joniambiente s.p.a., che rappresentava l’Ambito Territoriale CT1, è stata costituita
dal Comune di Randazzo, unitamente ad altri Comuni della ex provincia di Catania.
Lo stesso provvedimento impugnato in primo grado riporta che “con deliberazione
del Commissario ad Acta, n.1 del 17/12/2002, il Comune di Randazzo ha aderito
alla società d’Ambito denominata Joniambiente, approvando contemporaneamente
lo Statuto della società d’Ambito” e che “le quote di partecipazione, sottoscritte dal
Comune di Randazzo per l’adesione alla Joniambiente S.p.A., oggi in Liquidazione,
ammontano a 8,19, pari ad € 8.189,00”.
La l.r. n. 9 del 2010 ha posto le società d’ambito in liquidazione (le gestioni da
parte delle s.p.a. ATO “sono cessate dalla data del 30 settembre 2013 e sono state
trasferite in capo alle S.R.R., con conseguente divieto per i liquidatori delle società
d’ambito di compiere ogni atto di gestione”, così l’art. 19) e ha istituito al loro
N. 00026/2021 REG.RIC.
posto le SRR, Società Regolamentazione Rifiuti, le quali hanno progressivamente
assunto il servizio, direttamente o tramite i comuni riuniti in ARO.
Attualmente quindi Joniambiente in liquidazione svolge attività liquidatoria e non
gestisce più il servizio rifiuti.
Il Comune di Randazzo ha motivato il proprio recesso dalla partecipazione in
Joniambiente in liquidazione sulla base delle seguenti considerazioni:
– la razionalizzazione imposta dall’art. 20 del d. lgs. n. 175 del 2016 in punto di
partecipazioni societarie da parte degli enti locali;
– lo stato di dissesto del comune di Randazzo (deliberazione 30 maggio 2019 n.
17);
– l’irragionevolezza di pagare i costi di gestione di Joniambiente in liquidazione,
quelli “inerenti il mantenimento di SRR Catania Provincia nord” e “i costi
amministrativi e gestionali per far fronte al servizio di igiene urbana del Comune
di Randazzo, attualmente gestito dallo stesso Comune”.
Tale motivazione non trova corrispondenza nelle fattispecie di recesso previste dal
legislatore.
11.2. Principiando dalla disciplina pubblicistica, il d. lgs. n. 175 del 2016 non
prevede una disciplina derogatoria del recesso del socio, se non in un caso,
ricadendo pertanto la relativa disciplina nella previsione di cui all’art. 1, comma 3,
d. lgs. n. 175 del 2016, secondo cui “per tutto quanto non derogato dalle
disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione
pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di
diritto privato”.
In particolare, il d. lgs. n. 175 del 2016 incentiva la razionalizzazione delle società a
partecipazione pubblica, senza prevedere, salvo specifici casi, modalità di cessione
di società o di quote ulteriori rispetto a quelle ordinariamente consentite in ambito
commerciale (alienazione di quota, cessione, messa in liquidazione, fusione o
soppressione di società).
N. 00026/2021 REG.RIC.
Fra gli strumenti di dismissione introdotti dal d. lgs. n. 175 del 2016 vi è l’ipotesi di
recesso di cui all’art. 24 comma 5, che non si applica al caso concreto perché fa
riferimento alla mancata attuazione di una dismissione prevista nel piano di
razionalizzazione mentre nel caso di specie la dismissione controversa è stata
prevista e attuata (sul punto Corte dei conti, Sez. reg. Lazio, deliberazione n.
35/2020/VSG e Sez. reg. Lombardia 79/2018/PAR).
11.3. Pertanto l’istituto del recesso, cui fa riferimento il provvedimento impugnato,
trova fondamento nella disciplina privatistica.
Inquadrato nella categoria dei diritti potestativi sostanziali, connotati dal fatto che il
titolare è abilitato a produrre una modificazione nella sfera giuridica altrui non
sottoposta a controllo giudiziale, l’art. 2437 c.c. prevede, al comma 1, le cause di
recesso inderogabili, riguardanti la modifica significativa dell’oggetto sociale, la
trasformazione della società, il trasferimento della sede all’estero, la revoca dello
stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o
previste dallo statuto, la modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso
di recesso, le modifiche dello statuto concernenti il diritto di voto o di
partecipazione. Al comma 2 sono indicate ulteriori cause di recesso, derogabili
dallo statuto, quali la proroga del termine di durata della società, l’introduzione o la
rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni. Al comma 3 è attribuita facoltà
di recesso ad nutum al socio di società di durata indeterminata e al comma 4 è
previsto che lo Statuto possa introdurre altre ipotesi di recesso.
Nello statuto di Jonicambiente non sono previste ulteriori ipotesi di recesso mentre
viene effettuato un rimando alle norme del codice civile e alle altre disposizioni in
materia di società (art. 30), in linea con la sopra riferita disposizione di cui all’art.
1, comma 3, d. lgs. n. 175 del 2016.
Il recesso di cui alla deliberazione impugnata, motivato nei termini sopra delineati,
non integra alcune delle ipotesi di recesso previste dai commi 1 e 2 dell’art. 2437
c.c., non potendo essere ricondotto ad una modifica significativa dell’oggetto
sociale, alla trasformazione della società, al trasferimento della sede all’estero, alla
N. 00026/2021 REG.RIC.
revoca dello stato di liquidazione, all’eliminazione di una o più cause di recesso
derogabili o previste dallo statuto, alla modificazione dei criteri di valutazione delle
azioni in caso di recesso, alle modifiche dello statuto concernenti il diritto di voto o
di partecipazione, alla proroga del termine di durata della società, all’introduzione o
alla rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni.
Rimane pertanto la sola possibilità di ritenere applicabile al caso di specie il
recesso ad nutum previsto dal terzo comma dell’art. 2437 c.c.
A fronte delle specifiche ipotesi di recesso previste dal codice civile e considerando
la mancanza di previsioni ulteriori di recesso da parte dello Statuto, la
giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto sembra chiudere le porte
all’interpretazione analogica dei casi di recesso ad nutum di cui all’art. 2437
comma 3 c.c., previsto nei casi di durata indeterminata della società, anche al di
fuori di detta ipotesi (dallo statuto di Joniambiente si evince che la durata della
società è fissata per il 2030).
La questione di fondo riguarda la possibilità di equiparare, ai fini di legittimare il
recesso ad nutum del socio, la previsione statutaria di una società per azioni,
contratta per un tempo particolarmente lungo, a quella di società con previsione di
durata a tempo indeterminato.
In disparte ogni valutazione in ordine alla possibilità di qualificare il termine di
durata di Joniambiente, individuato nello statuto nel 2030, come “particolarmente
lungo”, gli indici normativi e sistematici convergono nel non consentire detta
equiparazione (e quindi il recesso ad nutum del socio di società per azioni in caso
di termine non indeterminato della società ma “particolarmente lungo”).
Depongono in tale senso la lettera del comma 3 dell’art. 2437 c.c., che limita
tassativamente la possibilità di recedere ad nutum al solo caso di società contratta a
tempo indeterminato, e la prospettiva sistematica, che deve tenere in considerazione
la disciplina dettata per le società di capitali e le esigenza di certezza che la
connotano, nonchè la tutela dei creditori sociali, i quali, facendo affidamento solo
N. 00026/2021 REG.RIC.
sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità.
Sullo sfondo si pone la comparazione tra l’interesse del socio di società per azioni a
dismettere il suo investimento e l’interesse del resto della compagine e della società
stessa a portare avanti il progetto imprenditoriale, facendo affidamento sulle risorse
presenti e sulla certezza delle stesse, connesso all’interesse dei terzi creditori, che, a
loro volta, confidano sulla generica garanzia costituita dall’intero patrimonio
sociale, in una prospettiva che si distingue dalla situazione delle società di persone.
Nelle società di capitali l’interesse della società alla conservazione del capitale
sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio (per la
frustrazione alla volontà di dismettere la partecipazone), che non vede inciso, nè
direttamente nè indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili e il suo
diritto di voto a causa del mutamento del quorum. “Ciò giustifica – anzi impone –
una interpretazione restrittiva delle norme che prevedono le ipotesi di recesso del
socio di società per azioni” (Cass. civ., sez. I, ordinanza 29 marzo 2019 n. 8962).
Rispetto alle società di persone, invece, il legislatore ha stabilito una diversa
disciplina delle ipotesi di recesso ad nutum (previsto dall’art. 2285 c.c. per le
ipotesi di durata della società indeterminata o pari alla vita di un socio), atteso che,
in esse, prevale l’intuitus personae.
Diversamente, nelle società di capitali, nelle quali il recesso ad nutum è
contemplato solo per i casi di società con durata indeterminata, l’estensione alle
società per azioni della disciplina del recesso del socio trova ostacolo in esigenze di
certezza e di tutela, in particolare, dell’interesse dei terzi creditori: mentre i creditori
di una società di persone possono fare affidamento, oltre che sul patrimonio
societario, anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili,
viceversa, i creditori di una società di capitali possono contare soltanto sul primo,
che, in caso di recesso di un socio, subisce una corrispondente riduzione (non
compensata dalla responsabilità personale del recedente).
Considerato che l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale
prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio e che si impone
N. 00026/2021 REG.RIC.
un’interpretazione restrittiva delle norme che prevedono le ipotesi di recesso del
socio di società per azioni (Cass. civ., sez. I, ordinanza 29 marzo 2019 n. 8962) è
esclusa la possibilità di assimilare la società avente quale termine di durata un
termine “particolarmente prolungato” alla società a tempo indeterminato, per la
quale (soltanto) è previsto il recesso ad nutum quale espressione del principio
generale desumibile dall’art. 1379 c.c. in tema di impegni a tempo indeterminato.
“E’ escluso il diritto di recesso “ad nutum” del socio di società per azioni nel caso
in cui lo statuto preveda una prolungata durata della società (nella specie, fino al
2100), non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella, prevista dall’art. 2437,
comma 3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la
necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del
socio dalla società” (Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2020, n. 4716).
Esclusa la possibilità di ricorrere al recesso ad nutum, non si rinviene il fondamento
normativo del recesso esercitato dal Comune di Randazzo.
11.4. Non solo. L’art. 2437-bis c.c. esclude espressamente la possibilità per il socio
di recedere nella fase di liquidazione della società (e Joniambiente, come già
ricordato, è in liquidazione).
In disparte ogni considerazione sul fatto che è il recesso può portare, in alcuni casi,
alla liquidazione della società (art. 2437-quater comma 6 c.c.), la previsione è posta
a tutela dei terzi che sono venuti in contatto con un soggetto dotato di autonomia
patrimoniale perfetta, così assicurando che siano soddisfatti prima che venga meno
il soggetto (e l’autonomia patrimoniale perfetta).
Tale previsione si apprezza nella prospettiva della liquidazione societaria.
11.5. Principiando dalla disciplina pubblicistica, il d. lgs. n. 175 del 2016 non
prevede una disciplina derogatoria della liquidazione societaria, ricadendo pertanto
la relativa disciplina nella già richiamata previsione di cui all’art. 1 comma 3 d. lgs.
n. 175 del 2016, che rimanda, per tutto quanto non derogato, alle norme sulle
società contenute nel codice civile e alle norme generali di diritto privato.
N. 00026/2021 REG.RIC.
11.6. In termini generalissimi, il tema della soggettività giuridica, specie se
accompagnata da autonomia patrimoniale perfetta, richiede di essere
adeguatamente attenzionato.
Nelle soggettività ad autonomia patrimoniale perfetta, infatti, i creditori possono
contare soltanto sul patrimonio di detta soggettività, che, in caso di recesso di un
socio, subisce una corrispondente riduzione (non compensata dalla responsabilità
personale del recedente).
Ciò in quanto la personalità giuridica piena consente (e impone) di riconoscere una
piena autonomia al soggetto che ne è dotato, anche rispetto agli enti che vi
partecipano.
Anche allorquando la persona giuridica è posta in liquidazione, il patrimonio
dell’ente continua a costituire l’unica garanzia per l’adempimento delle
obbligazioni e, se del caso, per la proficua attivazione della responsabilità
patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.
Ne deriva che lo scioglimento delle persone giuridiche richiede di essere coordinato
con la responsabilità delle medesime, specie se si considera, quanto alle società di
capitali, che esse trovano la propria ragione d’essere nella necessità di reperire
capitali al fine di compiere iniziative economiche, evitando nel contempo di esporre
a responsabilità personale i soggetti che li conferiscono: in tal senso depone
l’origine storica delle medesime, che si suole ricondurre alla Compagnie des Indes
Occidentales (1664), rispetto alla quale fu sentita la necessità di dotarla di
personalità giuridica al fine di addossare solo alla medesima, e non anche ai
finanziatori, il rischio (alto e imprevedibile) del fallimento delle esplorazioni per
mare.
In detta prospettiva tipicamente connessa alla concezione delle società di capitali in
funzione (limitativa) della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., il
patrimonio sociale riveste, come già illustrato, una particolare rilevanza,
costituendo una garanzia per i soggetti terzi che sono entrati in relazione, per
motivi economici, con la persona giuridica.
N. 00026/2021 REG.RIC.
Il venir meno della persona giuridica deve quindi essere coordinato e
regolamentato in relazione alle obbligazioni già assunte dalla medesima, sulla base
di una disciplina che, dovendo assicurare la tenuta del mercato, presenta aspetti di
imperatività che la accomunano ad altri settori della responsabilità patrimoniale.
La liquidazione della società ha l’obiettivo di estinguere le passività dell’ente
trasformando in denaro il patrimonio aziendale, così da ripartire poi, tra i soci,
l’eventuale residuo attivo, con la conseguenza che durante la liquidazione la società
continua a esistere come centro di imputazione di rapporti giuridici, ma con
sostituzione dello scopo liquidatorio a quello lucrativo (Cass. civ., sez. I, ordinanza
10 dicembre 2020 n. 28193). Invero, con la deliberazione di liquidazione il socio
perde il diritto di conseguire il valore delle azioni, conservando solo, al pari di ogni
altro socio e in conformità con la disciplina della liquidazione, il diritto di
partecipare alla distribuzione del residuo attivo in misura proporzionale alla propria
partecipazione.
Prioritariamente quindi essa è preordinata al pagamento dei debiti sociali, secondo
l’ordine legale di priorità dei corrispondenti crediti sancito nel piano di liquidazione
e il diritto dei soci alla ripartizione dell’attivo sorge solo se, dopo il pagamento dei
debiti, residui un saldo attivo da distribuire.
La disciplina è volta a garantire massima tutela ai creditori, come si rinviene nelle
norme che disciplinano i criteri di svolgimento della liquidazione, e più
precisamente negli artt. 2487 e 2489 c.c. e nell’art. 2491 comma 2 c.c., ove si
prevede espressamente che “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti
sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non
incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale soddisfazione del creditori
sociali”.
La cogenza della disposizione si evince anche dalla correlata responsabilità
aquiliana del liquidatore nell’ipotesi considerata nell’art. 2495 c.c., parificabile alla
responsabilità verso i terzi o i soci degli amministratori ex art. 2395 c.c., secondo
N. 00026/2021 REG.RIC.
una concezione classica che vede i creditori sociali come soggetti terzi rispetto alla
società (Cass. civ., sez. III, ordinanza 12 giugno 2020 n. 11304).
Del resto, già da tempo, la giurisprudenza ha avuto occasione di sottolineare la
priorità che assume l’interesse dei creditori, stakeholders della società, soprattutto
nella fase in cui essi non possono più fare affidamento nell’operatività dell’impresa
e nella continuità aziendale, a vedere soddisfatti i propri crediti (Cass. civ., sez. III,
ordinanza 15 gennaio 2020 n. 521), tant’è che sin dal 1980 la Suprema Corte ha
sancito la nullità della convenzione fra i soci di una società per azioni,
amministratori e detentori dell’intero pacchetto azionario, la quale sia rivolta a
trasferire i beni sociali, in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo
soddisfacimento dei creditori della società, “per violazione delle norme imperative
che tutelano l’integrità del patrimonio della società a garanzia dei creditori”, e che
ne consentono l’assegnazione ai soci solo nel caso e con la procedura dello
scioglimento e messa in liquidazione dell’Ente (Cass., sez. 1, 18 gennaio 1988 n.
326).
In relazione all’attuale normativa, che espressamente tutela la posizione di creditori
in tale delicata fase, la giurisprudenza ha riconosciuto l’obbligo dei liquidatori,
anche di diritto, di rispettare il precetto della par condicio creditorum (Cass. civ.,
sez. III, ordinanza 15 gennaio 2020 n. 521), sebbene detto obbligo non sia
espressamente menzionato nelle norme di settore ma ricavandolo dalle norme
generali che negli artt. 2740 e 2741 regolano il concorso dei creditori e le cause di
prelazione.
Il dovere del liquidatore di procedere a un’ordinata liquidazione del patrimonio
sociale pagando i debiti sociali, per conto della società debitrice, secondo il
principio di par condicio creditorum dà il segno degli interessi cui è preordinata la
fase liquidatoria della società, cioè quelli dei terzi che sono entrati in contatto con
la medesima.
La disposizione, contenuta nell’art. 2437-bis c.c., che esclude espressamente la
possibilità del socio di recedere durante la fase di liquidazione della società, si
N. 00026/2021 REG.RIC.
inscrive nella anzidetta prospettiva della tutela degli interessi dei creditori, dal
momento che il recesso del socio comporta una diminuzione del patrimonio sociale,
non compensata dalla responsabilità personale del recedente.
11.7. A fronte di ciò, la coloritura pubblicistica del caso qui controverso non
consente di incidere nel senso di rendere meno stringente la disciplina della fase di
liquidazione, deponendo piuttosto in senso contrario.
Invero, la circostanza che la società interessata dalla liquidazione sia partecipata da
soci pubblici presuppone che la partecipazione dell’ente risponda ad un
corrispondente interesse pubblico del medesimo, rispetto al quale si impone, nella
gestione della fase di transizione dello scioglimento della società, un’attenzione
ancora maggiore (o comunque non inferiore) a quella rivolta alla liquidazione di
società a capitale interamente privato.
Ne deriva che la disciplina contenuta nel d. lgs. n. 175 del 2016, non solo, come
sopra già si è cercato di dimostrare, non apporta prescrizioni specificamente
derogatorie sul punto qui controverso, ma neppure evidenzia un principio generale
teso a incidere sulle regole liquidatorie previste in generale per le società di
capitale.
11.8. Sicché, durante la fase liquidatoria, il socio pubblico, così come il socio
privato, non può recedere dal contratto di società, con le conseguenze che ciò
comporta sull’effettiva dismissione della partecipazione societaria, e quindi sul
piano di razionalizzazione di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 175 del 2016.
A tale ultimo riguardo il Collegio non ignora che l’ordinamento giuridico incentiva
ormai da tempo forme di razionalizzazione della partecipazione degli enti pubblici
in società aventi forme privatistiche.
In particolare sin dalla legge n. 296 del 2006 il legislatore ha tentato di porre un
argine al proliferare delle società pubbliche, laddove non strettamente necessarie
per il perseguimento delle finalità istituzionali dei singoli enti pubblici, a tutela sia
della concorrenza che della sostenibilità della finanza pubblica.
N. 00026/2021 REG.RIC.
Seguendo questo obiettivo sono stati posti dei limiti alla capacità di diritto privato
delle pubbliche amministrazioni, specie a livello locale, accentuando il profilo del
cd. vincolo di scopo, vietando loro di costituire società e di mantenerne la
partecipazione, ove non strettamente necessario.
Attualmente il d. lgs. n. 175 del 2016 è intervenuto in modo organico prevedendo
una prima revisione straordinaria delle società partecipate nell’art. 24, che
costituisce un aggiornamento dell’analogo piano di razionalizzazione richiesto
dall’art. 1, commi 611 e seguenti, della legge n. 190 del 2014, e una
razionalizzazione periodica nell’art. 20.
L’art. 24 del d.lgs. n. 175 del 2016, in particolare, nel disciplinare il procedimento
di revisione straordinaria prescrive che le partecipazioni detenute in società, sia
direttamente che indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche, alla data di
entrata in vigore del decreto, non riconducibili ad alcuna delle categorie elencate
nel precedente articolo 4, commi 1, 2 e 3, ovvero che non soddisfano i requisiti di
cui all’articolo 5, commi 1 e 2, o che ricadono in una delle ipotesi di cui all’articolo
20, comma 2 (esplicitanti i parametri ed i presupposti in base ai quali deliberare i
piani di razionalizzazione periodica), vadano alienate o siano oggetto delle misure
indicate all’articolo 20, comma 1 (“razionalizzazione, fusione o soppressione,
anche mediante messa in liquidazione o cessione”).
L’art. 20 del d.lgs. n. 175/2016, imponente la razionalizzazione periodica, prescrive
che, fermo restando quanto disposto dal citato articolo 24, comma 1, le
amministrazioni pubbliche effettuino annualmente, con apposito provvedimento,
un’analisi dell’assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni,
dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti indicati al comma 2,
un piano di riassetto, anche in questo caso finalizzato alla “razionalizzazione,
fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.
Entrambe le suddette norme, che si inquadrano nell’ambito della finalità di
razionalizzare in funzione di una maggiore efficienza e di una riduzione dei costi la
partecipazione di enti pubblici in società di diritto privato, si riferiscono
N. 00026/2021 REG.RIC.
all’alienazione delle partecipazioni o alla “razionalizzazione, fusione o
soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione” (art. 20), con una
formulazione che pone come obiettivo finale (non intermedio) la messa in
liquidazione della società, come si evince anche dall’equiparazione di detta
situazione con la stessa cessione.
Sicché non si ricava dal d. lgs. n. 175 del 2016 alcuna sollecitazione ad intervenire
con un atto di recesso a fronte della già avvenuta messa in liquidazione della
società, che anzi costituisce un obiettivo finale della razionalizzazione.
Il legislatore ha quindi compiuto una scelta in tal senso, contemperando le esigenze
di contenimento della spesa pubblica con le prerogative di certezza dei rapporti
giuridici connaturali a un’economia di mercato, che esigono di preservare la
posizione dei contraenti della società (a partecipazione pubblica), così accettando il
rischio che la razionalizzazione delle partecipazioni di cui all’art. 20 del d. lgs. n.
175 del 2016 non determini, senza soluzione di continuità e con immediatezza,
l’effettiva dismissione della partecipazione, se non al termine delle procedure
ordinariamente previste dall’ordinamento.
Del resto, allorquando il legislatore ha ritenuto di intervenire per assicurare un
immediato (e unilaterale) effetto all’atto di dismissione posto in essere dall’ente
locale, lo ha espressamente disposto: è il caso della cessione di partecipazione, per
la quale era previsto ex lege che, decorso un certo termine, “la partecipazione non
alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto” e “entro
dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della
quota del socio cessato” (art. 1 comma 569 della legge n. 147 del 2013, poi
abrogato dall’art. 28 comma 1 lett. t del d. lgs. n. 175 del 2016).
In ragione di quanto sopra, durante la fase liquidatoria, il socio pubblico, così come
il socio privato, non può recedere dal contratto di società. Al riguardo si precisa che
detta statuizione non contrasta con la sentenza di questo CGARS n. 530 del 2019,
richiamata da parte appellata, in ragione del fatto che in quell’occasione i motivi di
N. 00026/2021 REG.RIC.
censura, così come formulati, non hanno richiesto una pronuncia espressa in punto
di rapporti fra recesso e liquidazione della società, atteso che la controversia si è
incentrata piuttosto sull’attualità, o meno, della gestione caratteristica del servizio.
Né depone in senso contrario la circostanza che il Comune di Randazzo versi in
stato di dissesto (deliberato con atto del consiglio comunale 30 maggio 2019 n. 17),
il cui bilancio stabilmente riequilibrato (per gli anni 2019/2023, approvato con
decreto 6 luglio 2020 n. 65991 dal Ministero dell’Interno) prevede espressamente di
“rivedere la partecipazione a consorzi, enti e società di cui l’Ente è attualmente
parte, ai fini della riduzione degli oneri eventualmente a carico, alla luce delle
disposizioni di cui all’art. 259, comma 5, del TUOEL che prevede l’eliminazione, o
quantomeno la riduzione, delle spese che non abbiano per fine l’esercizio di servizi
pubblici indispensabili e, quanto ai consorzi di funzioni, osservare il disposto
dell’art. 2, comma 186, lettera e) della legge 23 dicembre 2009, n. 191, come
modificato dal decreto legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con modificazioni
dalla L. 26 marzo 2010, n. 42”. L’affermazione infatti non contrasta con
l’impostazione sopra riferita in punto di recesso e liquidazione delle società per
azioni, in quanto la revisione delle partecipazioni può avvenire con gli strumenti
sopra richiamati, fra i quali è appunto contemplata la messa in liquidazione, nel
caso già realizzata.
11.9. Neppure si ritiene contrasti con detta impostazione la circostanza che il
Comune di Randazzo sia soggetto alla procedura di dissesto, che non costituisce
causa di estinzione delle obbligazioni assunte dagli enti dissestati e per la quale non
è prevista una disciplina analoga a quella contenuta nell’art. 72 della legge fall. per
i rapporti pendenti (che consente al curatore di intervenire su alcuni rapporti
contrattuali). Piuttosto, in conseguenza della dichiarazione di dissesto, all’organo
straordinario è affidato il compito, sulla base dei “fatti ed atti di gestione
verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di
bilancio riequilibrato”, di accertare il complesso dei debiti dell’ente locale relativi
al periodo indicato e di determinare l’attivo disponibile per procedere al loro
N. 00026/2021 REG.RIC.
pagamento (“al ripiano dell’indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla
legge”, così l’art. 245 del d. lgs. n. 267/2000).
11.10. Ne deriva che le censure scrutinate sono meritevoli di accoglimento, atteso
che, durante la fase liquidatoria, il socio non può recedere dal contratto di società.
Nondimeno il Collegio rileva che la situazione che il Comune di Randazzo ha
posto alla base della propria decisione di recesso è attenzionabile attraverso gli
strumenti attribuiti dall’ordinamento al socio della società in liquidazione, non
ultima l’azione di responsabilità avverso l’organo liquidatorio e la denuncia di
danni erariali compiuti da soggetti passibili di detta responsabilità, valutando le
ragioni del protrarsi di una fase liquidatoria, che, impedendo alla società, per le
ragioni sopra esposte, di perseguire lo scopo statutario, quindi la gestione del
servizio, rappresenta un mero centro di spesa (e di duplicazione di costi rispetto a
quelli sostenuti dall’attuale gestore), che si giustifica negli stretti limiti delle
necessità della liquidazione (che deve quindi essere perseguita in tempi il più
possibili rapidi).
12. L’accoglimento dei motivi sopra esposti, aventi portata sostanziale, relativa
all’an del recesso, riveste portata assorbente rispetto alle doglianze (espressione di
un mero interesse strumentale) contenute nel terzo motivo, con il quale l’appellante
ha riproposto il motivo del ricorso introduttivo relativo alla mancata previa
comunicazione agli altri soci pubblici, da parte del Comune di Randazzo,
dell’intenzione di recedere da Joniambiente s.p.a. in liquidazione, e nell’ultimo
mezzo, riguardante un asserito vizio di istruttoria e motivazione.
13. Con il quinto motivo l’appellante ha censurato la sentenza per omessa
pronuncia sulla domanda rivolta a fa affermare l’obbligo del Comune di Randazzo
a contribuire alle spese della gestione liquidatori di Joniambiente.
13.1. Il Collegio si pronuncia su detta domanda nei termini che seguono, così
superando il profilo di omessa pronuncia per violazione dell’art. 112 c.p.c., che non
costituisce motivo di rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a. (Ad.
N. 00026/2021 REG.RIC.
plen. 30 luglio 2018 n. 10).
La domanda dell’appellante è rivolta a vedere riconosciuto il generale obbligo del
Comune di Randazzo a contribuire alle spese della gestione liquidatoria, in quanto
derivanti dagli asseriti obblighi di contribuzione alle spese della gestione
caratteristica (che non rientrano, peraltro, nell’oggetto della presente controversia,
come già detto sopra).
La domanda (con la quale è stato chiesto a questo Giudice di accertare un generale
“obbligo del Comune di Randazzo a contribuire alle spese della gestione
liquidatori di Joniambiente s.p.a. in liquidazione”) non è meritevole di
accoglimento, nei termini nei quali è stata formulata.
Detto obbligo non può infatti essere affermato in termini generali, come derivante
senza soluzione di continuità dagli obblighi del Comune in relazione al servizio di
gestioni dei rifiuti.
La formulazione del quesito non tiene infatti in debito conto che la disciplina
generale della fase liquidatoria di una società segue i canoni dettati dal codice
civile.
Osta rispetto a un generale accertamento di detto obbligo ( e della derivazione
automatica del medesimo rispetto agli asseriti obblighi di contribuzione rispetto alla
gestione caratteristica) lo statuto normativo delle società per azioni, che si fonda sul
già richiamato principio dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità
giuridica (persino quando è unipersonale) rispetto ai suoi soci e ai suoi
amministratori, ai quali non è riferibile il patrimonio intestato alla compagine (Cass.
civ., sez. I, ordinanza 2 febbraio 2021 n. 2280).
Durante la liquidazione infatti la società continua a esistere come centro di
imputazione di rapporti giuridici, con la sola sostituzione dello scopo liquidatorio a
quello lucrativo (Cass. civ., sez. I, ordinanza 10 dicembre 2020 n. 28193).
In tale fase permane pertanto l’attualità dell’obbligo dei soci di eseguire i
conferimenti dovuti (e i corrispondenti poteri compulsivi degli organi societari):
“nel caso di scioglimento della società, e anche nell’eventualità di fallimento della
N. 00026/2021 REG.RIC.
medesima, non pare subire alterazioni sostanziali la parte della norma dell’art.
2446 c.c. che concerne l’esecuzione coattiva dell’obbligo di eseguire i conferimenti
dovuti” (Cass. civ., sez. VI – 1, ordinanza 25 febbraio 2020, n. 4956).
Somme aggiuntive (rispetto ai conferimenti) da parte dei soci vengono erogate,
secondo la giurisprudenza, a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la
società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di
versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita
riserva in conto capitale, o altre simili denominazioni (Cass. civ., sez. I, 20 aprile
2020 n. 7919).
In termini generali, quindi, l’ente non ha, in tale fase, l’obbligo di assumere a
carico del proprio bilancio i debiti della società partecipata in liquidazione, qualora
il patrimonio di quest’ultima non sia in grado di soddisfare le pretese creditorie, o
comunque di corrispondere risorse aggiuntive alla società per azioni in
liquidazione.
Del resto, in base all’art. 14 del d. lgs. n. 175 del 2016 le società a partecipazione
pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo,
nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, con conseguente rilevanza
nel senso anzidetto dello stato di insolvenza, inteso quale incapacità del debitore di
soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Si aggiunge poi che, in seguito alla riforma del diritto societario, solo dopo
l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese,
il socio risponde, a determinate condizioni e entro certi limiti, per le obbligazioni
della società estinta, e non in quanto successore nel rapporto originario tra il
creditore sociale e la società, ma nella qualità di soggetto terzo rispetto al rapporto
tra società e creditore. Sicchè, in presenza di certi presupposti, quali la
cancellazione della società dal registro delle imprese, l’esistenza di debiti e
l’avvenuto incasso di una quota di liquidazione, viene a gravare ex lege l’obbligo di
N. 00026/2021 REG.RIC.
corrispondere, o meglio di restituire, un importo comunque limitato a quanto
percepito a titolo di liquidazione, in violazione della regola, di cui all’art. 2491 c.c.,
in base alla quale i soci hanno diritto alla quota di liquidazione soltanto allorché
tutte le pretese dei creditori sociali risultino precedentemente soddisfatte o siano
state accantonate le somme necessarie per farlo (Cass. civ., sez. V, ordinanza 15
marzo 2021 n. 7168).
In tale contesto non si esclude che l’Ente si faccia carico dei debiti della gestione
liquidatoria e che questi possano discendere, considerando anche la natura delle
singole spese liquidatorie, dagli asseriti obblighi di contribuzione alle spese della
gestione caratteristica, ma è necessario che non vi siano espressi divieti e che
sussistano adeguate giustificazioni (anche normative).
La giurisprudenza contabile richiede, peraltro, che sia evidenziata, attraverso
congrua motivazione, la sussistenza di un interesse pubblico concreto
all’operazione da intraprendere, valutandone la sostenibilità finanziaria e dando
conto delle ragioni di vantaggio e di utilità che ne derivano, considerato il principio
di economicità che connota l’azione amministrativa e l’autonomia patrimoniale
perfetta che caratterizza le società per azioni (Corte conti, sez. controllo
Lombardia, deliberazione 24 aprile 2017 n. 106).
Non si può peraltro escludere che detto interesse possa derivare, considerando la
specifica natura delle spese liquidatorie, negli asseriti obblighi di contribuzione alle
risorse necessarie per svolgere il servizio di gestione dei rifiuti.
In una tale prospettiva le circostanze addotte dall’appellante, tese a richiamare gli
obblighi del Comune in relazione al servizio di gestioni dei rifiuti, quindi alla
gestione caratteristica, e a far discendere da essi la conseguente debenza
generalizzata delle spese liquidatorie, non sono sufficienti (senza che sia necessario
valutarne la fondatezza, peraltro non oggetto del presente giudizio, come già
puntualizzato in precedenza) ad affermare un generale obbligo di partecipazione
alle spese di liquidazione.
In disparte ogni valutazione in ordine al fatto che i costi della gestione caratteristica
N. 00026/2021 REG.RIC.
trovano titolo nello svolgimento del servizio a vantaggio della collettività di
riferimento dell’Ente locale, mentre le spese di liquidazione trovano la propria
ragion d’essere nelle esigenze di liquidazione tipiche della persona giuridica (che
non necessarimente discendono da quela gestione), la questione che si pone è che
non è consentito affermare in generale un omnicomprensivo obbligo del Comune a
corrispondere le spese liquidatorie quale discendente senza soluzione di continuità
dagli asseriti obblighi di contribuzione alla gestione caratteristica, considerati i
sopra richiamati principi di autonomia patrimoniale.
13.2. Ne deriva che non è meritevole di accoglimento la domanda appena sopra
scrutinata, nei termini nei quali è stata formulata.
14. In conclusione l’appello è parzialmente fondato mentre per la restante parte
deve essere respinto, con conseguente accoglimento parziale del ricorso
introduttivo e reiezione per la restante parte in parziale riforma della sentenza
impugnata.
15. La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del
doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede
giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe
proposto, lo accoglie in parte, nei termini di cui alla motivazione e per la restante
parte lo respinge, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in
parte il ricorso introduttivo e per la restante parte lo respinge.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nella camera di consiglio del
giorno 7 luglio 2021, tenutasi da remoto e in modalità telematica e con la
contemporanea e continua presenza dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
N. 00026/2021 REG.RIC.
Roberto Caponigro, Consigliere
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore
Maria Immordino, Consigliere
Giovanni Ardizzone, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sara Raffaella Molinaro Fabio Taormina
IL SEGRETARIO

    ————————–
                                                                     

La società ATO CT1  Joniambiente in liquidazione ha ottenuto in appello una sentenza favorevole nei confronti dell’ex Provincia Regionale di Catania in merito ai costi di gestione delle attività svolte in questi anni. L’importanza della sentenza non è in quanto deve pagare quasi nove milioni di euro (tanto era il costo addebitatogli), quanto l’aver sancito che la ex Provincia – socio per il 10% della Società, nominava un componente nel comitato di gestione e un componente nel collegio sindacale, partecipava alle elezioni degli altri componenti e (cosa molto strana) incassava il 5% di quello che i comuni soci mettevano a ruolo per la TARSU , quasi un milione di euro l’anno – aveva l’obbligo di concorrere alle spese.
Nessuno delle altre 26 ATO della Sicilia, nonostante le nostre pressioni, hanno voluto intraprendere questa via coraggiosa e anche purtroppo la Regione, dopo aver creato tutto questo pasticcio legislativo, si è tirato ignobilmente indietro.
Di seguito la sentenza.     

2116046s

 

Ato Joniambiente, sentenza della Corte d’Appello: l’ex Provincia competente per la pulizia di spiagge e strade

 

Costituzione della Società per Azioni a partecipazione pubblica per la gestione dell’Ambito Territoriale Ottimale
( ATO CT1 ).

Nomina componenti del Consiglio di Amministrazione.
Atto stipulato in data 30 dicembre 2002 presso lo studio del notaio Carlo Saggio. 

I SOCI:

Provincia Regionale di Catania, Assessore Provinciale Salvatore Cristaldi, delegato dal Presidente Sebastiano Musumeci;

Comune di Bronte, Leanza Salvatore Sindaco;

Comune di Calatabiano, in persona del Sindaco pro tempore Maccarrone Salvatore;

Comune di Castiglione di Sicilia, in persona del Sindaco pro tempore  Cardile Concetta;

Comune di Fiumefreddo di Sicilia, in persona del Sindaco pro tempore Nucifora Sebastiano;

Comune di Giarre, in persona dell’Assessore Vitale Salvatore, giusta delega del Sindaco pro tempore Toscano Giuseppe; 

Comune di Linguaglossa, in persona del sindaco pro tempore Stagnitta Antonino Felice;

Comune di Maletto, in persona del Sindaco pro tempore Parrinello Nunzio;

Comune di Maniace, in persona del Sindaco pro tempore Conti Emilio;

Comune di Mascali, in persona dell’Assessore Maccarrone Alfio, giusta delega del Sindaco pro tempore Carota Silvestro;

Comune di Milo, in persona del Sindaco pro tempore Sessa Paolo;

Comune di Piedimonte Etneo, in persona del Sindaco pro tempore Cavallaro Giuseppe;

Comune di Randazzo, in persona del Sindaco pro tempore Del Campo Ernesto Alfonso;

Comune di Riposto, in persona del Sindaco pro tempore D’Urso Carmelo;

Comune di Sant’Alfio, in persona del Sindaco pro tempore Patti Leonardo;  

 

                Componenti del Consiglio di Amministrazione, nominati dai Soci, per il primo triennio:

Spampinato Mario, presidente
Tomarchio Salvatore, vice presidente

Di Maria Orazio, consigliere
Pavone Giovanni, consigliere
Rubbino Francesco, consigliere
Spartà Salvatore, consigliere
Vasta Gianni, consigliere

Componenti il Collegio Sindacale, nominati dai Soci, per il primo triennio:
Bonaccorsi Roberto, presidente; Barbagallo Salvatore, sindaco effettivo; Caprino Campana Gaetano, sindaco effettivo Scaglione Antonio, sindaco supplente;  Caruso Paolo, sindaco supplente.

 

 

 

Contenzioso con il Comune Socio di Randazzo.

Nel 2016 a seguito di reiterate critiche contro la Società Joniambiente in seno al Consiglio Comunale al fine di poter chiarire la situazione economica e gestionale tra la Società  e il  Comune Socio Randazzo  ( Gli altri Comuni Soci, invece, ci convocavano per un Incontro Istituzionale e in quella sede veniva chiarito l’eventuale contenzioso ) fu inviato il documento che segue:

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Come per incanto le critiche sparirono. Ci siamo augurati che da parte del Governo della Città si fosse finalmente capito che l’ATO era stata una risorsa e non una negatività. (Certamente cose perfette è difficile che ce ne siano ! ).

Il 20 novembre 2020, a seguito di una sentenza del tribunale di Ct che permetteva al comune di Randazzo di poter uscire dall’ATO e conseguentemente di non più pagare le quote relative alle spese per la liquidazione per il prossimo futuro ( per il passato il Comune resta sempre debitore per quasi 2 milioni di euro), Il sindaco Francesco Sgroi posta sulla sua pagina F.B. :

 


&nbsp
Sconcertati per questo annuncio abbiamo inviato una lettera al Sindaco, agli Assessori e all’intero Consiglio Comunale affinchè fosse rettificato quanto dichiarato perchè  palesemente falso e oltremodo ingiurioso per la Società Joniambiente e i suoi Amministratori ( il Collegio dei Liquidatori, il Collegio Sindacale, ed il Revisore dei Conti). 
 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

La lettera, in breve sintesi, afferma quanto segue:

   –   Il Comune dal 30 settembre 2013 ad oggi, per le spese della gestione della liquidazione, ha versato alla Società Joniambiente 0 (zero) euro.
   –   Il 5 dicembre 2014 il Comune ha versato alla Società euro 627.390,10  per il Servizio di Igiene Pubblico effettuato dal 1 febbraio 2006 al 30 settembre 2013. Restano  ancora da pagare quasi 2 (due) milioni di euro.
   –   Per la complessa gestione della Liquidazione ( si gestisce 20 milioni di massa passiva e altrettanti 20 milioni di massa attiva)  la quota che il Comune dovrebbe pagare annualmente ai due liquidatori e di euro 2.400,00  (cento euro al mese). 
   –   Dal momento che il Comune non ha versato un euro e quindi avendo la disponibilità di queste somme è lecito chiedersi: quali servizi ha dato ai Cittadini Randazzesi !!??
   –   La Società Joniambiente nell’espletamento del servizio ha fatto risparmiare al Comune di Randazzo più di 500 mila euro. 
 
Attesi inutilmente oltre 2 mesi e non avendo ricevuto alcuna risposta e costatando che il post non è stato rimosso, siamo stati costretti, nostro malgrado, ad adire per le vie legali.

Una nota personale: da oltre 50 anni espleto attività pubblica con incarichi politici e amministrativi e non ho mai querelato nessuno.

Oggi sono stato costretto a farlo in quanto non si può permettere che il massimo rappresentante della nostra Città faccia dichiarazione pubbliche palesemente false ed ingiuriose nei confronti di una società pubblica e dei suoi amministratori dove il Comune di Randazzo è socio.

 

 

STORIA DELLE ATTIVITA’ DELLA  SOCIETA’ JONIAMBIENTE SPA  ATO CT1

ANNO 2006

L’anno 2006 è stato per la Società  quello dell’inizio del servizio e come tale è stato denso di attività che sono state caratterizzate da una serie di vicende importanti per la vita di tutti i Comuni soci.

Il primo elemento importante è stato il passaggio del personale che prestava servizio nelle precedenti gestioni comunali. Con il 1° di febbraio è partito il servizio e la fase successiva di avvio è stata densa di impegni per la Società e per i Comuni stessi, tutti protesi nello sforzo di ridurre al minimo i disagi di una gestione che doveva mettere assieme diversi cantieri di lavoro e diverse abitudini nelle varie realtà del nostro Ambito territoriale

Il  cosiddetto “Piano Nido” (una puntuale, minuziosa analisi del servizio, sulla scorta dei primi mesi di lavoro, completa di direttive ed indicazioni per l’espletamento dei vari servizi), ha ottenuto risultati significativi che hanno quasi azzerato i disservizi.

Sono stati curati i vari iter amministrativi dei finanziamenti ottenuti per il completamento delle infrastrutture necessarie all’espletamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti ( CCR nei vari Comuni e finanziamenti per l’acquisto di attrezzature necessarie).

Una serie di azioni importanti sono state intraprese al fine di fornire all’esterno ( agli utenti ) le notizie necessarie per un corretto utilizzo di tutti i servizi offerti e  al fine di accrescere all’interno, il “know-how” della Società;

In ottemperanza a quanto previsto dal piano di comunicazione si è proceduto alla realizzazione del logo societario. La formula scelta è stata quella del concorso d’idee.

In esecuzione a quanto previsto dal piano di comunicazione sono stati realizzatati n. 10.000 ecocalendari su carta riciclata con tutte le informazioni necessarie agli utenti per quanto attiene la raccolta differenziata.

E’ stato pubblicato il sito internet societario con il seguente nome di dominio: www.atoct1joniambiente.it.

Si è proceduto a stipulare un’apposita convenzione di Stage con l’Università di Catania. Tale convenzione ha previsto la possibilità per laureandi e laureati di svolgere attività di tirocinio formativo presso le strutture della società.

 

   

 

ANNO 2007

Il 2007 ha rappresentato per la società il II° anno di attività nel settore ed è stato caratterizzato dal consolidamento dell’esperienza acquisita durante il I° anno.

Tale esperienza ci ha permesso di ridurre gli errori dovuti alla inevitabile inesperienza ed alla complessità della gestione di un appalto in 14 Comuni con tipologie diverse sia dal punto di vista architettonico, che urbanistico, che orografico (mare – montagna) con peculiarità proprie e specifiche che vanno dalla vocazione agricolo-naturalistica a quella commerciale-turistica.

Ognuna di queste realtà  si è  tradotta in richieste di servizio personalizzate che hanno trovato pronta risposta in tutti quei comuni che avevano, ed hanno, personale già abituato ed educato alle abitudini ed alle aspettative della propria comunità.

A complicare fin dall’inizio dell’anno la già difficile situazione, è intervenuta una legge regionale, la 2\07, che ha previsto la riduzione degli ATO essenzialmente su base provinciale ed ha lasciato in un clima di incertezza  e di confusione tutti gli ambiti territoriali, chiamati ad una serie di adempimenti e di modifiche, non meglio specificate, che dovevano portare ad una razionalizzazione della spesa con varie misure che poi, sostanzialmente, per noi si sono tradotte nella riduzione del numero dei componenti del CdA.

A seguito dell’annullamento della gara per l’affidamento dei servizi di igiene urbana nell’ATO-CT1 svoltasi nel novembre 2005, con la collaborazione degli altri settori, e senza l’ausilio di collaborazioni esterne, si è proceduto alla redazione del nuovo Progetto dei Servizi di igiene ambientale,con relativo Bando di Gara e Capitolato Speciale di Appalto, da sottoporre all’esame del Cd.A. della Società.

In particolare si è proceduto all’immane lavoro di censimento di tutte le strade, piazze e spazi pubblici di tutti i centri urbani dell’ambito territoriale CT1, alla puntuale analisi della produttività oraria di uomini e mezzi e allo studio di modalità e percorsi per ottimizzare il servizio. Particolare attenzione è stata posta alla redazione del C.S.A. per evitare difformi interpretazioni e future controversie.

E’ stata quasi completata la collocazione dei contenitori e dei cestini gettacarta.

Nel periodo estivo sono stati collocati contenitori per la raccolta differenziata presso i lidi.

E’ stato concordato con la ditta Aimeri il programma definitivo di raccolta differenziata e raccolta beni durevoli ed ingombranti in ogni singolo Comune.

Tale programma è stato propedeutico per la stesura del pieghevole di informazione inviato nel mese di dicembre ai cittadini.

Per ogni Comune sono stati predisposti gli elenchi di tutte le attività non domestiche esistenti sul territorio. Ciò al  fine di poter predisporre dei “giri di raccolta” per quanto attiene  la  raccolta differenziata presso tali  attività, attraverso un progetto specifico finalizzato all’incremento delle percentuali di raccolta differenziata.

Dalla fine del mese di Novembre è attivo il numero verde di Joniambiente  800 911 303.

Un servizio utile per i cittadini e anche per l’Ufficio che, giornalmente, prima dell’attivazione del citato servizio, doveva con il poco personale a disposizione rispondere alle telefonate, registrare le prenotazioni e le segnalazioni ed inviarle alla ditta Aimeri.

L’impegno, però, non è finito, in quanto ogni giorno l’Ufficio provvede a scaricare le “e-mail” inviate dal numero verde e controllare che i report sull’espletamento del servizio, trasmessi dalla ditta Aimeri,  corrispondano con quelli trasmessi dal numero verde.

Inoltre l’ufficio provvede a verificare che i report mensili di riepilogo siano corretti e corrispondano al servizio realmente espletato dalla ditta Aimeri.

Un momento molto importante, soprattutto in un ottica futura è la sensibilizzazione nelle scuole.

Il progetto “Scuola-isola ecologica” ha coinvolto nel corso dell’anno scolastico 2006-2007 circa 3.000 alunni dei Comuni di Bronte, Fiumefreddo, Giarre, Maletto, Maniace, Mascali, Piedimonte Etneo, Randazzo. Nell’anno scolastico 2007-2008 gli incontri sono continuati presso i Comuni di Calatabiano (novembre), Riposto (dicembre).

Infine, possiamo osservare che le percentuali di raccolta sono notevolmente aumentate (vedi grafico n. 1), soprattutto quelle relative alla  frazione secca (vedi grafico n. 2).

 

 A tal proposito si evidenzia che i dati nel 2007 ci  hanno  consentito di essere inclusi tra i sei ATO più virtuosi della Sicilia da parte di COMIECO.

 

Nel corso del 2007 sono state espletate tutte le procedure per l’affidamento dei lavori di costruzione dei C.C.R. di Maletto e Bronte, si è conclusa con il collaudo finale la fornitura per l’attrezzature per la raccolta differenziata, sono stati rimossi gli ostacoli che impedivano la conclusione dei lavori del C.C.R. di Riposto e si è collaborato con il Comune di Bronte per l’individuazione di un’area per l’insediamento di un impianto per il trattamento della frazione secca e di un area per la costruzione di una discarica comprensoriale per i rifiuti indifferenziati.

 Anche il 2008 per il settore degli A.T.O. rifiuti si è assistito ad una serie di iniziative parlamentari e di disegni di legge tendenti a riformare il sistema degli A.T.O. in Sicilia, senza peraltro giungere ad alcuna risoluzione definitiva. Tale atmosfera di precarietà continua ci ha fatto operare con ancora più prudenza e con l’obiettivo di non gravare ulteriormente le casse dei Comuni di alcuna iniziativa che non fosse necessaria e dettata da obblighi istituzionali. Nonostante ciò, il nostro A.T.O. è sicuramente da annoverare tra gli A.T.O. virtuosi della nostra Regione, anche se le modifiche regolamentari dell’Agenzia Regionale, che hanno cambiato in corsa le regole per la classificazione degli A.T.O. virtuosi, ci hanno collocato solo nella fascia dei papabili.

L’iniziativa più importante che i nostri uffici hanno portato avanti, seppur nel clima di incertezza sopra accennato, è la predisposizione di un C.S.A. che mira a consolidare gli standards di servizio fino adesso raggiunti  e a non disperdere e a non vanificare il livello di cultura ambientale già raggiunto dalle nostre popolazioni. 

 

Andamento della gestione

 

Sin dalla sua costituzione, per la Joniambiente S.p.A, le attività di comunicazione hanno assunto una indiscussa centralità, riscontrabile direttamente nel territorio dei 14 comuni dell’A.T.O. CT 1.

Giova ricordare alcune iniziative degli anni precedenti a beneficio degli Amministratori che si sono insediati a seguito delle elezioni del 2008.

Già a  partire dal 2006, infatti, sono stati attivati, attraverso l’analisi del contesto                         socio-economico, processi di verifica tesi alla costruzione di un rapporto diretto e trasparente con l’utenza, e a seguire tutta una serie di interventi  quali:

  • la divulgazione dei numeri utili della società e l’avvio del servizio informazioni;
  • gli incontri di sensibilizzazione nelle scuole;
  • la distribuzione capillare di volantini tesi ad incrementare la raccolta differenziata realizzati ad hoc per ciascuno dei 14 comuni soci;
  • la collaborazione con le associazioni di volontariato;
  • la realizzazione dei primi gadget (es. EcoCalendario).

A partire dal 2007 si aggiungono, alle precedenti, nuove azioni di sensibilizzazione, in particolare: 

  • l’attivazione del numero verde e del sito internet;
  • l’indagine telefonica di customer satisfaction;
  • Il recapito (tramite il servizio di Posta Target) a ben 400 utenze di un depliant sulla raccolta differenziata contenente tutte le istruzioni per differenziare i rifiuti nonché i giorni e gli orari  del servizio raccolta porta a porta parallelamente alla distribuzione di un pieghevole analogo rivolto, invece, alle attività produttive.

L’ anno 2008, però, ha registrato una significativa intensificazione delle attività di comunicazione, dal momento che numerose azioni sono scaturite dal lancio di tre importanti iniziative cha hanno trovano ampia pubblicizzazione tramite diversi mass media :

  • la I Edizione del Concorso Ricicla in Arte;
  • La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate”;
  • Il progetto “EcoNatale 2008”.

la I Edizione del  Concorso “Ricicla in Arte” si è rivolta alle scuole primarie e secondarie di 1° grado ricadenti nell’Ambito Territoriale Ottimale CT1 registrando circa 1.800 adesioni. Il successo dell’iniziativa nel sensibilizzare le nuove generazioni e le famiglie intervenute è stato sicuramente sancito dal record di presenze registrate in occasione delle Giornate Ecologiche, tenutesi nelle piazze dei diversi comuni partecipanti, nonché in occasione della Festa dell’Ambiente che ha visto riuniti a Giarre gli alunni di tutti gli Istituti partecipanti con genitori al seguito per premiare e festeggiare i vincitori del concorso;

La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate” ha promosso la raccolta differenziata sulle spiagge dei comuni etnei dell’A.T.O. CT 1 sensibilizzando e coinvolgendo  bagnanti e turisti attraverso una serie di interventi mirati quali: l’installazione di “EcoPoint” (appositi contenitori per la raccolta differenziata) nei lidi, sul lungomare e nelle spiagge libere; la collocazione di n. 5 Infopoint sul lungo mare Riposto – Calatabiano per la distribuzione di sacchetti, gadget e materiale divulgativo (Eco Ventagli e Riciclamente),  e l’organizzazione dell’EcoAquilonata, evento che, avendo registrato un considerevole numero di presenze, ha consentito di raggiungere in un’unica soluzione target  differenti. Nell’ambito della medesima iniziativa vanno annoverate, inoltre,  la presenza di stand informativi in occasione di sagre e manifestazioni (tenutesi nei comuni di Bronte, Fiumefreddo di Sicilia, Maletto, Maniace, Milo, Piedimonte Etneo, Randazzo e  Riposto) e le manifestazioni itineranti “ArteAmbiente” tenuti da artigiani specializzati sul riutilizzo dei materiali;

L’EcoNatale 2008, progetto dai profondi significati pedagogici e didattici in tema di cultura ambientale, ha avuto come principali destinatari circa 10.000 alunni delle scuole dell’infanzia e primarie dell’Ambito Territoriale Ottimale CT1, attraverso i quali il le famiglie hanno ricevuto il Kit natalizio, appositamente realizzato da  Joniambiente,  contenente gadget e materiale divulgativo (Eco Calendario ’09, Depliant sulla RD dei rifiuti umidi organici, l’album da colorare EcoColora, Il Grande Gioco del Riciclo…).

Nel corso della programmazione ordinaria dell’anno 2008, indipendentemente dalle suddette iniziative,  meritano inoltre di esser e ricordate :

  • la stipula della convenzione (tra le prime su l’intero territorio nazionale) per la raccolta differenziata dei contenitori per bevande in TetraPak;
  • la presentazione all’A.R.R.A. del nuovo Piano di Comunicazione per il biennio 2009-2010 (con la richiesta di un finanziamento pari a circa € 1.900.000,00) all’interno del quale è stato riservato un posto di assoluto rilievo a tutti gli interventi destinati a: incrementare le percentuali di RD, ridurre i rifiuti alla fonte, mettere a punto sistemi per il calcolo dei conferimenti nella prospettiva di offrire agevolazioni fiscali ai cittadini virtuosi;
  • la richiesta di un contributo all’A.R.R.A. da destinare alla formazione del personale degli Enti locali operanti nel settore ambientale nonché ad interventi di sensibilizzazione ambientale nelle scuole.

L’anno 2008 ha visto l’Ing. Giulio Nido responsabile del Settore Tecnico della Società particolarmente impegnato nella progettazione e gestione dei LL.PP..

Nel corso dell’anno sono stati redatti e presentati all’Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque per acquisirne il finanziamento i seguenti progetti:

  1. Costruzione di un impianto di selezione e pressatura nella contrada Margiogrande presso l’ex discarica dei R.S.U. – Comue di Bronte;
  • Importo: €. 3.500.000,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.” in collaborazione con i tecnici del Comune di Bronte;
  1. Progetto per la realizzazione di un centro comunale per la raccolta differenziata dei rifiuti, nell’area dell’ex depuratore Comune di Milo;
  • Importo: € 237.634,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.”;
  1. Progetto per la realizzazione di un centro comunale per la raccolta differenziata dei rifiuti da realizzarsi nel Comune di Piedimonte Etneo;
  • Importo: €. 546.000,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.” in collaborazione con i tecnici del Comune di Bronte;
  1. Progetto per la realizzazione di un impianto di smaltimento RAEE in Randazzo;
  • Importo: € 2.300.000,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.”;
  1. Progetto per la realizzazione di un centro comunale per la raccolta differenziata dei rifiuti, da ubicarsi in via Etna – Comune di S. Alfio;
  • Importo: € 501.882,05;
  • Progettazione: Tecnici del Comune di S. Alfio assistiti dal settore tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.”;
  1. Progetto di adeguamento delle isole ecologiche nell’A.T.O.CT1 (Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Maletto, Mascali, Piedimonte Etneo, S. Alfio);
  • Importo: € 99.060,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.”;
  1. Progetto per acquisto attrezzature raccolta differenziata frazione umida;
  • Importo: € 941.840,00;
  • Progettazione: Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A;
  1. Progetto per acquisto attrezzature informatizzazione centri comunali di raccolta;
  • Importo: € 538.142,00;
  • Progettazione: Germanà Antonino – Funzionario della Società “Joniambiente S.p.A;

In totale sono stati presentati progetti per un importo di € 8.664.558,05, tutti redatti dal Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.” e/o da tecnici dei Comuni Soci.
Questa scelta ha permesso a questa Società di presentare un gran numero di proposte a costo zero.

Infatti l’Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque ammette al finanziamento le competenze tecniche nella misura massima del 1,5% dell’importo delle opere, pari a quella che sarà corrisposta a finanziamento ottenuto ai tecnici che si sono occupati della progettazione e che cureranno la direzione dei lavori.

Nel caso in cui si fosse optato per l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione dei lavori a tecnici esterni, le spese per le competenze tecniche sarebbero state di gran lunga superiori, in gran parte a carico di questa Società e da liquidare all’approvazione dei progetti anche in caso di mancato finanziamento.

Oltre alle progettazioni di cui sopra, nel corso dell’anno sono stati svolti diversi incontri con gli uffici tecnici dei Comuni Soci per illustrare il Capitolato d’appalto e tutti gli atti predisposti per il nuovo affidamento dei servizi di igiene urbana nel territorio di competenza dell’A.T.O. CT1. A seguito di detti incontri, per venire incontro alle esigenze esposti dai vari interlocutori, si è provveduto a ben tre rielaborazioni del Capitolato d’appalto fino a giungere alla stesura definitiva sulla quale gli Enti soci non hanno formulato alcuna osservazione.

Sono state inoltre espletate le seguenti gare per la realizzazione di Centri comunali di raccolta e fornitura di attrezzature:

  1. Costruzione di un centro comunale di raccolta nella c.da SS. Cristo – Area Artigianale – Comune di Bronte;
  • Importo: €. 491.339,46;
  1. Fornitura di attrezzature nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 91.690,96;
  1. Fornitura di un complesso di attrezzature per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 70.000,00;
  1. Fornitura di autoveicoli per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 120.000,00;
  1. Fornitura e posa in opera di pesa a ponte per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 23.500,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 autocarro nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 124.000,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 2 cassoni scarrabili nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 11.000,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 nastro trasportatore nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 30.000,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 pressa idraulica continua nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 108.000,00;
  1. Fornitura di automezzi e attrezzature per il centro comunale di raccolta di c.da SS. Cristo – Zona Artigianale- Comune di Bronte;
  • Importo: €. 128.548,10;

La raccolta differenziataResponsabile il Dirigente Antonino Germanà – nel 2008 ha conosciuto un  consolidamento significativo che ci ha portato a poterci candidare tra i Comuni virtuosi dell’isola e ci ha consentito di riconfermare la “Bandiera Blu” per uno dei nostri comuni soci candidati a questo prestigioso riconoscimento.

Se si analizzano le tipologie di rifiuti “più importanti” della raccolta differenziata (carta e cartone, plastica e vetro), possiamo notare, anche qui, dei risultati in costante crescita.

Se raffrontiamo i risultati a partire dall’anno 2005 (gestione dei Comuni) al 2008, possiamo notare significativi incrementi per tutte le tipologie di rifiuto. (vedi grafico)

In termini quantitativi nel 2008 sono stati raccolti oltre 1.200 tonnellate in più di imballaggi rispetto al primo anno del servizio da parte di Joniambiente.

Questi risultati hanno portato anche un riconoscimento per 7 Comuni dal nostro A.T.O. che sono entrati a far parte del Club “Comuni Virtuosi”, iniziativa promossa da COMIECO.

Ma i rifiuti raccolti in maniera differenziata non sono stati sono quelli sopracitati.

Infatti nell’anno 2008 sono stati avviati a recupero rifiuti appartenenti a ben 20 codici CER, mentre in passato venivano avviati a recupero mediamente solo 7 codici CER. 

Un’azione importante è stata avviata nel recupero dei R.A.E.E. (rifiuti apparecchiature elettriche ed elettroniche) sia per ottemperare a quanto previsto dal D.L.vo n. 151/2005, ma anche per evitare il loro abbandono indiscriminato sul territorio.

Nel mese di dicembre 2008, inoltre, sono state attivate le procedure per adempiere a quanto previsto dal D.L.vo n. 36/2003 e sue modifiche ed integrazioni (riduzione dello smaltimento in discarica dei rifiuti urbani biodegradabili).

E’  doveroso a conclusione dell’anno un ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato con la Società, dai nostri tre Dirigenti che da soli hanno guidato le linee programmatiche della Società, ai loro collaboratori che li hanno sostenuti materialmente e quotidianamente nelle varie attività.

Sono riusciti a dimostrare brillantemente che in pochi si può gestire una società con coscienza e semplicemente facendo il proprio dovere quotidiano.

Un ringraziamento particolare al Collegio dei Sindaci della Società che ci hanno controllato ma anche guidato e sostenuto nelle nostre decisioni più complicate evitando spesso di spingerci nel terreno dei facili entusiasmi dettati dalla buona volontà e dalla voglia di fare.

Infine sento il dovere di ringraziare anche la ditta che gestisce il servizio che, seppur tra mille incomprensioni e contrasti anche quotidiani, ci ha permesso di garantire una continuità di gestione nonostante alcuni dei nostri Soci non abbiano versato regolarmente le quote di partecipazione per evidenti difficoltà interne, a volte anche storiche.

Immobilizzazioni immateriali

Le immobilizzazioni immateriali sono pari a €  30.333,00  (€  44.868,00  nel precedente esercizio).

La composizione ed i movimenti delle singole voci sono così rappresentati:

 

Descrizione Costo storico es. pr. Rivalutaz. es. pr. Svalutaz. es. pr. F.do ammort. es. pr. Valore iniziale
Costi di impianto e di ampliamento 11.700 0 0 11.700 0
Piano Comunicazione “EcoNatale” 0 0 0 0 0
Totali 11.700 0 0 11.700 0

 

Descrizione Acquisiz. / Capitalizz. Alienazioni Riclassif.(a)/da altre voci Svalut./Ripr. valore dell’es. Rivalutazioni dell’esercizio
Costi di impianto e di ampliamento 0 0 0 0 0
Piano Comunicazione “EcoNatale” 30.333 0 0 0 0
Totali 0 0 0 0 0

 

Descrizione Ammortamenti Totale rivalutaz. es. corr. Totale svalutaz. es. corr. F.do ammort. es. corr. Valore finale
Costi di impianto e di ampliamento 0 0 0 11.700 0
Piano Comunicazione “EcoNatale” 0 0 0 0 30.333
Totali 0 0 0 11.700 30.333

 

Immobilizzazioni materiali

Le immobilizzazioni materiali sono pari a € 1.641.739,00  (€ 911.442,00  nel precedente esercizio).

La composizione ed i movimenti delle singole voci sono così rappresentati:

 

Descrizione Costo storico es. pr. Rivalutaz. es. pr. Svalutaz. es. pr. F.do ammort. es. pr. Valore iniziale
Altri beni 6.430 0 0 680 5.750
C.c.r. ed  attrezzatura da Finanz.Reg.le 1.002.372 0 0 96.680 905.692
Totali 1.008.802 0 0 97.360 911.442

 

Descrizione Acquisiz. / Capitalizz. Alienazioni Riclassif.(a)/da altre voci Svalut./Ripr. valore dell’es. Rivalutazioni dell’esercizio
Altri beni 87.026 0 0 0 0
C.c.r. ed  attrezzatura da Finanz.Reg.le 653.961 0 0 0 0
Totali 740.987 0 0 0 0

 

Descrizione Ammortamenti Totale rivalutaz. es. corr. Totale svalutaz. es. corr. F.do ammort. es. corr. Valore finale
Altri beni 10.690 0 0 11.370 82.086
C.c.r. ed  attrezzatura da Finanz.Reg.le 0 0 0 0 1.559.653
Totali 10.690 0 0 11.370 1.641.739

 

 

Evoluzione prevedibile della gestione

 

Come accennato in premessa il sistema degli A.T.O.  in Sicilia è oggetto di una profonda rielaborazione legislativa che porterà a soluzioni diverse dall’attuale sui cui risultati nessuno può oggi pronunciarsi.

La preoccupazione principale, che gli amministratori pubblici del nostro Ambito dovrebbero avere per il futuro, sarà quella di non disperdere il patrimonio culturale di rispetto verso l’ambiente che si è creato nei nostri concittadini e che ha visto una risposta massiccia e convinta alle nostre iniziative nelle scuole e durante l’estate lungo le nostre spiagge.

Fondamentale per le nostre popolazioni sarà il mantenimento dei confini del nostro ambito territoriale per continuare a condividere la cultura e le abitudini di un servizio che sta crescendo di anno in anno.

Anche il 2009 per il settore degli ATO rifiuti si è assistito ad una serie di iniziative parlamentari e di disegni di legge tendenti a riformare il sistema degli ATO in Sicilia, senza peraltro giungere ad alcuna risoluzione definitiva. Tale atmosfera di precarietà continua ci ha fatto operare con ancora più prudenza e con l’obiettivo di non gravare ulteriormente le casse dei Comuni di alcuna iniziativa che non fosse necessaria e dettata da obblighi istituzionali.

L’iniziativa più importante che i nostri uffici hanno portato avanti, seppur nel clima di incertezza sopra accennato, è la predisposizione di tutti gli atti necessari per bandire la nuova gara per l’affidamento del servizio igiene urbana nell’ATO-CT1. Il nuovo CSA posto a base della gara, pur nel rispetto delle direttive ricevute dall’Assemblea dei Soci di contenere i costi, ha previsto modalità innovative di svolgimento dei servizi. La raccolta dei rifiuti in tutti i centri urbani passa al sistema integrato porta a porta con l’eliminazione dei cassonetti stradali. Secondo gli studi effettuati dai nostri uffici, il nuovo sistema di raccolta, farà aumentare decisamente le percentuali di raccolta differenziata.

 

Andamento della gestione

 

Sin dalla sua costituzione, per la Joniambiente S.p.A, le attività di comunicazione hanno assunto una indiscussa centralità, riscontrabile direttamente nel territorio dei 14 Comuni con la Provincia Regionale di Catania  dell’A.T.O. CT 1.

Giova ricordare alcune iniziative svolte nel corso del 2009:

  • La continuità nella divulgazione dei numeri utili della società , nel servizio informazioni e segnalazioni fornito dal Numero Verde, nell’indagine telefonica di customer satisfactione e nell’aggiornamento del sito internet;
  • La distribuzione capillare di materiale divulgativo sulla raccolta differenziata alle utenze domestiche (ad hoc per ciascuno dei 14 comuni soci);
  • La realizzazione di incontri di sensibilizzazione nelle scuole, di incontri pubblici e di manifestazioni di sensibilizzazione (EcoPiazze, Festa dell’Ambiente, EcoAquilonata);
  • L’affissione programmata di manifesti informativi in tutti gli Enti soci;
  • La collaborazione con le associazioni di volontariato;
  • La realizzazione e la distribuzione di gadget (es. EcoCalendario, Ecopen, varie edizioni della rivista Riciclamente).
  • Il ricorso ad Acquisti Verdi mediante la scelta di prodotti e servizi ecosostenibili.

L’ anno 2009 , inoltre, ha registrato sia la riproposizione di campagne di sensibilizzazione già avviate sia il lancio di nuove.
Tra le prime ricordiamo:

  • La II Edizione del Concorso Ricicla in Arte;
  • La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate”;

Tra le seconde:

  • La campagna di sensibilizzazione “Il Magico Mondo di Verino il Burattino”;
  • Il progetto “EcoPresepe 2009”.

 

La II Edizione del  Concorso Ricicla in Arte si è rivolta alle scuole primarie e secondarie di 1° grado ricadenti nell’ambito territoriale ottimale Ct 1 registrando circa 3000 adesioni. Il successo dell’iniziativa nel è stato sicuramente sancito dal record di presenze registrate in occasione delle Ecopiazze e della Festa dell’Ambiente che ha visto riuniti alunni, famiglie e comuni cittadini.

La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate” ha promosso la raccolta differenziata sulle spiagge dei comuni etnei dell’A.T.O. CT 1 attraverso una serie di interventi mirati quali: l’installazione di EcoPoint nei lidi; la collocazione di n. 3 Infopoint sul lungo mare Riposto- Calatabiano per la distribuzione di sacchetti, gadget e materiale divulgativo (Eco Ventagli e Riciclamente)  e l’organizzazione dell’EcoAquilonata. Nell’ambito della medesima iniziativa vanno annoverate, inoltre,  la presenza di stand informativi in occasione di sagre e manifestazioni (tenutesi nei comuni di Bronte e Randazzo) e il laboratorio creativo sul riutilizzo dei materiali di scarto tenuto da artigiani specializzati.

La partecipazione al tour di sensibilizzazione itinerante “Il Magico Mondo di Verino” promossa da Corepla ha fatto tappa a Fiumefreddo di Sicilia il 16 giungo coinvolgendo i più piccoli in attività di sensibilizzazione al riciclo delle bottiglie in PET.

L’EcoPresepe 2009, ha avuto come principali destinatari circa 10.000 alunni delle scuole dell’infanzia e primarie dell’ambito territoriale ottimale CT 1, impegnati nella realizzazione di presepi con materiali di scarto. Dall’iniziativa sono risultate vere e proprie opere d’arte frutto della straordinaria creatività dei più piccoli. Contestualmente sono stati distribuiti agli Istituti scolastici, agli Enti soci, alle utenze non domestiche e a tutti i richiedenti gli Ecocalendari 2010.

L’anno 2009 ha visto il Settore Tecnico della Società particolarmente impegnato nella realizzazione e gestione di LL.PP..

Nel corso dell’anno sono stati realizzati le seguenti opere e forniture:

  1. Costruzione di un centro comunale di raccolta nella c.da SS. Cristo – Area Artigianale – Comune di Bronte;
  • Importo: €. 491.339,46;
  1. Fornitura di attrezzature nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 91.690,96;
  1. Fornitura di un complesso di attrezzature per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 70.000,00;
  1. Fornitura di autoveicoli per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 120.000,00;
  1. Fornitura e posa in opera di pesa a ponte per i servizi di raccolta differenziata – Comune di Riposto;
  • Importo: €. 23.500,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 autocarro nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 124.000,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 nastro trasportatore nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 30.000,00;
  1. Fornitura di attrezzature di n. 1 pressa idraulica continua nella piazzola di stoccaggio per la raccolta differenziata e pavimentazione del piazzale – Comune di Randazzo;
  • Importo: €. 108.000,00;
  1. Fornitura di automezzi e attrezzature per il centro comunale di raccolta di c.da SS. Cristo – Zona Artigianale- Comune di Bronte;
  • Importo: €. 128.548,10;
  1. Completamento e adeguamento del centro comunale di raccolta nel Comune di Maletto;

 

Oltre ai progetti realizzati i nostri uffici hanno lavorato alla stesura dei progetti esecutivi relativi alle progettazioni definitive e di massima presentati all’ARRA negli anni precedenti. Tutti i progetti sono stati redatti dal Settore Tecnico della Società “Joniambiente S.p.A.” e/o da tecnici dei Comuni soci. Questa scelta ha permesso ha questa Società di presentare un gran numero di proposte a costo zero.

Infatti l’Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque ammette al finanziamento le competenze tecniche nella misura massima del 1,5% dell’importo delle opere, pari a quella che sarà corrisposta a finanziamento ottenuto ai tecnici che si sono occupati della progettazione e che cureranno la direzione dei lavori.

Nel caso in cui si fosse optato per l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione dei lavori a tecnici esterni, le spese per le competenze tecniche sarebbero state di gran lunga superiori, in gran parte a carico di questa Società e da liquidare all’approvazione dei progetti anche in caso di mancato finanziamento.

La raccolta differenziata nell’anno 2009 ha confermato gli stessi dati dell’anno 2008. Oltre alla riconferma della bandiera blu per il Comune di Fiumefreddo di Sicilia, sono entrati a far parte dei Comuni virtuosi, per quanto riguarda la raccolta della carta, ben 7 Comuni del nostro ATO (Bronte, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Maletto, Maniace, Mascali, Sant’Alfio.

Inoltre nell’anno 2009, a seguito attivazione del servizio di raccolta della frazione organica presso le utenze non domestiche, sono state avviate agli impianti di compostaggio 2.031 tonnellate di rifiuti.

E’ continuata la raccolta degli ingombranti, attraverso le prenotazioni presso il numero verde 800 911 303.
Con questo servizio è stato contenuto il fenomeno dell’abbandono indiscriminato di tali rifiuti sul territorio. Sono stati avviati a recupero circa 1.000 tonnellate di rifiuti.

Complessivamente, escludendo i conferimenti diretti presso i centri comunali di raccolta, nei 14 Comuni facenti parte del nostro ATO, sono stati effettuati nel corso dell’anno 2009 n. 6.499 ritiri. 

Vedi tabelle allegate:

Tabella 1^ – “ Dati Riepilogo R.R.U – R.D. 2009”;

Tabella 2^ – “ Raffronto dati ingombranti 2005-2009”.

 

E’ doveroso a conclusione dell’anno un ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato con la Società, dai nostri tre Dirigenti:
Ing. Giulio Nido Responsabile Settore Tecnico, il dr. Franco Musso  Responsabile bilancio finanze, personale, e affari generali, il Sig. Antonino Germanà  Responsabile della Raccolta Differenziata, trasmissioni dati tempo per tempo all’Assessorato Energia ed Ambiente dei dati e contati con i Consorzi di filiera (CONAI –  COMIECO – CO.RE.VE. – COREPLA – CIAL – RICREA – RILEGNO  ecc….)
che da soli hanno guidato le linee programmatiche della Società, ai loro collaboratori che li hanno sostenuti materialmente e quotidianamente nelle varie attività.

Sono riusciti a dimostrare brillantemente che in pochi si può gestire una società con coscienza e semplicemente facendo il proprio dovere quotidiano.

Un ringraziamento particolare al Collegio Sindacale della Società che ci hanno controllato ma anche guidato e sostenuto nelle nostre decisioni più complicate evitandoci spesso di spingerci nel terreno dei facili entusiasmi dettati dalla buona volontà e dalla voglia di fare.

Infine sento il dovere di ringraziare anche la ditta che gestisce il servizio che, seppur tra mille incomprensioni e contrasti anche quotidiani, ci ha permesso di garantire una continuità di gestione nonostante alcuni dei nostri soci non hanno versato regolarmente le quote di partecipazione per evidenti difficoltà interne, a volte anche storiche.

Immobilizzazioni immateriali

Le immobilizzazioni immateriali sono pari a €  0 (€  30.333   nel precedente esercizio).

La composizione ed i movimenti delle singole voci sono così rappresentati:

 

Descrizione Costo storico es. pr. Rivalutaz. es. pr. Svalutaz. es. pr. F.do ammort. es. pr. Valore Finiale
Costi di impianto e di ampliamento 11.700 0 0 11.700 0
Totali 11.700 0 0 11.700 0

Immobilizzazioni materiali

Le immobilizzazioni materiali sono pari a € 2.114.230  (€ 1.641.739  nel precedente esercizio).

La composizione è così rappresentata:

 

Descrizione Costo
C.c.r. raccolta differenziata finanziamento regionale 1.324.343
Attrezzatura finanziamento regionale 992.716
Altri beni 111.712
Totali 2.428.771
Fondo ammortamento – 314.541
Totale immobilizzazioni materiali (II) 2.114.230

 

Evoluzione prevedibile della gestione

 

Come accennato in premessa il sistema degli ATO in Sicilia è oggetto di una profonda rielaborazione legislativa che porterà a soluzioni diverse dall’attuale sui cui risultati nessuno può oggi pronunciarsi.

La preoccupazione principale, che tutti gli amministratori pubblici di questo nostro ambito dovremo avere per il futuro, sarà quella di non disperdere il patrimonio culturale di rispetto verso l’ambiente che si è creato nei nostri concittadini e che ha visto una risposta massiccia e convinta alle nostre iniziative nelle scuole e durante l’estate lungo le nostre spiagge.

Fondamentale per le nostre popolazioni sarà il mantenimento dei confini del nostro ambito territoriale per continuare a condividere la cultura e le abitudini di un servizio che sta crescendo di anno in anno.

Si da atto che in ottemperanza al comma 1 dell’art.19 della L.r. 9/2010 del 08/04/2010, la società è stata posta in liquidazione pur continuando a svolgere il relativo servizio, il tutto nelle more di nuove disposizioni che disciplinino il passaggio al nuovo soggetto giuridico.

Nell’anno 2010, finalmente, dopo varie iniziative parlamentari e disegni di legge tendenti a riformare il sistema degli ATO in Sicilia, la Regione ha dato vita alla riforma degli ATO rifiuti.

In particolare l’Assemblea della Regione Siciliana ha approvato e pubblicato la Legge Regionale 8 aprile 2010 n°9, unitamente alle conseguenti Circolari illustrative. Tale novella legislativa, che ha come obiettivo finale generale la riforma del vecchio piano e la introduzione Del Nuovo Piano Regionale Di Gestione Dei Rifiuti, nel disporre la modifica degli ambiti territoriali ottimali esistenti con la riduzione da 27 a 10 ATO (art.5 L.R.9/2010 citata), prevede la cancellazione degli ATO esistenti, attraverso la obbligatoria procedura dello scioglimento e messa in liquidazione  delle società d’ambito, con contestuale nomina dei liquidatori (art.19 L.R.9/2010 citata), e la creazione di nuove società consortili di capitale per l’esercizio delle funzioni di gestione integrata dei rifiuti, (Società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti – in breve S.R.R.) (art.6 L.R.9/2010 citata). Pur tuttavia, come già anticipato sopra, fino all’effettivo esercizio delle funzioni conferite dalla L.R. 9/2010, e comunque fino al definitivo avvio del servizio di gestione integrata dei rifiuti previsto dalla stessa , ovvero fino alla soppressione delle autorità d’ambito, i soggetti già deputati alla gestione integrata del ciclo dei rifiuti,  continuano a svolgere le competenze loro attribuite, (art.19 comma 12 L.R.9/2010 citata).

Nell’ambito delle prerogative e degli obblighi attribuiti ai soggetti liquidatori/amministratori rientra quello primario di provvedere alla quantificazione della massa attiva e passiva degli stessi consorzi e società d’ambito accertate alla data del 31-12-2010 nonché all’accertamento delle percentuali di copertura dei costi di gestione del servizio delle precedenti autorità d’ambito, sostenuti dagli EE.LL. In particolare, i liquidatori dovranno certificare la ricognizione dei debiti e dei crediti, asseverando la loro esistenza nell’an e nel quantum, nel rispetto dei principi o postulati di chiarezza, verità e precisione.

A tal proposito, l’arbitrato in corso afferente alle penali per la differenziata 2006 e 2007, nonché tutte le contestazioni in essere tra la nostra società e l’Aimeri Ambiente srl, stridono fortemente con l’obiettivo di determinare con certezza e precisione la massa attiva e passiva,o addirittura confliggono con tale esigenza, rendendola di fatto la superiore quantificazione indeterminabile allo stato degli atti. A tal proposito quest’organo ritiene che una equa transazione non possa non comportare benefici effetti alla società, non ultimo quello di garantire certezza e determinabilità ai rapporti di dare avere fra la stessa e i terzi.  

Pur nelle difficoltà inevitabili che il bailamme legislativo ha comportato, l’organo che vi scrive non ha perso di vista quella che dal suo insediamento è stata una sua priorità, ovvero l’affidamento del nuovo servizio, nella forma della Raccolta Integrata Dei Rifiuti,  (c.d. “porta a porta”), mediante una nuova gara d’appalto.

Per ben tre volte, sono stati predisposti tutti gli atti necessari, ed è stata bandita la nuova gara per l’affidamento del servizio igiene urbana nell’ATO-CT1. Le prime due volte non sono state presentate offerte; con ogni probabilità, la ragione di tale situazione è da individuare nella brevissima durata prevista, nei primi due bandi, tal che l’economicità della partecipazione era pregiudicata. Nel terzo bando, i cui termini per la partecipazione, alla data odierna sono ancora aperti, il periodo in gara per quanto breve in assoluto, e pur sempre di gran lunga superiore ai primi due, e pertanto speriamo che le valutazioni economiche dei potenziali partecipanti subiscano da tale circostanza positive influenze, che indicano gli stessi a presentare delle offerte.     

Andamento della gestione

 

Sin dalla sua costituzione, per la Joniambiente S.p.A, le attività di comunicazione hanno assunto una indiscussa centralità, riscontrabile direttamente nel territorio dei 14 comuni dell’A.T.O. CT 1.

Giova ricordare alcune iniziative svolte nel corso del 2010:

  • La continuità nella divulgazione dei numeri utili della società , nel servizio informazioni e segnalazioni fornito dal Numero Verde, nell’indagine telefonica di customer satisfaction e nell’aggiornamento del sito internet;
  • La distribuzione capillare di materiale divulgativo sulla raccolta differenziata alle utenze domestiche e commerciali ad hoc per ciascuno dei 14 comuni soci (ad es. locandine con calendario settimanale di raccolta r.d.);
  • La realizzazione di incontri di sensibilizzazione nelle scuole, di incontri pubblici e di manifestazioni di sensibilizzazione (sponsorizzazione progetto “Nell’Alveo del torrente”);
  • L’affissione programmata di manifesti informativi in tutti i 14 comuni soci;
  • La collaborazione con le associazioni di volontariato (progetto “Un tappo per la solidarietà” – UNITALSI);
  • La realizzazione e la distribuzione di gadget (es. EcoCalendario, Ecopen, varie edizioni della rivista Riciclamente).

L’ anno 2010 , inoltre, ha registrato sia la riproposizione di campagne di sensibilizzazione già avviate sia il lancio di nuove. Tra le prime ricordiamo:

  • Il progetto “Riciroriandolo” (raccolta della carta delle scuole primarie e dell’infanzia in cambio di coriandoli);
  • Il progetto “EcoPresepe 2010”;
  • La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate”;

Tra le seconde:

  • La campagna di sensibilizzazione “Progetto Futuro”, relativa al progetto pilota di raccolta integrata dei rifiuti a Calatabiano e Maletto (realizzazione di depliant, locandine, manifesti ecc.)”;

La campagna di sensibilizzazione “EcoEstate” ha promosso la raccolta differenziata sulle spiagge dei comuni etnei dell’A.T.O. CT 1 attraverso una serie di interventi mirati quali: l’installazione di EcoPoint sul longomare; la collocazione di n. 3 Infopoint sul lungo mare Riposto- Calatabiano per la distribuzione di sacchetti, gadget e materiale divulgativo (Riciclamente). Nell’ambito della medesima iniziativa vanno annoverate, inoltre,  la presenza di stand informativi in occasione di sagre e manifestazioni (tenutesi nei comuni di Bronte – Sagra del Pistacchio e Randazzo – Notte Bianca).

L’anno 2010 ha visto il Settore Tecnico della Società particolarmente impegnato nell’adeguamento dei progetti già presentati all’A.R.R.A. negli anni precedenti. Nel corso dell’anno sono stati riadeguati e ripresentati all’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità – Dipartimento Regionale dell’Acqua e dei Rifiuti”, i seguenti progetti:

  • Progetto di adeguamento delle isole ecologiche nell’ATO-CT1;
  • Progetto per la realizzazione di un impianto di smaltimento RAEE in Randazzo;
  • Progetto per la realizzazione di un centro comunale per la raccolta differenziata dei rifiuti, da ubicarsi in via Etna- Comune di S. Alfio;
  • Progetto per la realizzazione dell’isola ecologica per la raccolta dei rifiuti – Comune di Mascali;
  • Progetti per l’acquisto di attrezzature per la raccolta differenziata della frazione organica;
  • Progetto per acquisto attrezzature per informatizzazione i Centri Comunali di Raccolta/Isole ecologiche.

Inoltre nel corso del 2010 è stato predisposto ed avviato il progetto pilota per la raccolta integrata dei rifiuti nei Comuni di Calatabiano e Maletto.

La raccolta differenziata nell’anno 2010 ha subito lievi scostamenti rispetto all’anno 2009.

I risultati del 2010, per quanto riguarda la raccolta differenziata degli imballaggi (carta e cartone, plastica e vetro) sono desumibili dal seguente grafico.

Dallo stesso si evidenzia, rispetto all’anno 2009, un incremento pari al 9% circa per quanto riguarda la plastica e dell’1% per quanto riguarda il vetro. Il cartone e la carta hanno avuto una leggera flessione, pari a circa il 3%.

La flessione di carta e cartone è determinata dal numero crescente di attività commerciali che si avvalgono per l’espletamento del servizio di ditte esterne, in conformità a quanto previsto dall’art. 195 lett. e) del D.L.vo n. 152/2006 e s.m.i., Per quanto attiene il vetro, l’incremento è stato minimo a causa del blocco dei ritiri da parte di COREVE (analisi del materiale risultato non conforme ai parametri previsti dagli allegati tecnici della Convenzione). Il blocco non ha consentito di conferire presso la piattaforma il vetro che è rimasto stoccato nei cassoni all’interno dei nostri CCR/isole ecologiche. Con il sblocco dei ritiri da parte di COREVE nell’anno 2011 si avrà un incremento più consistente.

E’ stata riconfermata anche per l’anno 2011 la bandiera blu per il Comune di Fiumefreddo di Sicilia.

La raccolta della frazione organica presso le utenze non domestiche è continuata anche nel 2010, con un incremento del 20% circa.

E’ continuata la raccolta degli ingombranti, attraverso le prenotazioni presso il numero verde. Con questo servizio è stato contenuto il fenomeno dell’abbandono indiscriminato di tali rifiuti sul territorio. Sono stati avviati a recupero circa 750 tonnellate di rifiuti.

Nonostante i dati di cui sopra, per poter incrementare le percentuali di r.d. necessita un servizio che, oltre alla raccolta delle suddette frazioni merceologiche, comprenda anche la frazione organica presso le utenze domestiche.
Nelle more dell’espletamento della prima gara d’appalto, poi andata deserta,  Joniambiente, al fine di verificare eventuali criticità di quanto progettato, ha proceduto ad una sperimentazione di tale sistema di raccolta in due Comuni (Maletto e Calatabiano).

I risultati si evincono dai seguenti grafici.

         

Oltre ad una notevole diminuzione dei conferimenti in discarica, si evidenzia che anche la frazione secca differenziata (carta, cartone, plastica e vetro) ha avuto un incremento rilevante dovuto, essenzialmente, all’eliminazione dei cassonetti stradali.
Da quanto sopra, si ritiene la raccolta integrata dei rifiuti con il metodo “porta a porta”  il sistema più idoneo per raggiungere le percentuali di raccolta differenziata previste dalla vigenti normative, ma anche l’unico che, a medio e lungo termine, consentirà un contenimento dei costi.
E’ doveroso a conclusione dell’anno un ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato con la Società, dai nostri tre Dirigenti che da soli hanno guidato le linee programmatiche della Società, ai loro collaboratori che li hanno sostenuti materialmente e quotidianamente nelle varie attività.
Sono riusciti a dimostrare brillantemente che in pochi  si  può gestire una società con coscienza e semplicemente facendo il proprio dovere quotidiano.
Un ringraziamento particolare al Collegio Sindacale della Società che ci hanno controllato ma anche guidato e sostenuto nelle nostre decisioni più complicate evitandoci spesso di spingerci nel terreno dei facili entusiasmi dettati dalla buona volontà e dalla voglia di fare.

Infine sento il dovere di ringraziare anche la ditta che gestisce il servizio che, seppur tra mille incomprensioni e contrasti anche quotidiani, ha permesso di garantire una continuità di gestione nonostante alcuni dei nostri soci non hanno versato regolarmente le quote di partecipazione per evidenti difficoltà interne, a volte anche storiche.

Immobilizzazioni immateriali

Le immobilizzazioni immateriali sono pari a €  53.415 (€ 0  nel precedente esercizio).

La composizione ed i movimenti delle singole voci sono così rappresentati:

 

Descrizione Costo storico es. pr. Rivalutaz. es. pr. Svalutaz. es. pr. F.do ammort. es. pr. Valore Finale
Piano di Comunicazione (Finanziamento Regionale) 53.415 0 0 0 53.415
Totali 53.415 0 0 0 53.415

Immobilizzazioni materiali

Le immobilizzazioni materiali sono pari a € 1.857.739 (2.114.230   nel precedente esercizio).

La composizione è così rappresentata:

 

Descrizione Costo
C.c.r. raccolta differenziata finanziamento regionale 1.324.343
Attrezzatura finanziamento regionale 992.716
Altri beni 159.598
Totali 2.476.657
Fondo ammortamento – 618.918
Totale immobilizzazioni materiali (II) 1.857.739

 

Evoluzione prevedibile della gestione

 

Come accennato succintamente in premessa, è fondato presumere che entro il primo semestre del 2011 i comuni della provincia approveranno lo schema di statuto che dovrà adottare la nuova società di regolamentazione dei rifiuti, (S.R.R.), che gestirà il servizio per l’intera provincia. Non appena costituita la nuova S.R.R. , ad essa verranno effettuate le consegne e tutta la gestione del servizio rimarrà affidata a quest’ultima in ottemperanza al comma 1 dell’art.19 della L.r. 9/2010 del 08/04/2010, il quale statuisce che la società posta in liquidazione continua a svolgere il relativo servizio, nelle more di nuove disposizioni che disciplinino il passaggio al nuovo soggetto giuridico (S.R.R.).

Sin dalla sua costituzione, per la Joniambiente S.p.A, le attività di comunicazione hanno assunto una indiscussa centralità, riscontrabile direttamente nel territorio dei 14 comuni dell’A.T.O. CT 1.

Giova ricordare alcune iniziative svolte nel corso del 2011:

  • Nell’ambito delle attività di sensibilizzazione della cittadinanza sono stati realizzati e distribuiti, a tutte le utenze non domestiche, gli Istituti Scolastici, gli URP, tutti gli uffici comunali e i cittadini richiedenti, gli Ecocalendari 2011 (nelle versioni lavagna, da muro e da tavolo): strumenti utili e di facile consultazione tesi a perfezionare le modalità di conferimento dei rifiuti da parte degli utenti dell’ambito;
  • E‘ stato periodicamente aggiornato sul sito della società, per una più ampia consultazione, il Prontuario dei rifiuti con possibilità di ricerca alfabetica degli stessi per conoscere la loro destinazione ultima;
  • E’ stato mantenuto il Numero Verde 800.911.303 per fornire informazioni sul servizio di raccolta differenziata, sulla società e sul ritiro gratuito degli ingombranti;
  • E’ stata condotta l’indagine telefonica di customer satisfaction rivolta ai cittadini, destinata a verificare l’effettiva esecuzione del servizio di ritiro a domicilio degli ingombranti, al fine di migliorare ed ottimizzare il servizio e scongiurare l’abbandono dei rifiuti ingombranti e durevoli sul territorio;
  • E’ stato allestito uno stand informativo presso la galleria del Centro Commerciale Conforama di Riposto in occasione del Salone dell’Ambiente dal 02.04.11 al 10.04.11;
  • Presso l’Aula consiliare del Comune di Randazzo, è stato organizzato un Seminario sulle Tecnologie applicate nell’ambito del riciclo in occasione della visita di una delegazione giapponese interessata a conoscere la nostra realtà in materia di smaltimento e gestione rifiuti;
  • E’ stato adeguatamente promosso e gradualmente avviato il Nuovo Servizio di Raccolta integrata dei Rifiuti in riferimento al quale sono stati predisposti i seguenti prodotti comunicativi: lettera informativa con allegato tagliando per il ritiro del kit per la raccolta differenziata recapitata a ciascun utenza, locandine pubblicizzanti i punti di distribuzione, adesivi illustrativi per contenitori, diffusione di spot radio e tv su emittenti locali, attività di sensibilizzazione telefonica condotta ad opera degli operatori del Numero Verde, formazione e sensibilizzazione dei volontari addetti alla distribuzione nonché loro dotazione di uniforme identificativa;
  • In occasione del Natale, infine, è stato promosso presso le scuole dell’infanzia e le scuole primarie il progetto di sensibilizzazione ambientale “EcoAlbero”, finalizzato ad incrementare la pratica del riutilizzo all’interno degli istituti scolastici.

Con l’aggiudicazione della gara d’appalto relativa alla raccolta integrata dei rifiuti, si è avviato quel processo di innovazione del servizio, già da qualche anno auspicato e che, dopo le due gare deserte, ha potuto prendere avvio.

Il 5 dicembre 2011, infatti, è stato attivato il servizio di raccolta integrata dei rifiuti nel 1° Step comprendente Bronte, Maniace e Randazzo, oltre a Maletto, già oggetto di sperimentazione, insieme a Calatabiano, dal mese di luglio del 2010. A partire dal 5 marzo 2012 è stato avviato il servizio anche in nel 2° Step comprendente Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Piedimonte, Fiumefreddo di S. e il già citato Calatabiano.

Di seguito si riportano i risultati conseguiti fino al mese di aprile 2012, raffrontati con lo stesso periodo dell’anno precedente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I risultati raggiunti in così poco tempo ci soddisfano, ma soprattutto ci indicano che la strada intrapresa è quella giusta. Si sottolinea, che oltre alle “semplici” statistiche di percentuale di raccolta differenziata, il dato più importante è la diminuzione dei rifiuti da smaltire in discarica.

Già dopo pochi mesi si è già in linea con il Piano di Azione della Regione Siciliana, relativamente al Q.S.N. (quadro strategico nazionale) 2007-2013, che, con l’indicatore S.07 – “Kg. di rifiuti urbani da smaltire in discarica per abitante/anno”, indica il target da raggiungere nel 2013: kg. 230/pro-capite.

I nove Comuni dove è già stato attivato il nuovo servizio di raccolta integrata dei rifiuti, lo hanno già raggiunto e, in alcuni casi, sono anche al di sotto di tale soglia, come dimostrano i precedenti grafici.

Un’altra normativa che si sta rispettando con il nuovo servizio è quella prevista dal D.L.vo n. 36/2005 “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”.

L’art. 5 del suddetto decreto prevede che a livello di Ambito Territoriale Ottimale, oppure, ove questo non sia stato istituito, a livello provinciale, i rifiuti biodegradabili da smaltire in discarica devono essere inferiori a 173 kg/anno per abitante entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del decreto, 115 kg/anno per abitante entro otto anni e 81 kg/anno per abitante entro quindici anni.

Per quanto riguarda, invece, la raccolta differenziata della frazione secca, si ritiene opportuno evidenziare un dato negativo: la diminuzione della raccolta del cartone di imballaggio. Infatti, rispetto all’anno 2010, si è avuta una diminuzione dei conferimenti presso la piattaforma S.A.C.C.A. di circa 300 tonnellate e, di conseguenza, un minor introito dei Contributi CONAI. Ciò è dovuto a quanto già segnalato fin dal mese di settembre 2011 a tutti gli Enti Soci, evidenziando come la raccolta da parte di “soggetti” diversi dal servizio pubblico fosse in contrasto con le ordinanze sindacali emesse dai Sindaci e che “senza apposita autorizzazione e/o accordo da parte del produttore (utenza)” il prelievo si configurava come “ furto” di cartone.

Nel corso del 2011 sono state espletate le seguenti gare d’appalto:

  • “Lavori di manutenzione presso l’isola ecologica del Comune di Randazzo sita in via cap. Castiglione”;
  • Ditta aggiudicataria: Franco Raffaele;
  • Importo: € 12.604,69oltre IVA;
  • “Fornitura di n. 100 cassonetti da lt 1.100”;
  • Ditta aggiudicataria: Tech Servizi s.r.l.;
  • Importo: € 15.950,00 oltre IVA;
  • “Servizi di igiene urbana nell’ATO-CT1”;
  • Ditta aggiudicataria: Aimeri Ambiente s.r.l.;
  • Importo: € 8.296.751,19 oltre IVA;
  • “Fornitura contenitori per la raccolta integrata dei rifiuti nell’ATO-CT1”;
  • Ditta aggiudicataria: ECOLMEC s.r.l.;
  • Importo: € 730.188,36 oltre IVA;

 

Andamento della gestione

 

La Società “Joniambiente S.p.A.” oggi in liquidazione, ha iniziato la gestione diretta dei servizi di igiene urbana nel territorio dell’ATO-CT1, il 01/02/2006.
Il servizio progettato in house da tecnici distaccati dai Comuni soci, è stato concesso in appalto con gara ad evidenza pubblica e si è concluso il 31/07/2011.
L’appalto era unico per tutti i 14 Comuni inclusi nell’ATO-CT1 aventi una popolazione complessiva di circa 123.000 abitanti.
In data 01/08/2011 ha avuto il via il nuovo servizio appaltato con gara ad evidenza pubblica in data 30/05/2011.
Il progetto redatto in house dai tecnici della stessa Società Joniambiente S.p.A. è frutto dall’esperienza acquisita in 5 anni di gestione dei servizi di igiene urbana nell’ATO-CT1.
Con il nuovo Progetto di gestione integrata dei rifiuti giunto, come da cronoprogramma di attivazione, alla sua ultima fase prima del definitivo avvio dei nuovi servizi in tutti e 14 i Comuni dell’A.T.O. CT1 (alla data odierna, di fatto, è stato già avviato in 9 di essi), le priorità assunte dalla Joniambiente S.p.A. per la sua formulazione, coerentemente con le direttive europee e la normativa nazionale e regionale, sono state quelle: 
della prevenzione e riduzione della produzione e pericolosità dei rifiuti indifferenziati;

  1. del recupero e riciclo di materiali e prodotti di consumo;
  2. del recupero e compostaggio dei rifiuti, complementare al riciclo ed a chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti;
  3. dello smaltimento in discarica, residuale ed in sicurezza, al fine ultimo di attuare una concreta politica ambientale, avente tra i suoi obiettivi principali quelli di seguito indicati:
  • principio di chi inquina paga (responsabilità economica);
  • principio delle priorità (riduzione dei volumi, riuso, riciclo e recupero [c.d. 4R]);
  • dalla crisi dei rifiuti (emergenza) alla politica ambientale;
  • consapevolezza sociale, sensibilità ambientale, cultura dei servizi pubblici;
  • le potenzialità del riciclaggio e gli obiettivi per gli imballaggi;
  • obiettivi per materiali (immesso/riciclo), per imballaggi e per rifiuti pericolosi;
  • incentivazione del compostaggio di qualità con individuazione di sistema premiante;
  • crescente attenzione ai risultati finali e non alle modalità operative (ruolo gestore);
  • coordinamento territoriale delle frazioni merceologiche;
  • gestione omogenea delle raccolte differenziate (riciclabili/pericolose);
  • analisi capacità impiantistiche di smaltimento e soluzioni gestionali;
  • adeguamento tassa-tariffa ambientale e valutazioni economiche;
  • verifica possibilità d’integrazione servizi;
  • la prevenzione dei rifiuti;
  • governance “forte” con programmazione e controllo sul sistema dei rifiuti.

Si tratta, ovviamente, di indicazioni di principio da cui si è partiti, affrontate nel merito per ricercare le possibili soluzioni di attuazione, in maniera da proporre, infine, un progetto efficace, realizzabile e di lunga durata nel tempo. Appare opportuno rappresentare, come prima ancora di proporlo con la nuova gara ad evidenza pubblica del maggio 2012, lo stesso è stato avviato in modo sperimentale, già nell’anno 2010, nei c.d. 2 Comuni pilota di “Calatabiano” (per i Comuni a valle) e “Maletto” (per Comuni della fascia pedemontana), ove si sono raggiunti risultati soddisfacenti. Questa sua applicazione pratica, inoltre, ha permesso di definire alcune delle più importanti scelte gestionali adottate, riprese e inserite nella sua stesura finale. 

Il precedente sistema di gestione dei rifiuti urbani dell’A.T.O. CT1, è innegabile, presentava forti criticità, per cui si è ritenuto necessario adottare dei “rilevanti interventi di ristrutturazione”, al fine di garantire, per un lungo periodo, non solo la conformità alle disposizioni di legge vigenti, che sarebbe stata fine a se stessa, ma anche la sostenibilità e la solidità tecnico-ambientale.

Le analisi condotte nel corso della predisposizione di questo progetto, arricchito dalle informazioni ricevute nell’ambito pratico della sua applicazione sperimentale, hanno mostrato la fattibilità di questo percorso, anche in termini di sostenibilità economica, delineando opportunità di intervento volte a:

  • invertire concretamente l’attuale tendenza alla crescita della produzione di rifiuti;
  • massimizzare le opportunità di recupero di materia dai rifiuti, attraverso lo sviluppo delle raccolte differenziate (prioritariamente con sistemi domiciliari), finalizzate sia al reinserimento nei cicli produttivi di materie prime da esse derivate, sia alla produzione di “compost” con valorizzazione del contenuto organico del rifiuto in termini agronomici;
  • minimizzare le necessità di smaltimento in discarica, puntando sul lungo periodo al tendenziale annullamento del flusso di rifiuti così destinati.

Il progetto così formulato, a regime, oltre a quanto precedentemente evidenziato sulla normativa dei conferimenti in discarica, dovrebbe riprendere e confermare  gli obiettivi di raccolta differenziata definiti a livello regionale dalla L.R. 08-04-2010 n. 9:

  • anno 2012: R.d. 40 per cento, recupero materia 30 per cento;
  • anno 2015: R.d. 65 per cento, recupero materia 50 per cento.

Con le fasi di progetto già attuate era stato previsto ancora:

  • l’educazione e la formazione del personale operaio impiegato nell’ambito dei servizi;
  • diverse azioni di informazione al cittadino, concretizzatesi con conferenze presso le scuole; la distribuzione di appositi volantini e depliant; impiego dei mass media; comitati consultivi degli utenti, in corso di distribuzione dei KIT per uso domestico; etc..
  • coinvolgimento delle locali Associazioni di volontariato aventi tra gli scopi sociali la salvaguardia dell’ambiente, che dopo opportuni corsi di formazione hanno contribuito in modo determinante all’avvio del servizio partecipando alla distribuzione dei Kit per la raccolta e all’informazione capillare della popolazione.

 

Fatti di rilievo dopo la chiusura dell’esercizio

 

              Vi segnaliamo che dopo la chiusura dell’esercizio si sono verificati i seguenti eventi:

              L’Assemblea Regionale Siciliana, con la legge regionale 9 maggio 2012 n. 26 ha modificato, in talune parti, la legge   Regionale 8 aprile 2010 n. 9, per assicurarne la piena e generale effettività e garantire una rapida transizione verso il nuovo sistema della gestione integrata del ciclo dei rifiuti in Sicilia come delineato nella legge di riforma.

              Con l’art. 11 comma 66 della suddetta legge regionale n. 26/12, si è attribuito alla Regione la possibilità di modificare la rigida delimitazione territoriale di cui all’articolo 5 della legge regionale 8 aprile 2010, n. 9, individuano bacini territoriali ottimali di dimensione diversa da quella provinciale, al fine di consentire la produzione di economie di scala e di differenziazione dallo svolgimento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, stabilendo che non possono superare il numero massimo di otto.

              Meritano particolare attenzione, altresì, le previsioni di cui al comma 2 bis dell’art. 19 della legge regionale 8 aprile 2010, n. 9 introdotte dal comma 64 dell’art. 11 della legge regionale 9 maggio 2012, n. 26, dalle quali si evince inequivocabilmente la volontà del legislatore di dare piena e immediata attuazione al nuovo modello di organizzazione del ciclo integrato dei rifiuti in Sicilia, governato dalle S.R.R.

              Il legislatore regionale, con l’obiettivo di separare definitivamente la delicata attività di liquidazione dei Consorzi e/o delle Società d’ambito, dalla altrettanto complessa attività di gestione del servizio, pone espressamente il divieto, per i liquidatori dei Consorzi e delle Società d’ambito, di compiere qualsiasi atto di gestione dopo il 30 settembre 2012, attribuendone la competenza, da quella data, ai nuovi soggetti gestori, le S.R.R.

              Quindi i liquidatori potranno, solo entro e non oltre il citato termine, porre in essere atti di gestione, i cui effetti comunque dovranno cessare entro il 31 dicembre 2012, data entro la quale dovrà avvenire, sempre ai sensi del citato comma 2 bis, l’estinzione dei Consorzi e delle Società d’ambito. 

 

Evoluzione prevedibile della gestione

 

L’evoluzione del sistema di gestione dei rifiuti dal quadro precedente alla situazione prevista a regime, si sta concretizzando con una progressiva attuazione degli interventi previsti, come da cronoprogramma di attivazione.

I risultati fino ad oggi conseguiti, come sopra rappresentato, dimostrano la bontà delle scelte progettuali adottate. L’avvio dei servizi ha prodotto significativi risultati, di gran lunga superiori sia quelli precedenti, che alle aspettative ipotizzate.

Nell’anno 2012 è stato avviato, con diversi step, il nuovo servizio di raccolta integrata dei rifiuti. Parecchie le difficoltà che si sono dovute affrontare già a partire dai primi mesi dell’anno (sciopero degli autotrasportatori, blocco dei forconi, assemblee sindacali e sciopero per il mancato o ritardato pagamento degli emolumenti ai dipendenti Aimeri). A distanza di un anno, sembra opportuno una verifica su quanto accaduto.

Come precedentemente detto, pur con tantissime difficoltà, il servizio sembrava essersi avviato verso un suo consolidamento, così come da progetto, ed i risultati del 1° semestre erano più che lusinghieri sia nel 1° che nel 2° step.

Purtroppo l’avvio del 3° step, per motivi non certamente imputabili a questa Società, ha provocato problemi di carattere organizzativo che hanno vanificato nel secondo semestre quanto di positivo era stato ottenuto nel primo semestre (vedi grafico).

 

 

 

 

 

Oltre alle semplici percentuali di raccolta differenziata, il dato più significativo è stata la diminuzione dei conferimenti in discarica, come si evince dalla allegata tabella.

 

RIEPILOGO DISCARICA (RIFIUTI E COSTI)
ANNO 2011 ANNO 2012
R.S.U. (Kg) COSTO DISCARICA R.S.U. (Kg) COSTO DISCARICA
       
62.887.870  6.967.176,35 45.321,442  5.023.381,41

Ciò ha comportato anche un notevole risparmio sui conferimenti in discarica.

Un altro dato confortante è il quantitativo di rifiuti conferiti in discarica per abitante/anno.

Infatti, come può desumersi dai grafici, in parecchi Comuni del 1° e 2° step, pur con le difficoltà sopraelencate, si è già in linea con il Piano di Azione della Regione Siciliana, relativamente al Q.S.N. (quadro strategico nazionale) 2007-2013, che, con l’indicatore S.07 – “Kg. di rifiuti urbani da smaltire in discarica per abitante/anno”, indica il target da raggiungere nel 2013: kg. 230/pro-capite.

Alcuni sono già al di sotto di tale soglia, altri sono prossimi all’obiettivo.

 

 

 

 

Sulla scorta di quanto sopra, si è dell’avviso che il percorso intrapreso sia quello giusto e che quanto di positivo ottenuto nel primo periodo debba essere la base di partenza per il futuro servizio di raccolta integrata dei rifiuti.
Un dato negativo rispetto a quanto sopra evidenziato è la diminuzione della raccolta del cartone di imballaggio, con conseguente minore introito dei contributi CONAI.
Il fenomeno è accentuato soprattutto nei Comuni del terzo step, dove nell’anno 2012 è stato raccolto solo per il 13,85% del totale degli imballaggi in cartone. Il 21,97 è stato raccolto nel 2° step, mentre i maggiori quantitativi sono stati raccolti nel 1° step con il 64,18% del totale.
Da una comparazione con gli anni antecedenti al fenomeno di raccolta cartone da parte di ditte “esterne”, il danno economico per la Società può essere quantificato in circa € 90.000 per l’anno 2012.
Nel corso dell’anno 2012 l’attività della società è stata, essenzialmente, rivolta e incentrata all’avvio in tutto l’ATO CT1 del nuovo Servizio di Raccolta integrata dei Rifiuti, già partito il 5 dicembre 2011 per i Comuni del 1° step Bronte, Randazzo, Maniace e Maletto.
In conseguenza è stato redatto e predisposto il progetto di gestione sperimentale ex art. 3 dell’ordinanza n. 151 del 14.11.2011 del Commissario delegato per l’emergenza dei rifiuti in Sicilia.
In ossequio al mandato Assembleare, e con un rilevante sforzo organizzativo, di concerto con le amministrazioni comunali coinvolte, è stato pianificato l’avvio, in tempi brevi, del medesimo servizio sul territorio dei restanti Comuni dell’ambito, (Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Mascali, Milo, Piedimonte Etneo, Riposto e Sant’Alfio).

Essenziale nella fase di start up del progetto, è stata la collaborazione operosa delle associazioni di volontariato e delle associazioni aventi nel proprio statuto come scopo la cura dell’ambiente che, opportunamente edotti tramite dei corsi di formazione, e successivamente coordinati e seguiti dal nostro personale tecnico direttamente sul territorio, dopo aver stipulato apposita convenzione, si sono occupati della distribuzione dei kit, ed essendo a stretto contatto con gli utenti hanno contribuito in maniera rilevante, a fornire una adeguata informazione sulle modalità di conferimento.

Nel mese di Marzo è partito ufficialmente il nuovo servizio di raccolta “porta a porta” nei Comuni appartenenti al 2°step nello specifico Linguaglossa, Piedimonte, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia e Calatabiano.

L’avvio del servizio riguardo al 3° step, previsto per il mese di Maggio, si è poi rivelato al quanto ostico, inevitabilmente, anche per via degli spiacevoli episodi accaduti alla ditta Aimeri Ambiente e dopo il susseguirsi di diversi tavoli tecnici, con tutte le difficoltà del caso a ridosso praticamente della stagione estiva, è stato attivato nel mese di Luglio nei Comuni di Milo, Sant’Alfio, Giarre, Mascali e Riposto.

Nonostante l’avvio del 3° step abbia conseguito buoni risultati rispetto ai target prefissati, nei Comuni del 1° e 2° step, tale avvio ha generato i disagi che si sono ripercossi sul buon andamento del servizio nel suo complesso, che è divenuto via via sempre più inefficiente ed inefficace.

I motivi di tale grave empasse, trovano la loro causa principalmente nell’impiego, da parte della ditta Aimeri Ambiente, di una quantità di automezzi insufficiente e non adeguata ai programmi di lavoro predisposti e alle necessità minime. Peraltro, cosa molto grave, in tal modo la stessa ditta Aimeri ha violato quando statuito dal Capitolato Speciale d’Appalto.

Nemmeno la fornitura dei sacchi per la raccolta differenziata si è rivelata idonea e sufficiente rispetto alle quantità indicate nel Piano di organizzazione dei servizi.

Infine, il mancato pagamento delle spettanze ai lavoratori dipendenti della ditta aggiudicataria ha ulteriormente aggravato la situazione, in quanto ha generato continui scioperi, che hanno fatto precipitare definitivamente la qualità e l’efficienza del servizio.

Ovviamente, tutto ciò ha comportato come diretta conseguenza, la doverosa applicazione delle sanzioni a carico della ditta appaltatrice. Giovi a questo fine porre mente che solo per il periodo da Luglio a Dicembre, ossia dall’avvio del 3° step, sono state elevate penali per un importo pari a € 2.441.658,05.

Nel corso del 2012 sono state espletate le seguenti gare d’appalto:

  • “Servizi di estirpazione erbacce, rovi e piante infestanti lungo i marciapiedi, i muri ed i cigli nelle strade urbane ricadenti nel territorio dell’ATO CT1”
  • Ditta aggiudicataria: Grasso Servizi di Toscano Maria Luisa.
  • Importo di aggiudicazione del servizio: € 59.966,22 oltre IVA
  • “Fornitura distributori automatici sacchi per la raccolta differenziata nell’ATO CT1”
  • Ditta aggiudicataria: CO.M.E.S.I. Group srl.
  • Importo per la fornitura: € 165.602,40 oltre IVA
  • “Fornitura di sacchetti per la raccolta differenziata nell’ATO CT1”
  • Ditta aggiudicataria: Lady Plastik srl.
  • Importo per la fornitura: € 133.951,84 oltre IVA

Nell’ottica della continuità operativa e del costante miglioramento dei risultati, nell’anno 2012  la Joniambiente S.p.A. ha dato attuazione a diverse campagne di comunicazione tese, da una parte, ad educare e sensibilizzare attraverso il coinvolgimento attivo i cittadini di oggi e di domani e, dall’altra,  a promuovere e sostenere la raccolta differenziata senza con questo dimenticare di dare la giusta visibilità  alla società quale soggetto deputato alla gestione dei rifiuti.
Alla base di ogni strategia comunicativa condotta da Joniambiente e rivolta ai diversi target c‘è sempre stata la sinergia con tutti gli attori dell’ambito territoriale: primi fra tutti gli Enti Soci, la ditta aggiudicataria del servizio, le istituzioni locali (scolastiche e non), le associazioni di volontariato e di categoria, le utenze commerciali nonché i Consorzi di Filiera.
Tra gli interventi giova anzitutto ricordare quelli posti in essere contestualmente alle operazioni di avvio del nuovo Servizio di Raccolta Integrata.
Considerato che il passaggio al Sistema di Raccolta Integrata dei Rifiuti ha comportato un cambiamento radicale nelle abitudini degli utenti, è stata predisposta una comunicazione ad hoc, in grado di sottolineare in modo funzionale i vantaggi personali e collettivi, di veicolare, con estrema chiarezza, le modalità, i tempi del nuovo servizio assieme agli obiettivi ambientali e finanziari; pertanto, questa Società ha ritenuto opportuno predisporre un apposito Piano Integrato preoccupandosi, da subito, di concordarne l’indirizzo assieme alla ditta aggiudicataria in occasione di numerosi incontri propedeutici all’avvio del  nuovo servizio.

Tutte le riunioni e i tavoli tecnici si sono basati sul dialogo e sul confronto tra gli  ”attori” principali, ovvero i rappresentanti dei Comuni, dell’azienda aggiudicataria, i tecnici, gli esperti di comunicazione e ai rappresentanti delle associazioni di volontariato al fine di concordare tempi, modi e strumenti atti a garantire una pianificazione condivisa e partecipata tanto in fase di start-up che di follow-up.

Su questi presupposti sono stati definiti  e realizzati gli interventi che seguono:

1-      A seguito di apposita convenzione stipulata con Poste Italiane, si è provveduto al recapito di n. 51.037 lettere informative a tutte le utenze con allegato il tagliando per il ritiro gratuito del kit per la raccolta differenziata;

COMUNI SOCI N. LETTERE RECAPITATE
BRONTE 7.699
CALATABIANO 2.326
CASTIGLIONE DI SICILIA 1.529
FIUMEFREDDO DI SICILIA 3.935
GIARRE 10.855
LINGUAGLOSSA 2.194
MALETTO 1.595
MANIACE 1.439
MASCALI 5.669
MILO 496
PIEDIMONTE ETNEO 1.865
RANDAZZO 4.710
RIPOSTO 6.049
SANT’ALFIO 676
 

2-      la realizzazione di n. 71.500  pieghevoli informativi con le  istruzioni su come effettuare correttamente la raccolta differenziata  e le modalità di svolgimento del servizio di raccolta sulla base della zona di appartenenza distribuiti dai volontari delle associazioni che hanno stipulato apposita convenzione con questa società per collaborare alla consegna dei kit per la raccolta differenziata;

3-      la collocazione, in punti strategici (punti di maggior afflusso pubblico quali farmacie, punti vendita, rivenditori di tabacchi, uffici pubblici, ecc), di n. 1.000 locandine personalizzate per ciascun comune, per pubblicizzare i punti di consegna dei kit.

Lo dimostra il fatto che entro il 05 dicembre 2011, data di avvio del servizio di raccolta, aveva già partecipato alle operazioni di ritiro:

 l’83% dei cittadini di Bronte (ovvero 6.414 utenze su 7.696);

 il 96% dei cittadini di Randazzo (ovvero n. 4.504 utenze su 4.710);

 il 92% dei cittadini di Maniace (ovvero n. 1320 utenze su 1.439);

4-      l’apposizione di un messaggio sui tradizionali cassonetti per avvisare della loro prossima rimozione con il rimando al Numero Verde e al sito internet della società per qualsiasi ulteriore informazione;
5-       la realizzazione di adesivi per i contenitori di prossimità indicanti le tipologie di rifiuto da potervi conferire;
6-      lo svolgimento di un apposito corso di formazione per  i volontari curato dal dirigente del Servizio Raccolta Differenziata Antonino Germanà, le cui lezioni si sono tenute secondo il calendario di seguito indicato:

 

DATA ORA SEDE
Lunedì 3 ottobre 2011 9.30-12.30 Saletta conferenze Comune di Randazzo
Lunedì 17 ottobre 2011 16.00-18.30 Saletta conferenze Comune di Randazzo
Martedì 18 ottobre 2011 16.00-18.30 Aula consiliare Comune di Bronte
Venerdì 21 ottobre 2011 16.00-18.30 Saletta conferenze Comune di Randazzo
Martedì 25 ottobre 2011 16.00-18.30 Aula consiliare Comune di Bronte

 

Durante il corso sono stati trattati e sviluppati con il necessario approfondimento, i seguenti argomenti:

 

–          Rifiuti e loro classificazione;

–          Raccolta Differenziata;

–          Disposizioni legislative in materia di RD;

–          Tipologie e modalità di espletamento del servizio RD;

–          Materiali oggetto di RD;

–          Imballaggi;

–          Convenzioni con i Consorzi CONAI;

–          Controlli di qualità;

–          C.C.R./ Isole ecologiche,

–          Nuovo servizio di raccolta integrata dei rifiuti:  modalità consegna kit e loro corretto utilizzo.

 

7-      la realizzazione di badge e divise per i volontari  tali da consentire all’utente una chiara identificazione dell’operatore incaricato alla consegna tramite apposito cartellino di riconoscimento con foto e indicazione della qualifica. Solo nei comuni del primo step hanno collaborato con questa Società 11 associazioni diverse per un totale di n. 115 volontari che hanno prestato il loro prezioso servizio sul  campo.

 

COMUNE ASSOCIAZIONE N. VOLONTARI
BRONTE RANGERS SICILIA 16
BRONTE ASS. NAZ. GIACCHE VERDI 6
BRONTE CONFR. DI MISERICORDIA 15
BRONTE ASS. IRIDE 14
BRONTE CHARITAS UNITALSI 15
BRONTE GRUPPO S. GIUSEPPE COOP. SOCIALE 10
MANIACE ASS. IALITE ONLUS 5
RANDAZZO VOLONTARI PER LA PROT.CIVILE 6
RANDAZZO AROT 9
RANDAZZO ASS. IRIDE 7
RANDAZZO CONFR. DI MISERICORDIA 12
 

8-      l’allestimento di postazioni dedicate alla consegna kit gestite dai volontari con il coordinamento di Joniambiente. La fase di distribuzione si è svolta comunque tenendo conto delle specifiche esigenze rilevate attraverso 3 sistemi:

– consegna presso le postazioni dedicate;

– consegna a domicilio laddove necessario e funzionale, per far fronte alle richieste inoltrate tramite il Numero Verde o ai Comuni da parte di cittadini impossibilitati al ritiro quali anziani, disabili, ecc..

– consegna presso taluni uffici comunali ai quali ne è stata destinata una riserva.

Presso ciascuna postazione, inoltre, è stato consegnato ai volontari un manuale informativo da poter consultare per rispondere nel modo più completo e pertinente ai dubbi e alle perplessità degli utenti.

Si annovera, inoltre, l’opera di sensibilizzazione a 360 gradi che le associazioni hanno portato avanti anche presso la propria sede fungendo da prezioso supporto ai cittadini soprattutto nelle prime fasi di avvio della raccolta;

 

9-      la realizzazione di una campagna di informazione telefonica rivolta a tutte le utenze titolari di un abbonamento fisso nonché l’aggiornamento costante degli operatori del Numero Verde su tutte le novità introdotte.

Considerato che una comunicazione integrata presuppone la predisposizione di mezzi e strumenti che consentano un feedback è stato scelto questo strumento che, oltre a completare la funzione svolta dalla lettera informativa inviata per posta, ha stabilito e promosso un’interazione e un dialogo quanto mai proficuo rispondendo nell’immediato agli eventuali dubbi o curiosità di ciascun utente ricordando la possibilità di contattare, per qualsiasi necessità o segnalazione, il Numero Verde societario (si stima che siano sono state contattate almeno 9800 utenze per ben 3 volte);

 
10-   la diffusione di spot tv sulle principali emittenti televisive locali. Nelle fasce orarie di maggiore ascolto, le emittenti tv locali hanno trasmesso, ad intervalli frequenti, gli spot televisivi a spiccata impronta didattico-didascalica realizzati appositamente per l’avvio del nuovo servizio.    

La messa in onda di tali spot è stata programmata su una piattaforma trimestrale coinvolgendo le seguenti emittenti locali:

 

–          La Società Cooperativa Ciclope Bronte, che ha trasmesso gli spot sul nuovo servizio ben 15 volte al giorno, e soltanto nella fascia oraria compresa tra  le 7 e le 13, ha trasmesso comunicazioni ed informazioni sul nuovo servizio esattamente ogni 20 minuti;

 

–          L’emittente TV “TGR” Telegiornale Randazzo, che registra un bacino di utenza di 35.000 abitanti, ha mandato in onda gli spot televisivi ben 18 volte al giorno, inserendoli nei momenti di maggiore ascolto del palinsesto;

 

–          L’emittente Televideorandazzo che raggiunge l’utenza dei seguenti comuni: Bronte, Maletto, Maniace, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa e Piedimonte Etneo, ha previsto 12 passaggi giornalieri;

 

–          L’emittente Prima TV, con i suoi 35 mila contatti giornalieri registrati e un bacino d’utenza che si estende da Giarre, passando per la fascia etnea, fino a Taormina, ha trasmesso gli spot 12 volte al dì;

 

si annovera, inoltre, la registrazione di diversi redazionali inerenti il nuovo servizio, in particolare sono state registrate vere e proprie lezioni sulla raccolta differenziata ad opera dal personale della Joniambiente, ripetutamente diffuse dalle emittenti televisive negli orari di maggiore ascolto e comunque non meno di 2 volte al giorno;

 

11-  la messa in onda di messaggi informativi sul nuovo servizio in forma grafica e testuale per comunicare  tutti gli avvisi attinenti l’avvio del nuovo servizio e le sue fasi propedeutiche. All’interno della grafica informativa sul nuovo servizio sono stati inseriti tutti i comunicati redatti. L’emittente TV “TGR” Telegiornale Randazzo, ad  esempio,  ha previsto addirittura 60 di questi passaggi al dì;

 

12-  la diffusione di spot di sensibilizzazione via radio tramite la principali emittenti radiofoniche presenti sul territorio dell’ATO.

 

–           La Società Cooperativa Ciclope Bronte ha diffuso lo spot ben 15 volte al giorno oltre a riservare appositi spazi alle comunicazioni della società;

–           Radio Studio 7 ha previsto  20 passaggi al giorno  oltre a 4 spazi interamente dedicati alla società.

 

13-   la redazione e la diffusione di comunicati stampa numerosi, costanti, puntuali e dettagliati.

 

Un’informazione puntuale e aggiornata è stata garantita anche attraverso il Gazzettino di Giarre, settimanale di informazione diffuso nella fascia territoriale che si estende da Acireale e l’acese in genere, passando per i territori compresi tra Giarre, Riposto,  Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Calatabiano (solo in queste porzioni territoriali registrano 4 mila copie distribuite) e raggiungendo i Comuni etnei fino alle zone dell’Alcantara. Sono state 5 le pagine speciali, organizzate nell’ambito di una campagna pubblicitaria dedicata al servizio di raccolta integrata dei rifiuti, modulando gli spazi a disposizione sulla scorta dell’esigenza di fornire il maggior numero di dettagli: modi e tempi del nuovo servizio; destinazione dei rifiuti suddivisa per tipologia, stato della distribuzione dei kit sia alle utenze domestiche che alle utenze non domestiche.

 

14-             numerosi incontri didattici e di sensibilizzazione nelle scuole sono stati tenuti, su iniziativa della società, dal dirigente Antonino Germanà. Si annovera, inoltre, il progetto di sensibilizzazione EcoAlbero che, in occasione delle festività natalizie, ha coinvolto le scuole dell’infanzia e primarie dell’ATO CT1 rappresentando un ulteriore motivo di incontro atto a promuovere l’imminente avvio del servizio di raccolta integrata;

 

15-             l’aggiornamento costante e la promozione del sito internet quale moderno strumento di dialogo con  gli utenti, con la predisposizione di  un apposito format sulla home page per consentire l’ inoltro di messaggi e segnalazioni e la possibilità di consultare e scaricare il Prontuario sul corretto conferimento dei rifiuti;

 

Tra le altre iniziative realizzate nel corso dell’anno meritano, inoltre, di essere annoverate:

–          l’attività di collaborazione con Tetra Pak Italia con invio di gadget da distribuire agli alunni delle scuole coinvolti nei vari progetti di sensibilizzazione;

–          la partecipazione al Salone dell’Ambiente svoltosi dal 13 al 22 aprile presso la galleria del centro commerciale Conforama di Riposto con distribuzione di materiale informativo;

–          la sponsorizzazione delle manifestazioni:  “Tuttoinunanottegiarrese” promossa dalla Proloco di Giarre in occasione della ricorrenza del 2 giugno e “Riposto we care” promossa dal CNGEI Riposto per la pulizia dei nostri litorali.

 

     DELIBERE  ASSEMBLEA  DEI  SOCI

 

ASSEMBLEA DEI SOCI   13 settembre  2004 

Ordine del Giorno:

  1. Dimissioni Presidente del Consiglio di Amministrazione
  2. Nomina Presidente del Consiglio di Amministrazione
  3. Nomina componente Consiglio di Amministrazione riservato alla Provincia Regionale (art. 2458 codice civile)

Sono presenti in proprio:

Il Sindaco del Comune di Giarre

Il Sindaco del Comune di Piedimonte Etneo

Sono presenti per delega:

Il Sindaco del Comune di Bronte

Il Sindaco del Comune di Randazzo

Considerato che il capitale rappresentato dai presenti è esiguo ed insufficiente e, poiché manca la necessaria informazione sugli oggetti posti all’ordine del giorno, la seduta viene rinviata al 18 settembre 2004 

ASSEMBLEA DEI SOCI 18 settembre 2004

  Ordine del Giorno:

Ripresa lavori della seduta precedente del 13 Settembre 2004, ovvero:

  1. Dimissioni Presidente del Consiglio di Amministrazione
  2. Nomina Presidente del Consiglio di Amministrazione
  3. Nomina componente Consiglio di Amministrazione riservato alla Provincia Regionale (art. 2458 codice civile)

Sono presenti in proprio:
Il Sindaco del Comune di Bronte

Il Sindaco del Comune di Giarre

Il Sindaco del Comune di Maletto

Il Sindaco del Comune di Piedimonte Etneo

Il Sindaco del Comune di Randazzo

Il Sindaco del Comune di Sant’Alfio

Sono presenti per delega:

Il Sindaco del Comune di Linguaglossa

Il Sindaco del Comune di Mascali

Il sindaco del Comune di Milo

Il Consiglio preso atto delle dimissioni irrevocabili del Presidente del Consiglio, Mario Spampinato, accoglie la proposta del Sindaco di Giarre, di voler eleggere nuovo Presidente del Consiglio di Amministrazione il Dott. Mario Carmelo Zappia.

La votazione ha il seguente esito:

si esprimono a favore del dott. Mario Carmelo Zappia:

L’Amministrazione Provinciale

I Comuni di: Giarre, Linguaglossa, Maletto, Mascali, Milo, Piedimonte Etneo, Randazzo, Sant’Alfio.

Si astiene il Comune di Bronte

Nessun voto contrario 

Quale componente del Consiglio di Amministrazione, viene designato, con determina del Presidente della Provincia Regionale di Catania On. Raffaele Lombardo, depositata in sede di Assemblea dall’Assessore della Provincia Calanducci,  Francesco  Rubbino.

La superiore nomina del componente del Consiglio di Amministrazione avviene contestualmente alla seduta ratificata dall’Assemblea.

Eletto nuovo Presidente del Consiglio di Amministrazione: Zappia Mario Carmelo, nato a Catania il 19 luglio 1962.

Nominato componente del Consiglio di Amministrazione: Rubbino Francesco, nato a Randazzo il 02 gennaio 1948.

ASSEMBLEA DEI SOCI 07 DICEMBRE 2007

 Ordine del Giorno

Parte straordinaria:

  1. Proposta aumento del capitale sociale ad € 1.000.000,00 (Euro un milione/00)
  2. Modifica Statuto

Parte ordinaria:

  1. Nomina componenti Consiglio di Amministrazione

Sono presenti in proprio o per delega tutti i quindici Soci.

E’ presente l’Organo Amministrativo:

Dott. Mario Carmelo Zappia, Presidente Consiglio di Amministrazione.

Caruso Antonio, Vice Presidente

Cardillo Mario, Consigliere

Di Bella Giambattista, Consigliere

Grasso Mario, Consigliere

Parrinello Nunzio, Consigliere

Rubbino Francesco, Amministratore Delegato

E’ presente il Collegio Sindacale:

Bonaccorsi Roberto, Presidente

Barbagallo Salvatore, Sindaco effettivo

Caprino Campana Gaetano, Sindaco effettivo

L’Assemblea  modifica l’art. 17 dello statuto sociale, in modo tale che il nuovo Consiglio di Amministrazione sia composto di tre membri;

Considerato che la nomina di uno dei componenti, ai sensi dell’art. 2458 del codice civile,  è riservata alla  Provincia, l’Assessore Orazio Pellegrino nomina componente del Consiglio di Amministrazione il Sig. Nunzio Parrinello.

In rappresentanza dei Comuni inferiori ai 10.000 abitanti, viene proposto e nominato componente del Consiglio di Amministrazione il Sig. Antonio Caruso.

L’Assemblea con i voti dei soci rappresentanti i Comuni di Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Maniace, Milo, Randazzo e della Provincia Regionale, pari al 55,44% delle azioni, con l’astensione dei rappresentanti i Comuni di Bronte, Calatabiano, Maletto, Mascali, Piedimonte Etneo, Riposto, Sant’Alfio, nomina quale componente del Consiglio di Amministrazione il Dott. Mario Zappia. 

A questo punto si eleggono il Presidente e il vice Presidente del Consiglio di Amministrazione.

Con i voti dei Soci rappresentanti i Comuni di Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Maniace, Milo, Randazzo e della Provincia Regionale, pari al 55,44% delle azioni, con l’astensione dei rappresentanti i Comuni di Bronte, Calatabiano, Maletto, Mascali, Piedimonte Etneo, Riposto, Sant’Alfio, viene nominato quale Presidente del Consiglio di Amministrazione il Dott. Mario Zappia, quale vice Presidente del C.d.A. il Consigliere Parrinello Nunzio, quale componente il sig. Antonio Caruso. 

ASSEMBLEA DEI SOCI 03 AGOSTO 2009 

 Ordine del Giorno:

  1. Revoca Consiglio di Amministrazione, ex art. 2383 del codice civile; (su proposta dei seguenti Soci: Provincia Regionale di Catania, Comune di Bronte, Comune di Piedimonte Etneo, Comune di Castiglione di Sicilia, Comune di Mascali, Comune di Maletto, Comune di Randazzo);
  2. Nomina nuovo Consiglio di Amministrazione (su proposta dei seguenti soci: Provincia Regionale di Catania, Comune di Bronte, Comune di Piedimonte Etneo, Comune di Castiglione di Sicilia, Comune di Mascali, Comune di Maletto, Comune di Randazzo);
  3. Nomina Collegio Sindacale;
  • nomina dei sindaci effettivi e supplenti;
  • nomina del Presidente del Collegio Sindacale;
  1. Esame dei rilievi presentati da alcuni Soci nell’Assemblea del 03 luglio 2009;
  2. Bilancio al 31/12/2008, relazione degli amministratori sulla gestione, relazione dei sindaci e deliberazioni relative.

Sono presenti:

  • Provincia Regionale di Catania – Bulla Giovanni;
  • Comune di Bronte – Sindaco Senatore Giuseppe Firrarello;
  • Comune di Calatabiano – Sindaco Antonio Petralia;
  • Comune di Castiglione di Sicilia – Sindaco Claudio Scavera;
  • Comune di Fiumefreddo di Sicilia – Sindaco Sebastiano Nucifora;
  • Comune di Giarre – Sindaco Teresa Sodano;
  • Comune di Maletto – Sindaco Giuseppe De Luca;
  • Comune di Maniace – Assessore Luigi Marino Grammazza;
  • Comune di Mascali – Sindaco Filippo Monforte;
  • Comune di Milo – Sindaco Giuseppe Messina;
  • Comune di Piedimonte Etneo – Sindaco Giuseppe Pidoto;
  • Comune di Randazzo – Sindaco Ernesto Del Campo;
  • Comune di Riposto – Sindaco Carmelo Spitaleri;
  • Comune di Sant’Alfio – Sindaco Salvatore Russo;

E’ presente l’organo amministrativo in persona del Presidente dott. Mario Carmelo Zappia e dei consiglieri signori: Caruso Antonio e Rubbino Francesco;

E’ presente il collegio sindacale in persona del Presidente Bonaccorsi Roberto e dei componenti sindaci: Barbagallo Salvatore e Caprino Campana Gaetano;
Il presidente Zappia dà inizio alla seduta esprimendo le proprie perplessità riguardo la richiesta di convocazione dell’Assemblea per la revova del C.d.A., decisione, secondo lo stesso, singolare,  in quanto mossa da soci morosi nei confronti di un’amministrazione che comunque ha continuato a garantire un servizio di gestione rifiuti fra i migliori prestati nell’ambito della Regione siciliana, nonostante gli sforzi affrontati a causa del consistente debito maturato dalla maggioranza dei soci.
Il presidente informa, altresì, l’Assemblea che, su richiesta della stessa Joniambiente S.p.A., con decreto del Direttore dell’A.R.R.A. è stato nominato un Commissario ad acta nella persona del dott. Francesco Lo Cascio, il quale ha già potuto verificare la sana gestione della Società da parte del C.d.A. e dei vertici aziendali, nonostante la pesante situazione debitoria di alcuni enti locali soci.
Dopo quanto reso noto all’Assemblea, il presidente informa che, non essendoci giusta causa nella richiesta di revoca del C.d.A., non si esimerà dal richiedere un congruo risarcimento del danno da destinare a fini benefici.
Dopo le dichiarazioni del presidente seguono gli interventi di alcuni sindaci, che confermano, secondo quanto ribadirà sempre in seduta il dott. Zappia, il proprio convincimento che la richiesta non trova fondamento in ragioni tecniche, bensì in ragioni politiche.
Completati gli interventi, il Presidente mette ai voti la proposta di revoca del C.d.A., mediante voto palese ed appello nominale.
Ultimate le operazioni di voto, risultano favorevoli alla revoca del C.d.A. i comuni soci di: Bronte, Maletto, Mascali, Randazzo, Piedimonte Etneo, Castiglione di Sicilia e la Provincia Regionale di Catania, per un totale di azioni pari a 49.545;
Contrari alla revoca i comuni soci di: Giarre, Fiumefreddo di Sicilia, Sant’Alfio, Milo, Calatabiano e Maniace, per un totale di azioni pari a 35.739;
Astenuto il comune di Riposto, per un totale di azioni pari a 10.725;
Visto l’esito del voto, accertato e proclamato dal Presidente, l’Assemblea delibera di APPROVARE la revoca del Consiglio di Amministrazione.
Assume, a questo punto, la presidenza dell’Assemblea il dott. Bonaccorsi Roberto, presidente del Collegio Sindacale, il quale invita l’Assemblea a voler trattare gli ulteriori punti all’ordine del giorno.
Fa ingresso anche il rappresentante del comune di Linguaglossa;
Sono presenti di persona o per delega tutti i 15 soci, per un totale di n. 100.003 di azioni, pari al 100% dell’intero capitale sociale.
2° punto all’ordine del giorno: “Nomina nuovo Consiglio di Amministrazione”.
I sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti indicano il loro candidato all’Assemblea, nella persona del signor Giuseppe Cardillo, nato a Mascali (Ct) il 17/09/1963;
La Provincia Regionale di Catania indica il proprio candidato, nella persona del signor Francesco Rubbino, nato a Randazzo il 02/01/1948.
Il sindaco di Riposto propone all’Assemblea, come terzo componente del consiglio di Amministrazione, il signor Antonio Caruso, nato a Koln (Germania) il 02/01/1970;
Il sindaco di Giarre propone all’Assemblea che venga eletto, come terzo componente del Consiglio di Amministrazione, la signora Calcabotta Rosaria.
Il sindaco di Fiumefreddo di Sicilia, ascoltate le superiori proposte, riferisce che, considerato che tra le proposte per il nuovo Consiglio di Amministrazione ci sono due dei componenti in carica al momento della mozione di sfiducia, la stessa è da ritenersi di natura politica, in quanto indirizzata solo al Presidente Zappia, seppur abbia operato sempre nel migliore dei modi, evitando qualsiasi interruzione del servizio anche in circostanze critiche, non imputabili allo stesso.
Si passa, quindi, alla votazione, che vede eletto il nuovo Consiglio di Amministrazione nelle persone dei signori: Rubbino Francesco, Cardillo Giuseppe e Caruso Antonio.
Si passa all’elezione del Presidente e del vice Presidente del Consiglio di Amministrazione.
Il Sindaco di Maletto propone, quale Presidente, il signor Rubbino Francesco e quale vice Presidente il signor Antonio Caruso.
Il Sindaco di Fiumefreddo di Sicilia propone di nominare quale Presidente il signor Rubbino Francesco e quale vice Presidente il dott. Giuseppe Cardillo.

Si passa ai voti la prima proposta e a seguire la seconda, con il seguente risultato:
eletti al Consiglio di Amministrazione, fino alla data di approvazione del bilancio 2011:  

  • Rubbino Francesco, Presidente
  • Caruso Antonio, vice Presidente
  • Cardillo Giuseppe, componente

che dichiarano di accettare l’incarico.

Si passa alla trattazione del 3° punto all’ordine del giorno: “Nomina Collegio Sindacale”
I Sindaci dei Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti indicano all’Assemblea il dr Paparo Salvatore, nato a Calatabiano (Ct) il 13/09/1950;
La Provincia Regionale di Catania indica all’Assemblea il signor Capace Lorenzo, nato a Bronte il 12/05/1954;
Vengono eletti componenti effettivi del Collegio Sindacale il dott. Paparo Salvatore e il rag. Capace Lorenzo;
Quale terzo componente, il Sindaco di Giarre propone la dott.ssa Calcabotta Rosaria;
Il Sindaco di Maletto propone il dott. Bonaccorsi Roberto, già componente del Collegio Sindacale.
Espletata l’operazione di voto, viene eletto sindaco effettivo il Sig. Bonaccorsi Roberto.
Si passa, quindi, al voto, per le cariche specifiche del Collegio Sindacale, che vedono in lizza i signori:

Bonaccorsi Roberto;
Paparo Salvatore;
Capace Lorenzo;

Calcabotta Rosaria, Turnaturi Anna e Barbagallo Salvatore, quali Sindaci supplenti;
Dalle operazioni di voto viene eletto, fino alla data di approvazione del bilancio 2011, il Collegio Sindacale, di cui a seguire.
Bonaccorsi  Roberto, Presidente; Paparo Salvatore, sindaco effettivo; Capace Lorenzo, sindaco effettivo; Turnaturi Anna, sindaco supplente; Barbagallo Salvatore, sindaco supplente;. 

ASSEMBLEA DEI SOCI

06 MAGGIO 2010 

Ordine del Giorno

Parte ordinaria:

  • Trasferimento sede legale da Giarre – Strada 18 C.da Rovettazzo n. 14 a Corso Lombardia n. 101;

Parte straordinaria:

  1. Attuazione legge regionale n. 9 del 12 aprile 2010 art. 19 – Scioglimento e contestuale messa in liquidazione della Società;
  2. Numero dei liquidatori e regole di funzionamento del collegio in caso di pluralità dei liquidatori;
  3. Nomina liquidatori con l’indicazione di quelli a cui spetta la rappresentanza della Società;
  4. Criteri in base ai quali si deve procedere alla liquidazione.

Sono presenti di persona o per delega n. 10 Soci su 15.
E’ presente l’Organo Amministrativo, in persona di:
Rubbino Francesco, Presidente;  Caruso Antonio, Consigliere;  Cardillo Giuseppe, Consigliere.

E’ presente il Collegio Sindacale, in persona di: Bonaccorsi Roberto, Presidente;

Aperta la seduta dell’Assemblea e stabilita la necessità di deliberare il cambio della sede sociale della Società, come da ordine del giorno alla parte ordinaria, si passa alla disamina dei punti alla parte straordinaria.
Si delibera, pertanto, di

  • Sciogliere la Società denominata Joniambiente S.p.A. e, conseguentemente, di metterla in liquidazione con effetto immediato;
  • Di affidare la procedura di liquidazione ad un Organo Collegiale di tre membri, individuati nelle persone dei signori:
    Rubbino Francesco, Caruso Antonio e Cardillo Giuseppe, già componenti dell’Organo Amministrativo;
  • Di stabilire che il funzionamento del Collegio dei Liquidatori avverrà secondo le regole degli Organi Collegiali, con potere decisionale a maggioranza e la rappresentanza di fronte a terzi e in giudizio del sig. Rubbino Francesco;
  • Di conferire ai liquidatori tutti i più ampi ed opportuni poteri all’uopo occorrenti, ritenuti utili per la liquidazione della Società; Gli stessi dovranno adempiere i loro doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico ottemperando a tutte le incombenze poste a loro carico (artt. 2490 e segg. Del codice civile); dovranno garantire il servizio di gestione integrata dei rifiuti fin quando il servizio non sarà affidato al nuovo soggetto giuridico di cui alla citata legge regionale n. 9/2010.
             

                                                                 

RASSEGNA STAMPA

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Itinerario naturalistico a cura di Enzo Crimi – BAJARDO-SANTA MARIA DEL BOSCO-POMARAZZITA- SAN GIACOMO.

 

RANDAZZO – BAJARDO – AREA ATTREZZATA E RIFUGIO DI SANTA MARIA DEL BOSCO – RIFUGIO FORESTALE DI  POMARAZZITA – ANTICO MONASTERO E IL MULINO DI SAN GIACOMO E  FIUME ALCANTARA.

 

SCHEDA

DA VEDERE: Panorama mozzafiato del versante nord dell’Etna, dell’abitato settentrionale di  Randazzo e delle poderose forre laviche che si immergono nelle acque del fiume Alcantara, boschi, rifugi forestali e reperti di grande valore etno-artistico con lo sfondo dell’estrema propaggine sud dei monti Nebrodi, della loro natura incontaminata e del bacino fluviale superiore del fiume Alcantara  tutto da scoprire.

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO: Territorio di Randazzo – Fiume Alcantara ed estrema propaggine sud-est dei Monti Nebrodi .

LOCALITA’: Bajardo – Santa Maria del Bosco – San Giacomo.

TIPOLOGIA: Difficoltà media del percorso orografico e buona impegnativa fisica dei partecipanti.

LUNGHEZZA DEL PERCORSO: 15,0 km circa solo andata (il percorso si può fare in 2 tappe).

TEMPO DI PERCORRENZA: 8,00 h (da considerare indicativo a seconda delle possibilità fisiche personali dei partecipanti e dei tempi di sosta)

QUOTA MEDIA DI 1000 METRI SLM: Cancello demaniale di Bajardo, area attrezzata di Santa Maria del bosco, Monastero di San Giacomo e ritorno.

 

Territorio Alcantara-Nebrodi di Randazzo: Il rifugio forestale di “Santa Maria del bosco” (foto aerea di E. Crimi).

Raggiungere il rifugio e area attrezzata di Santa Maria del bosco e l’antico Monastero di San Giacomo è alquanto semplice.
Lasciando con l’automezzo il centro abitato di Randazzo attraverso l’antica porta Aragonese di San Giorgio (porta o mustu o porta del sole), si imbocca la SS. 116 (Randazzo – Capo d’Orlando), da qui, dopo avere oltrepassato il suggestivo ponte in pietra lavica sul fiume Alcantara, a circa 700 metri, seguendo le istruzioni di un cartello in legno, si svolta a sinistra e ci si immette su una stradella rurale dalla quale non ci si può esimere nel restare straordinariamente colpiti dalla visione del paese di Randazzo.
Appoggiato su un banco lavico, protetto e demarcato dalle poderose forre laviche secolari, la cittadina, altezzosa per la sua storia e fiera delle sue mura medievali, si specchia nelle acque, a volte calme e a volte impetuose del fiume Alcantara.
Seguendo questo suggestivo percorso, l’escursionista può godere dell’imponente visione dell’Etna che fa capolino a sud del paese e, dall’alto della sua possanza, da forza al paesaggio e sta a guardare lo scorrere del tempo.

 

Il rifugio forestale di Santa Maria del bosco innevata.

 

Il percorso risale sottocosta come per rincorrere a ritroso il corso del fiume Alcantara, che inizia a scorrere ancora molto più a monte. Dopo avere potuto godere di un paesaggio semplice ma ricco di attrattiva naturalistica e aver percorso circa 4 km, si giunge al cancello di accesso al Demanio Regionale Forestale dei Nebrodi di Bajardo, dove si possono lasciare le autovetture per riprenderle una volta che l’escursione è finita.

Piccolo museo etnoantropologico presso il rifugio forestale di Santa Maria del bosco



Da qui ha inizio il tragitto a piedi e attraverso uno scalandrino di legno si entra nell’area incontaminata  demaniale  di Santa Maria dei Bosco, dove si possono ammirare  alcuni elementi di grande pregio naturalistico, sia dal punto di vista vegetazionale che faunistico.
Si prosegue all’interno dell’estrema propaggine sud-orientale dei Nebrodi,  lungo una pista forestale,  che attraversa un territorio ampiamente boscato e si spinge sino alle sorgenti del fiume Alcantara, tra i territori di Randazzo e Floresta.
Dopo circa 3,5 km, dal cancello si giunge presso l’area attrezzata di Santa Maria del bosco gestita dall’Ufficio Provinciale del Territorio di Catania, ex Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, dove ci si potrà dissetare con fresca acqua di sorgente.
L’area attrezzata è corredata da tavoli, panche, piani di cottura e persino servizi igienici e qualche gioco per bambini, che rendono la sosta, anche di qualche giorno, ancora più confortevole.

 

Rovine del monastero di San Giacomo.

Monastero di San Giacomo: Particolare interno della cappella.

Inoltre, è presente nel sito un’antica masseria che consta di alcune stanze delle quali, una è stata ristrutturata e adibita a luogo di culto religioso, per come probabilmente lo era in origine e in un’altra stanza, è stato allestito un piccolo museo dell’arte e tradizione contadina.
Una stanza aperta del rifugio si presta molto per il pernottamento di gruppi scouts e scolaresche, numerosissimi nel periodo estivo e soprattutto in primavera. Insomma, ne vale davvero la pena visitare questa infrastruttura che ha carattere ricettivo ma anche ricreativo. Inoltre, l’area si può utilizzare come punto base per escursioni a piedi, in mountain-bike o a cavallo, verso un altro piccolo gioiello di questo territorio, il rifugio montano di Pumarazzita distante km.3.
La costruzione si presenta agli occhi del visitatore come collocata su un balcone naturale, con alle spalle il rilievo di Punta Randazzo Vecchio e più a nord-ovest l’altipiano di Floresta, dove sgorgano i primi rivoli dell’Alcantara e a sud, sembra come affacciarsi nella valle dell’Alcantara, alla ricerca di tempi perduti.
Realizzato negli anni ’40, questo rifugio, per la sua posizione geografica, è frequentato da diversi escursionisti che trovano in esso un punto di riferimento per le escursioni di alta quota che portano verso gli affascinanti boschi dei Nebrodi e alle sorgenti del fiume Alcantara.

 

Rifugio forestale di “Pomarazzita”.

 

Si ritorna sulla pista principale riprendendo l’itinerario alla volta del Monastero di San Giacomo che dista circa Km. 2,5.
Si lascia la pista forestale dove questa è sbarrata da un cancello demaniale conosciuto come San Giacomo, proprio sul fiume Alcantara e si prosegue a destra su un piccolo sentiero e ci immergiamo all’interno di uno splendido paesaggio mozzafiato  tra la valle del fiume Alcantara e i boschi dei Nebrodi, al centro di un’area molto pregevole, dove natura e cultura si fondono per consentire un profondo rinnovamento sociale e spirituale.
In questo ambiente alquanto mistico, resistono faticosamente agli attacchi del tempo e dell’uomo, i resti del Monastero di San Giacomo. Un edificio sacro diretto testimone di una fede popolare profondamente radicata, consacrato a chi vuole rigenerarsi nella meditazione, attraverso un percorso ascetico, per trovare un ristoro dell’anima, vivendo la spiritualità in modo nuovo e autentico, attraverso un profondo contatto con la natura e l’universo circostante, in modo da raccontarne la cultura dei luoghi, esempio eccellente di arte, storia e architettura.
L’organismo edilizio si sviluppava su due livelli, la parte superiore costituita dagli alloggi    dormitorio per i monaci e quella inferiore composta da  due parti: la cappella con i suoi affreschi e un magazzino o “Grangia”, che nei complessi edifici monastici medievali, aveva lo scopo di conservare i prodotti ricavati per opera dei monaci dalla coltivazione dei terreni annessi alle abbazie.
Poco distante dal convento, sugli argini del fiume Alcantara, si possono  ammirare alcune evidenti tracce di quello che fu il mulino di San Giacomo, rappresentate da una condotta obbligata dell’acqua in pietra e i resti di una vasca di raccolta.
Il mulino era con certezza collegato all’esistenza del convento e dei suoi monaci, i quali,  effettuavano  la coltura del grano e altri cereali  in  alcuni terrazzamenti adiacenti il cenobio.
Dopo aver ripreso fiato ai bordi del fiume, si intraprende la strada del rientro a Randazzo.   

Itinerario naturalistico a cura di Enzo Crimi – Divulgatore ambientale e naturalista, già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana.

Pietro Virgilio – Randazzo e il Museo Vagliasindi (testo originale).

Questo testo originale del libro è stato digitalizzato dal dr. Maurizio Damiano e gentilmente fornito al sito per la pubblicazione . 
Un grazie di cuore a Maurizio per questa Sua generosità.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Giuseppe Plumari – Storia di Randazzo Primo Volume

“Avendo io nelle ore dell’ozio raccolte alcune memorie relative alla Storia di Randazzo, mia Patria, queste un tempo legger volle il Cavaliere Lionardo Vigo della Città di Acireale, qui venuto per curiosare… mi animò… Egli stesso a scrivere un Sunto della Storia mia municipale, con avermi incaricato di doverlo poi trasmettere ali Accademia de’ Zelanti di Scienze, Lettere ed Arti di essa Città di Aci-Reale. Tanto io praticai nello stesso anno 1834″.

LIBRO  I  – Capitolo 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO I – Capitolo 2

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO I – Capitolo 3 parte 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO I – Capitolo 3 parte 2

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO I – Capitolo 4

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO II – Capitolo 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO II – Capitolo 2  parte 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO II – Capitolo 2  parte 2

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO II – Capitolo 3  parte 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  II – Capitolo 3  parte 2

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  II – Capitolo 4

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  II – Capitolo 5 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 1

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 2  parte 1 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 2  parte 2

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 3

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 4

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Capitolo 5

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

LIBRO  III – Fine.

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Covid – 19. “Zona Rossa” a Randazzo

 

RANDAZZO IN LOCKDOWN

di Giuseppe Portale

C’era una volta Randazzo… La Randazzo medievale delle tre chiese che a turno fungevano da matrice; dei tre quartieri: latino, greco e lombardo; delle tre parlate; dei tre parchi naturali: dell’Etna, dei Nebrodi e dell’Alcantara; dei tre musei e di una bella biblioteca.
Visitata tutto l’anno da tanti, tanti turisti attratti dalle sue bellezze naturali ed architettoniche.

Randazzo città della cultura.

 

Oggi quella Randazzo non c’è più! E non ci sarà più chissà per quanto tempo!

Chi si trovasse a percorrere le vie del paese, oggi, troverebbe una landa deserta.

Pino Portale

Una città fantasma come quelle abbandonate del Far West!

E tutto questo da quando è stata ingiustamente considerata e marchiata come “zona rossa” a causa dell’attuale epidemia del Covid 19 che l’ha appena toccata – come tante altre città, del resto – ma che qualcuno ha voluto forzatamente farla dichiarare come tale: “zona rossa”.

Scuole e negozi chiusi: bar, ristoranti ed altri locali pubblici in primis, ma anche negozi di abbigliamento, di calzature e di quant’altro possa occorrere per le necessità delle persone e delle famiglie. Alimentari, farmacie, parafarmacie e studi medici esclusi, ovviamente.

Un centinaio i contagiati: la maggior parte asintomatici e proprio in questi giorni con i relativi tamponi molecolari risultati negativi, peraltro. Due soli i ricoveri, di cui uno in terapia intensiva in un ospedale di Catania e l’altro al reparto Covid di Biancavilla. Purtroppo un deceduto, risultato positivo al Covid in sede di ricovero, ma non deceduto solo per questo, essendo già portatore anche di altre gravi patologie ed avendo dovuto subire precedentemente più di un intervento chirurgico.

 

 

 

Carabinieri, Forestale ed Esercito presidiano le vie d’accesso della città, controllando chi vi entra o chi vi esce. Sino a tarda sera di ieri, giovedì 22 ottobre, persino un elicottero a volteggiare ed a controllare la città dai cieli. E, come se ciò non bastasse, duri e pesanti blocchi di cemento ad ostruire ed impedire l’accesso nelle diverse bretelle che dalla strada provinciale Quota Mille permettono di  raggiungere la città.
Uno spiegamento di forze così – ci dicono diverse persone anziane – non si vedeva dai tempi del fascismo, quando erano vietati gli assembramenti, ma per altri motivi. Tuttavia è stata fortemente richiesta e fortemente voluta, la dichiarazione di zona rossa, dal sindaco della città, che peraltro la rivendica, a suo dire, per l’alto numero di contagiati, anche se asintomatici: un centinaio su una popolazione di oltre diecimila abitanti.
Cause del contagio? Qualche ricevimento seguìto ad un paio di matrimoni, ad alcune cresime, ad un compleanno. La mancanza del dovuto distanziamento e la non perfetta osservanza delle disposizioni che ci sono state caldamente raccomandate in tutto questo periodo dai sanitari. 
Non sono dello stesso parere del primo cittadino, però, gli operatori commerciali della città che, pur riconoscendo il fenomeno, non ne ritengono la particolare gravità nei numeri, visto che molti contagiati sono asintomatici ed i cui tamponi, oggi, stanno già risultando negativi, tanto che la curva dei contagi sembra stia discendendo.
Molti, per esempio, si sono preoccupati per essere stati a contatto con qualche contagiato, ma grazie a Dio la loro pur legittima preoccupazione oggi non sta dando motivo di temere il peggio con l’esplosione di un contagio fuori controllo.

Gli operatori commerciali, dicevamo. Ne abbiamo sentiti parecchi.

Ci hanno fatto chiudere così, dalla sera alla mattina – ci dice Antonino Caggegi, contitolare con il fratello dell’omonimo bar in Via dei Romano – avremmo gradito essere informati prima, in modo da non lasciarci cogliere impreparati. Sì, è vero, sappiamo di qualche sporadico caso in città, ma forse si è creato un eccessivo allarmismo. Danni economici? Senza alcun dubbio. Il decreto regionale parla di aperture ma solo per i beni di prima necessità. E, diciamolo chiaramente, il caffè o il dolcino, la pizzetta non lo sono affatto: ecco perchè abbiamo preferito chiudere l’esercizio, poichè avevamo i costi (anche quelli del personale) ma nessun introito, e quindi andavamo in perdita. Meglio chiudere!”.

E come il Bar Caggegi anche gli altri della centralissima Via Umberto, il Bar del Corso di Maurizio Vecchio ed il vicinissimo Absidi Cafè.
Con questa ingiusta dichiarazione della nostra città come zona rossa senza che ce ne fosse veramente necessità – ci dice Maurizio Vecchio – la nostra città è veramente morta. E non si sa quando risusciterà. Forse ci vorranno decenni“.

“Lei è l’unico cliente che oggi pomeriggio sia venuto a comprare il giornale – ci dice l’edicolante Daniele Gullotto oggi ho tenuto aperto, con i costi generali che ne derivano, ma senza trarne alcun utile. Così non si può proprio andare avanti“.

Rincara la dose Daniele Sindoni, negozio di abbigliamento anch’esso nella centralissima Via Umberto, membro del direttivo provinciale della Confcommercio catanese, rappresentante sindacale di lungo corso per quanto riguarda la sua categoria:

A mio avviso si è creato un allarmismo del tutto ingiustificato, visti i numeri dei contagiati  asintomatici in rapporto con la popolazione della città. Proprio quando ci stavamo per risollevare dopo il ìungo lockdown dei mesi scorsi, siamo di nuovo ripiombati in un incubo senza fine. Questa nostra città, peraltro, è già stata fortemente penalizzata: prima per lo spostamento del mercato domenicale dal centro alla periferia, senza che siamo stati minimamente consultati, come in quest’altra occasione, ma messi di fronte a un dato di fatto. Spostamento che trovava origine da alcuni lavori che dovevano essere fatti per allargare la bambinopoli di Piazza Loreto. Ma poi, finiti i lavori, il mercato non è più tornato al suo posto, con tutte le attività commerciali limitrofe che sono andate in sofferenza. Poi con il lungo lockdown nazionale, ed ora con questo nostro lockdown locale che, seppur temporaneo, ha marchiato con un indelebile stigma la nostra antica e bella città di Randazzo. Sarà dura, molto dura risalire la china“, conclude del tutto  sconsolato.

Sì, ci stavamo appena risollevando – ci dice Antonio, contitolare di un’azienda agrituristica che sino a poco tempo fa vantava molte presenze nazionali ed internazionali all’anno – ma questa dichiarazione di zona rossa ci sta facendo fioccare le disdette a iosa, veramente come fossero fiocchi di neve. Una coltre di neve e gelo che, temiamo, non si sciolga affatto presto e ci vorranno anni prima di riprenderci“.

È così – ci dice anche Matteo Ferretti del B&B Ai tre Parchigià eravamo stati duramente provati dal lungo lockdow dei mesi scorsi, sembrava ci stessimo riprendendo ed ora, invece, quest’altra dura mazzata che nessuno si aspettava, dovuta anche, in verità, alla nostra imprudenza di cittadini mentre, invece, saremmo dovuti essere più attenti e più cauti. Sì, purtroppo anche a causa di questa dichiarazione di zona rossa, anche noi abbiamo avuto una colluvie di disdette nelle prenotazioni e non sappiamo se e quando ci riprenderemo“.

Ma perchè questa definizione di zona rossa?“, s’interroga Nuccio Alfonso, contitolare di un’avviatissima agenzia di viaggi oggi in crisi anch’essa. “Ho letto attentamente tutti i documenti che ci riguardano sull’argomento, e questa espressione non l’ho letta da nessuna parte. Del tutto ingiustificate e del tutto improvvida mi sembra tale definizione che bolla come un marchio indelebile, ed ingiustamente, tutta la nostra città“.

 

 

Per cercare di saperne di più, e soprattutto per sentire la voce dell’amministrazione comunale in merito, abbiamo cercato di contattare il vicesindaco di Randazzo, Giuseppe Gullotto, assessore comunale al Commercio, Artigianato, Industria e Sviluppo Economico. Persona seria, conosciuto in paese per le sue capacità imprenditoriali, e soprattutto per la sua correttezza ed onestà intellettuale, tuttavia con grande garbo e gentilezza egli declina il nostro invito e preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione.

La speranza di tutti gli operatori commerciali di Randazzo è che almeno, da parte della Regione Siciliana se non da parte dello Stato, vi siano delle provvidenze a ristoro delle loro ingenti perdite che stanno subendo ancor più in questo periodo e che, temono, si possano verificare ancora per molto tempo in futuro.

Sull’argomento abbiamo sentito Alfio Mannino, segretario generale regionale della Cgil, che proprio nei giorni scorsi, assieme ai segretari generali regionali della Cisl, Sebastiano Cappuccio, e della Uil, Claudio Barone, hanno avanzato una ben precisa richiesta in tal senso alla Presidenza della Regione Siciliana, chiedendo interventi economici a sostegno delle famiglie, dei lavoratori, delle imprese delle “zone rosse” fra le quali vi è, appunto, anche Randazzo.
     “
Queste comunità – scrivono i segretari generali Alfio Mannino, Sebastiano Cappuccio e Claudio Barone nella loro nota inviata al Presidente della Regione Siciliana e agli assessori all’economia Gaetano Armao, alla famiglia Antonio Scavone e alle autonomie locali Bernadette Grasso, – non possono essere lasciate sole ad affrontare le emergenze economiche e sociali che inevitabilmente vanno ad aprirsi e che si aggiungono ai problemi di ordine sanitario. È necessario intervenire subito – sottolineano i sindacati – assicurando supporto economico, specie per quelle attività che risulteranno maggiormente colpite”. Contatti informali sono già in corso tra i sindacati e gli assessori all’economia e al lavoro sulla questione che, per Cgil, Cisl e Uil, va affrontata convocando urgentemente un confronto con il coinvolgimento degli amministratori delle comunità interessate (le zone rosse sono attualmente quattro in Sicilia), “per individuare le opportune misure da adottare”.

Nel primo pomeriggio di ieri, giovedì 22 ottobre, i segretari generali regionali della Cgil, Alfio Mannino, della Cisl, Sebastiano Cappuccio, e della Uil, Claudio Barone,  hanno parlato ancora una volta con il vicepresidente della Regione Siciliana, Gaetano Armao, il quale ha assicurato loro che sta considerando l’ipotesi di inserire circa 200 milioni di euro da suddividere ai Comuni delle cosidette “zone rosse” attraverso i fondi previsti per le autonomie. La prossima settimana, inoltre, ha assicurato sempre Armao alla triplice sindacale siciliana, dovrebbe andare in aula il provvedimento sulla copertura dei debiti fuori bilancio. Ed in quella occasione, se vi sarà la volontà e l’accordo dei capigruppo, tali provvidenze a favore dei Comuni più colpiti potrebbero già essere inseriti per il loro successivo stanziamento.

Sconsolato il parroco della Basilica di Santa Maria ed arciprete di Randazzo, padre Domenico Massimino che, ancora una volta, domenica prossima dovrà celebrare Messa da solo in una basilica totalmente deserta. “Pregherò ancora insistentemente il Signore affinché liberi al più presto noi ed il mondo intero da questo terribile flagello – assicura –. Ringrazio gli amici di Tgr, TeleGiornale di Randazzo, per la loro sempre piena disponibilità, e gratuitamente come sempre, che con i loro mezzi tecnici, come in passato, durante il periodo del precedente totale lockdown, ci hanno consentito e ci consentiranno ancora di far partecipare i fedeli alla Celebrazione Eucaristica dalle loro case“.



Lettera a La Voce / “Ristoworld Italy”: superata l’emergenza, urge rilanciare le attività turistico-ristorative di Randazzo

 

 

 

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Pandemia in Sicilia / A Randazzo in lockdown, i commercianti temono il peggio: “Così l’economia muore”

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Covid, una vittima a Randazzo: “La notizia più dolorosa”

Dolore e cordoglio nella città dichiarata “zona rossa”.

L’ANNUNCIO DEL SINDACO

 

0 CommentiCondividi

RANDAZZO. C’è una vittima da Covid-19 a Randazzo. L’annuncio è arrivato ieri sera dal sindaco Francesco Sgroi attraverso una diretta Facebook. “È la notizia che non avrei mai voluto dare – dice il primo cittadino rivolgendosi alla comunità randazzese – un nostro concittadino è deceduto per una polmonite interstiziale causata dal Covid-19, stringiamoci alla famiglia per questa perdita”.
Randazzo dallo scorso lunedì è stata dichiarata zona rossa. Il sindaco descrive questo momento come “uno dei più difficili vissuti dalla città dal dopoguerra”.

Sgroi è preoccupato per alcuni ricoveri che si stanno susseguendo in queste ore. E chiede ai cittadini di rispettare le regole che limitano libertà e socialità. “Sacrifici necessari per salvaguardare l’incolumità nostra e dei nostri cari”, afferma il sindaco. Ieri, un trentenne positivo è stato denunciato per non aver osservato la quarantena.

Sul fronte dei contagi, il primo cittadino spiega che c’è stata un rallentamento della curva epidemiologica che “fa bene sperare”. Molti tamponi processati in questi giorni risultano negativi, come quelli degli anziani ospitati nella casa di riposo.

A cura di Francesco Rubbino

Enzo Maganuco – Panorami di Provincia: Randazzo

                                                                          Enzo Maganuco

   Notizie biografiche del Prof. Enzo Maganuco:  nato ad Acate. Ragusa, il 10 novembre 1896, si è spento a Catania il 4 febbraio 1968. Professore di Storia dell’Arte, storico e critico, studioso di tradizioni popolari, conferenziere e pittore, è stato Direttore del Museo Civico del Castello Ursino di Catania.
OPERE: 
   –   Lineamenti e motivi di storia dell’arte siciliana, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, 1932
   –   Architettura plateresca e del tardo cinquecento in Sicilia, Catania 1939
   –   Problemi di datazione nell’Architettura Siciliana del Medioevo, Catania 1940
   –   Icòne di Antonello Gagini in Roccella Valdemone, Catania 1939
   –   Cicli di affreschi medioevali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, Catania 1939
   –   Opere d’Arte catanesi inedite o malnote in Catania, Catania aprile 1933
   –   La pittura a Piazza Armerina, Siciliana, agosto 1923
   –   Artigianato e piccole industrie, 1932
   –   Le decorazioni dei carri e delle barche, 1945
   –   Motivi d’Arte Siciliana, 1957
   –   Bibliografia: Salvatore Nicolosi, Enzo Maganuco, in “La Sicilia”, 6 febbraio 1968, p. 3.

 

                                                                                                            PANORAMI  DI  PROVINCIA
                                                                                          RANDAZZO

   Nelle serie dei panorami di provincia la “regione della Valle dell’Alcantara” deve necessariamente avere uno dei posti più cospicui. Interessantissima così per la storia, come per l’arte ed il paesaggio, Randazzo non si presta ad uno dei soliti brevi profili, che si ridurrebbe ad una arida e banale enumerazione  di tutte le gemme delle quali la cittadina etnea va superba.
   Preferiamo quindi trattare a puntate i diversi aspetti e le principali caratteristiche dei suoi monumenti e cominciando con lo studio dell’architettura che dà il volto alla città e che non può non colpire  persino il più superficiale visitatore, mentre scuote profondamente chi è dotato di una maggiore sensibilità estetica e impone problemi importantissimi a chi particolarmente studia le forme dell’architettura siciliana.

                                 1)  L ‘ A R C H I T E T T U R A

Randazzo – Porta Orientale Chiesa Santa Maria.

  La Sicilia è la chiave dell’Italia” dice Goethe. Ma se la Sicilia è la chiave dell’Italia, Randazzo è la chiave della Sicilia.
   Randazzo con Nicosia, Piazza Armerina ed Enna forma un quadrinomio glorioso che racchiude da solo – se si eccettui l’arte arabo-bizantino – tutta la scala delle manifestazioni artistiche del nostro medioevo.

   Mentre però Nicosia ha in prevalenza forme architettoniche castigliane dai portali a merletti lapidei lineari e stilizzati, e Piazza Armerina forme aragonesi dagli archi con cuspide gigliata a fiore di magnolia o di canna indica, ed Enna archi severi e secchi di purissimo stile romanico-normanno e di gotico-svevo, Randazzo accoglie tutte le forme più svariate che ebbero risonanza in Sicilia; essa tutte le contiene, associate o isolate, e le armonizza in rigogliosa mostra che va dai reliquari d’argento ai fonti battesimali gotici, dalle cupe fortezze ai sinfonici torrioni campanari, dalle severe bifore romaniche a quelle gigliate aragonesi che portano l’eleganza della loro inflorescenza anche sugli archi e sui portali della modesta architettura rustica del quattrocento perietnèo.
   Randazzo poi, fiera della sua tradizionale architettura dugentesca e trecentesca, ha rigettato ogni forma tardiva o barocca , quasi che le sue fosche e possenti mura perimetrali che affiorano or qua or là dalla massa basilare di cupa lava a riflessi metallici, si siano innalzate a impedire ogni influenza di quel tardo baroccaccio spagnolo che, coi suoi aggetti violenti e con le sue convulsioni di linee curve e spezzate, avrebbe per certo ucciso l’armonia sana discendente dalle masse architettoniche sveve, ad archi a pieno centro.
   Lo stesso arco acuto che a Randazzo è una nota tematica comunissima nello svolgimento architettonico, non fu quivi adottato in svettamenti esili e nervosi; esso trovò negli architetti randazzesi del trecento, dei tenaci moderatori; chè, del resto, nell’aver saputo piegare l’arte gotica esile e svettante a un tono di serenità e di compostezza che non stride a contatto del gusto di noi figli di Kamarina e di Siracusa, sta la grandezza degli architetti siciliani del medioevo e del rinascimento.

   E ora, se Tu arrivi a Randazzo, che conserva il calore del tempo anche ne vestiario dei popolani, in una sera quando la luna gioca tra gli archi acuti a catena di via degli Uffizi o tra le merlature e le merlettature lapidee di S. Maria, o tra i finestroni del fosco torrione campanario di S. Martino dalle variegature  bianche e di verde basalto tra i faci di colonne di nera lava macchiettata di rugginosi e gialli licheni, ti par rivivere un attimo del passato; ché nessun festone barocco ti distoglie; e sui ballatoi delle umili case ancora si aprono porte incrociate di archi catalani, in cui la lava, pur nel suo nero metallico è stata ridotta a un bel merletto di pietra; e se slarghi l’anima tua dall’abside cupa e grandiosa di S. Maria verso le balze e verso l’Alcantara ti parrà,  se sai sognare, di rivedere il fasto passato, e Costanza, e re Pietro D’Aragona, e Federico II e Carlo V e gli altri che dopo aver dato l’impronta loro agli uomini e alle cose, andavano a cercare ristoro alle loro cure lassù, tra le cattedrali famose, salendo tra le pittoresche siepaglie ora rosseggianti di rosolacci e, nell’inverno, di anemoni;  ora pallenti di croco, ora biancheggianti per neve.

                                                                                                        ***

                     Randazzo – Via degli Archi (o degli Uffici).

   L’arte romanica con archi a pieno centro ha rare manifestazioni in Sicilia. Sono romanici a Piazza Armerina il Priorato di S. Andrea, la Comenda di S. Giovanni di Rodi, ma la romanicità delle absidi massicce, dei muri spessi e bassi, delle finestre strettissime, quasi feritoie, a strombature, è interrotta nella purezza del suo stile per l’immissione dell’arco acuto che non è, però l’arco acuto gotico, trionfante più tardi a Messina e che verrà dal nord con valore costruttivo e statico; quello siculo è un arco acuto più sobrio, meno slanciato, più confacentesi alla saldezza atticiata romanica, di puro valore decorativo e importato dai Cavalieri provenienti dal Santo Sepolcro.
   L’arte romanica vera, ad arco a pieno centro e rammemorante assai davvicino l’arte dei maestri comacini, la rivediamo pochissimo nelle città etnee: nella porta della Chiesa del Santo Carcere a Catania e, a Randazzo, nella euritmica e solenne, abside della Chiesa di S. Maria.

   Chi sale dalle balze soprastanti l’Alcantara vede ergersi la mole turrita di quel abside merlata in parte nelle absidiole, tutta chiusa entro una linea severa limitante il gioco geometrico dei conci perfettamente squadrati sull’altissimo sperone che le cinge, a rafforzarne la base, si aprono le finestre a pieno sesto.
   L’abside porta un fregio a sezione rotondeggiante, martellato, elegantissimo, che fa da coronamento a un loggia tino decorativo ricorrente e cieco, ad archetti poggianti su brevi colonnette aderenti: impronta generale questa che riporta senz’altro alle absidi della Cattedrale di Enna, della Badia di S. Spirito a Caltanissetta, dell’abside del Duomo di Cefalù: ma in questa le lesene decorative si allungano verso il basso, fino allo sperone, mentre qui il gioco delle arcate e lo sviluppo delle colonnine è limitato da una zona ricorrente che pare stringa con veemenza di gomena tesa e tenga unita tutta la cortina muraria.

   Nelle absidiole è minore il contrasto e il motivo degli archetti pensili si risolve su brevi peducci poggianti su mensolette a base triangolare col vertice all’ingiù.
   Le ali del transetto portano altissime bifore incorniciate da un arco inflesso senza cuspide e che preconizza lo sviluppo dell’arco gigliato aragonese; il trapasso è dato dalla leggiadra finestra bifora sulla quale insiste il doppio racemo aragonese, connubio stilistico che riesce a dare  una forma addirittura musicale benché nata da opposti stili.
   Essa si ergeva appunto a metà della navata di destra e a me pare debba segnare un trapasso fra il primo periodo iniziale, che risente di forme romaniche e sveve, e il secondo che è prettamente aragonese.
   E la stessa risoluzione della cuspide gigliata che si rivede vagamente scolpita su portali di Santa Maria di Gesù a Modica, nel torrione campanario della Cattedrale e della Chiesa del Carmine a Piazza Armerina, nella Cattedrale di Alghero in Sardegna.
   Pare che il mazzo di fiori o lo stemma centrale pesi tanto da far flettere elegantemente l’arco sì che l’arco acuto sembra una causale derivazione estetica, non conseguenza di una necessità statica per lo scarico delle forze ai lati dell’arco stesso.

   Come la pittura di Antonello è documento principale del quattrocento architettonico in Messina (S. Gerolamo a Londra) così una tavola di Girolamo Alibrandi, posta internamente sulla porta meridionale di Santa Maria raffigurante “La salvezza di Randazzo” , ci illumina sull’architettura medioevale del luogo: la visione della città è sintetica, ma non tanto che ci nasconda la vista dei tre campanili svettanti sullo sfondo della mole etnèa che fa da cupo contrapposto ai tre biancheggianti torrioni campanari  delle Cattedrali, scisse da annose questioni.
   Federico De Roberto nella sua opera su Randazzo (Randazzo e la valle dell’Alcatara) nella quale risolve numerosi problemi di carattere storico, riproduce la tavola preziosa, il quale fa pensare che l’architetto Francesco Saverio Cavallari, (1809/1896) ricostruendo nel 1863 l’avancorpo e la porta sinistra, dovette per certo confermare gran parte della sua ricostruzione allo schema architettonico dato da Girolamo Alibrandi.

 

                 Randazzo: Chiesa di S. Maria (Avancorpo ricostruito).

   Tuttora la Chiesa di S. Maria è una delle opere più notevoli per purezza e per severità di stile. Anche le porte laterali quattrocentesche formano il respiro per il senso musicale che emana dagli archi frastagliati e scorniciati che, colle porte laterali della Chiesa di  S. Martino, rappresentano una varietà decisa e profondamente siciliana su quanto i flussi di arte importata andavano creando nel campo architettonico quattrocentesco.
   Il turrito campanile di S. Martino, opera che dà il tono a tutta l’architettura trecentesca di Randazzo, si innalza severo su uno sperone altissimo, e su di esso poggiano tre ordini di finestre a fasci di colonne; le finestre bifore dei primi due ordini, sono vagamente intessute, come s’è detto, di strisce di calcare bianco che si alterna colla lava in gioco elegantissimo.
   A lato, i fianchi della navata centrale conservano ancora le teorie degli architetti di coronamento, unica espressione superstite della ricostruzione tardiva e barocca.

                                                                                                                   ***

Randazzo – Chiesa San Martino

   Ma dopo tanto sciorinio di vocaboli accennanti a ibridismo stilistico, vien fatto di chiedere: dunque non c’è uno stile siculo ? O se c’è stato, l’influenza bizantina, araba, spagnuola, tedesca è stata tanto potente da schiacciare quella locale ?
   Il problema,  insito nella domanda, merita una risposta che, del resto, è estensibile a tutta l’arte siciliana.
   La Sicilia fu luogo aperto a molte genti che vi scorrazzarono, abbattendo e creando secondo il proprio gusto e il proprio stile. Ne è prova il pullulare dappertutto  di opere d’architettura straniera che però raramente è trapiantata con uno stile integro.
   Ma gli artisti nostri furono dei grandi adattatori.
   Assorbirono le tendenze stilistiche degli altri imprimendovi il suggello dell’arte nostra. Questa è stata finora trascurata dagli studiosi, se si eccettuino Pietro Toesca, Adolfo Venturi, il Rivoli, Giulio Ulisse Arata, per comodità mentale: spesso con i vocaboli misti siculo-normanna , arabo-normanna, siculo- aragonese, gli studiosi hanno voluto denotare l’arte medioevale e del primo rinascimento in Sicilia.
   Ormai però è tempo di combattere questi vocaboli vieti, spesso frutto di studi di valore scolastico. Basti vedere il reliquario d’argento di Simone de Aversa nel tesoro nella Cattedrale a Piazza Armerina, o quello del tesoro di S. Agata a  Catania, il turibolo, l’estensorio e il calice di re Martino a Randazzo, in queste opere di oreficeria sono espressi pure in tono minore, i motivi tematici di gran parte dell’architettura gotica del tempo ( architettura tedesca, italo-senese, francese, aragonese) e pur tuttavia non troviamo nell’architettura siciliana quasi mai l’attuazione delle regole costruttive sintetizzate nei reliquari  che sono come il credo architettonico di quei tempi.  Ciò perché i nostri artisti trasformavano imponendo la loro personalità e il loro indirizzo estetico regionale, alle correnti importate.

   Che ci impedisce di credere che quel  Magistero Petrus Tignosus, autore, sul primo scorcio del duecento, di una parte della Cattedrale di Santa Maria, sia stato siciliano?
   Troviamo infatti in tutta la struttura dell’opera sua una concezione veramente nuova nei ritmi delle masse.
   Qui a Randazzo se usciamo da via dell’Agonia, che fra i muri sbocconcellati dal morso del tempo mostra una variazione interminata di archi e di costoloni di tutte le epoche, accavallati o sovrapposti stranamente, ritroviamo nelle vie strette e silenziose che muovono verso le Cattedrali, bifore come quelle di casa Cavallaro e altri con archi di pretto gusto catalano o aragonese, ma notiamo intanto lo sfruttamento del contrasto cromatico dato dalla lava, dall’arenaria tenera, dal calcare duro.
   Ebbene, il ritmo decorativo a base di contrapposto è nostro, è siculo e se simile variazione cromatica si vede prima nell’arte romanico-normanna o nella romanico-comacina, là essa ha ben diverso impiego estetico.

    Ci sono strutture costruttive, del resto, che noi non troviamo in nessun’altra architettura, né la presenza di alcuna espressione stilistica straniera ci vieta di chiamarle forme di arte sicula.
   La finestra di Casa Spitaleri riproduce quella del Viale degli Uffici che oggi la natura corona con una pittoresca agave.
  V’è stile sicuro nelle colonnine incastrate al muro che sottendente i pilastri, nella variazione del materiale in funzione del colore, nei portali delle umile case di via Cavallotti coll’estradosso lavico che par fatto a tombolo con serico filo a nero.
  Questi particolari, la strana forma della bifora di casa Camarda hanno sapore nostro di forza e di contenuta bellezza. Ci vuole tutta la presunzione e la superficialità di alcuni critici francesi che bestemmiano l’arte nostra perché venga misconosciuta la pura sicilianità delle forme architettoniche perietnée.

   La fine del 400 si inizia a Randazzo con forme rozze ma originali: le porte laterali di S .Martino  con le fuseruole e i serafini nell’estradosso dell’arco, ridiventato a pieno centro sui portali, non hanno riscontro in altre opere; e il coronamento dell’arco, che si trasforma in colonnine tortili a tarda decorazione cosmatesca, è di una bellezza semplice, nuova e possente.
  Che vale che contribuiscono elementi del passato ? questi sono elaborati da uomini che rivangano il passato con personalissima ispirazione per farvi germogliare il seme dell’arte nuova.

 

Randazzo – Via dell’Agonia

Randazzo – Chiesa di S. Maria, l’Abside

 

   Gli artisti veri e sommi creando l’opera fanno dimenticare la provenienza delle parti che la costituiscono.
   Più tardi il notissimo Mattia Carnilivari  personalità più spiccata dell’arte nostra, vedendo Palazzo Aiutamicristo, palazzo Abate…….. quella Chiesa di Santa Maria della Catena a ……… , chiesa che è, in linea massa e ombra……. Che può essere un’aria di Pergolesi o un………mo di Benedetto Marcello, assumerà con…………rabe e modanature bizantine, archi……..aragonesi e piedritti gotici, rifarà sulla nuda……..motivi d’arco randazzesi ritessuti in nuovi indimenticabili rapporti.

 


Enzo Maganuco

 

 

                                                                  P A N O R A M A  D I  P R O V I N C I A  R A N D A Z Z O

 

   2) La Pittura e la Miniatura

   La strada che si snoda da Bronte, nei pressi di Randazzo, quasi a voler preparare una sorpresa al viandante, si torce e percorre, scavandolo dalla base, uno scheggiato costone basaltico, concedendo allo sguardo solo le lontane Caronie quasi sempre ammantate di neve e maculate da una larga pennellata violacea: Troina.  E quando ancora lo sguardo corre a lontananze a perdifiato e i pioppi della vallata biancheggiano piccolissimi e i quercioli rosseggiano rugginosi, eccoti all’ultima svolta comparire di colpo, erta su uno zoccolo alto, fosco, lavico, la città dalle tre cattedrali archiacuti così come la dipinse  Girolamo Alibrandi  nella tavola che sovrasta alla porta laterale della Chiesa di S. Maria: Randazzo.
   Entrati per la  porta aragonese fin nella piazza dominata dal trecentesco campanile, tipico e sfociante di là in una stretta via che si inizia col castello quattrocentesco e si dirama in un dedalo di case medioevali a bifore e ballatoio, ci troviamo a pochi passi da innumeri opere di pittura : il retoricume pseudo critico ne ha eccessivamente valorizzato una parte e la tronfia apologia di teatrali e chiassose opere barocche o di tardi e scialbi seguaci del Conca fino al corretto ma sdolcinato palermitano Velasques (Giuseppe Velasco) ha fatto sì che gli studiosi e i buongustai si siano sviati alle prime indagini.
   Ma Randazzo ha opere dugentesche , del primo rinascimento e della rinascenza che ti colpiscono per la loro decisa importanza, indice non trascurabile di quella Randazzo cinquecentesca che a Carlo V dovette mostrarsi opulenta (2), doviziosa di bellezze artistiche attraverso gli intatti monumenti normanni, svevi, aragonesi, catalani vari per stile e per ideale estetico e attraverso le opere di pittura le quali nonostante i morsi del tempo, la perfidia degli speculatori, l’incuria degli uomini e la bestialità dei restauratori, continuano ad affiorare e a cantare un inno alla bellezza e allo spirito creatore.

   Giunto a Randazzo, qualche anno fa, per ricercare gli elementi romanici della Chiesa di S. Maria e per studiare il pulpito gotico in S. Martino, entrato nella navatella destra per godere una madonnina di scuola gaginesca posta sull’altare dell’absidiola, rimasi colpito da una tavola o pietra di un metro di base, sulla parete destra; di fronte alla meravigliosa austerità dolorante espressa dalla semplicità e dalla sintesi di un potente primitivo, mi parve che cadessero la dorata se pur semplice cornice, e gli ex voto d’argento o corallinei della madonna accanto,  chiassosi come una festa popolare; e la tragica discesa al sepolcro, di buon maestro tenebroso che sta di fronte, nella preziosa cappelletta, mi parve eccessivamente concitata, priva di tragica calma, di solennità e mi parve che che i colori – se pur armonicamente disposti e dominati – mi portassero lontano da quell’aurea mistica, purissima, vibrante di silente spasmo sovrumano che emana dalla piccola tavola.
   In fondo l’accenno simbolico della croce; il Cristo esile e spiritualizzato, come stelo spezzato, è retto dalla divina stretta di Maria. L’ideale bizantino qui, quasi spoglio dei suoi tradizionali elementi iconografici e mistici per dar posto a una trasfigurazione palpitante, umana, non è per niente annientato.
   Il mirabile artista dugentesco da una tecnica bizantina a lumeggiatture aurate sa trarre una spiritualizzazione sovrumana che ferma il respiro. Tinte verdognole e livide, ombrate dolcemente con terra di Siena e lumeggiatture a oro, càmpano e delimitano il corpo del Cristo e il divino, puro , straziato volto della Madonna.
   Il manto, in monocromato di lacca cremisi è limitato tutt’intorno da oro martellato che isola il sacro gruppo in un ambiente convenzionale e ultraterreno; le dita della Madonna si allungano quasi purificate a esprimere una delicatezza che trova riscontro nell’arco sopraciliare dolcemente intagliato sul cupo dell’orbita dalla quale affiora solo la palpebra immota (3).  

   La deposizione della pinacoteca di Bologna,  pur nello stesso filone iconografico di Randazzo, a questa inferiore per certo, impallidisce di fronte alla nostra opera: il convenzionalismo ieratico di quella qui si veste senza disperdere la purezza ideale, di un soffio di umanità che fa della tavola del Maestro di S. Martino una delle opere più rappresentative della pittura dugentesca e trecentesca siciliana, che nelle croci iconolatri che di Messina, Agira e di Cesarò, primitive e potenti, sintesi che è a un tempo mistiche e umane, additano quali dovettero essere le vie seguite dalla pittura in Sicilia (4): quivi il retaggio della pittura bizantina si avviava o verso la via dell’icone popolaresca talora sotto forma di ancona o si trasmutava, lontana dai rinnovamenti cavalliniani e giotteschi, verso forme di piccola composizione in cui il rinnovellato sentimento si sviluppava entro una fissa cerchia di ieratismo insormontabile che costituì una pittura primitiva vittoriosa sui legami tradizionali del passato ma non avviata alle nuove invidiabili risoluzioni della pittura fiorentina e senese.
   La privata chiesetta di S. Gregorio, incorporata fra le case di un vicolo sempre verde per le ramature dei vicini giardini e per la glicine che vi si accampa, si annunzia con una cupoletta esagonale a padiglione, per certo del rinascimento.
   Vi si va per vedere il quadretto del santo, posto sull’altare, opera dello Zoppo da Gangi. E’ questo di un periodo giovanile del forte pittore siciliano che ancora imbevuto della recente visione dei quadri di Federico Barocco in Roma, si abbandona ad un colore dolciastro come nelle prime opere che dipinse per la città natìa e ben lontano da quel colore armonico e sodo, dal fare lirico ma contenuto che sarà sua caratteristica e sua conquista nelle opere di Polizzi Generosa e di Piazza Armerina.

 

        Madonna del Trittico Fisauli -Turino Vanni da Pisa,         Chiesa di S. Gragorio – Randazzo.

 

   Ma il godimento che può arrecare la tela dello Zoppo si affievolisce e si spegne se l’occhio si posa, sulla parete destra della nuda navata, su un trittico che ripaga a usura colla sua bellezza il viaggio fino a Randazzo: ché sull’anima di chi ha dimestichezza con la misteriosa voce dei trecentisti il trittico Fisauli è una luce improvvisa, una musica nuova che scaturisce da linee e da tinte inconsuete al nostro occhio di siciliani.
   Che il trittico sia stato dipinto a Randazzo é fuor di dubbio; la deposizione del Maestro di S. Martino della quale s’è dianzi detto è servita da schema iconografico ispiratore al Maestro del trittico il quale nella cuspide dello sportello centrale ha immesso, a coronamento decorativo del lacunare raffigurante la Madonna col bambino, la scena della deposizione.

 

MADONNA DEL ROSARIO TRA LE SANTE MARIA MADDALENA E MARTA Di: Antonello de Saliba Anno: XVI secolo – Tecnica: olio su tavola – Randazzo – Chiesa di S. Martino

   Le altre due cuspidi triangolari e simmetriche accolgono l’Annunciazione, a coronamento delle due figure laterali dei santi. Tutta l’impostazione, la gamma delle tinte sulle quali prevalgono la garanza e il giallo aurato, quel risolvere i valori volumetrici con sfumature progressive verdognole, quel sollevare i piani anatomici lumeggiandoli di misterioso carnicino chiaro talora spinto al giallo, tinta dominante l’opera, ci riportano con troppa immediatezza  a quel Turino Vanni da Pisa, trecentista seguace di Taddeo di Bartolo, del quale è nel Museo di Palermo una Madonna con bimbo e Santi (5).
   Per noi è di decisivo interesse l’iscrizione dietro una tavola dipinta del Museo di Palermo, riportata dal Di Marzo e che suona così:

            Tauleta di Piero de
            Tignoso fata adi
            Primo di Magio. (6)
   Lo stesso stile lega all’opera precedente e a quella di Randazzo una tavola del Louvre firmata : Turinus  Vannis  de  Pisis  me  pinxit.
   Fin qui Gioacchino Di Marzo (1839/1916) che si sbizzarrisce a cercare le origini della famiglia Tignoso in Pisa dimenticando una preziosa scoperta da lui fatta a Randazzo attorno al 1856 e che consiste nel aver egli letto su una lastra di arenaria murata nella Chiesa di S. Maria il nome dell’architetto che lavorò attorno alla bella cattedrale in pieno trecento, quando Leo Cumier aveva già finito la parte absidale romanica:
             Magister  Petrus  Tignoso  me  fecit.
   Nulla di strano che questo Magister Petrus Tignoso (7) abbia posseduto anche il trittico Fisauli in seguito alla permanenza di Turino in questa città il quale, forse anche per comunanza di ideali d’arte, avrà donato, lui pittore, all’archetetto della cattedrale, la tavola oggi a Palermo.

   Nella cappella destra del transetto nella Chiesa di S. Martino, e limitata in alto da un coronamento a timpano lunato con deliziosi angeli musicanti, si para la grandiosa tavola della Natività della Madonna già attribuita all’Anemolo (si tratta di Vincenzo Anemolo da Palermo detto il Romano).
   Un grande disegnatore l’ha creata: un maestro cinquecentesco che nel suo sintetismo violento in cui il colore è solo mezzo di risoluzione plastica in funzione del disegno, e non altro, profila duramente con fare da medaglista: ha osservato Pisanello, Piero della Francesca, Perugino.
   E’ un maestro che dentro la linea stagliata dei contorni, vibrante, fa circolare il colore con ritmo soave: ben diverso dall’artista che nella stessa chiesa dipinge l’Annunciazione venuta alla luce, pur’essa colla  cornice cinquecentesca originale, e tratta non so da quale sagrestia.
   Opera deliziosa anch’essa ma scaturita da ben diverso spirito e permeata di diversa ispirazione. E’ dalla fine del 500 .  Il ritocco, non recente, ha deturpato gran parte della composizione su tela intavolata. Il collo dell’angelo e i segni che squadrano il pavimento sconvolgendo il senso prospettico stonato su tutta l’armonia dell’opera: il senso prospettico è invece mirabile nel paesaggio che s’apre sullo sfondo attraverso una sezione d’arco: a sinistra in alto, una danza di cherubini e l’Eterno.
   Il pittore mostra di aver conosciuto davvicino le opere del Greco, specie nello slancio nuovo dell’angelo in abito giallino e veste verdognola. L’Artista limita il gioco della sua tavolozza al verde, al rosso, alla terra d’ombra dai quali trae sobri accordi  che conferiscono a tutto il dipinto un’aura mistica.
   E’ interrotta l’iconografia tradizionale della Annunciazione: la Vergine volta le spalle al paesaggio raffaellesco e legge. L’atteggiamento dolce è sfiorato dal manierismo nelle mani esili e spiritualizzati.

   Ben duro e sordo attaccamento alla tradizione iconografica mostra Giovanni Caniglia (1548) che a S. Maria ripete su una tavola accurata e manierata il transito di Maria che con maggiore libertà ha dipinto in Comiso, nella Chiesa dell’Annunziata, pur rimanendo ligio allo schema dell’ecoimesis bizantina.
   Non saprei chiudere in tono rosa  questi mi appunti sulla pittura in Randazzo perché il mio pensiero corre  –  e se ne ritrae dolorosamente – alla tavola tribolata, antonelliana , chiusa accanto a una superba tavola cinquecentesca, già attribuita a scuola raffaellesca ma sicuramente fiamminga, in S. Bartolomeo.
   Questa tavola, assai più vicina ad Antonello degli Antoni che ad Antonello de Saliba è stata ritoccata con colori gridellino, violacei con lavature di oltremare, con lacche, con……… che non sono nella forma mentale e nella sensibilità di nessuno dei due maestri ai quale attribuibile l’opera.
   Avremmo per certo preferito un restauro che avesse fissato quel che già c’era (restauro oggettivo) o che avesse rivelato quello che si nascondeva, attraverso una scientifica lavatura delle aggiunzioni posteriori (restauro per sottrazione) : Luigi Cavenaghi insegni coi restauri di S. Zosimo a Siracusa e di S. Gregorio nella tavola della Madonna del Rosario ora nel Museo di Messina, opere ambedue del grande messinese all’attività giovanile del quale mi sembra si debba restituire questa preziosissima opera alla quale sovrapposizioni posticce e avventate di vernici e di colori hanno tolto non poco, meno quella fissità cristallina e penetrante dello sguardo, quella squadratura geometrica eppur scavissima del volto, tutte l’impostazione generale, il dominio degli spazi, doti vive e inconfondibili che ci riportano alla Madonna del Rosario di Antonello, ora nel Museo Nazionale di Messina.

 

   IL LIBRO DI PREGHIERE
   DI GIOVANELLA DE QUATRIS

   Gelosamente custodito nel tesoro della cattedrale, il libro di preghiere di Giovannella De Quatris, (1444 – 15 luglio 1529) , nobile randazzese della fine del quattrocento, chiude fra due valve eburnee, intagliate duramente a basso rilievo, tre lamine pure esse eburnee, sulle quali poggiano attaccate e leggermente erose per lungo, ascetico uso, sei paginette in pergamena.
   Il piccolo codice, sul quale la baronessa De Quatris, illetterata, posava lo sguardo a contemplare i misteri della vita e passione di Cristo, misura, aperto, cm. 10×13.
   Le valve del dittico che formano come due coperture di guardia al codice miniato, sono divise in due zone. La prima contiene la Crocefissione in alto, e la Resurezzione in basso, l’altra rispettivamente l’Incoronazione  e il Transito di N. D.
   Una cornice ricorre sopra ogni riquadro e consta di una serie di archetti pensili, ciechi di coronamento.
   Sono archetti acuti cuspidati, col giglio apicale di gusto francese e aragonese come se ne rivedono in tutte le tarde forme  gotiche sotto la dinastia aragonese in Sicilia: in S. Giorgio a Ragusa Ibla, nell’arco di S. Maria di Gesù a Modica.

Randazzo – La Baronessa Giovannella dè Quatris

 
L’artefice del dittico ha voluto  –  con evidente squilibrio di tutto il valore ornamentale  –  decorare con fogline rampollanti anche la convessità degli archi i quali, nell’intradosso non portano l’arco tribolo come nel tardivo gotico francese dal quale derivano molti, intagli eburnei del tempo, ma hanno l’intradosso liscio e a larga bi concavità come nel gotico siculo.
   Egli nell’ingenuo sforzo per riempire tutti gli spazi vuoti con figure che dovrebbero concorrere alla risoluzione dell’episodio mostra subito, co l’accavallamento delle figure stesse senza alcun tentativo di gioco prospettico  –  non ancora risoluto nell’epoca del dittico  –  un arcaismo dal quale non si salvano in Sicilia neanche i pittori più egregi.

   Anche nella  coimesis  l’artista segue ancora lo schema bizantino dei mosaici e delle pitture su tavola di Sicilia; e non è da far le meraviglie se  –  data la persistenza iconografica bizantina in Sicilia  –  nella Chiesa di S. Maria in Randazzo e nella Chiesa dell’Annunziata in Comiso, Giovanni Caniglia (1548), pittore del cinquecento, arcaico ma non privo di piacevolezza e di originalità in certe gamme cromatiche e in certi impasti, nel transito di N. D. segua pure lo stesso schema iconografico.
   Ma nel riquadro del dittico, la sproporzione delle mani e delle teste che vorrebbero dare grandiosità e solennità, quel fare convenzionale dei capelli a masse parallele sfuggenti, trovano compenso nell’illeggiadrirsi delle pieghe naturali soavi attorno alle gambe della Madonna e attorno al corpo della figura accasciata e implorante a lato della bara, La madonna è tutta chiusa nella linea soave creata dalla curva del capo poggiante sul cuscino approntato da mano pia, mentre il volto ristà soffuso da uno spento sorriso smarrito.
   E le mani stilizzate, si incrociano con purezza, se pur convenzionalmente, al di sopra del drappo scendente in dure e orbacee pieghe del  cataletto.

   Non è dubbia, in tutto il riquadro, l’influenza del goticismo francese che per questa opera arriva in Sicilia con un’ondata quasi spenta: basti pensare ai due avori  francesi del XIV conservati al Louvre e pubblicati dal Malet. Ma negli avori del Louvre, nonostante  l’insistenza dell’attitudine ieratica e convenzionale, la lunghezza delle mani eccessivamente affusolate, c’è nell’artista gotico una consapevolezza e una padronanza del senso decorativo che ci stupisce, un equilibrio nelle masse, in così dolce trapasso di piani nell’avvicendarsi delle pieghe !  E tanto armonica la linea decorativa sottintesa nelle figure secondarie e in special modo negli angeli tubicini e osannanti, che l’occhio ne rimane fermo e sorpreso.
   Invece del dittico di Randazzo  eco lontana di quelle forme originali nobilissime che in tono minore ci riportano alla scultura monumentale dei portali e dei protiri  delle cattedrali francesi, specie nel riguardo della  coimesis  , si sente un artista nostrano e primitivo nella distribuzione delle parti, che sostituisce alla fluida bellezza dei nordici modelli una robustezza anatomica delineata con rozzezza tagliente e con angolose sporgenze e rientranze: è musica insomma, concepita quasi, in tutte quattro i riquadri, in toni naturali, senza semitoni di trapasso.
   Maggior senso di proporzione, di dominio degli spazi, si ritrova nelle altre tre figurazioni. L’espressione dei volti riesce talora caricaturale poiché l’artista, nel definire coll’intaglio la mimica facciale, procede per approssimazione. Riso infatti, più che celestiale e ispirato sorriso, è quello dell’angelo che incorona Maria: allungatissime, forse a indicare il culminare del momento mistico e solenne, le dita benedicenti dell’Eterno, dell’Apostolo del Cristo nei due episodi della prima valva e nell’episodio basilare della Resurrezione nella seconda.
 In alto, a destra, nell’episodio della Crocefissione, lo spazio, diviso longitudinalmente in due dal corpo del Cristo contorto entro la tradizionale curva romanica, contiene due gruppi: a destra Longino e Nicodemo oranti e i soldati, affollati, delineati con aspri incavi che duramente sbalzano il drappeggio; a sinistra il gruppo delle donne, tra le quali Maria, esausta, irrigidita in una smorfia di dolore mal resa e convenzionalmente ottenuta dall’artefice, sorretta da mani pietose che stringono l’affannato torace.
   Qui l’ondeggiare e l’accavallarsi delle pieghe, resi con grande sensibilità di massa e per piani progressivi, mostrano come l’artista – meridionale probabilmente per l’atticciatezza delle figure e per la robustezza talora eccessive delle masse – si sia giovato, per l’intaglio, di qualche gruppo di modelli francesi del tardo gotico, mentre ha lavorato con proprio slancio di fantasia e con diverso ritmo creatore attorno a certi altri gruppi.

   Nel riquadro della Crocefissione vi sono, tra il gruppo circostante di sinistra e quello di destra, tali profonde differenze di concezione dell’anatomia e del drappeggio che se ne può facilmente dedurre la diversità di modello e d’ispirazione.
   Dalla Francia numerosi vennero in Italia ,i dittici eburnei e non è escluso che da noi abbiano avuto larga eco in varie riproduzioni simile, forse della stessa officina d’arte riprodusse il modello dittico, è quello di Sassoferrato (8) in cui però l’equilibrio degli spazi, la battuta larga ed armonica, la proposizione degli scorci anatomici ci portano lontano dal nostro e se mostrano la similarità fanno pur sentire la statura di un artista superiore.
   Ma la fonte della Crocifissione è ben riconoscibile : è il dittico della passione della Collezione Hainauer di Berlino. Il taglio quadrato, ancorché rettangolare, del piccolo lacunare contenente la scena, non ha permesso all’artista del dittico di Randazzo di addensare tutti i personaggi entro il riquadro e ha tolto Longino e Nicodemo d’attorno al Crocifisso. E ben probabile poi che il dittico di Berlino sia servito di modello mediato attraverso qualche copia o qualche replica: ché nel nostro dittico, benché le figure siano quelle del modello, più pigiate e addossate , v’è tale sciatteria che non sapremmo immaginare il diretto influsso dell’avorio francese eletto nella forma, squisitamente patetico negli atteggiamenti : del resto, evidente distanza di tempo separa le due opere.  La prima, della metà del secolo XIV, la seconda della fine del secolo quando, spento ogni flusso di idealismo  –  sia pure trascendente e convenzionale  –  per l’introduzione del realismo straniero, l’arte fu portata  a tendenze spiccate verso forme drammatiche e patetiche; certamente, non tutti gli artisti riuscirono compiutamente e rapidamente a togliersi dal solco della tradizione.

   Certo, esistono dei modelli perfetti : ma le derivazioni, pur conservando l’iconografia che potremmo dir nuova, mostrano eccesso, banalità, manierismi.
  La Vergine negli intagli eburnei tardivi, non sta più diritta fra i due angeli, una si curva verso di loro, sdraiata; nella tragedia del Calvario ognuno, come dice il Malet (9) , si torce sui suoi piedi col più melodrammatico dolore e il Cristo, curvo in due sulla Croceé ondulante fra il gruppo delle donne e dei soldati come in balia di un vento violento.
   Le forme che la tradizione aveva imposto, imbevute di grazia impeccabile e concludenti gli episodi in disposizioni  ingegnosissime donde balzava lo spirito altamente decorativo del’artista, declinavano ormai; le forme sfociavano in un realismo gretto e greve.

   A questo periodo di realismo svisato, mal compreso e mal reso, crediamo che appartenga il dittico di Randazzo; il quale pur avendo con altri  –  come si è dianzi detto  –  termini di similarità persino nella cornice archiacuta di gotico fiorito, mostra nell’artista un valente imitatore che pur sentendo qua  e là l’eleganza e lo slancio gotici, rimane, a nostro modo di vedere, specie nella durezza delle masse anatomiche e nell’arcaismo della distribuzione, un siciliano della fine del secolo XIV o del primo scorcio del XV.

LE MINIATURE

   Di stile più prettamente francese sembrerebbero, in una prima visione sommaria, le sei miniature contenute nel dittico creato per certo a contenerle dopoché esse furono ritagliate da qualche “officium” per servire da guida spirituale alla De Quatris.
   Il largo margine vergine che corre attorno alle riquadrature delineate violentemente in sepia e a doppia squadratura, escluderebbero nell’artista la volontà a fare l’opera di decorazione comune ai miniatori palermitani e arabo-siculi che nelle cassette e sulle pergamene, in preda a uno slancio decorativo, ornano di racemi, di ori, di fuseruole, di bacche, di volute, tavole e pergamene.
   L’artista qui ha voluto soprattutto rappresentare; l’elemento decorativo è spostato: da esterno diventa intimo e concorre a rendere soprannaturale la scena che nella rappresentazione delle figure cerca di essere realistica o, per lo meno, naturalistica. Le figure, manchevole nel nudo, ma sode e ben postate quando sono vestite perché l’artista conosce il ritmo delle pieghe cascanti secondo la legge della gravità, profilate con precisione si ché coll’avvicendarsi delle e delle ombre ne risulti modellato tutt’altro che debole, sono immerse in un’atmosfera di sogno, talora, come nell’Annunciazione, sotto un cielo convenzionale in cui lo razzare della luce è inquadrato in una rete di righe aurate a quadri.  Vano è parlare di veridicità cromatica, di corrispondenza al vero di pittura e tanto più quando si parla di miniatura; ad ogni modo l’artista non vuole solamente liricizzare il colore locale delle cose ma vuole addirittura portarci in un ambiente irreale nel quale si svolga però l’episodio con palpito e con naturalezza umana : l’artista vuol giungere al mistico attraverso l’equilibrio tra il reale plastico delle masse anatomiche e l’irreale convenzionale del colore ambientale e paesistico.
   Il sacro lungo uso del delizioso libretto attenuato qua e là le tinte senza però troppo scialbarle né logorarle; l’effetto cromatico è ancora completo. Il cielo, nella scena dell’Annunciazione, che nello schema iconografico segue quello della corrosa Annunciazione della finestra basilare del trecentesco torrione di S. Martirio, è purpereo, e di un cremisi cupo è nella scena del Cristo alla Colonna.
   Quest’ultimo episodio, ingenuo nella rappresentazione degli alabardieri resi male per l’inversione della statura che porta a una errata valutazione della distanza prospettica , e ingenuo ancora per la goffa apparizione dell’Eterno, pur essendo dello stesso maestro che ha miniato gli altri fogli, mostra più a nudo le qualita negative dell’artista che nelle altre miniature se scopre delle manchevolezze attribuibili all’epoca in cui egli operò, mostra d’altra parte qualità di disposizione delle figure e soprattutto una spiccata tendenza alla musicalità del colore che ritroviamo poi sviluppate solo nel tardo quattrocento, nelle miniature palermitane.
   Nella scena dell’Annunciazione Maria, serenamente atteggiata, con un rotulo svolto sulle gambe, in ambio manto celeste lumeggiato dall’artista con un cobalto sereno che si risolve in accordo coll’azzurro d’oltremare delle pieghe cupe, profonde, sinuose, elegantemente contenute, ristà sotto un baldacchino di cadmio tutto dorato dai raggi del sole; l’angelo in lucco rosso e con ali acutissime che rammentano quelle delle miniature francesi del trecento, è genuflesso; e divide architettonicamente lo spazio in diretta corrispondenza coll’oggetto del baldacchino: da un ornato porta fiore emergono fogli e gigli; la scena si svolge su un pavimento a scacchi verdi e neri che chiedono con tono freddo e intonato tutta la gamma cromatica della composizione. La scena della Visitazione si svolge entro un recinto limitato da un incannicciato, il tradizionale e ancor comune “cannizzu” siciliano che si rivede anche nella Natività né mi pare sia questo un riempitivo di indole nordica.
   Torrioni apparsi nella lontananza che li separa, si ergono in alto, sulla collina retrostante. Anche qui il rosso mattone della veste di S. Elisabetta, è intonato colle tinte espresse nella miniatura. Più solida nel colore è la miniature della Presentazione al Tempio; stridente pel contrasto che nasce da gridellino dell’abito di Giuseppe di fronte all’azzurro di cobalto del manto della Madonna immersa in una fiamma convenzionale, amplissima che la circonfonde e l’altra raffigurante la Natività; ambedue queste miniature mostrano qualità di disegno e un senso così marcato della plastica e della profondità  –  che diventa ammirevole risoluzione prospettica nello sfondo della trabeazione, costituito da un loggiato –  da far pensare quasi che l’artista abbia cominciato dalla Crocefissione e dal Martirio alla colonna e che dopo varie incertezze e inciampi nella risoluzione dei vari problemi anatomici e paesistici abbia meglio padroneggiato i suoi mezzi sboccando con vero lirismo pittorico in quelle figurazioni che cronologicamente sono anteriori nella vita del Redentore.                                             

                                                                                                                ***

   Ma ci occorre il problema del collocamento cronologico e della provenienza.
   Dissi sin da l’inizio che le miniature appaiono francesi.  Ed è verosimile che l’artista sia stato educato a modelli francesi. Un’analisi minuta ci porta ben lontani. Nelle presenti miniature il convenzionalismo, se c’è non è gotico; è nel colore e questo può essere frutto di quella spiccata tendenza al colore irrazionale che i siciliani ereditarono dai bizantini e dagli arabi.
   Né vale che spesso siano state illustrate leggende cavalleresche o sacre di sapore provenzale come nello steri o  nel tetto di S. Nicolò a Nicosia, o nel tetto del Duomo di Messina ; in Sicilia la tendenza al colore irrazionale fu intimo bisogno di decorazione sognatrice, non convenzionalismo di importazione straniera; né d’altra parte affiora in questi fogli miniati quell’eleganza slanciata ma chiusa e fredda del gotico tardivo francese.
 Nel Nostro codice, l’elemento figurato, umano o divini, sematico insomma, è reso con quel naturalismo stentato, ma naturalismo, che ritroviamo in Sicilia verso il quattrocento; quivi l’arco acuto comparso prima dell’evento del gotico, scompare presto e il primo rinascimento quattrocentesco ci dà nuovamente l’arco molto schiacciato, quasi a pieno centro, dal quale è bandita ogni idea di goticismo; e ricompare qualche decorazione cosmatesca come nel palazzo Ciampoli di Taormina, nel palazzo Clarentano e nelle case di via dell’Agonia a Randazzo; nella miniatura dell’Annunciazione la decorazione del mur0 di cinta del baldacchino, se pure aprossivamente, rammemmora la decorazione cosmatesca; e nella Presentazione lo sfondo è pienamente quattrocentesco nella semplicità del loggiato, nella rotondità degli archi ; e questo maestro che in luogo di giocare per impasti di tinte preferisce dipingere a forti tinte locali, lumeggiando poi per sovrapposizioni filiformi e chiare, porta nella sua tecnica, nella comprensione prospettica, nella variazione cromatica dei piani, gusto strano e rozzezza e dev’essere stato un primitivo siciliano del quattrocento educato soprattutto alla scuola di quei freschisti della Sicilia centrale che negli affreschi di S. Andrea di Piazza Armerina e di S. Spirito a Caltanissetta fanno sentire come le miniature in questione siano lontana e indiretta filiazione di quegli affreschi.
   Le opere qui presentate valgono da sole a conferire dignità a una città specie se questa possegga, come Randazzo, opere coeve di architettura e di scultura che concorrono a lumeggiare senza interruzioni né pause i vari secoli della malnota arte del meridione.
  Ma altre opere di natura notevoli e del tutto inedite si nascondono ancora all’occhio superficiale di chi visita Randazzo coll’ausilio di quelle guide che si ricalcano da ottant’anni senza un nuovo apporto di ricerche sagaci.

   In S. Maria tutto è conservato con cura e con amore; e accanto alle opere di Giuseppe Velasques, palermitano, corretto nel disegno, piatto e incombente nella prospettiva, scialbo e dolciastro nel colore, si conservano due opere degni di interesse, potenti per l’animazione che le agita, per il tenebrone bituminoso di sfondo che ne valorizza vie più il senso plastico delle figure dando la sensazione tattile, quasi del valore dei volumi.

 

 


   Si tratta di certo di un maestro tenebroso che ha molto da vicino seguito lo stile del Preti; nel martirio di S. Agata e in quello di S. Andrea (S. Lorenzo ?) , purtroppo dominato dai giochi di lacche cremisi e violette che lo indeboliscono, mostra delle qualità ben più alte e lontane per indirizzo estetico e per concezione delle forme da quell’Onofrio Gabriello al quale il Di Marzo aveva in un primo tempo attribuito le due tele.
   Lo stesso amore vorremmo che fosse esteso alle opere anteriori qua e là chiuse e colpevolmente abbandonate alla corrosione della polvere: la tavola della chiesa di S. Giuseppe e la tela parlano di un abbandono che va spezzato, e di colpo.

   Varie ancone quattrocentesche scoloriti ma ancora parlanti di un’epoca e di una creazione spesso geniale, sono state spostate, dimenticate, mal ritoccate. E qualche chiesa  –  orribile a dirsi  –  è stata ceduta parecchi decenni addietro a dei porcai, a dei vinai e rinserra preziosissime tracce di affreschi dugenteschi.
   Siamo certi di non dover ripetere per la città di Radazzo, l’imprecazione altamente drammatica nella sua bianca solennità che Natale Scalia dalle colonne di “Siciliana” lancia alla sua Catania mentre il patrimonio artistico di questa si dissolveva.
   Come oggi Catania va con mille cure cercando per mezzo dei suoi studiosi le orme del passato e va riconsacrando nel suo Museo in formazione le gloriose forme ansiosamente radunate e classificate, così Randazzo vorrà, sotto la guida del suo primo cittadino che con intelletto d’arte e d’amore ne regge le sorti, fermare nella discesa dell’oblio e della dispersione quelle opere che portano fino a noi l’eco non ancora sperduta di indimenticabili bellezze.
ENZO MAGANUCO

                                                                                        

NOTE:

(1)  La tavola fu riprodotta dal De Roberto nell’opera “Randazzo” della collezione “Italia Artistica” dell’istituto d’arti grafiche di Bergamo, opera che rimane fondamentale per l’orientamento negli studi Randazzesi, specie nel campo storico .
(2)  Sulla venuta di Carlo V a Randazzo, cfr. Castaldo V.. “ Il viaggio di Carlo V in Sicilia” , in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, XXV, fasc. I, pag. 98; e più propriamente cfr. Mandalari, “Ricordi di Sicilia, Randazzo”, Lapi. Città di Castello, 1911, pagg. 26-28 e ancora 192-193.
(3)  Dimenticata anche dalle guide più ciarliere la tavola impressionò profondamento il Di Marzo giovanissimo e ancora in preda a quell’entusiasmo fervoroso che talora lo portò ad attribuzioni e a giudizi avventati dei quali però nobilmente fa ammenda nelle pensate opere della maturità. Egli nelle sue note al  “Lexi con Topograficum di Vito Amico, Palermo, 1856, vol.II, pag. 410, note sempre preziose anche quando diano solo un primo elenco catalogico, dice: “ oltre l’interno di ragguardevole, una pittura del cinquecento di circa palmi 4, sopra pietra, e forse a tempera, rappresentante la Beata Vergine sotto la Croce col Cristo estinto nelle ginocchia”.
Né meglio la inquadra nel tempo un Finocchiaro mentovato in una guida ottocentesca di Randazzo, adespota e non datata, il quale senz’altro l’attribuisce al Giotto.
(4) Le croci d’iconostasi sono numerosissime in Sicilia, e di esse solo qualcuna ha avuto la fortuna un accurato studio e della divulgazione; da quella primitiva della Chiesa dell’Immacolata in Agira, sale do fine alle tardive quattrocentesche, si può seguire, in mancanza d’altri elementi, il cammino della pittura siciliana seguendo la parabola iconografica che ha il suo maggior sviluppo in quelle di Cesarò e di Troina sulle quali verterà un mio imminente studio.
   Per quanto riguarda la croce di Termini Imerese (Ruzzolone), cfr; Di Marzo, “ La pittura in Palermo nel Rinascimento), Palermo, Reber, 1899, pag. 208, e in quella della Catredale di Piazza Armerina, cfr; Mauceri E. “Sicilia Ignota”, in  “L’Arte”  gennaio 1906, pag. 17; Maganuco Enzo “ La pittura a Piazza Armerina , Siciliana”. Catania, agosto 1923.
(5)  Cfr. Accascina M., “ Pitture Senesi nel Museo Naziona le di Palermo”, in  “La Diana” 1930, fasc. I
(6)  Cfr. Di Marzo,  “ La Pittura in  Palermo nel Rinascimento”, 1899 pag. 43.
(7)  Cfr. Di Marzo,  “ note al Lexicon Topograficulos.
(8)  Cfr. Serra Luigi  “Arti minori nelle Marche”, Emporium. Aprile 1928  228.
(9)  Cfr. Koechlin Raimond , “ Les Hiroir Gothiques in Miscel,Histoire de l’arte” tomo 11 pag.456 . 
   Ringrazio don Paolo Amistani dei Padri Salesiani del Collegio di Randazzo per le preziose indicazioni di cui mi fu prodigo durante le mie ricerche sull’arte medievale randazzese.
   ENZO MAGANUCO
                                                                                                               ***
  
   Abbiamo voluto impreziosire questa pubblicazione del prof. Enzo Maganuco per rendere la lettura più agevole e soddisfare le curiosità del lettore degli Artisti e critici citati dall’Autore. Molti termini sono di non facile interpretazione, ma con l’aiuto del web si possono capire. Questa rivista è stata  sicuramente pubblicata prima dell’estate del 1943 in quanto il Maganuco non parla della distruzione, ad opera della guerra, di molti edifici ed opere d’arte. Nel 1932 venne a Randazzo come è testimoniato da Angela Militi nell’articolo della Chiesa di S. Agata e nel 1939 pubblica il libro “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre” , quindi la data della pubblicazione di questa rivista dovrebbe essere entro queste due date.

   A noi ci è pervenuta soltanto una fotocopia mal fatta che  la dottoressa Maristella Dilettoso (che ringraziamo per la sua collaborazione)  non ha avuto esitazione a mostrarcela dalla quale abbiamo dattiloscritto questo testo.
   Data l’importanza del Personaggio se si hanno altre notizie saremmo ben lieti di pubblicarli. 
Francesco Rubbino

                                                                             
  

    

Museo Archeologico Paolo Vagliasindi – La Storia

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Gen. Salvatore Scalisi

 

Gen. Salvatore Scalisi

   Salvatore Scalisi nasce a Giarre il 29 ottobre del 1958. Figlio del Randazzese Angelo Scalisi e di Francesca Paola Siragusa, trascorre la sua infanzia fino all’età di 7 anni a Randazzo.
Nonostante per motivi di lavoro il padre Angelo è costretto a trasferire la famiglia a Catania, il legame di Salvatore con la città di Randazzo rimane molto forte, vuoi per i nonni, gli zii e cugini che ancora ci abitano, vuoi perché appartiene alla famiglia una casa con un piccolo vigneto in contrada Tutti Santi, dove molto spesso si ritrovano tutti i parenti per passare ore, a volte giorni spensierati in allegria.
Ultimati gli studi a Catania nel 1977, Salvatore Scalisi si diploma perito tecnico aeronautico conseguendo già all’età di 17 anni il brevetto privato di pilota di aereo, e vincitore di concorso, accede all’Accademia Militare di Modena iniziando così la sua carriera militare nell’esercito.

 Qui di seguito la splendida carriera militare:

Il Gen.B. Salvatore SCALISI è nato a Giarre (CT) il 29/10/1958. Entrato in ACCADEMIA MILITARE il 16/10/1978 con il 160° corso “Patria e Dovere” è nominato S.Ten. nell’Arma di Cavalleria nel settembre del 1980 ed inviato alla Scuola di Applicazione di Torino;

  • Nel 1982 è nominato Tenente di Cavalleria e conseguita la laurea in scienze strategiche, viene trasferito al 9° Gr. Sqd. “Lancieri di Firenze” a Sgonico (TS) dove assume l’incarico di Comandante di squadrone carri “Leopard”; 
  • Nel 1986 è promosso al grado di Capitano e trasferito al 2° Gr. Sqd. “Piemonte Cavalleria” a Villa Opicina (TS) dove assume l’incarico di Comandante di squadrone meccanizzato, ufficiale “I” di gruppo e ufficiale “O.A.” di gruppo; 
  • Nel 1991 è trasferito presso il 51° Gruppo Squadroni “Leone” del 1° Rgt. “ANTARES” dell’Aviazione dell’Esercito in qualità di Pilota Osservatore, Aiutante Maggiore di Gruppo e Comandante di sqd. di volo; 
  • Nel 1992 frequenta il 117° corso di S.M. presso la Scuola di Guerra di Civitavecchia; 
  • Nel 1995 è promosso Maggiore ed assume l’incarico di Aiutante Maggiore di Rgt. e Capo Ufficio P.O.M. del 1° Rgt. AVES “ANTARES”; 
  • Nel 1998 è inviato in BOSNIA, (Sarajevo), in qualità di vice C.te di Gr. di volo nella missione SFOR e dopo 3 mesi rientra in Patria per assumere l’incarico di C.te del 1° Gr. Sqd. dell’8° Rgt. “Lancieri di Montebello” in Roma; 
  • Nel 1999 è trasferito a Viterbo presso il Centro Aviazione Esercito dove assume l’incarico di C.te del Rep. Com. e Serv. “GRIFO” del Centro, (Comandante di Corpo), e nel settembre dello stesso anno è promosso Tenente Colonnello; 
  • Nel 2000 è trasferito a Pisa per assumere l’incarico di C.te del 26° Gr. Sqd. dell’Aviazione dell’Esercito “GIOVE” ,(Comandante di Corpo), nell’ambito della Brigata Paracadutisti “FOLGORE” e nel 2001, partecipa con il proprio reparto di volo alla missione KFOR in Kosovo ed è dislocato sull’aeroporto di Dakovica quale C.te della Task Force “ERCOLE”; 
  • Nel 2002 è trasferito a Viterbo presso il Comando dell’Aviazione Esercito con l’incarico di Capo Sez. Esperienze e Studi dell’Ufficio Dottrina Esperienze e Studi. 
  • Dal 5 ottobre 2003 fino al 30 gennaio 2004, partecipa, in qualità di Chief Aviation Branch nella cellula G3 Air della Brigata “SASSARI” dislocata in IRAQ presso AN NASIRIAH, alla missione “ANTICA BABILONIA 2”; 
  • Rientrato a Viterbo riprende l’incarico di Capo Sez. Esperienze e Studi dell’Ufficio Dottrina Esperienze e Studi del C.do AVES; 
  • Il 23 ottobre 2004 è trasferito presso lo Sqd. Elicotteri “ITALAIR” in NAQOURA (LIBANO) nell’ambito della missione UNIFIL, ed il 30 dello stesso mese assume l’incarico di Comandante dell’unità di volo, (Comandante di Corpo); 
  • Trasferito a BEIRUT sempre nell’ambito della missione UNIFIL, dal 18 gennaio 2006 ricopre l’incarico di SURB, (Senior Unifil Reppresentative in Beirut), nonché BLO, (Beirut Liason Officer), nonché SENITOFF (Senior Italian Officer) perché Comandante di Contingente Italiano in Libano. 
  • Il 17 Settembre 2007 è trasferito a Roma presso TELEDIFE 3° Uff. UGCT, e promosso Colonnello dal 1 Luglio 2008. Il 31 Dicembre 2009 assume l’incarico di Capo Ufficio del 3° Uff. dell’UGCT ed in contemporanea è Direttore del progetto JFCHQ relocation Project di Bagnoli su Lago Patria. 
  • Il 17 giugno 2012 è trasferito presso il V Reparto del Segretariato Generale della Difesa con l’incarico di Capo Gruppo di Lavoro nell’ambito del Programma Quadro “HORIZON 2020” presso l’UE.

     

Corsi di rilievo frequentati:

  • Corso di perfezionamento in equitazione 1984;
  • 25° corso S3 AIR/FAC 1986;
  • Corso basico per Ufficiale Informatore 1989;
  • 26° corso per Ufficiale Pilota di Elicottero Militare;
  • Corso per Piloti Osservatori dell’Esercito;
  • 117° corso di S.M. 1993;
  • Corso di abilitazione al volo strumentale;
  • Corso di abilitazione su elicottero AB-412;
  • Corso di abilitazione su elicottero AB-205;
  • Brevetto di paracadutista militare;
  • Brevetto di 3° grado “master” di sommozzatore FIPSAS.

Decorazioni:

  • Mauriziana;
  • Cavaliere dell’Ordine di Merito della Repubblica Italiana;
  • Medaglia d’oro di lunga navigazione aerea ;
  • Medaglia di bronzo al merito di lungo comando;
  • Croce del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio;
  • Croce d’oro 25 anni di servizio;
  • Croce commemorativa missione SFOR;
  • Croce commemorativa missione KFOR;
  • Medaglia NATO SFOR;
  • Medaglia NATO KFOR;
  • Medaglia ONU missione UNIFIL. 
  • Riconoscimenti:
    1 encomio solenne;
  • 1 encomio semplice;
  • 3 elogi; 

    Il Generale Salvatore Scalisi – a cui va tutta la nostra riconoscenza per la Sua splendida carriera di militare e il nostro orgoglio di Randazzesi –  è nipote del signor Salvatore Scalisi nato a Randazzo nel 1893 e di Venera Gangi (1896/1972).
    I coniugi Scalisi hanno avuto 5 figli: Giuseppe (1921/1947),  Nunziata,  Angelo,  Gaetano e Mario  a noi più noto in quanto politico – è stato vice sindaco a Randazzo – e uomo di lettere.

 

FRANCESCA PAOLINO. ARCHITETTURE RELIGIOSE

FRANCESCA PAOLINO
ARCHITETTURE RELIGIOSE
A MESSINA E NEL SUO TERRITORIO
FRA CONTRORIFORMA E TARDORINASCIMENTO
(da pag.171 a 179 parla della Basilica di Santa Maria  Randazzo)

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Inventario-Archivio on.le Paolo Vagliasindi (1858/1905).

 

Inventario-Archivio-Vagliasindi-on-Paolo

Marco Minissale

 

Marco Giuseppe Minissale nasce a Catania l’8 maggio del 1985 da Salvatore e Vincenza Gullotto (entrambi randazzesi).

Sin da piccolo mostra una spiccata dedizione al lavoro, tanto da concludere tutti i percorsi di studio nel rispetto delle tempistiche previste.

Nel 2010 si laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l’Università degli Studi di Catania, discutendo una tesi in Servizi a valore aggiunto in sistemi di identificazione automatica delle navi e conseguendo la votazione di 110 e lode.

Nello stesso anno si abilita alla professione di Ingegnere superando l’esame di stato.

Sin dall’inizio della sua carriera Marco si è occupato di Comunicazioni Radiomobili 
Dal 2011 al 2013 ha lavorato come consulente in Huawei sulla rete di Vodafone Italia, prendendo parte ad un progetto di innovazione tecnologia sulla rete Radiomobile 2g e UMTS.

Nel 2013, grazie al Know-how aquisito in Italia, pur essendo, all’epoca, titolare di un solido contratto di lavoro a tempo indeterminato, decide, ugualmente, di trasferirsi in Svizzera ed inizia a collaborare come consulente con contratto a scadenza trimestrale.

Marco con i Genitori.

Trattasi di scelta molto coraggiosa, intrapresa con il solo fine di mettersi in gioco ancora una volta ed iniziare una nuova e stimolante sfida.

In svizzera dal 2013 ad oggi lavora in Huawei sulla rete dell’operatore mobile Sunrise

Alle dipendenze di Huawei, ricopre tutte le figure possibili all’interno di un progetto, quali Support tecnico, Integration engineer e nel 2017, da Solution architect, progetta l’intera rete 4.5g svizzera.

Nel 2018, dopo la lunga esperienza in progetti di enorme difficoltà, viene convinto a spostarsi dal dipartimento tecnico al dipartimento manageriale e diventa Project Manager di uno dei progetti più importanti nel mondo.

Infatti, nell’aprile 2019, consegna la prima rete 5g commerciale in Europa e la seconda nel mondo.

Durante il periodo di “lockdown”, conseguente all’emergenza sanitaria “Covid – 19, Marco lavora, ugualmente, ogni giorno al fine di garantire l’accesso alla rete internet a tutte quelle persone costrette a casa in quarantena; in questo contesto l’azienda gli riconosce il titolo di Eroe per il cruciale supporto fornito non solo all’azienda medesima ma alla comunità tutta.

Amante degli sport estremi e dei viaggi avventurosi, nel tempo libero si cimenta in nuove e stimolanti esperienze. Tra le tante, si menzionano i viaggi in moto da neve nelle zone artiche (Isole Svalbard, Lapland e Confini rurali Russi) e le arrampicate sportive in una delle 10 pareti piu difficili nel mondo in Thailandia; sempre in Thailandia, da cultore della Thai – boxe, organizza numerosi training per assimilare gli aspetti più profondi di tale, nobile, arte, proprio nel luogo in cui è nata.

L’intera esperienza ed i traguardi raggiunti fino ad ora sono frutto anche dei valori acquisiti durante una delle esperienze più importanti della sua vita, fatta ad appena 18 anni.
Infatti, Marco, pur non rientrando nel periodo della leva obbligatoria, si abilita al lancio col paracadute Militare acquisendo il brevetto rilasciato dalla brigata Paracadutisti folgore; nel corso di questa, indimenticabile, esperienza entra in contatto con uno dei reduci della battaglia di El-Alamein e durante questo incontro capisce cosa vuol dire, davvero, non arrendersi mai anche quando le circostanze sono avverse.
E’ molto legato alla propria famiglia e, pur vivendo all’estero, fa spesso rientro nell’amata Sicilia per trovare i genitori (entrambi randazzesi) che da sempre gli sono a fianco e lo supportano in tutte le difficili decisioni intraprese.

 

     

Marco Minissale con alcuni colleghi cinesi.

   

 

Complimenti AD MAIORA SEMPER

I resti della chiesa di San Gregorio in Randazzo – Angela Militi

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Alfio Vaccaro il Re delle Cravatte.

 

 Guidotto Nello: MOJO ALCANTARA – Se nel suo libro “Elogio della cravatta” il conte Giovanni Nuvoletti, vero gentiluomo d’altri tempi, ha scritto che questo “capriccio della fantasia” fra la camicia e la giacca, si indossa nei momenti più importanti della vita.
Per Alfio Vaccaro di 79 anni, fiero contadino e mojese doc, tutta la vita è stata, e continua ad essere, un momento importante.

Oggi pensionato, sposato con la signora Paola Francesca Mobilia da cui ha avuto 2 bravissimi figli, Alessandro e Daniele, infatti, non solo la indossa sempre, ma vanta un record da guinness dei primati. Fra acquisti e regali ha raccolto in casa più di 2000 cravatte.
Ne possiede di tutti i tipi, di decine di stilisti, antiche e moderne, di vari Paesi e soprattutto di tutti i prezzi. Nella sua immensa collezione troviamo cravatte comuni, militari, dai disegni stravaganti, ma anche di stoffa pregiata griffata Cartier.

 

 

Per questo, sollecitati dal suo amico randazzese Francesco Rubbino siamo andati a trovarlo. E lui, indossando una bella cravatta regimental azzurra, ci ha accolto facendoci capire come la sua vita e le cravatte siano state sempre un tutt’uno.

“Da giovanissimo mi piacevano. – ci ha raccontato – Già a 14 anni le indossavo. Ogni volta che uscivo per comprare indumenti o anche in gita ne compravo diverse. Sapendo della mia passione poi tutti gli amici mi hanno sempre regalato cravatte ed io le ho sempre conservate, custodite ed indossate.
Ho le cravatte della mia gioventù e cravatte che risalgono al 1915. Ho cravatte greche, francesi, tedesche, svizzere, spagnole, portoghesi e pure di Gibilterra. Per non parlare poi di quelle australiane o americane. Nella mia vita ho avuto la fortuna di viaggiare in comitiva ed ogni volta ne ho sempre comprate così tante da non dire a mia moglie quanto avevo speso”.

E così il signor Alfio durante lo stesso matrimonio cambia spesso cravatta confondendo gli altri invitati, ed in casa sua non c’è sportello da dove non sbucano fuori cravatte.

Ed allora complimenti signor Alfio. Se la cravatta e sinonimo di ordine e di classico, di un gusto del particolare elegante e raffinato dal colore giusto, la sua vita è stata ed è un po di tutto questo.

da  “La Sicilia” ( 18/10/2020)  Guidotto Nello: Come ha scritto Ariosto parva sed apta mihi.

 

 

 

Chiesa di San Gregorio

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Angela Militi – La Chiesa di S. Agata – fra le 99 Chiese di Randazzo.

     La “città delle novantanove chiese”: così è stata definita per tradizione Randazzo, per via dei numerosi edifici ecclesiali, risalenti a varie epoche, eretti sul territorio. Alcuni di essi, nel tempo e/o per opera dell’uomo, sono scomparsi e ne resta solo la memoria storica desunta dai documenti d’archivio o dalle informazioni presenti nei manoscritti del reverendo Giuseppe Plumari.  E’ il caso della chiesa di Sant’Agata.
Fuori dalle antiche mura di Randazzo, a sud della città, si trova Piazza Tutti Santi, la quale porta con sé una storia antica, infatti, in quel luogo, fino a diversi decenni fa, sorgeva la chiesa di Sant’Agata.

Non si conosce con esattezza la data di fondazione dell’edificio ecclesiale, poiché, a oggi, non ci sono pervenute notizie documentarie in merito, tuttavia essa è da collocarsi nella seconda metà del XII secolo, data la somiglianza stilistica con la chiesa di San Vito e quella di Santo Stefano.
Un documento presente presso l’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo, ci consente di stabilire un terminus ante quem sulla data di edificazione dell’edificio sacro. Il primo dicembre del 1345 Raimondo de Pezzolis, arcivescovo di Messina, concede 40 giorni di indulgenza a coloro che si recheranno causa devocionis seu peregrinacionis nella chiesa di Sant’Agata, posta in territorio terre di Randacii  extra menia in contrada detta La Fussaza, nella ricorrenza della festività di sant’Agata.
Questo documento testimonia che a quella data la chiesa era già esistente ed aveva una qualche rilevanza[1].
Si ha notizia che nei primi anni del 400 il giuspatronato della chiesa era esercitato dal notaio Francesco de Mallono, il quale con atto di transazione, datato 25 gennaio 1409[2], cedeva a Tommaso Crisafi, arcivescovo di Messina, la metà dei profitti di un vigneto in vitae subsidium[3].
Altre notizie relative alla chiesa di Sant’Agata provengono da alcuni documenti notarili del notaio Tommaso Andriolo, conservati presso l’Archivio di Stato di Messina, dai quali apprendiamo che:
con un atto notarile datato 4 ottobre 1426 rogato in Messina che vede testimoni, Philippus de AgrigolaIohannes de Alona e Bartuchio Piza, il notaio Franciscus Mallono nomina cappellano dell’ecclesia Sancta Agatha extra mura, di cui ha lo jus patronatus, l’arciprete Geraldus de Henrico, con l’obbligo di curare l’amministrazione di tutti i beni della cappellania; la nomina è confermata, per competenza, dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina che conferisce all’arciprete l’investitura per anulum[4].
L’arciprete Geraldus de Henrico rinuncia all’incarico di cappellano della chiesa di Sant’Agata extra moenia, che da poco gli è stato conferito, con un atto datato 4 ottobre 1426 stipulato in Messina alla presenza di Pino PictellaPhilippus Pictella e Fridericus de Celsa[5].
Il 5 ottobre 1426 con atto rogato in Messina con le testimonianze di Iohannes de SolanoPetrus de Stagnario e Andreas de Paulillo, il presbiter Philippus de Agrigola di Randazzo nomina suo procuratore il notaio Franciscus Mallonu, affinché possa rappresentare davanti al Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina, la sua protesta contro il cappellano Geraldus de Henrico, dal quale chiede la restituzione della domus lasciata in eredità dal defunto Matthei de Leofanto all’ecclesia di Santa Maria di Randazzo e non alla cappellania della chiesa di Sant’Agata[6].
Con atto del 5 ottobre 1426, il notaio Franciscus Mallono nomina suo procuratore il presbiter Philippus de Agrigola di Randazzo, affinché si occupi dei suoi affari ecclesiastici e temporali nella terra di Randazzo, e, principalmente, per visitare l’ecclesia di Sant’Agata e verificare la gestione della stessa da parte del cappellano Geraldus de Henrico[7].
Il 3 settembre 1427 con atto rogato in Messina, testimoni Robertus MirabelloZullo de Leo e Nardo Barralamono, il notaio Franciscus Mallono per diritto di jus patronatus sulla chiesa di Sant’Agata, nomina cappellano della stessa il presbiter Antonius de Bruno, il quale oltre a svolgere le funzioni religiose e amministrare i beni della cappellania che consistono in un vigneto, alcune case, un palmento ed altri beni siti in contrada “de la Fossaza” di Randazzo, dovrà apportare, entro quattro anni, le riparazioni necessarie alla chiesa, alle case e al palmento; se il cappellano adempirà ai suoi doveri la sua nomina sarà riconfermata per altri quattro anni e al settimo anno dovrà, altresì, rinnovare la vigna piantando cinquecento viti.
La nomina del cappellano è convalidata dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina[8].
Il documento datato 6 settembre 1427 rogato in Messina alla presenza di Iohannes de AgathaNicolaus Mariconda e Philippus de Lignamine, mette in evidenza che il cappellano Geraldus de Henrico, ora defunto, non ha adeguatamente amministrato la chiesa e i suoi beni, facendoli deteriorare e morendo ha lasciato, in mano ai suoi eredi alcuni beni della cappellania. Per questo motivo il notaio Franciscus Mallono nomina suo procuratore il presbiter Philippus de Agrigola, affinché questi provveda a farsi restituire dagli eredi del presbiter Geraldus i beni della chiesa da loro detenuti[9].
Una prima succinta descrizione della chiesa viene data dal tedesco Walter Leopold che nella sua tesi di laurea in ingegneria “Sizilianische bauten des mittelalters in Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia und Randazzo”, pubblicata a Berlino nel 1917, così descrive la chiesa:

     «Un po’ meno primitiva, ma danneggiata da costruzioni più recenti aggiunte a sud e a nord, è la struttura di Sant’Agata. L’archivolto a sesto acuto dell’ingresso principale è modanato; anche l’esecuzione della cornice al di sopra è più ricca, così come quella della ghiera che incornicia l’oculo.
I prospetti laterali presentano una finestrella ciascuno, quello a sud ha una porta eseguita come quella dell’ingresso principale.
L’abside è illuminata da una piccola finestra con arco a tutto sesto posta in basso. La cappella all’interno è affrescata fino all’altezza di circa due metri.
La superficie della parete è suddivisa da fasce perpendicolari in parecchi stretti campi, che formano una decorazione a pinnacoli e nicchie; negli scomparti intermedi sono dipinte scene bibliche, nei pinnacoli, santi. Sulla parete di fronte a chi entra, a destra e a sinistra del coro, sono rappresentati angeli.
La pittura è di carattere tardo-gotico»[10].

A corredo del suo studio, il Leopold realizzò, altresì, un rilievo architettonico (planimetrico e prospettico) della stessa.

Figura 1: Rilievo architettonico della chiesa di Sant’Agata

La chiesa presentava un impianto planimetrico ad unica aula rettangolare, coperta con tetto ligneo, terminante in una piccola abside semicircolare coronata da semicalotta definita sul fronte da arco a sesto acuto.

     Nel 1932 Enzo Maganuco, professore di Storia dell’Arte e Tradizioni popolari nelle Università di Catania e Messina, giunto a Randazzo con la speranza di rinvenire una qualche traccia della chiesetta di Sancta Maria in Nemore[11], visitò la chiesa di Sant’Agata e nel suo scritto “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre” riporta:
     «La chiesetta, piccola e di colore ferrigno, col suo rosoncino altissimo sulla porticina, gotica solo nell’arco, chè al posto di colonnine o di pilastri si trovano dei modestissimi conci squadrati, porta agli spigoli della parete frontale conci lavici alternati, legati da malta bianchissima e, più in basso, alla stessa altezza degli stipiti della porta conci angolari più tozzi, più rozzi e meno estesi.

chiesa di Sant'Agata

Figura 2: Chiesa di Sant’Agata, foto di Enzo Maganuco

Nel giardinetto che si apre dietro l’abside, se detto, c’è un pozzetto gotico ottagono, simile in tutto a quello del giardino del Palazzo del Duca di S. Stefano in Taormina.

20140809_174543

Figura 3: Taormina, Palazzo dei Duchi di Santo Stefano, pozzo ottagonale

Si accede al giardino per una porticina posteriore aperta direttamente sull’abside dietro l’altarino […]. Accanto a questa porta arbitraria e tardiva ve n’è un’altra di pura impronta gotica, a sagoma tardo dugentesca ben conservata e che dovette appartenere alla sagrestia che però per certo non comunicava direttamente con la chiesatta […].

Chiesa di Sant'Agata, Portale

Figura 4: Chiesa di Sant’Agata, portale, foto di Enzo Maganuco

Da finestra destra – l’unica sopravvissuta – in pietra bianca di Comiso, a feritoia, ora otturata e ben visibile dall’interno, consta di un archetto a pieno centro strettissimo e di tasselli che fanno da pilastrini laterali, tasselli di varia grandezza in semplice e vago modo distribuiti.
All’interno, […] colpiscono l’occhio gli affreschi sopravvissuti alle ingiurie degli uomini che più del tempo hanno crostato l’intonaco e l’arricciato piantando chiodi e travi.
Gli affreschi ricorrono per tutte le pareti, meno la calotta absidale. Non v’è traccia di affresco solo sulla parete interna corrispondente al muro frontale»[12].

 

 

 

 

Figura 5: Ricostruzione 3d della chiesa di Sant’Agata. Cliccare su ciascun affresco per visualizzare le relative schede

Qualche studioso identifica erroneamente la chiesa di Sant’Agata con quella di Tutti Santi, la quale sorgeva di fronte il convento di San Francesco di Paola, come si evince da una pianta litografica della Città, fatta realizzare dal reverendo Giuseppe Plumari;

 

 

                Figura 6: Particolare della Pianta litografia della città di Randazzo, luogo dove era la chiesa di Tutti  Santi contrassegnato con il numero 21

per di più, lo stesso reverendo nel suo manoscritto Storia di Randazzo, elencando le chiese di Randazzo, scrive: «Chiesa di S. Agata V. e M. esistente nel Piano di Tutti Santi […] Chiesa di Tutti Santi, da pochi anni abbandonata, ed oggi demolita»[13]. Il Sommarione[14] del Catasto provvisorio siciliano del 1852, registra, presso la Porta di San Francesco di Paola, la chiesa di Tutti i Santi e un’altra chiesa senza nome, di proprietà del Comune, come dirute[15].
Nell’area oggi non si distingue alcuna vestigia della chiesa: un contributo decisivo per individuare con esattezza l’ubicazione dell’edificio ecclesiale, viene da una mappa catastale urbana datata 1877[16].
Dalla lettura della mappa si rileva, la presenza, all’estremità sud della città, di un edificio contrassegnato con il numero di particella (o mappale) e una croce, indicativa delle costruzioni destinate ai culti cristiani.

Part. mappa 1877

Figura 7: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877

Agli inizi del 900, come si può leggere da una mappa d’impianto[17] – conservata presso il catasto di Catania –, l’edificio, la cui planimetria è rimasta invariata, non è più contrassegnato dalla croce e risulta suddiviso in tre mappali (3026, 3025, 2194).

Stralcio foglio impianto 103b

Figura 8: Particolare del Foglio d’impianto 103/B di Randazzo

La Tavola Censuaria – redatta dopo la formazione delle mappe d’impianto –, riporta i mappali 3026, 3025 e 2194 come fabbricati urbani rispettivamente di mq 46, 74 e 87[18].
Il Registro partitario del vecchio Catasto Urbano, rileva il mappale 3026, il 10 dicembre 1934, “come area di fabbricato demolito” e l’appartenenza di esso a Genovese Antonino di Carmelo[19]. Il mappale 3025 – subalterno 1, il 22 luglio 1940, risulta appartenere a Genovese Annunziata fu Antonino, la quale dichiarava che veniva in possesso del fabbricato per successione e nuova costruzione[20], mentre il subalterno 2 risultava appartenere a Genovese Francesco fu Antonino[21]. Queste acquisizioni rivestono una grande importanza, poiché da esse si evince che parte della chiesa (mappali 3026 e 3025) era già stata demolita prima dei bombardamenti del 1943.
Il mappale 2194 – subalterno 1, il 21 dicembre 1939, risulta appartenere alla parrocchia di San Nicola di Randazzo, concesso in livello/enfiteusi a Zuccarello Bonaventura Giovanni per un canone annuo di lire 4.20[22], mentre il subalterno 2 risulta essere stato ceduto in compravendita, dallo stesso Zuccarello Bonaventura Giovanni, a Zuccarello Domenico[23].

Attualmente l’area della chiesa di Sant’Agata, è occupata da due edifici attigui che si affacciano sulla piazzetta.

DSC03728

Figura 9: Randazzo, Piazza Tutti Santi dove era ubicata la chiesa di Sant’Agata

NOTE

[1] Spinella B. M. R., La Cattedrale di Santa Maria di Messina nei documenti dell’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo (1282-1412), Tesi di dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali (XXVI ciclo), Università degli studi di Catania, Anno Accademico 2012/2013, Reg. 49, p. 181.
[2] 1410.
[3] Starrabba R., I diplomi della cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico, in «Documenti per servire alla Storia di Sicilia», Prima serie-Tabulari, vol. I, fasc. IV, Palermo, 1878, p. 234, doc. CCXVII: «Anno MCCCCIX, XXV Januarii, III Indictionis, Frater Thomas Crisafi Archiepiscopus Messanensis transigit cum Francisco Millono, patrono Ecclesiae Sanctae Agatae Randatii (cujus vineam, veluti suam, nulliter alienaverat) quod donec viveret medietatem fructuum dictae vineae percipere possit in vitae subsidium, post vero mortem ejusdem integri fructus ad Ecclesiam praedictam pertineant».
[4] Archivio di Stato di Messina, Fondo notarile, notaio R. Tommaso Andriolo. Anni 1416-1418, vol. 2.
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Ibidem
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] Leopold W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007, p. 154.
[11] Ovvero la chiesa di Santa Maria del Bosco, menzionata in vari documenti fin dall’XI secolo.
[12] Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956, pp. 12-14.
[13] Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77, vol.I, Libro III, p. 325, nn. 41 e 49.
[14] Registro descrittivo delle proprietà, in cui sono notati i dati relativi al nome del possessore, alla natura, all’ubicazione, alla superficie, alla classe di produttività e alla rendita della proprietà.
[15] Archivio di Stato di Catania, Fondo Catasto provvisorio siciliano, Sommarione di Randazzo, anno 1852, vol. 2229, Sezione I, nn. 189 e 198, p. 289.
[16] Montera C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983, p. 8.
[17] Le mappe d’impianto di Randazzo furono realizzate tra il 1890 e il 1912 (il rilevamento particellare fu eseguito tra il 1908 e il 1911, mentre la rappresentazione in mappa tra il 1908 e il 1912). Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Atlante Comune di Randazzo.
[18] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Tavola Censuaria, Randazzo.
[19] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Registro partitario, Randazzo.
[20] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 1174.
[21] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 1180.
[22] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 3233.
[23] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 3230.

FONTI ARCHIVISTICHE

Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio
Atlante Comune di Randazzo.
Sezione cartografia, Foglio d’impianto di Randazzo 103/B.
Randazzo, foglio di mappa 103/B, Modello 58, nn. 1174, 1180, 3233, 3230.
Registro partitario, Randazzo.
Tavola Censuaria, Randazzo.

Archivio di Stato di Catania
Fondo Catasto provvisorio siciliano, Sommarione di Randazzo, anno 1852, vol. 2229.

Archivio di Stato di Messina
Fondo notarile, notaio R. Tommaso Andriolo. Anni 1416-1418, vol. 2.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

LEOPOLD W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007.

MAGANUCO E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956.

MONTERA C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983.

PLUMARI G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77.

SPINELLA B. M. R., La Cattedrale di Santa Maria di Messina nei documenti dell’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo (1282-1412), Tesi di dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali (XXVI ciclo), Università degli studi di Catania, Anno Accademico 2012/2013.

STARRABBA R., I diplomi della cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico, in «Documenti per servire alla Storia di Sicilia», Prima serie-Tabulari, vol. I, fasc. IV, Palermo, 1878.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Figura 1: Rilievo architettonico della chiesa di Sant’Agata: Leopold W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007, p. 155.
Figura 2: Chiesa di Sant’Agata: Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956.
Figura 4: Chiesa di Sant’Agata, portale: Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, op. cit..
Figura 6: Particolare della Pianta litografia della città di Randazzo: Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77, vol.II.
Figura 7: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877: Montera C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983, p. 8.
Figura 8: Particolare del Foglio d’impianto 103/B di Randazzo: Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Sezione Cartografia. Per gentile concessione.

RINGRAZIAMENTI

Un doveroso ringraziamento è rivolto all’Ufficio Provinciale di Catania – Territorio: in particolare il dottor Luigi Valenti, direttore dell’Ufficio, per la gentilezza e per l’autorizzazione alla pubblicazione della mappa di impianto di Randazzo; il dottor ingegnere Giuseppe Marchetta, responsabile reparto staff, per la disponibilità offertami; il dottor Francesco Cicillini, responsabile cartografia, per il tempo che mi ha dedicato e le preziose delucidazioni.
Un ringraziamento particolare va al dottor Filippo Bertolo per la sua amicizia, per il suo aiuto e la sua disponibilità.
Un sincero ringraziamento va a mio marito Enzo per l’aiuto incondizionato nelle mie ricerche.

Pubblicato il  da angela-militi.  

Il sito di Angela Militi é:  www.randazzosegreta.myblog.it

ANGELA MILITI

Angela Militi – Nata a Randazzo (CT) nel 1976, attualmente vive a Venezia.
Ricercatrice indipendente, attenta in particolar modo alla storia e alle tradizioni della sua città natale, dedica molte ore della sua giornata alla ricerca e allo studio di fonti e documenti. Spirito curioso, ama l’Arte in tutte le sue forme ed espressioni.

Campanile di San Martino

Fin da piccola manifesta una grande passione per l’astronomia e per la conoscenza in generale, tanto che crescendo la sua sete di sapere la porta a interessarsi anche di antiche civiltà, mitologia, archeologia misteriosa, simbolismo, storia antica e medievale, con particolare riferimento alla storia dell’Ordine Templare e a quella di Randazzo. Dal 1995 al 1997 è membro del Consiglio di Gestione della Biblioteca di Randazzo.
Dal 1995 al 1999 è membro dell’Associazione “Gruppo di Volontariato per i Beni Culturali di Randazzo”, partecipando attivamente alle numerose iniziative culturali rivolte al rilancio dei beni culturali di Randazzo. Nel 1997 si trasferisce a Venezia dove l’incontro con alcuni studiosi di astrologia ed esoterismo, la porterà ad approfondire queste discipline esoteriche.

Nel maggio del 2000 diventa membro del Gruppo A

Angela Militi

strologico “Sirio” di Venezia – delegazione del Veneto del CIDA (Centro Italiano di Discipline Astrologiche) –, e inizia a frequentare la scuola d’astrologia “Regulus” di Arturo Zorzan, studioso di grande rilievo dell’astrologia italiana, per dieci anni. Dal 2000 al 2014 è socia del CIDA. Nel settembre 2006, su invito del Gruppo astrologico “Sirio”, tiene la sua prima conferenza dedicata ai cicli di Giove e Saturno, presso l’Hotel Sirio di Venezia. Nell’ottobre del 2006 inizia a interessarsi di epigrafia, brachigrafia medievale e archeoastronomia.

Nel giugno del 2007 partecipa alla Tavola Rotonda organizzata dal Gruppo “Sirio” dal titolo: “Marte”, con il contributo “L’opposizione perielica di Marte”. Nell’ottobre 2007 presenta al Gruppo “Sirio” la prima parte di uno studio archeoastronomico sui monumenti sacri della città di Randazzo, dal titolo: “Civitas Randatii”.

Via santa Catarinella

Angela Militi – Filippo Bertolo

Nel novembre 2008 presenta per lo stesso gruppo, la seconda e ultima parte della ricerca dal titolo: “Allineamenti astronomici, geometria sacra e simbolismo nella città di Randazzo, che, nel novembre 2008, esporrà anche al Gruppo Astrologico “Tergestre” di Trieste – delegazione del Friuli Venezia Giulia del CIDA, su invito della dottoressa Lidia Callegari, presidente del gruppo astrologico. Nel novembre 2009 è relatrice alla conferenza per il Gruppo “Sirio” con tema:“Astronomia per astrologi”, che, nel marzo 2010, esporrà, anche all’Associazione del Centro di Studi Astrologici ed Evolutivi “Lo Zodiaco Padova”, su invito della stessa associazione. Dal dicembre 2009 cura un blog personale “Randazzo Segreta” (http://randazzosegreta.myblog.it/), dove pubblica i suoi studi. Nel febbraio 2010 pubblica sul sito web Due passi nel mistero, l’articolo: Randazzo Segreta. Astronomia, Geometria Sacra e misteri tra le sue pietre”, su invito di Marisa Uberti, webmaster del sito. Alcuni giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, viene contattata dal professor Adriano Gaspani, Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio astronomico di Brera- , con il quale inizia, insieme al dottor Filippo Berolo, una collaborazione per un progetto di studio archeoastronomico delle chiese altomedievali di Randazzo. Nell’ aprile del 2010 è relatrice alla conferenza per il Gruppo Astrologico “Tergestre”– con tema: “I cicli di Giove e Saturno”.
Nel dicembre 2010 autopubblica il breve saggio: “L’epigrafe della Basilica Minore di Santa Maria in Randazzo. Esegesi di una data”, nel quale, ha per prima interpretato correttamente, l’epigrafe della Basilica Minore di Santa Maria riportante la data di costruzione della chiesa. Nell’agosto 2011 su invito del Comitato di Via dei Lanza di Randazzo partecipa ad una conferenza/chiaccherata, presso Via dei Lanza. Dal 2012 è membro della S.I.A. (Società Italiana di Archeoastronomia).

Monastero di San Giorgio

Il 5 e 6 ottobre 2012 partecipa, in collaborazione con il dottor Filippo Bertolo e il professor Adriano Gaspani, al XII Convegno Società Italiana di Archeoastronomia, con un contributo dal titolo: “Analisi archeoastronomica delle chiese di Randazzo (CT)”. Il 13 ottobre 2012 pubblica per la casa editrice Tipheret il volume:“Randazzo Segreta. Astronomia, Geometria Sacra e misteri tra le sue pietre”, con la presentazione del professor Adriano Gaspani e del fr. Alberto Zampolli, 47° Gran Maestro dell’Ordine Templare O.S.M.T.J (Ordre Souverain et Militaire du Temple de Jérusalem) [recensito da Terra Incognita Magazine].

In occasione della presentazione del volume, viene insignita, dal fr. Alberto Zampolli, del titolo di Cavaliere onorario.

Il 14 e 16 novembre 2013 partecipa, in collaborazione con il dottor Filippo Bertolo e il professor Adriano Gaspani, al XIII Convegno Società Italiana di Archeoastronomia “La misura del tempo”, con un contributo dal titolo: “Analisi archeoastronomica delle chiese di San Martino e San Vito a Randazzo (CT)”. Nel novembre 2014 è relatrice alla conferenza per il Gruppo “Sirio” e per il Gruppo Astrologico “Tergestre” con tema: “Archeoastronomia: megaliti e luoghi sacri”. Ideatrice e organizzatrice insieme a Beppe Petrullo del “Tour del Mistero” edizione 2016 e 2017 e del gioco di ruolo dal vivo “Delitto al Convento” edizione 2017.

Attualmente sta completando lo studio archeoastronomico delle chiese altomedievali di Randazzo di prossima pubblicazione.

 

PUBBLICAZIONI E ARTICOLI

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Randazzo Segreta. Tra la Francia e la Sicilia. Intervista ad Angela Militi ricercatrice in Archeoastronomia

Intervista realizzata da Beppe Petrullo

di Beppe Petrullo

Il documento è tratto da: Randazzo Segreta di Angela Militi

Randazzo Segreta. Tra la Francia e la Sicilia

Beppe Petrullo

I Templari avevano acquisito metodi e studi per usare strumenti molto particolari, come l’astrolabio, ed altri strumenti di misurazione, per arrivare a studiare le scienze astronomiche e chimiche. Intorno fra il 1200 ed il 1250 accade un fatto straordinario. In tutta la Francia si edificarono , in un lasso di relativamente breve, chiese particolari, con uno stile che fino ad allora era sconosciuto.
Cosa ha spinto e Come hanno fatto i Templari a progettare e realizzare queste cattedrali con le loro migliaia di tonnellate di peso? Perche oggi appaiono ai nostri occhi leggerissime e tali da sfidare la legge di gravita? Da antichi documenti a Chartres e nell’intera Francia, si vede che assolutamente nulla e lasciato al caso a partire dalla loro disposizione sulla carta geografica.
Le cattedrali Francesi sono dedicate a Notre Dame, cioe alla Vergine.
Se osserviamo con estrema attenzione come sono disposte le cattedrali in Francia potremmo osservare che , le cattedrali disposte sul terreno, cioe quelle piu importanti e grandi, formano esattamente la forma della costellazione della Vergine.Angela Militi, ricercatrice storica che coltiva lo studio dell’archeoastronomia, combinazione di studi astronomici e archeologici.
Nata nella città di Randazzo, ha approfondito lo studio sulla propria città che gli ha dato i natali, svelando ed anticipando particolari storici ancora non svelati e citati da nessuno.
Particolari chiaramente singolari ed interessati che la portano ha scoprire e rilevare cose ancora mai dette sulla Città Medievale di Randazzo e che trovano incredibile similitudine con le cattedrali francesi.
Lo studio e una ricerca minuziosa e precisa, nella simbologia, numerologia ed archeoastronomia delle chiese di Randazzo.
Per la ricerca storica, Angela Militi, si è avvalsa della consulenza di nomi illustri quali: la Professoressa Flavia De Rubeis dell’Universita Ca Foscari, docente di Paleografia latina ed Epigrafia medievale; il Professor. Gaspani . astronomo dell’I.N.A.F di Milano; per i contenuti archeoastronomici, Rav Avraham Dayan, Vice rabbino della Comunità Ebraica di Venezia che ha controllato i valori gematrici del lavoro. Nella splendida cornice di Via dei Lanza a Randazzo, in occasione della sua conferenza, mi ha pregiato di alcune sue riflessioni ed anticipazioni su ciò che potremmo leggere nel suo prossimo lavoro dal titolo “Randazzo Segreta“.

 

Domanda. Beppe Petrullo
Com’e nato questo studio su Randazzo?

Risposta. Angela Militi

Questo Studio e nato, per caso, da una proposta del presidente e della segretaria del gruppo astrologico Sirio di Venezia, li appassionai accennandogli la mia ardente convinzione dell’imprescindibile legame che Randazzo fin dalle sue origini aveva con il numero tre ed i suoi multipli. Scherzando dissi: la citta perfetta!

Domanda

Se consideriamo che nel Medioevo, solo i Monaci o i Religiosi in generale, a parte poche eccezioni, erano in grado di leggere e scrivere. Diventava chiaro, se non indispensabile, che dovevano trasmettere a chi non sapeva leggere le informazioni religiose, attraverso simboli, siano essi stati numeri o immagini. Sappiamo che ognuno di questi aveva un significato preciso e raccoglieva interi concetti filosofici e religiosi. Sappiamo che i numeri erano parte della Simbologia cristiana in quanto, attraverso questi, si era in grado di trasmettere i concetti fondamentali della nostra Religione. Il 3 è un numero fondamentale nella simbologia cristiana, tanto che è a lui che viene dato il massimo valore ,il 3 rappresenta la Trinità. Ci puoi spiegare questo legame della citta di Randazzo con il numero 3?

Risposta

Angela Militi

Randazzo trae le sue origini dall’antica Triocala.
Diodoro nella sua biblioteca storica ci riferisce che fu denominata cosi per le sue tre cose belle, ovvero l’abbondanza e dolcezza delle sue sorgenti, la fertilità delle sue terre e la posizione eccezionalmente forte.
Randazzo era sita in mezzo a tre corsi d’acqua: Fiume Grande (Alcantara) dalla parte settentrionale, Fiume Piccolo . scomparso a seguito della colata lavica del 23 marzo 1536 dalla parte meridionale e il Torrente Annunziata dalla parte occidentale.
Un tempo ben difesa da mura di cinta, sulle quali si aprivano nove porte, multiplo del numero tre, che in seguito diventarono dodici.
Le due vie principali, Via Soprana, l’attuale via Umberto e Via Sottana, oggi via Duca degli Abruzzi, dividono la Citta in tre parti. Le mura erano alte trenta palmi siciliani.
La città fu divisa in tre quartieri cresciuti attorno alle rispettive chiese da cui presero il nome: Santa Maria, San Nicola e San Martino.
Alcuni autorevoli storici sostengono che Federico II di Svevia attribuì a ciascuna città demaniale un appellativo: Randazzo ebbe il titolo di Ennea, termine che deriva dal greco εννεα che significa nove. Randazzo era provvista di quattro fontane: la fontana Grande o del Roccaro, ripartita in due grandi canali; la fonte del Gallo; la fontana dell’Erba Spina o di Santa Maria e la fontana detta di Sana Malati, nome che gli fu attribuito dal popolo per via della dolcezza delle sue acque, divise in cinque rivoli; di conseguenza l’acqua sgorgava da nove condotte
A detta del rev. Giuseppe Plumari su essa soffiano solo tre venti: Aquilone, Euro ed Zefiro. Sul piazzale della chiesa di San Nicola campeggia la statua del Piracmone o come l’ama chiamare il popolo: Randazzo Vecchio, la quale si accompagna a tre simboli solari: l’aquila, simbolo di rinascita, che sul vecchio Piracmone si trovava molto probabilmente sulla spalla, i serpenti, simbolo di conoscenza e saggezza ed il leone, simbolo di forza.
Oggi il suo territorio e compreso fra tre parchi: Parco Regionale dell’Etna, Parco Naturale dei Nebrodi e Parco Fluviale dell’Alcantara.

Domanda

Il centro storico di Randazzo è rappresentato da tante viuzze medioevali, ed opere alto medievali di grande rilievo artistico dove ogni visitatore che ha voglia di conoscere ha l’opportunità straordinaria di passeggiare tra le grandezze dell’ingegno umano. Randazzo, nutre la fame di conoscenza che ogni viaggiatore si porta dentro ma mostra un lato segreto che non e possibile rintracciare tra i normali documenti storici. Una “Randazzo Segreta” tra tradizione popolare, astronomia, e simboli. A questo proposito penso alle 99 Chiese presenti a Randazzo.

Risposta

Esatto, numero che ancora una volta ci conduce all’inseparabile legame con il cielo e al numero tre. Fu proprio mentre stavo cercando di evidenziare su una planimetria della città i punti corrispondenti alle chiese di Randazzo elencate nel manoscritto Storia di Randazzo del rev. Giuseppe Plumari, che notai che molte di esse erano dedicate alla Vergine Maria, al chè mi vennero in mente le cattedrali dell’Ile de France che, come evidenzia Luois Charpentier nel suo libro I misteri della Cattedrale di Chartres, disegnano al suolo la costellazione della Vergine.
La costellazione della Vergine e la seconda costellazione del cielo per dimensioni ed e immaginata come una donna alata che tiene nella mano sinistra una spiga di grano. Per uno strano motivo decisi di provare ad unire tra di loro i punti corrispondenti alle chiese dedicate alla Vergine Maria di Randazzo, e il risultato finale fu suggestivo.
Infatti notai che:

  • Porrima, Gamma Virginis, corrisponde alla Basilica minore di Santa Maria;
  • Theta Virginis coincide con la chiesa di Santa Maria della Volta;
  • Spica, Alfa Virginis, e in simmetria con la chiesa di Santa Maria dell’Agonia;
  • Zeta Virginis combacia con la chiesa di Santa Maria degli Ammalati;
  • Delta Virginis con la chiesa di Santa Maria di Loreto, oggi non piu esistente;
  • Kappa Virginis corrisponde alla chiesa di Santa Maria della Misericordia;
  • Tau Virginis con la chiesa Santa Maria di Gesu;
  • la stella 38 Virginis e coincidente con la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo;
  • la stella TYC 4953 1222-1 (nomenclatura di Tycho) collima con la chiesa di Santa Maria dell’Elemosina;
  • 49 Virginis e in simmetria con la chiesa di Santa Maria delle Grazie, abbattuta per costruirvi il convento di San Domenico;
  • la stella 61 Virginis e in simmetria con la chiesa di Santa Maria dell’Itria;

Domanda

Ulteriore prova della profonda devozione dei Randazzesi verso la Vergine Maria? Oppure ci troviamo davanti ad un progetto per la citta di Randazzo minuziosamente concepito dall’Ordine dei Cavalieri templari braccio armato dei Cistercensi e sempre presenti nei luoghi di culto mariani?

Risposta

Campanile Chiesa san Nicola – Randazzo

Manifestazione di Templari a Randazzo

Manifestazione di Templari a Randazzo

Una delle teorie più intriganti che riguarda questo Ordine e quello che furono loro o fornire ai costruttori delle cattedrali le tecniche costruttive basate sulle Leggi divine dei numeri, dei pesi e delle misure, riportate alla luce dagli stessi durante gli scavi sotto un’ala del palazzo di re Baldovino II, dove un tempo sorgeva il Tempio di Salomone.
Vi faccio notare che aggiungendo alle chiese precedentemente indicate anche quelle dedicate a santi cari ai Templari notiamo che la stella Zaniah Eta Virginis corrisponde alla chiesa del monastero di San Giorgio, inizialmente dedicato a Santa Maria Maddalena; la stella Beta Virginis e correlativa alla chiesa del Signore Pieta; la stella Epsilon Virginis corrisponde alla chiesa di San Giovanni Evangelista; la stella 16 Virginis coincide con la chiesa di San Michele Arcangelo, oggi Santuario della Madonna del Carmelo; 82 Virginis e in simmetria con la chiesa di San Martino; la stella 76 Virginis e relativa alla chiesa di Santo Stefano e la stella 95 Virginis e correlativa la chiesa di Santa Caterina (Catarinella), la similitudine tra la costellazione della Vergine e la disposizione delle chiese di Randazzo appare evidente.

Domanda

Si tratta di un progetto unitario o e solo frutto del caso?, Chi commissionò le chiese, chi progettò le chiese nella nostra Randazzo?

Risposta

Queste chiese furono edificate in un periodo, il Medioevo, in cui nell’edificazione delle chiese nulla era lasciato al caso ma essa comprendeva nella loro forma architettonica, un insieme di regole astronomiche, matematiche e geometriche, patrimonio delle corporazioni di costruttori, allo scopo di collegare il cielo con la terra.
Corporazioni in grado di realizzare opere prestigiose, in un’ epoca in cui le tecniche costruttive si limitavano all’uso del filo a piombo, della squadra, del compasso e della corda a dodici nodi.
Per poter comprendere gli edifici sacri medievali bisogna analizzare: le caratteristiche geometriche e matematiche degli stessi nonchè la loro orientazione rispetto alle direzioni astronomiche fondamentali, al cielo visibile all’epoca della loro fondazione o edificazione, in quanto la chiesa romana aveva stabilito delle regole fisse che dovevano essere seguite dal Maestro d’opera (l’architetto), ma questo non sempre avveniva in quanto ciascuna corporazione possedeva il proprio bagaglio di conoscenze e la propria simbologia astronomica che li contraddistingueva, conoscenze che erano tramandate da padre in figlio, da maestro ad apprendista.
Matematica, geometria, astronomia, perfezione delle forme sono in ogni linea di Randazzo.

Domanda

Matematica, geometria, astronomia, perfezione delle forme sono in ogni linea di Randazzo. Dove possiamo trovare quanto ci hai appena detto?

Risposta

Chiesa di Santa Maria – Randazzo

In tutte le chiese alto medievali della città.
Se permetti oggi vorrei parlare della chiesa di Santa Maria.
La chiesa oggi si presenta un tutt’uno con il suo campanile, ma inizialmente esso si distaccava dal prospetto della chiesa di 14 palmi siciliani.
Nel Medioevo, al contrario di oggi, i numeri avevano una rilevanza sacra, e erano utilizzati dai costruttori.
Considerando la chiesa nel suo nucleo principale essa risulta costruita su un modulo geometrico ad quadratum, in pratica si sviluppa seguendo un reticolo geometrico a modularità quadrata.
E inscritta in un rettangolo lungo 6 quadrati e largo 3 quadrati, in totale 18 quadrati (1+8=9). Da rilevare che la dimensione del rettangolo espressa in antichi palmi siciliani misura utilizzata in Sicilia fino al 1840: lunghezza 171 palmi siciliani (1+7+1= 9), larghezza 81 palmi siciliani (8+1=9); per di piu il lato dei quadrati risulta essere 27 palmi siciliani (2+7=9) mentre le diagonali misurano ciascuna 189 palmi siciliani (1+8+9=18 ovvero 1+8=9).
Il nove e tre volte sacro; nella cabala questo numero esprime la sintesi perfetta del Cosmo; esso esprime e rappresenta il rapporto tra Dio e l’uomo.
Numero che fu importante anche per i Templari infatti: nove furono i primi cavalieri che fondarono l’Ordine; la Regola Templare, redatta da San Bernardo, era composta da settantadue articoli (7+2=9) e l’articolo II prevedeva che all’ora del Vespro i Cavalieri dovevano recitare nove Pater; l’ordine templare era diviso in nove province.

Domanda

Qual e il legame tra l’astronomia e la chiesa oltre a quello dei numeri e delle caratteristiche costruttive.

Risposta

In tutti i tempi l’astronomia e stata una parte essenziale dell’architettura.
Come detto precedentemente la costruzione di una chiesa doveva soggiogare a regole ben precise di orientazione del suo asse longitudinale.
Anche l’asse di orientazione di una chiesa, nella direzione che parte dalla porta d’ingresso e continua verso abside, ha il suo particolare valore di azimut.
L’ asse della chiesa di Santa Maria e diretto verso un punto dell’orizzonte naturale locale spostato di 80gradi rispetto al Meridiano locale o Nord geografico.
Questa direzione dell’asse della chiesa nel XIII secolo, epoca in cui fu edificata la chiesa, corrispondeva al punto di levata del Sole all’orizzonte naturale locale in due date durante l’anno, e cioè quella del 3 aprile e quella del 28 agosto (calendario giuliano).
La data in agosto non e rilevante, mentre .quella del 3 aprile potrebbe essere collegata con la direzione lungo la quale si poteva osservare sorgere il Sole nella domenica di Pasqua sull’orizzonte naturale in questi anni.
Considerando che i lavori per la costruzione del tetto della cripta iniziarono nel 1214, è possibile che il rito di fondazione della chiesa potrebbe essere avvenuto la domenica di Pasqua del 3 aprile del 1211, quindi quest’anno la chiesa festeggia il suo ottava centenario.
I costruttori delle cattedrali, no ma non solo, come vedremo, al fine di legare le stesse al luogo in cui sorgevano, inserirono nella struttura architettonica il valore angolare della latitudine del luogo, nella chiesa di Santa Maria la diagonale della stessa apre un angolo con la linea equinoziale pari a 38 gradi latitudine della città, ma i costruttori inserivano anche l’angolo riguardante le culminazioni solari.
Alla latitudine di Randazzo il Sole, al solstizio d’estate, culmina ad un’altezza pari a 75 gradi, agli equinozi culmina ad un’altezza pari a 52 gradi ed infine al solstizio d’inverno culmina ad un’altezza pari a 28 gradi.
Vediamo dove i costruttori hanno inserito questi valori.
La diagonale della chiesa apre un angolo con l’asse longitudinale della stessa di 28 gradi, pari alla culminazione del Sole al solstizio d’inverno.
L’abside e alta 75 palmi siciliani pari alla culminazione del Sole al solstizio d’estate, mentre le due absidiole sono alte 52 palmi siciliani pari alla culminazione del Sole agli equinozi.
Se dalla cima del vecchio campanile tracciamo una linea immaginaria sino alla soglia della porta d’ingresso (sempre prima dell’ampliamento), tale linea aprirà un angolo di 75 gradi, pari alla culminazione del Sole al solstizio estivo.
Mentre se dalla cima dello stesso tracciamo un’altra linea immaginaria sino all’estremità dell’abside, otteniamo un angolo di 28 gradi, pari alla culminazione del Sole al solstizio invernale.
Questo dimostra che il campanile fu progettato e costruito contemporaneamente alla chiesa.

Domanda

Conoscenze costruttive che possono quindi essere anche riportate ai Templari? A Randazzo sono presenti segni visibili che possono testimoniare la presenza dei Templari nel nostro paese?

Risposta

Alcuni segni visibili riconducibili ai Templari ancora oggi si possono ammirare tra le decorazioni poste sopra i timpani delle trifore della cella campanaria del campanile di San Martino, dove sul lato settentrionale e stata scolpita una Stella di Davide o Sigillo di Salomone, essa cominciò a comparire in molte chiese cristiane soltanto in epoca medievale e i primi ad utilizzarla furono proprio i templari, nel nostro caso la stella e ruotata di 90, formando una M, un chiaro riferimento alla Vergine Maria, verso la quale i cavalieri Templari nutrirono una profonda devozione.
Un altro simbolo che i templari portarono dalla Terra Santa in Europa e utilizzarono nei loro edifici fu anche il Fiore della Vita, che ritroviamo scolpito accanto alla stella di Davide ma anche sul lato meridionale ed occidentale.
Notai che essi non furono scolpiti a caso infatti,  i Fiori posti sui lati meridionali e settentrionali furono scolpiti in modo tale che i petali indicassero le direzioni cardinali Sud e Nord, mentre quello collocato sul lato occidentale fu scolpito in maniera tale che i petali indicassero la direzione cardinale Ovest.
Altri segni si trovavano sulla facciata della chiesa di Santo Stefano, di essa rimangono un disegno della sua facciata, fatto eseguire dal rev. Giuseppe Plumari; esaminandolo con attenzione, richiama lo sguardo il bassorilievo dell’Agnus Dei scolpito nella lunetta del portale ogivale, un elemento tipico dell’iconografia templare, presente in molte chiese attribuite ad essi ed utilizzato come uno dei sigilli nei loro documenti; e il viso femminile posto subito sopra il portale che, a mio avviso, raffigura il volto della Vergine Maria.

Domanda.

Certamente ritorneremo a parlare nuovamente ampliando l’argomento ma prima di salutarci una tua riflessione sulla città che ti ha dato i natali e dovuta.

Risposta

Questa città e i suoi monumenti nonostante siano passati molti secoli dalla sua edificazione  e molto si e scritto, è ancora in grado di stupirci poichè essa parla a chi la sa ascoltare.

F.to Beppe Petrullo

 

CONSUETUDINI DI RANDAZZO di Angela Militi

” Era il 26 ottobre del 1466, quando il viceré Lupum Ximenez d’Urrea approvava, per la prima volta, le Consuetudini di Randazzo, un sistema di norme civili – composte da 58 articoli – che regolavano la vita comunitaria della città.
Le stesse furono redatte durante «un Consiglo generale in locu» e sottoposte allo stesso viceré per la conferma, il 6 giugno dello stesso anno, dal reverendo Jaymum de Citellis, arcipresbitero della terra di Randazzo e dal nobile Michaelem la Provina «sindicos et ambaxiatores universitatis terre Randacii» (La Mantia V., Consuetudini di Randazzo, Palermo, 1903, p. 1).

Le Consuetudini di Randazzo, come in tutte le altre città siciliane, rimasero in vigore fino al 1819, anno in cui fu promulgato il Codice per lo Regno delle due Sicilie.
In particolare l’articolo 3 della legge del 21 maggio, emanata da Ferdinando I di Borbone (1751-1825), disponeva che: «Dal giorno indicato nel precedente articolo [1 settembre dell’anno] le leggi romane [cioè il diritto comune], le costituzioni, i capitoli del regno, le prammatiche, le sicule sanzioni, i reali dispaci, le lettere circolari, le consuetudini generali e locali, e tutte le altre disposizioni legislative cesseranno ne’ nostri dominj al di là del Faro di aver forza di legge nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute nel mentovato codice per lo regno delle Due Sicilie» (Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1848, Parte Prima , p. 288).

La prima, e unica, edizione del testo delle Consuetudini di Randazzo, fu curata da Vito La Mantia, giurista e storico italiano e stampata a Palermo presso lo Stabilimento Tipografico di A. Giannitrapani, nel 1903.
Questo documento, prezioso testimone della memoria storica – stranamente mai menzionato dal reverendo Plumari –, fu rinvenuto, dal giurista, nel corso delle sue ricerche, in un volume della Regia Cancelleria, conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo.

Oggi, questa edizione, è quasi introvabile e poche sono le biblioteche* che ne possiedono una copia e poiché essa, fornisce un prezioso contributo alla conoscenza della storia della nostra città, in quanto ci fa conoscere meglio i nostri avi e le leggi da loro enunciate per regolare il quieto vivere della comunità, ho deciso di condividere questo libro con tutti voi.

*Biblioteca regionale universitaria di Catania
Biblioteca nazionale centrale di Firenze
Biblioteca del Dipartimento di diritto privato e storia del diritto dell’Università degli studi di Milano
Biblioteca della Società napoletana di storia patria di Napoli
Biblioteca centrale della Regione siciliana Alberto Bombace di Palermo
Biblioteca Etnografica Giuseppe Pitré di Palermo
Biblioteca statale del Monumento nazionale di Grottaferrata – RM –
Biblioteca di Studi meridionali Giustino Fortunato di Roma
Biblioteca Centrale Giuridica di Roma

Biblioteca Universitaria di Sassari”

Libro “Consuetudini di Randazzo” di Vito La Mantia

segue

 

Approfondimenti

  Chartres. La cattedrale e la città vecchia (Attinenza: 13%): La cattedrale di Notre Dame di Chartres, l’emblema del gotico 
  Abbazia delle Tre Fontane (Roma) (Attinenza: 13%): L’Abbazia dei Santi Vincenzo ed Anastasio alle Tre Fontane, un autentico gioiello dell’architettura medievale cistercense 
  Blera, la città altomedievale – Scavi in località Petrolone (Attinenza: 13%): Gli scavi in loc. Petrolone Viterbo sono stati intrapresi nel 1998 dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (Dipartimento di Scienze Storiche Archeologiche e Antropologiche dell’Antichità, Cattedra di Archeologia Medievale 
  Federico II e i Templari (Attinenza: 13%): Il rapporto basato sull’analisi storica tra Federico II e i Templari

 

 

2008

  • Militi A., L’opposizione perielica di Marte, in “Linguaggio Astrale. Pubblicazione Trimestrale del Centro Italiano di Discipline Astrologiche”, Anno XXXVIII, N. 152, 2008, pp. 14-25 (Articolo su rivista).

 

2010

  • Militi A., Randazzo Segreta. Astronomia, Geometria Sacra e misteri tra le sue pietre, in “Due passi nel mistero”, febbraio 2010 (Articolo su sito web)
  • “Una Randazzo segreta? Il racconto del passaggio dei cavalieri templari”, intervista a cura di Ornella Lodin pubblicata sul sito web “Tifeo Web”,l’8 novembre 2010 e sul sio web “Maletto Web Community dell’Etna”il 16 novembre 2010.
  • Militi A., L’epigrafe della Basilica Minore di Santa Maria in Randazzo. Esegesi di una data, Venezia, 2010 (ISBN 978-88-905390-0-8)

2011

  • Militi A., I Cavalieri Templari e il codice stellare della Vergine a Randazzo,in “spHera”, Anno II, n. 1, Gennaio 2011, pp. 44-47 (ISSN 2038-257X) (Articolo su rivista)
  • Randazzo Segreta. Tra la Francia e la Sicilia, intervista a cura Beppe Petrullo pubblicata sul sito web “Il Portale Medievale”, settembre 2011.

2012

  • Militi A., Randazzo Segreta. Astronomia, Geometria Sacra e misteri tra le sue pietre, Acireale –Roma, Tipheret, 2012 (ISBN 978-88-6496-080-7)

2013

2014

  • Militi A., I Misteri di Randazzo, in “Miti e Misteri”, 10 gennaio 2014 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Basilica minore di Santa Maria in Randazzo: le due epigrafi commemorative, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 2 febbraio 2014 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Anima Templi in Sicilia, in “Siciliafan”, 22 febbraio 2014 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Sant’Agata: storia di una chiesa scomparsa, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 15 agosto 2014 (Articolo su sito web)
  • “Una Randazzo segreta? Il racconto del passaggio dei cavalieri templari”, intervista a cura di Ornella Lodin pubblicata su “Nuove Pagine”, settembre 2014

2015

  • Militi A., Rocca Pizzicata (Roccella Valdemone, Me): un probabile sito protostorico di osservazione astronomica, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 16 gennaio 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Analisi archeoastronomica delle chiese di San Martino e San Vito a Randazzo, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 8 febbraio 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Il campanile della chiesa di San Martino a Randazzo, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 14 febbraio 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Un Giovanni molto femminile in un’opera del Gagini, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 23 febbraio 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Una “Ile de France” italiana, in “Luoghi Misteriosi”, 27 febbraio 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Una nuova proposta interpretativa sui resti architettonici di via Orto, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 1 marzo 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., L’iscrizione del palazzo Clarentano a Randazzo: nuova lettura e interpretazione, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 13 marzo 2015 (Articolo su sito web)
  • Militi A., Un singolare bassorilievo, in “Randazzo segreta” e “Academia”, 16 marzo 2015 (Articolo su sito web)

2016

La Settimana Santa

tradizioniSettSanta - foto

La tradizione nella Settimana Santa a Randazzo

Pubblicazione curata dalla IV^ A  Anno 1 n. 6 IPSIA  “E. Fermi” — Randazzo     Giugno 2000

Più che alla storia e ai monumenti, di cui esistono molte valide e approfondite pubblicazioni, abbiamo deciso di dedicare il numero di giugno di IPSIA NEWS esclusivamente alle tradizioni popolari di Randazzo e in particolare alla tradizione nella Settimana Santa.
Purtroppo molte tradizioni via via si sono perse, travolte dalla nostra moderna società.
Le nuove generazioni non hanno trovato interesse a riprenderle e farle rivivere anche perché la gran parte di esse era legata a una civiltà contadina ormai scomparsa.
Nonostante ciò la tradizione nella Settimana Santa, espressione della fede popolare, ancora oggi viene vissuta dagli abitanti del paese, anche da parte delle nuove generazioni, con una intensità e una partecipazione significative.
Gli animatori e i custodi principali della tradizione nella Settimana Santa a Randazzo sono le Confraternite.
Nel passato le Confraternite assumevano nomi diversi in base alla classe sociale di appartenenza dei confrati.
Si distinguevano infatti:

  –  Le Società, che riunivano persone appartenenti alle classi sociali più povere.

  –  Le Confraternite, che riunivano persone appartenenti alle classi sociali che avevano una certa disponibilità economica.

  –  Le Arciconfraternite, che riunivano persone appartenenti alle classi sociali più elevate.

Ogni Confraternita era legata a una Chiesa.
Randazzo, tra grandi e piccole, aveva moltissime Chiese, molte delle quali andate distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale (luglio 1943).
Comunemente si pensa che furono i Padri Gesuiti, che avevano il loro Collegio nell’attuale via Umberto al numero civico 165 (ancora oggi al primo piano ne è visibile lo stemma), a diffondere presso le Chiese di Randazzo, a partire dal 1600, Società, Confraternite e Arciconfraternite.

CURIOSITA’: Le Confraternite sono solo maschili. Non è documentata l’esistenza di Confraternite femminili.

Unica testimonianza, di cui non c’è riscontro in altri documenti, è quella di Salvatore Cucinotta il quale nella sua opera “Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento” edizioni storiche Siciliane, Messina 1986, a pag 140 afferma che:

“A Randazzo, in diocesi di Messina, esisteva nel 1591 la confraternita di S. Giacomo di li fìmmini “ Le Confraternite erano quindi operanti a Randazzo ben prima del 1600.

 

Venerdì Santo – 1979. foto di Salvatore Munforte

 

foto di Vincenzo Rotella – Venerdì Santo del 27.03.1970 Randazzo

 

 

Nella sua tesi di laurea in diritto ecclesiastico, dal tema   “Le Confraternite di Randazzo nella Storia e nel diritto ecclesiastico” discussa all’Università di Bologna nel 1937, relatore il Prof. Cesare Magni, il defunto barone Francesco Fisauli, citando degli atti notarili conservati presso I ‘Archivio Comunale di Randazzo (andato in gran parte distrutto con i bombardamenti del 1943), attesta che già dal XIV secolo a Randazzo le Corporazioni (o Artes o Scholae) di arti e mestieri avevano fatto costruire a loro spese piccole Chiese sia nelle zone periferiche entro le mura della città, sia in zone fuori le mura della città.
Queste Chiese non dipendevano dal Clero.
Le funzioni religiose erano celebrate da un cappellano stipendiato dalle Corporazioni e quindi non dipendente dall ‘Arcivescovado di Messina. I soci vi si riunivano per pregare, per seppellirvi nelle cripte i loro morti e per discutere liberamente dei loro problemi. I beni di queste Chiese e quindi delle Confraternite andavano aumentando sempre più per i lasciti dei confrati. Le proprietà terriere erano costituite soprattutto da “orti di gelso richiestissimi a Randazzo per la fiorente attività collegata alla coltura del baco da seta.
Il nome Confraternite (dal latino “cumfrater”) risale al XVI secolo. Prima di questa data, afferma il Fisauli, le Confraternite erano dette “case “; questa definizione si trova in tutti i testamenti del 1500 nei quali il testatore indicava la “casa “ o confraternita che doveva essere chiamata a recitare le preghiere ai suoi funerali.
Il nome “casa ” derivava dal piccolo oratorio che ogni Chiesa aveva.
L ‘oratorio era tanto umile da essere definito appunto “casa”; nel XVI secolo la “casa ” venne chiamata “domus disciplinantium” (casa degli educanti). La “casa” era utilizzata anche come piccolo ospedale sia per i confrati che per i pellegrini.
Elenca il nome di quindici “Case ” o Confraternite ed espressamente afferma che ve ne erano anche altre. Eccone i nomi:

  • Nel 1505 esistevano già le Confraternite di:
    Maria SS.ma Annunziata,
    Maria SS.ma della Misericordia (che nel 1627 diventerà Arciconfraternita del SS. Crocefisso in S. Martino),
    S. Barbara,
    Spirito Santo,
    S.   Maria de Itria,
    S. Margherita,
    S. Giovanni Evangelista,
    Tutti Santi,
    S. Anna,
    SS. Trinità.
    Lungo il XVI secolo vengono fondate quelle di:
    S Maria di Loreto,
    S. Maria della Carità,
    S.Sebastiano.
    Lungo il XVII secolo quelle di:

    Signore della Pietà,
    SS Rosario.

 

 

Queste affermazioni il Fisauli le documenta soprattutto con gli Atti notarili conservati nell ‘Archivio Comunale di Randazzo, andato in gran parte distrutto a causa dei bombardamenti del 1943.
Da altri elenchi si possono conoscere i nomi di altre confraternite: S. Pietro, S. Vito, S. Giacomo

Tutte le Confraternite avevano soprattutto uno scopo: stimolare i soci alla pratica religiosa e all’assistenza verso i confrati.

Il Codice di diritto Canonico al canone 685 afferma che le Confraternite hanno lo scopo: 

       “vel ad perfectiorem vitam christianam inter socios promovendam, vel ad aliqua pietatis aut charitatis opera exercenda, vel denique ad incrementum publici cultus”
(o a promuovere tra i soci una più perfetta vita cristiana, o a esercitare opere di pietà o di carità, o a incrementare infine la pubblica devozione).

L’appartenenza a una Confraternita nel nostro tempo non sembra più avere un senso, ma nel tempo passato era ritenuta importantissima per vari motivi. Ne citiamo alcuni:

non esistendo l’INPS o il servizio sanitario pubblico, il confrate si assicurava un’assistenza al momento del bisogno, soprattutto in punto di morte.
  –  non esistendo i cimiteri, il confrate assicurava a sé e ai suoi familiari un posto dove essere seppellito.

  –  data l’importanza che la Religione rivestiva sia nella vita pubblica che nella vita privata, il confrate aveva il privilegio di acquistare delle indulgenze parziali o plenarie in determinate circostanze. (l’indulgenza plenaria cancella tutta la pena, l’indulgenza parziale cancella  parte della pena che deve essere scontata per i propri peccati veniali in Purgatorio).
  –  Anche oggi alcune Confraternite, soprattutto le Arciconfraternite, assicurano ai loro aderenti una sepoltura al cimitero comunale di  Randazzo nelle Cappelle di proprietà.
  –  Tutte fanno celebrare tre SS Messe in suffragio delle anime dei confrati, subito dopo la loro morte, e ne accompagnano la salma al  cimitero.

CURIOSITA’:
Le due Arciconfraternite e la Società di S. Giovanni Battista possiedono nel Cimitero di Randazzo una Cappella ciascuna.

La più antica è quella dell ‘Arciconfraternita delle SS. Anime del Purgatorio di S Nicola, la più recente quella della Società di S. Giovanni Battista in S. Martino.

Non sappiamo con precisione quando fu “inaugurato ” il Cimitero di Randazzo. Sappiamo però che la lapide più antica, ancora esistente nella zona pericolante che dovrebbe essere restaurata, porta la data 1836.
Probabilmente a partire da questa data i defunti dovettero essere tumulati obbligatoriamente nel Cimitero e non più nelle cripte delle Chiese.
Le cripte più utilizzate a Randazzo negli ultimi tempi erano quelle di S. Maria di Gesù (S. Maria Giesu), vicino a S. Pietro e quella di S. Francesco d’Assisi, che si trovava nel piazzale rialzato di Piazza Municipio.
Ambedue queste Chiese sono state distrutte dai bombardamenti del 1943.
Le famiglie benestanti usavano le cripte delle piccole Chiese di loro proprietà.
Nella Cappella del cimitero di Randazzo di proprietà dell ‘Arciconfraternita delle SS. Anime del Purgatorio di S. Nicola il loculo più antico porta la data 1939.
Questo non significa che i confrati deceduti incominciarono ad essere tumulati a partire da questa data. Infatti sotto il pavimento della Cappella vi sono due grandi stanze piene di bare, accatastate le une sopra le altre.
Sotto la Cappella dell ‘Arciconfraternita del Crocifisso vi è una sola stanza con le bare accatastate.
La Cappella della Società di S. Giovanni Battista, costruita dopo la seconda guerra mondiale, ha solo loculi, in tutto 198. La lapide più antica porta la data 1951.
Sono ormai pochi coloro che chiedono di essere seppelliti nelle cappelle delle Confraternite, che del resto oggi si presentano in stato di abbandono, ad eccezione di quella della Società di S. Giovanni Battista che è stata restaurata.

(*) Fino al 1928 il Regno d’Italia demandava alla Chiesa I ‘anagrafe dei nati, dei matrimoni e dei morti.
A partire dal 1928 1’ufficio di anagrafe, per legge, fu regolamentato dai Comuni. Prima di questa data ad esempio nessun ufficio era in grado di rilasciare uno Stato di famiglia.

Durante i riti della Settimana Santa dell’anno 2000, da lunedì 16 a sabato 22 aprile, con il loro tradizionale palio hanno sfilato a Randazzo:

  –  La confraternita di Maria SS Addolorata in S. Pietro, che un tempo riuniva braccianti e contadini.

 –  La confraternita dell’Addolorata, che precedentemente si chiamava Confraternita di Maria SS.ma degli Agonizzanti, non possiede alcun documento manoscritto che ne attesti la data di fondazione. Ha solo un recente dattiloscritto in cui tra l’altro si legge: data di fondazione 20 luglio 1834; data di autorizzazione da parte di Ferdinando II, re delle due Sicilie, 13 febbraio 1836.

  –  La confraternita di Maria SS Annunziata della Chiesa dell’Annunziata (fondata il 25 maggio 1686), che un tempo riuniva massari, inquilini, mezzadri e gabelloti, contadini cioè che avevano un reddito maggiore rispetto agli aderenti alla Confraternita dell’Addolorata.

CURIOSITA’: Massari, inquilini, mezzadri e gabelloti erano contadini che oltre i terreni di loro eventuale proprietà, coltivavano in proprio anche i terreni avuti in affitto dai “Cavalieri” ai quali versavano un canone o in denaro o in prodotti della terra; in quest ‘ultimo caso il canone veniva detto ” tirraggiu ” o ” cuvirtura.

Tirraggiu o cuvirtura variavano in base alla fertilità del suolo.

A cuvirtura ” ad esempio variava da mezza a due; chi pagava un canone di ” ‘na cuvirtura doveva versare Kg. 16 di grano per ogni “tumuru ” di terra. A Randazzo un “tumuru ” di terra equivale a l. 091 metri quadrati.

  –  la confraternita del S. Cuore, costituita il 12 novembre 1950, lasciata chiudere dagli stessi confrati nel 1966 e ricostituita nel 1999.

 –  l’arciconfraternita del SS Crocefisso in S. Martino (fondata il 12 gennaio 1627 con la incorporazione della Confraternita di Maria SS.ma della Misericordia), che un tempo riuniva artigiani ( “a mastranza” ) e “Cavalieri” legati alla nobile famiglia dei Vagliasindi;

  –  l’arciconfraternita del SS Crocefisso in suffragio delle Anime Sante del Purgatorio in S. Nicola di Bari (fondata il I luglio 1632), che un tempo riuniva artigiani ( “a mastranza” ) e “Cavalieri” legati alla nobile famiglia dei Fisauli;
 

Confraternita Sacro Cuore di Gesù – Randazzo


CURIOSITA‘:
l’arciconfraternita del SS Crocifisso e l’arciconfraternita delle SS. Anime del Purgatorio di S. Nicola fino al 1866, anno in cui anche i beni di queste associazioni vennero incamerati dal Regno d’Italia, erano molto ricche.

In quei lontani anni il bilancio del Regno d’Italia assommava a lire cinquantamilioni circa. La sola arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola aveva rendite annue o “canoni derivanti da terreni e fabbricati, per una somma di lire tremila.

Gli introiti dovevano essere spesi in beneficenza e in “legati ” o obblighi di spesa, indicati dal benefattore che lasciava le sue eredità alle Confraternite.

Nella sua già citata tesi di laurea, Francesco  Fisauli afferma che le Confraternite più ricche si obbligavano a:

  –  distribuire onze 18 annuali ai più poveri (9 onze a Pasqua e 9 a Natale);

  –  dare un vestito di lana -una tantum- ai poveri bisognosi;

  –  dare il vitto ai bisognosi nelle giornate di Natale, Carnevale e Pasqua;

  –  dare 10 onze all’anno ai poveri carcerati

Francesco Fisauli cita anche alcuni atti notarili del notaio Antonio Currenti del 13 novembre 1569 e del 23 maggio 1600

In quello del 1569 la Confraternita di S. Pietro e altre confraternite si impegnavano, ciascuna per conto proprio e per 4 anni consecutivi, a dare 10 onze di dote per il matrimonio di un ‘orfana “vergine, povera e figlia di confrate”

In quello del 1600 la Confraternita della SS. Trinità si impegnava a dare 10 onze di dote per il matrimonio di un ‘orfana “magis formosa et periculosa”.
In questo stesso atto vi è espressamente detto che qualsiasi intromissione dell’Arcivescovo di Messina nella designazione dell ‘orfana “magis formosa et periculosa” rendeva nulla la scelta.
Tolta la confraternita del S. Cuore che, in quanto nuova, non ha un ruolo tradizionale alle spalle, le altre quattro confraternite hanno a turno la regia delle processioni nei vari giorni della Settimana Santa.
E tutte fanno a gara a chi organizza la migliore processione con i migliori “figuranti” possibili.
Ad eccezione della confraternita dell’Addolorata, le altre confraternite consentivano solo ai soci e ai parenti dei soci il privilegio di ricoprire i vari ruoli dei figuranti; oggi essi hanno solo la precedenza sulle richieste dei non soci.
La confraternita dell’Addolorata invece metteva e continua ancora oggi a mettere all’asta i ruoli dei figuranti, ad eccezione dei “babaluti“, di cui parleremo più avanti.
Era questo un modo per la Confraternita, un tempo la più “povera”, di reperire ulteriori risorse economiche dato che le modeste contribuzioni annuali dei confrati erano insufficienti a coprire le spese che dovevano essere affrontate.
Una notazione, prima di iniziare a parlare dei figuranti: venendo a mancare una precisa conoscenza e un devoto amore per la tradizione storica, molti piccoli ma significativi particolari, come vestiti, colore dei vestiti, modalità di vestire… potrebbero perdersi, cedendo il posto a generiche “innovazioni”.
Il nostro lavoro vuole anche essere un modesto contributo offerto alle Confraternite, perché custodiscano gelosamente la tradizione e impediscano che essa si perda o venga stravolta.
In ogni caso, e su questo siamo sicuri che tutti ne convengono, qualunque “innovazione” deve essere introdotta dopo attento studio della tradizione, soprattutto spagnola. 

 

I due “Gonfaloni” della Settimana Santa custoditi dalla Confraternita dell’Annunziata

 

I “BABALUTI”

 

Confraternita di S. Pietro con Palio e Confraternita di S. Pietro con Croce e sergentina Nicodemi

 

Cristo alla Colonna.

 

Veronica e tre Marie con “capurra” – Pie donne con “fazzurituni”

 

Le Tre Marie con la tradizionale “capurra”

 

I “figuranti” sono:
  –  Due Nicodemi che scortano la Croce.
Rappresentano Nicodemo, che aiuta Gesù a portare la Croce e Giuseppe d’Arimatea che aiuta a deporre Gesù dalla Croce.
Indossano pantaloni di velluto o di seta damascata a mezza gamba, chiusi con un bottoncino dorato e una giacca di velluto di colore bordeaux, ma anche verde o blu, impreziosita da fili di oro, pizzi, merletti e ricami. Pantaloni e giacca possono essere dello stesso colore o di colore contrastante.
Sotto la giacca un tempo indossavano un gilè dello stesso colore dei pantaloni, arricchito con preziosi ricami. Oggi la giacca è chiusa con bottoni o alamari dorati e quindi il gilè è scomparso. In testa portano un turbante di seta guarnito di oro e piume di pavone. Fino a qualche anno addietro portavano la “gorgiera”, il classico colletto spagnolo formato da rotondeggianti pizzi.
Sulla spalla tengono una scaletta di legno, simbolo della loro funzione.
Gli ori e i brillanti che arricchiscono il loro turbante vengono messi a disposizione per la circostanza da parenti e conoscenti.
Una volta era la confraternita a conservare i costumi e a metterli a disposizione dei figuranti della Settimana Santa, oggi sono le famiglie degli stessi Nicodemi a confezionarli o a farli confezionare.
  –   S. Giovanni Battista, impersonato da bambini solo maschi con rigorosi capelli ricci (naturali o con parrucca) e che non superano i quattro anni di età.
Sono vestiti di una tuta di lana rosa-carne con a tracolla la pelle di un agnellino immacolato (guai ad esserci anche una piccola macchia!); nelle mani portano una piccola croce con la scritta “Ecce Agnus Dei” e un agnello in peluche. In testa hanno un’aureola dorata; ai piedi portano sandali dorati alla schiava intrecciati.
  –   Angeli, impersonati da bambini maschi o femmine che non superano i tre anni di età.
Sono vestiti di una tunica o bianca o rosa o azzurra con alle spalle le ali. In testa portano una coroncina dorata di stelle; in mano un calice. La tunica e le ali sono impreziositi da fili dorati e stelline

  –  la Veronica e le tre Marie (Marta, Maria, Maddalena). 

Se vengono impersonate da bambine fino a dieci anni di età, vestono:  un abito lungo nero con pieghe davanti e il colletto rotondo bianco, simile al classico vestito di Santa Rita; un velo tutto nero (o con esterno nero e interno bianco) da suora che scende dal capo sulle spalle; un’aureola argentata sulla testa.
La Veronica porta in mano un telo di lino con dipinto il volto di Gesù, mentre le tre Marie portano un fazzolettino bianco ricamato.

CURIOSITA’: La tradizione di vestire la Veronica e le tre Marie da suore e precisamente da monache benedettine, è secolare.
A Randazzo infatti erano le suore benedettine a preparare le giovinette alla Settimana Santa e le vestivano con i loro abiti.
Soppressi i Monasteri nel 1866, la tradizione non venne abbandonata.
La Confraternita delle SS Anime del Purgatorio veste le tre Marie in maniera diversa dalla Veronica e precisamente: un vestito di raso (un tempo era di seta o di damasco) di colore diverso per ogni Maria (azzurro, rosa, viola); un grande pizzo nero, che partendo dalla testa, adornata da un’aureola argentata, ricopre le spalle.

CURIOSITA: Il pizzo è ripreso dalla tradizione spagnola e ancora oggi qualcuno lo chiama “capurra”.
Nei secoli passati e fino alla seconda guerra mondiale, la “capurra” era uno dei doni che la novella sposa riceveva dalla famiglia del marito.
Nelle processioni di quest ‘anno (2000) abbiamo potuto vedere con i nostri occhi preziosissime “capurre più che centenarie.
Fino alla seconda guerra mondiale e anche oltre, la “capurra” era portata in processione solo dalle Veroniche delle Arciconfraternite, in quanto figlie di benestanti.
Le Veroniche delle Confraternite utilizzavano “u fazzurituni” una più umile grande stoffa quadrata, simile a un gran foulard, di colore scuro che, piegato a triangolo, veniva messo in testa e fatto scendere sulle spalle.
Il pizzo nero è proprio della tradizione spagnola, per la quale il colore del lutto è il nero.
Da circa cinque anni qualche confraternita consente alle figuranti di portare il velo bianco, rifacendosi alla tradizione più antica, quella arabo-musulmana, per la quale il colore del lutto è il bianco.

Se a impersonare la Veronica e le tre Marie sono ragazzine con più di dieci anni di età.

l’Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola le associa al gruppo delle Pie donne e le veste in questo modo:

La Veronica: un vestito di velluto nero con inserti bianchi; in testa la “capurra”; ai piedi sandali romani; nelle mani il telo di lino con impresso il volto di Gesù.
Le tre Marie: un vestito di lino grezzo; una mantella di velluto con colori diversi per ogni Maria (marrò, bordeaux, verde scuro); la “capurra” in testa senza aureola; sandali romani ai piedi.

L’ Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Martino veste:

La Veronica con il vestito di S. Rita con in testa “fazzurituni” e in mano il telo con il volto di Gesù.
Le tre Marie e le Pie donne con un vestito di raso di colori diversi e in testa “fazzurituni”

  —  Cristo alla colonna, o “Cristu a’ curonna” che procede da solo, a centro strada, portando un piccolo bastone dietro le spalle. Rappresenta il momento della flagellazione di Gesù.

  —  Cristo coronato di spine, o “Cristu a’ canna” che procede come sopra con una canna in mano. La canna rappresenta lo scettro che i soldati diedero in mano a Gesù, dopo averlo incoronato di spine e coperto con un mantello rosso.

  —  Cristo Che porta la Croce, o “Cristu a’ cruci” che procede portando la Croce, unitamente ai due ladroni (in questi ultimi anni sfila in mezzo a due soldati).

I figuranti dei punti  5 — 6 — 7  fino ad alcuni anni addietro erano chiamati “babaluti”, perchè vestiti di bianco e con il volto coperto da un copricapo a cono rovesciato anch’esso bianco. Il copricapo presentava due fessure in corrispondenza degli occhi.
Cristo coronato di spine rispetto alle altre due figure portava sulle spalle una mantelletta rossa.
Cristo che porta la Croce era scortato dai due ladroni, anch’essi vestiti da “babaluti”

I “babaluti” erano espressione di una mentalità popolare molto diffusa: la figura del Cristo non poteva prendere il volto di una persona comune.
Questo “rispetto” ora non c’è più e quindi chi impersona il Cristo mostra anche il proprio volto.

Nota importante: I figuranti delle varie confraternite possono sfilare solo nel giorno in cui la loro confraternita organizza la processione. La sera del Venerdì Santo invece tutte le Confraternite possono portare con sé i loro figuranti ad eccezione dei due Nicodemi, del Cristo alla colonna, del Cristo alla canna, del Cristo che porta la Croce, che devono essere obbligatoriamente quelli della Confraternita che organizza la processione. Poiché queste ultime tre figure non si trovano facilmente, quest ‘anno le ha presentate soltanto la Confraternita dell’Annunziata, che le ha fatto sfilare anche la sera del Venerdì Santo.

Da quindici anni a questa parte, le confraternite, hanno aggiunto altri figuranti e precisamente:

  –  le pie donne, vestite con tessuto di raso tutto di un colore, con mantella di velluto blu e con la”capurra” o il “fazzurituni”

  –  i dodici apostoli, rappresentati da altrettanti ragazzini vestiti con lunghe tuniche di colore scuro e un mantello di colore contrastante.

  –  Pietro, rappresentato da un bambino che veste una tunica di colore scuro con in mano un gallo di peluche.

  –  due “paggi” che portano su un cuscino di velluto rispettivamente una piccola lancia e i chiodi; sono vestiti con raffinati costumi spagnoli di velluto verde con intarsi di pizzo e guarniti con fili in oro antichizzato; al collo la “gorgiera” di cui abbiamo detto.

Come si può ben notare i figuranti della Settimana Santa sono carichi di una simbologia molto istruttiva che possiamo impropriamente definire la Bibbia dei poveri, come i grandi affreschi delle cattedrali medievali che istruivano il popolo su episodi della Sacra Bibbia o della vita dei Santi.

A nostro modesto parere questa caratteristica della tradizione dovrebbe rafforzare nel Clero l’idea di sostenerla e valorizzarla, per coinvolgere centinaia di persone di tutte le età nella celebrazione e nella rievocazione dello spirito della Settimana Santa e per raggiungere le menti e i cuori di tanti che vivono lontano dalla Chiesa.
Mantenendo viva la tradizione, il Clero contribuisce inoltre a coltivare la memoria storica, fondamentale per non smarrire, specie nel nostro tempo, l’identità propria e della comunità in cui si vive.

Immagini della Settimana Santa – foto di Pippo Dilettoso

     
     
 

 

 

Esaminiamo ora i singoli giorni della Settimana Santa.

Lunedì Santo

E’ il giorno della Confraternita dell’Addolorata che ha sede in S. Pietro.

Partecipano alla processione le Amministrazioni delle altre Confraternite, ma non delle Arciconfraternite.
Ogni Amministrazione è composta da un Governatore (detto anche Rettore), da un Primo Assistente e da un Secondo Assistente.

CURIOSITA’: Il Governatore o Rettore delle due Arciconfraternite un tempo doveva obbligatoriamente essere un “Cavaliere “.

Nella Confraternita del S. Cuore non esiste più la figura del “Governatore ” ma quella del “Presidente.
I Confrati vestono la tradizionale tunica bianca con mantella dello stesso colore del palio. Alle due estremità la mantella porta lo stemma (una volta in oro e argento) della Confraternita. Solo i più anziani e coloro che ricoprono una carica interna alla Confraternita possono indossare una mantella con fregi diversi. Il capo è coperto da un cappuccio bianco, che scende sulle spalle. Tunica, mantella e cappuccio vengono chiamati “cappa”.
Tutti procedono su due file laterali e portano in mano un cero acceso. Il Governatore, i suoi due assistenti, i soci più anziani e il “prefetto d’ordine”, cioè il confrate che ordina e dirige la processione, portano la “sergentina”.
“Sergentina”, è un termine di origine spagnola con cui si indica un bastone in osso con alla sommità una crocetta in argento. La “sergentina” doveva essere portata con guanti di pelle nera.

CURIOSITA’: fino agli anni cinquanta, durante i momenti di sosta della processione, alcuni confrati si staccavano dalle file laterali e si riunivano in cerchio a centro strada per cantare la verità di fede professata nel Credo “et Verbum caro factum est et habitavit in nobis” (e il Verbo si è fatto carne ed è stato in mezzo a noi).
Più che un canto era una originalissima nenia, modulata non sulle parole (che i confrati tra l’altro non conoscevano) ma sulle vocali, al punto che molti, soprattutto i giovanissimi, lo chiamavano il canto delle vocali.
In testa alla Confraternita vi è il palio. In mezzo ai confrati, a centro strada, sfilano i figuranti con questo ordine: Cristo alla colonna, Cristo coronato di spine e Cristo che porta la Croce Angeli   Veronica – S. Giovanni – Tre Marie Pie donne – Paggi – Apostoli.
La Croce, coperta da un velo nero, portata da un esponente della confraternita e scortata dai due Nicodemi, sfila per ultima.

CURIOSITA: Un tempo la Croce procedeva sotto un baldacchino ed era portata da un sacerdote che aveva in testa una corona di spine e al collo una corda che gli scendeva davanti e lo aiutava a portare la Croce.
Dietro la Croce si posizionano le Amministrazioni della Confraternita che organizza la processione e le Amministrazioni delle altre Confraternite.
Dietro ancora le autorità, civili e militari, e la banda musicale che suona meste musiche; per ultimi seguono i fedeli in religioso silenzio. Alle 19,00 inizia la processione che segue un percorso identico da secoli.

CURIOSITA’: In attesa, sui marciapiedi, moltissimi altri fedeli fanno ala al passaggio del Crocifisso; fanno il segno della Croce e danno la loro offerta.
I “distratti ” vengono richiamati dal suono delle monete in un secchiello d’argento che due Confrati ai due lati della strada fanno abilmente risuonare davanti a loro.
Solo le due Confraternite, quella dell ‘Addolorata e quella dell’Annunziata, raccolgono le offerte con il secchiello.
Le Arciconfraternite non lo hanno mai fatto.
La processione è seguita anche da due abili esperti in fuochi d’artificio.
Chi vuole, offre al passaggio del Cristo -per fede o per voto- uno o più spari ”
Addirittura vi sono quartieri che offrono la “mascatteria” (sparo di bombe in successione).
Giunti nella Chiesa Madre, S. Maria, la processione vi entra e vi ascolta la predica. Era ed è il modo per accostare il popolo alla pratica degli “Esercizi Spirituali”, o Quaresimale.
Una volta le Chiese erano piene, oggi lo sono di meno, anche se i riti esterni della Settimana Santa richiamano ancora la 
folla.
Subito dopo, la processione riprende il suo percorso e si ritira a S. Pietro verso le 22,30 circa.

Martedì Santo

E’ il giorno della confraternita dell’Annunziata, che ha sede nella Chiesa della Madonna dell’ Annunziata.

Confraternita dell’Annunziata – foto di Pippo Calà

CURIOSITA’: La Chiesa della Madonna Annunziata era dedicata a S. Silvestro.
All ‘interno della Chiesa oltre al gruppo dell ‘Annunciazione, vi è la statua di S. Silvestro Papa. Nei documenti ufficiali della Chiesa, ancora oggi, accanto all ‘intestazione Maria SS.ma Annunziata, si scrive tra parentesi “ex S. Silvestro”.
Come la Chiesa dell’Annunziata, anche molte altre piccole Chiese a Randazzo hanno cambiato nome, così come hanno cambiato nome quasi tutte le Confraternite.
Cerchiamo di scoprirne il perché.
Nella sua già citata tesi di laurea, Francesco Fisauli afferma che le Confraternite a partire dal 1600, con il Concilio di Trento, furono obbligate a dare all ‘autorità ecclesiastica un rendiconto dei beni che amministravano.
Il rendiconto si faceva non ogni anno, ma a gruppi di anni o quando veniva eletto un nuovo governatore.
Il rendiconto doveva obbligatoriamente essere fatto alla presenza di un notaio e dell ‘Arcivescovo di Messina (Randazzo dipendeva dall’Arcivescovado di Messina) o di un suo legale rappresentante. Lo stesso Arcivescovo aveva anche il diritto di “visita ” o ispezione alla Confraternita.
La presenza dell ‘Arcivescovo o per la visita o per il rendiconto non solo pesava sulle finanze della Confraternita ma ne orientava le spese.
Il Fisauli cita l’atto del 3 gennaio 1625 del notaio Giovanni Neapolitano, conservato nell ‘Archivio Comunale di Randazzo, nel quale viene riportato il rendiconto della Confraternita di S. Pietro; risultano presenti il rettore della Confraternita e don Carlo Romeo, rappresentante dell ‘Arcivescovo di Messina.
In base alla documentazione raccolta dal Fisauli, a partire dal 1604 le Confraternite e le loro Chiese, da laiche o indipendenti diventarono prima Chiese venerabili e poi Chiese filiali delle tre Parrocchie: S. Maria, S. Nicola, S. Martino.
Perché questa trasformazione ?
Perché il diritto di rendiconto e di visita per le Confraternite laiche, per nuove disposizioni di legge, venne tolto agli ecclesiastici e affidato a un tribunale civile o in casi eccezionali a un tribunale misto.
Per evitare che queste nuove disposizioni togliessero alla Chiesa il controllo dei beni delle Confraternite, il Clero di gran parte della Sicilia e quindi anche di Randazzo nel giro di alcuni anni azzerò la presenza dei confrati laici nelle vecchie Confraternite e vi iscrisse i chierici. Contemporaneamente lo stesso Clero fondò altre Confraternite con altri nomi iscrivendovi i confrati laici e, se i beni erano collegati alle Chiese, diede nomi diversi alle stesse Chiese.
Risultato: dal punto di vista legale le vecchie Confraternite risultarono ecclesiastiche e non più laiche; le vecchie Chiese risultarono filiali delle Parrocchie e non più laiche e indipendenti.
E poiché le nuove disposizioni di legge non si applicavano alla Confraternite ecclesiastiche e alle Chiese filiali delle Parrocchie, il Clero raggiunse lo scopo di estromettere il potere politico dal controllo dei beni delle vecchie Confraternite.
Ecco perché molte Chiese, compresa quella dell ‘Annunziata, cambiarono nome e molte Confraternite o scomparvero o cambiarono nome.
La Confraternita di S. Pietro scomparve nel 1800, anno in cui la Chiesa di S. Pietro da Chiesa laica diventò Chiesa filiale della parrocchia di S. Martino.
Rimasero fuori da queste manovre le Arciconfraternite di S. Martino e di S. Nicola oltre alle tre Confraternite del SS.mo Sacramento, istituite intorno alla metà del 1600 e da sempre sotto controllo delle tre Parrocchie.
Nel 1866 lo Stato incamerò i beni di tutte le Confraternite, senza eccezione alcuna.
Alla processione, oltre alle Amministrazioni delle altre Confraternite, ma non delle Arciconfraternite, partecipa per la prima volta la nuova confraternita del Sacro Cuore, che sfila a capo scoperto.
Poiché la Chiesa dell’Annunziata si trova vicino alla Chiesa Madre, la processione vi entra quasi subito per ascoltarvi il Quaresimale e solo dopo -verso le 20,00- prosegue per il tragitto tradizionale.
Rispetto agli altri anni abbiamo notato due “novità”‘.
   –  La confraternita fa sfilare tra i figuranti tre damigelle che portano su un cuscino di velluto un pugnale, una corona di spine, un calice. Le damigelle (alcuni le hanno chiamate “angeli”) hanno il capo scoperto e sono vestite con tuniche di colore beige, due particolari che non rientrano -specie il primo- nella tradizione spagnolesca randazzese.      –   La Confraternita porta in processione la Croce con il Cristo coperto da un velo anziché il più tradizionale “Gonfalone” della Settimana Santa di cui è custode.

CURIOSITA: Il “Gonfalone “ è una Croce senza il Cristo ma con i segni della Passione.
Sul legno verticale a partire dall ‘alto vi sono: il gallo, i dadi, il calice, l’acetiera, la colonna.
Sul legno trasversale, a sinistra guardando la Croce, vi sono la tenaglia, la lancia, la spugna; a destra: la scala, i chiodi e il martello.
Nel punto centrale dei due legni vi è la corona di spine. Tre lucerne alle tre estremità della Croce richiamano il mistero della Trinità.
Il Gonfalone veniva portato in processione anche al Venerdì Santo.
La Confraternita dell’Annunziata è custode anche di un’altra insegna della Settimana Santa, che non viene più portata in processione perché pesante. L ‘insegna riporta su un frontale I ‘immagine della Madonna Annunziata con I ‘arcangelo Gabriele e sull ‘altro frontale quella del Crocifisso. Alle tre estremità vi sono tre lucerne, simbolo della Trinità.
Quest ‘ultima insegna veniva portata in processione anche nella festività di Maria SS.ma Annunziata.

Mercoledì Santo

E’ un giorno libero da impegni di processioni. Di questi tempi è un giorno “vuoto”.
Nei tempi passati era invece un giorno particolare, esplicitamente indicato negli Statuti delle Confraternite: era il giorno delle confessioni e del precetto pasquale dei confrati.
I contadini erano dispensati dal recarsi al lavoro e tutti nelle varie Chiese si accostavano al Sacramento della Penitenza e ricevevano il Sacramento dell’Eucaristia.
CURIOSITA’: Il giorno del precetto pasquale delle Confraternite da alcuni anni è cambiato.
Ad esempio per tutte le Confraternite di S. Martino, compresa quella dell ‘Addolorata, è il Venerdì di Passione; per la Confraternita dell ‘Annunziata è la festa dell ‘Annunziata.

Giovedì Santo

Subito dopo la funzione religiosa, nella quale si ricorda l’istituzione del Sacramento dell’Eucaristia, in tutte le Chiese viene preparato “u sebulcru” (il sepolcro).
Oggi il clero sottolinea con forza che non si tratta di “sebulcru” o di adorazione del Cristo morto ma di adorazione dell’Eucaristia.
La tradizione popolare, nonostante l’anomalia (Cristo morto si ha il Venerdì e non il Giovedì), continua invece a chiamarlo “sebulcru”.
E difatti per secoli e fino al 1965, la sera del Giovedì Santo l’Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola portava in processione “Cristu ‘ndo cataletto” (di cui parleremo nella giornata del Sabato Santo).
La processione visitava i “sebulcri” di sette Chiese per consentire ai fedeli di acquistare l’ indulgenza plenaria.
Le incomprensioni tra l’ Arciconfraternita e le autorità religiose del paese nel 1966 si conclusero con la soppressione della processione dal calendario delle manifestazioni tradizionali della Settimana Santa.
E’ stata ripresa nel 1985, ma portata al sabato mattina.

CURIOSITA’: Le incomprensioni tra Clero e Arciconfraternita di S. Nicola non furono le uniche di quegli anni.
Altre incomprensioni resero un po’ agitati anche i rapporti tra le confraternite, riflesso delle profonde divisioni politiche tra i cittadini del tempo.
Infatti la gente del S. Cuore, quartiere fuori le mura storiche e quindi lontano dal percorso delle tradizionali processioni, il 12 novembre 1950 decise di creare una nuova Confraternita, chiamata “Pia Associazione Società Cattolica del S. Cuore “, che la Curia di Acireale approvò il 10 Aprile 1956.
La Confraternita organizzò due autonome processioni che si tenevano il Giovedì Santo e il Venerdì Santo, solo nel quartiere del S. Cuore, con queste modalità:
la sera del Giovedì Santo una processione portava il Crocifisso, inizialmente dalla Chiesa del S. Cuore e successivamente dalla Chiesa del Signore della Pietà, al “Castello ” Castorina, in contrada Crocitta, vicino all ‘attuale sede dell’ITC “E. Medi”.
Il “Castello ” per l’occasione nel linguaggio popolare prese il nome di “Calvario ‘.
Il pomeriggio del Venerdì Santo, dopo aver deposto il Cristo dalla Croce, un ‘altra processione portava il “Cristu ndo cataletto ” dal Calvario alla Chiesa del S. Cuore.
Si verificava quindi che il Giovedì pomeriggio nel centro storico del Paese vi era la processione del “Cristu ‘ndo cataletto “; alla sera dello stesso giorno nel quartiere del S. Cuore quella del Crocifisso.
Viceversa nel pomeriggio del Venerdì Santo nel quartiere del S. Cuore vi era la processione del “Cristu ‘ndo cataletto “; alla sera dello stesso giorno nel centro storico quella del Crocifisso.
Una maggiore confusione, a parte I ‘accordo sugli orari, non si sarebbe potuta immaginare.
Quando nel 1964 entrò in vigore la Riforma Liturgica, in base alla quale la funzione di Pasqua dal Sabato mattina venne portata al Sabato sera o notte, la Confraternita del S. Cuore chiese e ottenne dall ‘anziano vescovo di Acireale, Mons. Salvatore Russo, di spostare la processione del “Cristu ‘ndo cataletto ” dal pomeriggio del Venerdì al Sabato mattina.
Morto Mons. Salvatore Russo nell ‘aprile dello stesso anno, il nuovo Vescovo Mons. Pasquale Bacile non solo rifiutò il suo consenso per ripetere la processione al Sabato Santo del 1965, ma decise anche di intervenire personalmente nella “confusione ” delle processioni di Randazzo.
Difatti il 18 marzo del 1966, prima che iniziassero i Riti della Settimana Santa di quell ‘anno, Mons. Pasquale Bacile, facendo riferimento al Decreto della S. Congregazione dei Riti di Roma che in data 16 novembre 1955 aveva emanato nuove disposizioni sui riti della Settimana Santa, firmò un suo personale decreto con cui ordinava alle Confraternite di Randazzo che:
  –  nella giornata del Giovedì Santo non potevano svolgersi processioni con i simboli della Passione e con il simulacro del Cristo morto.

  –  nella mattinata del Venerdì Santo poteva essere mantenuta una processione non per visitare i sepolcri, bensì per coinvolgere il popolo nella pratica della Via Crucis.

  –  La sera del Venerdì Santo si poteva continuare a svolgere la processione del SS Crocifisso organizzata dalla Confraternita dell ‘Addolorata.

  –   Il “Cristu ” ‘ndo cataletto ” dell ‘Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola poteva essere esposto nella Chiesa di S. Nicola dalla sera del Venerdì Santo alle ore 12,00 del Sabato Santo.

Mantello della Confraternita delle Anime del Purgatorio presso la Chiesa di San Nicola. (foto F.lli Magro).

In tal modo, d’autorità, il Vescovo soppresse sia le due autonome processioni della Confraternita del S. Cuore, sia la processione del Giovedì Santo dell’Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola.
Poteva continuare a svolgersi invece al Venerdì Santo mattina la processione dell ‘Arciconfraternita del SS Crocifisso in S. Martino, la quale da processione che visitava i sepolcri, divenne la processione della Via Crucis. (il decreto di Mons. Bacile si trova nell ‘archivio della Basilica di S. Maria).
” U sebulcru ” del Giovedì Santo presenta una tradizionale caratteristica che purtroppo incomincia a perdersi: viene adornato soprattutto con “i piatti ru sebulcru” o piantine di frumento.
Una volta si utilizzavano anche piantine di piselli, fave, lenticchie. Qualcuno parla pure di piantine di lino.

CURIOSITA’: Circa quaranta giorni prima del Giovedì Santo (qualcuno con più precisione indica I ‘ultima domenica di Carnevale) fedeli volenterosi provvedono a deporre un pugno di grano in alcuni piatti con un fondo di acqua. I piatti così preparati li depongono in un luogo buio. Ogni tanto vi aggiungono altra acqua, stando però attenti a non aggiungerne molta, diversamente il tutto marcisce. Dopo quaranta giorni circa il frumento dà vita a pallidi e compatti germogli lunghi circa venti/trenta centimetri. I piatti vengono tolti dal buio e portati in Chiesa ad adornare “u sebulcru”.
I “piatti ru sebulcru” erano espressione di un rito propiziatorio, legato alla civiltà contadina. Il pallido germoglio di grano, esposto alla luce, dopo un po’ di ore incomincia a diventare verde. Metterlo accanto al “sebulcru” era un modo per propiziare un abbondante raccolto.
In “Randazzo nei suoi costumi” opera edita nel 1986, a pag. 55 1’indimenticabile don Salvatore Calogero Virzì vede in questa tradizione un collegamento a remoti riti pagani e precisamente al mistero di Adone che soleva onorarsi in questo modo.

 

                              Dipinto di Enzo Grasso

Venerdì Santo

E’ la giornata centrale della Settimana Santa e proprio per questo vi si svolgono due processioni: una al mattino e una alla sera.

Mattino del Venerdì Santo:
La processione è organizzata dall’arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Martino. Sfilano tutti i figuranti tranne il Cristo alla colonna, il Cristo alla canna e il Cristo alla Croce.
Le Amministrazioni delle altre Confraternite, anche se non vi partecipano, si fanno trovare dinanzi all’ingresso delle loro Chiese con il palio. Passata la processione, se ne ritirano.
Il percorso che la processione fa, è diverso da quello tradizionale. Un tempo visitava i “sebulcri” di sette Chiese, come faceva la processione del “Cristo ‘ndo cataletto” di cui abbiamo già detto.
Dal 1966 si va fermando davanti a varie Chiese, compresa quella del S. Cuore, e in posti dove prima della seconda guerra mondiale vi erano delle Chiese (come il piazzale rialzato di piazza Municipio); le soste in tutto sono quattordici, quante sono le stazioni della Via Crucis.
In tutte le Chiese toccate dalla processione, i confrati e i fedeli che li seguono, pregano e recitano le orazioni della Via Crucis.

CURIOSITA’: la processione del Venerdì Santo mattina dell’Arciconfraternita del SS Crocifisso di S Martino, come la processione dell ‘Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola, un tempo al giovedì sera, erano seguite da una figura caratteristica: il mazziere.
Il mazziere, vestito con “cappa” nera, aveva l’incarico di portare tre cuscini di velluto che deponeva a terra davanti alle sette Chiese toccate dalla processione. Sui cuscini si inginocchiavano i “Cavalieri” che componevano I ‘Amministrazione: il Governatore, il 1 0 Assistente e il 2 0 Assistente.
Negli anni precedenti il 1964, subito dopo il passaggio della processione, in tutte le Chiese veniva tolto il “sebulcru ” e iniziavano le funzioni del Venerdì Santo.
Le Confraternite vegliavano “u sebulcru ” per tutta la notte dal Giovedì al Venerdì Santo.
Sera del Venerdì Santo:
E’ il momento della Settimana Santa più atteso dalla popolazione.
La serata è organizzata dalla confraternita dell’Addolorata della Chiesa di S. Pietro, perché proprio in questa Chiesa sono custoditi il Crocifisso e la statua della Madonna Addolorata che vengono portate in processione.
Vi partecipano la Società di S. Giovanni Battista di S. Martino, la Società del Crocifisso in S. Martino e la Confraternita dell’Annunziata. Per la prima volta ha sfilato la Confraternita del S.Cuore.
Sono sempre più rari i devoti che seguono a piedi scalzi le due ”vare”.
Il grande Crocifisso ligneo del ‘600 è illuminato a “lumeri”, cioè con candele poste dentro globi di vetro opaco con alle estremità una grande raggiera di legno dorato.
Il Crocifisso è seguito dalla “Vara dell’Addolorata”, anch’essa illuminata a “lumeri”, con candele poste dentro sfere e lanterne di cristallo con alle estremità una grande raggiera di legno dorato. Ciò che colpisce lo spettatore è il profondo silenzio nel quale l’immensa folla dei fedeli segue la processione o assiste al passaggio delle due “vare”.
Questo silenzio è solo interrotto dalle meste musiche della banda musicale e dalle continue e quasi laceranti grida di invocazione di coloro che, per fede o per voto, vestiti con una tunica bianca, portano sulle spalle le pesanti “vare”.

 


Chi porta il Crocifisso incita alla preghiera con queste parole: “Sa loratu lu SS Crucifissu” e tutti gli altri rispondono:” Loratu sempre sia”.
Chi porta l’ Addolorata incita alla preghiera con queste parole: “E chiamammura chi n’ iuta sempri” e gli altri rispondono: “E viva a Maronna Addulurata” . Il solista riprende subito a dire: “A dispiettu ri l’infernu” . E gli altri a rispondere: “Viva Maria sempri in eternu”.
E così in continuazione, per tutta la durata della processione, fino a sgolarsi, fino a restare senza voce.
Verso le 23,00 la processione si ferma nella piazza di S. Giorgio, dove una volta vi era un convento di Suore Benedettine. Qui c’è l’atteso incontro tra la Madre Addolorata e il figlio Crocifisso.
Tra la commozione dei fedeli, per un attimo, Madre e Figlio incrociano lo sguardo.
Si levano alte nel cielo gli incitamenti alla preghiera da parte dei devoti che portano le due “vare”.
Un altro momento significativo della serata è “a chianata ri San Barturu”, dove nei secoli passati e fino alla soppressione del 1866 vi era un altro monastero di Benedettine (in Paese ve ne erano tre; il terzo si trovava nell’attuale Istituto di S. Caterina).
Le Benedettine erano suore di clausura e potevano assistere ai riti esterni della Settimana Santa solo da dietro le grate.
Ecco perché il tradizionale percorso passa da lì.
Giunta in via Garibaldi, a duecento metri circa da S. Pietro, la processione è costretta a fare una ripida salita, comunemente detta “a chianata ri S. Barturu”.

Chiesa di San Bartolomeo Apostolo. (San Barturu – 1610 e/o 1637) Randazzo


“A chianata” mette a dura prova le forze delle persone anziane oltre che dei portatori delle due “vare”, specie quella del grande Crocifisso. Per impedire eventuali scivoloni e per aiutare a mantenere il baricentro del Crocifisso, due robuste lunghe funi, tirate da volontari e collegate al centro della Croce, aiutano i portatori nella salita.
L’emozione di questo suggestivo momento è tale che i fedeli, in massa, occupano tutti i posti disponibili molto prima che la processione vi giunga.
Prima della benedizione finale e della chiusura della serata, nella grande piazza antistante la Chiesa di S. Pietro, i portatori dell’Addolorata alzano sulle loro braccia la “vara” della Madonna, perché Essa interceda presso suo Figlio e benedica Randazzo e i suoi abitanti.
Quest’anno anche i portatori del pesante Crocifisso, con immane sforzo e nonostante la stanchezza hanno voluto fare lo stesso gesto tra la commozione e gli applausi della folla dei fedeli presenti.
CURIOSITA’: nel lontano passato “a chianata ” scoraggiava le arciconfraternite dei “Cavalieri ” dal seguire la processione per tutto il tradizionale percorso cittadino e quindi vi si accodavano quando questa passava dalla Chiesa di S. Martino e di S. Nicola e se ne ritiravano quando ripassava dalle stesse Chiese.
Attendere la processione nel piazzale di S. Martino e lasciarla al ritorno nello stesso piazzale, per evitare appunto “a chianata “, lo fa oggi la Confraternita dell ‘Annunziata.
Le due Arciconfraternite da quasi trent ‘anni non sfilano più la sera del Venerdì Santo, né vi partecipano con le loro Amministrazioni.
Al passaggio della processione dalla Chiesa di S. Martino e dalla Chiesa di S. Nicola si fanno trovare davanti a queste due Chiese alcuni confrati con il palio dell ‘Arciconfraternita. Palio e confrati si ritirano subito, non appena le due “vare ” sono passate.

 

 

 

 

 

Mattina del Sabato Santo

CURIOSITA’: Fino al 1964 il rito della Pasqua di Resurrezione si svolgeva nella mattinata del Sabato.
Con la Riforma liturgica del 1964 il rito è stato spostato alla tarda serata o alla notte del Sabato.
Dal 1985 la Curia Vescovile di Acireale ha di nuovo autorizzato la processione, ma al Sabato mattina, del “Cristu ‘ndo cataletto”, che l’ Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola fino al 1965 organizzava nella giornata del Giovedì Santo.
Le Amministrazioni delle altre Confraternite, anche se non vi partecipano, si fanno trovare dinanzi all’ingresso delle loro Chiese con il palio. Passata la processione, se ne ritirano.
L’Arciconfraternita è attualmente gelosa custode di un bellissimo Cristo morto in cartapesta snodabile e di un preziosissimo tappeto di seta damascata, intarsiato di rose ricamate a mano con fili di oro e di argento, che qualcuno data addirittura 1300.
Su questo tappeto viene adagiato il Cristo e posto poi ” ‘ndo cataletto”, una leggera portantina ricoperta da una bombata rete di rose di seta.
La processione parte dalla Chiesa di S. Nicola, ma fino al 1931 partiva dalla casa del Governatore dell’Arciconfraternita, dove il “Cristu ‘ndo cataletto” veniva precedentemente portato e ornato.
La processione percorre quasi lo stesso tragitto di quella del Venerdì Santo mattina.

CURIOSITA’: Nel dicembre del 1931 i confrati dell’Arciconfraternita delle SS Anime del Purgatorio di S. Nicola approvarono un nuovo statuto che all ‘articolo 8 così recita: …si proibisce in modo tassativo ed assoluto a qualsiasi rettore di portare il Cristo morto in casa propria.
Il Sabato pomeriggio era lasciato alla preparazione dei dolci. Oggi a questo pensano i pasticcieri.
Ma i fornai preparano, per i pochi che ancora la richiedono, “a cullura”, il più tradizionale dei dolci pasquali.
“A cullura” è un dolce per lo più a forma ovale con un buco nella parte alta e uno o più uova sode con buccia, inseriti nella parte bassa (oggi si usano anche ovetti di cioccolato); è abbellita da una manciata di “iavuritti” (finissime scaglie di colorate caramelle e cioccolato).
Un tempo le famiglie più povere la preparavano con semplice farina di grano, senza altre aggiunte oltre l’uovo intero.
Le famiglie più agiate la preparavano con impasto di uova, zucchero e farina e con l’aggiunta dei “iavuritti”.

 

Si ringraziano quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo numero speciale di ” IPSIA NEWS” , in particolare:
Mons. Vincenzo Mancini, arciprete parroco della Basilica di S. Maria.
il governatore dell’Arciconfraternita delle SS. Anime del Purgatorio, preside Gaetano Modica;
il governatore della Confraternita dell’Annunziata, Sig. Emanuele La Piana;
il | 0 assistente della Confraternita dell’Addolorata, Sig. Carmelino Caputo;
il segretario dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso in S. Martino, Annunziato Rizzo;
il presidente della Confraternita del S. Cuore, Sig. Franco Scarpignato.
la prof.ssa Angioletta Fisauli che ci ha consentito di consultare la tesi di laurea del padre, Francesco Fisauli.
Un grazie particolare va alla prof.ssa Marisa Modica, senza il cui contributo sarebbe stato molto più arduo definire i costumi dei figuranti.
Un grazie particolare va all’Archivio storico fotografico Fratelli Magro di Randazzo che ci ha permesso di illustrare il presente lavoro con foto che purtroppo la fotocopiatrice non riproduce con precisione. 

 

Sulla tradizione nella Settimana Santa di Randazzo si possono trovare utili notizie sul libro edito dal XXI distretto Scolastico di Randazzo nel 1986, dal titolo “Randazzo nei suoi costumi“, opera dell’indimenticabile studioso e sacerdote salesiano don Salvatore Calogero Virzì.

 

 

Manoscritto dei privilegi dei confrati dell ‘Arciconfraternita del SS. mo Crocefisso in S. Martino. Gesù Figlio di Maria

Indulgenza perpetua concessa alli fratelli e sorelle del SS.mo Crocifisso nella Parrocchiale Ecclesia di S. Martino di questa Città di Randazzo, avendo prima preso la bolla della SS.ma Crociata (= dopo che si sono iscritti alla Confraternita)

I – Nel giorno che si scriveranno nel libro di detta Compagnia confessati e comunicati, guadagneranno indulgenzia plenaria, e remissione di tutti loro peccati.

— Dalli primi vesperi del giorno della Invenzione di Santa Croce che viene a tre di Maggio, come anco nel giorno dell’Essaltazione, che viene a 14 di Settembre pure insino al tramontare del Sole di detti giorni, Confessati e Comunicati, visitando detta Cappella, pregando a Dio per la pace tra Principi Christiani, estirpazione dell’Eresia et essaltazione di Santa Chiesa, guadagneranno indulgenza plenaria, e remissione di tutti i peccati.

— Nell’articolo della morte (= in punto di morte) Confessati e Comunicati et invocando il Nome di Gesù con la bocca, e non potendo, con il cuore guadagneranno indulgenza plenaria e remissione di tutti i peccati.

— Ogni Venerdì di tutto l’anno visitando detta Cappella come di sopra, cento giorni d’indulgenza.

— Nelli giorni della Natività di N. S., Epifania, Giovedì Santo, Pascha di Ressurrezione, Pentecoste, visitando detta Cappella come di sopra, dicendo cinque Pater noster et un Ave Maria, guadagneranno sette anni e sette quarantore d’Indulgenze.
 a cura di  Pippo Munforte. 

      Si ringrazia di vivo cuore il Professore Pippo Munforte e i ragazzi della IV^A  IPSIA “E.Fermi” di Randazzo   per aver acconsentito alla pubblicazione di questa stupenda ricerca storica della Settimana Santa che per tutti Noi rappresenta un appuntamento annuale importantissimo.

                                                   ————————————————————————–

Come viene stabilita la data della Domenica di Pasqua ?
    Il Concilio di Nicea (anno 325) ha stabilito che la Pasqua cade la domenica successiva al plenilunio (luna piena) dopo l’equinozio di primavera (all’epoca dei primi computi l’equinozio cadeva il 21 marzo, che pertanto divenne la data di riferimento) pertanto il 21 marzo cade l’equinozio di primavera la prima luna piena viene l’8 aprile la domenica successiva è il 12 aprile, appunto per questo la Santa Pasqua quest’anno (2020) si celebra Domenica 12 aprile.

    I.N.R.I :  Pilato, secondo i Vangeli, fece mettere per dispregio questa scritta sulla croce che significa :
 Iesus  Nazarenus  Rex  Iudaeorum    « Gesù Nazareno Re dei Giudei».

     Ebreo Errante:  Aasvero così si chiamava un ebreo che deridendo Gesù mentre saliva al calvario lo fece cadere dicendo : “alzati e cammina”. Gesù alzandosi gli risponde ” per punizione Tu camminerai fino al giorno del giudizio, percorrendo, senza poterti fermare, tutti i Paesi del mondo. Ovviamente è una leggenda nata nel medioevo.

Francesco Rubbino .

 

                  Il testo integrale della pubblicazione curata dalla IV A  IPSIA “E. Fermi” – Randazzo giugno 2000

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Salvatore Genovese

   Salvatore Genovese nato a Randazzo il 19 settembre 1921 e morto a Spalato il 9 aprile 1945.
Fucilato nel carcere di Spalato assieme ad altri 28 giovani per la loro attività di Partigiani. Dopo un processo sommario ( forse è meglio dire “farsa”) senza nessuna possibilità di difendersi, dopo un breve periodo in carcere vengono condotti nel cortile e lì uccisi da un plotone di esecuzione.
   Salvatore Genovese è l’unico Randazzese ucciso dai nazisti in quanto Partigiano. 

Alcuni articoli che ricordano il suo sacrificio e il sacrificio di tanti altri giovani che sono morti per la nostra Libertà.

 

                                                            Udine, ricordo della strage di via Spalato

Una delegazione dell’Anpi ha deposto una corona d’alloro alla lapide per i 29 partigiani uccisi nell’aprile del 1945

05 aprile 2020
Oggi, una delegazione dell’Anpi di Udine, composta dalla Presidente della sezione Anpi “Città di Udine”, Antonella Lestani, e dal Vice Presidente Alessio Vicario, accompagnata dai rappresentanti della Protezione civile, nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di contenimento del Covid-19, ha deposto una corona d’alloro alla lapide posta sul muro esterno del carcere di Udine, in via Spalato, per celebrare il 75° anniversario della barbara strage compiuta dalle famigerate SS di Hitler che, nell’aprile del 1945, massacrarono 29 partigiani.

Era il 14 marzo 1945, mercoledì. Prelevati dal carcere di via Spalato, circa 20 partigiani vennero scortati in via Treppo, dove li attendeva un tribunale tedesco. Requisitorie e accuse erano pronunciate in tedesco e approssimativamente tradotte dall’interprete, il maresciallo Hans Johannes Kitzmüller. Dopo circa tre ore, uscirono dall’aula, incrociando l’altro scaglione di 20 partigiani, a loro volta da processare.

 

Finiti i processi – farsa, una cosa i partigiani avevano capito: che 37 di loro erano stati condannati a morte.
Di solito il carcere di Udine era usato dai tedeschi come un serbatoio da cui pescare le vittime da fucilare per rappresaglia, come era successo per i fucilati al cimitero l’11 febbraio, in risposta all’attacco alle carceri del 7 febbraio, con la liberazione di decine di prigionieri; e così pensarono i condannati, rassegnati ormai alla loro sorte.
Scriveva ai familiari uno di loro, Mario Foschiani “Guerra”: “Siamo qui in agonia, ma siamo allegri e vi possiamo assicurare che teniamo allegro tutto il carcere. Non tremai dinanzi al teatrale processo. Tutti i compagni ci guardavano; sorridenti e cantando uscimmo dall’aula. Noi siamo già rassegnati perché sappiamo che i tedeschi ci liquideranno senza pietà. Ma vi dichiaro che sono orgoglioso di morire per la mia Patria libera e indipendente. Addio a tutti. Morte al fascismo! Morte all’invasore! Libertà ai Popoli”.
I condannati pensavano che il mattino dopo sarebbero stati condotti in qualche luogo per la fucilazione, invece il giorno dopo erano ancora in cella, e così per tanti altri giorni.

 

              “Fucilazione di via Spalato”, dipinto realizzato nel 1959 da Francesco Bierti.


Diventava sempre più evidente che non di rappresaglia si trattava, ma di un inutile sfogo della rabbia per la sconfitta ormai ineluttabile.
Nonostante il silenzio mantenuto dal quotidiano fascista “Il popolo del Friuli” sulla vicenda, la notizia si diffuse in città, suscitando grande emozione.
Subito i comandi partigiani si attivarono cercando di catturare più ufficiali tedeschi possibile, per proporre uno scambio; e si mobilitarono anche varie personalità udinesi, tra le quali l’Arcivescovo, che però riuscì soltanto a far ridurre il numero dei condannati: da 37 a 29.
9 aprile 1945, lunedì. Scriveva in quella data nel suo diario dal carcere Gino Pieri:
   “Stamani poco dopo le cinque sono stato destato da alcuni colpi di fucile e di mitra… Alle sei si è affacciata a darmi il buongiorno la guardia che montava in servizio e mi ha detto: “Avete sentito? Hanno fucilati i condannati a morte”. I condannati erano stati fucilati in tre gruppi: il primo contro il muro del cortile interno, a sinistra per chi entra; il secondo a destra; e quindi il terzo. E infine gli isolati colpi di pistola per il colpo di grazia a quelli che davano ancora segni di vita”.

   La mattina di 22 giorni dopo, Udine era liberata e il Sindaco nominato dal CLN, Giovanni Cosattini, nel pomeriggio accoglieva le truppe inglesi e neozelandesi che entravano in città da Viale Venezia.

I fucilati sono:
1. Angelo Adamo da Comiso, anni 30;
2. Gio Batta Beccia da Ronchis, anni 21;
3. Mario Bolognato da Firenze, anni 26;
4. Umberto Bon da Manzano, anni 31;
5. Matteo Bossa da Paesana, anni 19;
6. Luigi Ciol da Teglio Veneto, anni 19;
7. Giunio Coloricchio da Pozzuolo, anni 19;
8. Luigi Coradazzi da Socchieve, anni 23;
9. Francesco Del Vecchio da Barletta, anni 23;
10. Giuseppe Favret da Azzano X, anni 18;
11. Ovidio Favret da Azzano X, anni 21;
12. Mario Foschiani da Udine, anni 32;
13. Salvatore Genovese da Randazzo, anni 24;
14. Giovanni Ghidina da Forni di Sotto, anni 41;
15. Albino Gonano da Prato Carnico, anni 26;
16. Luigi Grahrelj da Gorizia, anni 18;
17. Elio Livoni da Buttrio, anni 25;
18. Mario Modotti da Udine, anni 32;
19. Valentino Monai da Amaro, anni 29;
20. Antonio Morocutti da Treppo Carnico, anni 27;
21. Leandro Nonini da Gemona, anni 29;
22. Gino Nosella da Portogruaro, anni 20;
23. Enrico Pascuttini da Spilimbergo, anni 20;
24. Elio Polo da Forni di Sotto, anni 52;
25. Arduino Potocco da Buttrio, anni 22;
26. Enno Radina da Villasantina, anni 31;
27. Benito Siniciali da Sesto al Reghena, anni 21;
28. Giulio Tesolin da Fiume Veneto, anni 21;
29. Napoleone Zompicchiatti da Manzano, anni 41.

 

                        I PARTIGIANI SICILIANI – TERZA PARTE

La “Lettera” di Memoria e Libertà senza memoria non c’è futuro,per la democrazia, la pace e i diritti dei cittadini.
Nota a cura di Domenico Stimolo.
Per contribuire a valorizzare i Percorsi e i Valori della Memoria fondanti dell’Italia democratica. Della Resistenza, della deportazione e dell’antifascismo. Dell’attualità con particolare attenzione alla partecipazione catanese e siciliana.

La “Lettera” è dedicata alla memoria di Nunzio Di Francesco, partigiano catanese, sopravvissuto al lager di Mauthausen – deceduto il 21 luglio 2011.
Questa “ Lettera di Memoria e Libertà, in ricorrenza del 25 APRILE – 75° Anniversario della LIBERAZIONE – è interamente dedicata ai partigiani siciliani.      

In precedenza, nelle edizioni di “ Lettera” del 25 aprile 2016 e del 25 aprile 2018, sono stati evidenziati i nominativi di 987 partigiani siciliani.

   In questa terza parte vengono riportati ulteriori 420 nominativi, con i principali riferimenti noti, caratterizzanti ogni singolo combattente per la libertà: luogo e data di nascita, ruolo sociale, mansione e formazione di appartenenza; data, località e dinamica del sacrificio per i caduti; riconoscimenti di valore attribuiti, note peculiari.E’ questa, complessivamente, un classificazione ancora limitata. Molti altri nominativi dovranno essere aggiunti. In rispetto della memoria dei partigiani è giusto non riportare solamente elenchi, in foggia di “tabulati”, costituiti esclusivamente da nomi, cognomi, città di nascita. Risulterebbe quasi “disumanizzante”. Ogni partecipante siciliano alla Lotta di Liberazione dal nazifascismo ha avuto un volto ben delineato e una storia propria, uno specifico percorso realizzato nel contesto dell’ immenso dramma distruttivo della guerra, un “ travaglio” ideale, sociale e personale che ha determinato la “scelta di campo” nella RESISTENZA. Altri ancora, non pochi, bisogna ancora esporli in modo appropriato, trovandoli tra le “righe” di quella indomita fase storica che ha determinato la nascita della nostra Costituzione e della Repubblica. Il percorso dell’approfondimento di merito continuerà con l’integrazione di altri nominativi. Quanti sono stati i partigiani siciliani nella lotta contro il nazifascismo direttamente impegnati nei luoghi di combattimenti, a partire dall’armistizio del’8 settembre 1943.  Tanti. Numerose migliaia, certamente, impegnati in tantissime aree territoriali nazionali ( non solo nel centro-nord) e in molte altre zone fuori dai confini. La Resistenza, pur con caratteristiche diverse da quelle che furono successivamente codificate, iniziò già in maniera spontanea dall’agosto del 1943, in Sicilia, in diversi paesi dell’area etnea e del messinese. Tra i tanti civili che si ribellarono alle infame angherie e alle depredazioni delle truppe tedesche in ritirata, molte decine furono ammazzati. Al di la dell’aspetto strettamente “storiografico” partigiani sono stati gli uomini e le donne che in tutte le maniere fecero Resistenza, in armi o con dinamiche di supporto e assistenziali, al dominio ideologico e militare che i nazifascisti volevano continuare ad imporre all’Italia dopo gli anni catastrofici della guerra scatenata in nome della “razza eletta”. Dalla caduta della dittatura ( 25 luglio 1943) e dalla firma dell’armistizio con gli Alleati ( 8 settembre 1943), contribuendo alla riconquista della libertà e dei diritti umani e sociali fondamentali, al riscatto dei valori principali del Bene Comune, storicamente chiamata Patria, infangata dalle ignominie fasciste e dalle enormi distruzioni umane e materiali procacciate dall’Asse – la stretta alleanza ideologica e militare tra l’Italia fascista e la Germania nazista, poi con il Giappone -. Nell’ambito nazionale, solo per il Piemonte, l’area territoriale con una rilevante presenza di partigiani siciliani – date le condizioni storiche di concentrazione di strutture militari e la vicina presenza nel meridione della Francia della IV Armata dell’esercito italiano – da parte della Commissione piemontese ne sono stati riconosciuti 2160, “ con l’esclusione per ora dei dati relativi all’area novarese e all’area ligure piemontese”. E’ importante aggiungere che non sono presi in analisi i partigiani nati in Piemonte o al Nord figli di siciliani.All’atto dell’armistizio, stipulato l’8 settembre 1943 a Cassibile ( Siracusa), considerevoli concentrazioni di strutture militari si trovavano dislocate nel territorio nazionale, ulteriori notevoli raggruppamenti militari si trovavano posizionati in aree fuori dai confini: Francia, area Balcanica ( Albania, Jugoslavia, Grecia) e in altre zone, come determinato dal’ espansione della guerra di aggressione fascista iniziata il 10 giugno del 1940. Il “ mitico impero” creato in Africa: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea, era stato già abbandonato. La disfatta in Russia, con tutte le tragiche conseguenze per i soldati italiani mandati allo sbaraglio, era già avvenuta. Un enorme numero di militari permaneva quindi in Italia e nei vari fronti di guerra ancora in essere. Rimasero abbandonati, ignominiosamente, senza procedure sulla condotta da seguire.  Seguirono giornate frenetiche.  Le truppe tedesche passarono all’attacco su tutti i fronti dove erano dislocati militari italiani. Oltre 650.000 furono presi prigionieri, trasportati e rinchiusi in molti campi di concentramento prevalentemente in Germania, veri e propri Lager. Sono gli IMI, “ Internati Militari Italiani”.  La stragrande maggioranza rifiutò di aderire alla RSI.  In tanti, in Italia e fuori dai confini, non si arresero alle truppe tedesche, non deposero le armi. Si organizzarono per resistere ai nazisti, già a partire nei giorni successivi all’armistizio. Nel Paese molti furono gli eventi di strenuo contrasto, in parecchie realtà del Nord e a Roma nella battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre. Fuori dall’Italia tanti i casi di strenua e sanguinosa resistenza. A Cefalonia l’evento più significativo e drammatico, migliaia di soldati e ufficiali furono uccisi nei combattimenti e poi fucilati. La stessa opposizione avvenne a Rodi e in molte zone della Jugoslavia, Albania, Grecia, in forma più ridotta nella Francia meridionale. Tanti restarono uccisi, molte decine di migliaia di militari si aggregarono alle strutture partigiane locali o parteciparono direttamente alla lotta contro le truppe tedesche mantenendo in maniera significativa la struttura originaria, operando in Jugoslavia ed Albania: Divisione Garibaldi “ Natisone” ( Slovenia –Croazia); Divisione “Italia” suddivisa in quattro brigate;   –    Divisione Partigiana “Garibaldi” ( operativa in Montenegro, Erzegovina, Bosnia, Sangiaccato), composta dalle ex Divisioni dell’esercito “Taurinense” e “Venezia”. Alla bandiera della Divisione Garibaldi, al reparto carabinieri della Divisione e al gruppo “Aosta” del 1° Reggimento Artiglieria Alpina, al’83° e 84° Reggimento Fanteria della Divisione “Venezia”, al 19° Reggimento Artiglieria da Campagna della Divisione “Venezia” (tutti costituenti la Divisione Partigiana Garibaldi), venne riconosciuta la medaglia d’oro. Molti altri partigiani si aggregarono a queste formazioni. Nella “Lettera di Memoria e Libertà” del 25 aprile 2018, tra gli altri, sono stati riportati i nominativi (con brevi biografie) di tutti i militari siciliani che fecero parte della Divisione Garibaldi. Altri sono stati già inseriti nella prima parte comprendente complessivamente 520 nominativi. Molti componenti dei reparti militari italiani che dopo l’armistizio si ritirarono dal sud della Francia si aggregarono alle formazioni partigiane che si costituirono in Piemonte. Inoltre, dopo la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia alla Germania del 13 ottobre 1943 venne riorganizzato il nuovo esercito italiano. Consistenti gruppi di combattimento furono schierati in supporto agli Alleati contro le armate tedesche. In Italia, molti militari siciliani si inserirono nelle formazioni della Resistenza, già nel corso del mese di settembre del 1943. A questo riguardo è bene evidenziare il significativo contributo dato a Roma e nel Lazio in genere fino alla Liberazione avvenuta il 4 giugno 1944. Altri, non pochi, da civili, emigrati nelle aree del centro-nord nel corso degli anni precedenti, scelsero di essere partigiani. Donne siciliane parteciparono attivamente alla Lotta di liberazione nelle aree territoriali del centro-nord. Giovani, impavide, con grande voglia di riscatto civile e democratico. Alcune furono uccise dai nazifascisti, dopo avere subito orrende torture e sevizie. In questa “Lettera” vengono riportati 5 nominativi, che si aggiungono alle 25 partigiane donne già richiamate nelle due parti precedenti sui “ Nominativi di Partigiani Siciliani”. L’elenco è ancora parziale. Non esiste ad ora una “fonte” unica, completa, che riporti i nominativi e gli aspetti di tutti i partigiani siciliani che svolsero attività di Resistenza su tutti i “fronti” prima evidenziati. Nel corso del tempo molti pregiati approfondimenti di ricerca sui partigiani siciliani son stati condotti da numerose strutture dedicate alla memoria della Lotta di Liberazione, da ricercatori storici, da libri di memorialistica e quant’altro operativo nel mondo sociale e culturale del territorio, che con dedizione civile e democratica continua la sensibilizzazione sui valori della Resistenza e sul contributo di uomini e donne della nostra Regione.In particolare, tra le tane fonti, è doveroso ricordare:
Le varie strutture provinciali dell’ANPI in Sicilia (compreso l’organismo Nazionale) che con grande passione hanno ricomposto l’impegno e la partecipazione dirette di tanti combattenti per la libertà, consegnando a tutti la possibilità della conoscenza appropriata.
La ricerca condotta da INSMLI curata da Carmela Zangara che con competente dedizione ha ricostruito il percorso e il sacrificio di molti caduti siciliani nella lotta contro il nazifascismo. Nel 2011 ha pubblicato il libro “Per liberar l’Italia – i siciliani nella resistenza: 1943-1945”.
La Regione Piemonte , che con le pubblicazione: “inserto speciale Sicilia” (luglio-agosto 2007), e “ Meridionali e Resistenza il contributo del Sud alla Liberazione 1943-1945” (edito nel 2012), a cura di Claudio Della Valle (Presidente dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”), realizzato con il contributo di tutti gli Istituti della Resistenza del Piemonte, ha pubblicamente divulgato l’impegno dei siciliani, quindi la Banca Dati Istoreto Piemonte.
La ricerca di Giovanna D’Amico: “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945”.
La ricerca di Mauro Sonzini: “Elenco dei partigiani siciliani attivi in Val Sangone” (2011)La ricerca di Mauro Begozzi: “Sui partigiani siciliani presenti nelle formazioni della Val Sesia, Cusio, Ossola e VerbanNunzio Di Francesco, con il libro “Il costo della libertà – Memorie di un partigiano combattente da Mauthausen a Gusen II” (edito 2001).Angelo Sicilia, con il libro “Testimonianze partigiane, i siciliani nella lotta di Liberazione” (edito 2015).

  • Nicola Musumarra, con il libro “La Resistenza italiana negata, il 25 luglio e la vendetta tedesca in Sicilia” (edito 2015).
    Lucia Vincenti, con il libro “Il silenzio e le urla, Vittime siciliane del fascismo (edito 2007).
    Mario Avagliano, con il libro “Generazione ribelle – diari e lettere dal 143 al 1945” (edito 2006).
    Giuseppe Nilo, con il libro “I marsalesi nella Lotta di Liberazione” (edito 2015).
                      Si ricorda l’importante contributo di consultazione derivante dai siti on line di:

Nel corso degli anni sono stati inoltre pubblicati parecchi libri di memoria, “raccontati” da partigiani siciliani e deportati nei lager nazisti. L’elenco è rilevante.
Sugli ultimi approfondimenti di merito pubblicati evidenzio “Resistenti, Storie di antifascisti, partigiani e deportati di Riesi” (Caltanissetta) a cura di Giuseppe Calascibetta.
Infine ritengo opportuno richiamare le segnalazioni che da varie parti mi sono pervenute nel corso degli ultimi due anni, e i numerosi approfondimenti sui partigiani siciliani effettuati dal sottoscritto nel precedente periodo di attività nell’Anpi di Catania, e successivamente, nel ruolo di componente della segreteria provinciale, responsabile dell’organizzazione.
Ringrazio i responsabili dei diversi siti internet, in Sicilia e in vari luoghi nazionali, compagni e amici che hanno a cuore i valori universali della Resistenza e della Lotta di Liberazione contro il nazifascismo determinanti per la rinascita della libertà e della democrazia nel nostro Paese – impressi nei postulati supremi della Costituzione- che nei mesi di aprile 2016 e 2018 hanno pubblicato la “Lettera di Memoria e Libertà” con i novecentottantasette (520 +467) nominativi di partigiani siciliani, contribuendo in maniera importante alla divulgazione della memoria. Mi auguro che lo stesso impegno venga mantenuto in questa ricorrenza del 75° Anniversario della Liberazione per la pubblicazione di questi ulteriori 420 nominativi contenuti in questa terza parte.
Per la lettura delle due parti precedenti, per tutti, segnalo dal sito ANPI Sicilia:

https://anpisicilia.wordpress.com/?s=520+nominativi+partigiani+siciliani

https://anpisicilia.wordpress.com/?s=lettera+memoria+e+libert%C3%A0+aprile+2018

(Domenico Stimolo)

“Nella vita talvolta è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza”  Sandro Pertini.

La guerra è quando milioni di persone sono costrette ad odiarsi e a scannarsi tra loro senza sapere il perché, per l’io capriccio di un re o di un tiranno. E alla fine delle carneficine, questi si stringono le mani” Peppino Benincasa (di Palermo) partigiano Divisione Acqui presso Cefalonia; dal libro di Peppino Benincasa “Memorie di Cefalonia”.                                                                                                                                                                                                                                                                              ***

I partigiani siciliani: 3° elenco:…..nominativi con brevi biografie.

La lista comprende 428 partigiani siciliani fucilati. Se vuoi vedere la lista completa clicca su questo Link:
                                                   http://www.labottegadelbarbieri.org/?s=Salvatore+Genovese

GENOVA Giuseppe nato a Delia (Caltanissetta) il 10/12/1922, contadino. Esercito, Fanteria, soldato. Partigiano in Piemonte da giugno 1944, Brigata Val Varaita, 104a Brigata Garibaldi. Nome di battaglia “Pasquale”.

GENOVESE Salvatore
nato a Randazzo ( Catania) nel 1921. Fucilato, assieme ad altri 28 partigiani, dalle SS naziste nel carcere di Udine il 9 aprile 1945. Il 14 marzo 1945 in trentasette antifascisti reclusi erano stati prelevati dal carcere di via Spalato, trasportati in via Treppo dove un tribunale tedesco emise la sentenza di morte per tutti. I fucilati del 9 aprile furono 29.

GENTILEZZA Ermanno nato a Lipari ( Messina) il 7/04/1929. Giovanissimo partigiano a Roma dall’armistizio 8 settembre 1943 fino alla liberazione della capitale. Gruppo “ Sette Colli”.

 

A Salvatore Genovese gli è stata dedicata una delle Vie Cittadine. La via costeggia il Mercato Coperto.

Lucio Rubbino

     

 

Non Tutti Parlano Bene di Noi

Dopo sir Douglass Sladen nel 1908, andarono a Maniace, passando per Randazzo,  l’americano WILL SEYMOUR MONROE (1863-1939),  la novellista irlandese EDITH SOMERVILLE (1858-1949) e la musicista inglese e leader del movimento “Women’s Suffrage” delle Suffragettes ETHEL SMYTH (1858-1944), meglio nota come Dame Ethel Smyth.
Ecco che cosa hanno scritto di questo inconsueto viaggio.

Edito da Bronte Insieme.

Maristella Dilettoso

 Maristella Dilettoso è nata e vive a Randazzo. Ha studiato a Randazzo, Bronte e Catania, dove ha conseguire la Laurea in Lettere Moderne nel 1976, discutendo la Tesi “Il fascino della distanza: due fiabe moderne presentate ai ragazzi”, relatore il Ch.mo Prof. Gino Corallo.

Dopo qualche breve esperienza di insegnamento, dal 1978 fino al 2011 ha diretto la Biblioteca civica della sua città. Tra i suoi interessi principali la pittura, la letteratura, il giornalismo, la storia e le tradizioni locali.

Nella pittura predilige il genere figurativo, i suoi soggetti sono paesaggi, nature morte, ma soprattutto angoli, monumenti e vie della sua città. Ha partecipato nel passato a diverse estemporanee e mostre collettive di pittura, aggiudicandosi un 1° posto (Maletto, 1980), ed altri riconoscimenti, ha tenuto una mostra personale a Bronte nel 1982; si è inoltre classificata al 1° posto nel Concorso indetto dal Comune di Maniace nel 1984 per il progetto dello stemma e del gonfalone.

 Ha redatto il testo della Guida turistica Randazzo città d’arte nel 1994, e, assieme ad altri, il testo della Guida alla Città di Randazzo nel 2002.
Ha pubblicato, assieme a don Cristoforo Bialowas, il volume Un beato che unisce : Randazzo e Montecerignone, nell’anno 2006, sulla vita e sul culto del beato Domenico Spadafora da Randazzo.
Nel 2008 ha pubblicato il volume Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze siciliane: un viaggio nell’universo randazzese. Per questa pubblicazione le è stato conferito nel 2008 il “Premio Bianca Lancia” nel corso delle manifestazioni di Medievalia a Brolo (ME), e nel 2009 il premio speciale della giuria per la sezione “Libro edito – Saggio”, nel concorso “Poesia, prosa e arti figurative 2009” indetto dall’Accademia Internazionale Il Convivio.

Maristella Dilettoso

Come giornalista ha firmato, fino ad ora, oltre 400 articoli, su argomenti vari: d’opinione, di cronaca, cultura, costumi e tradizioni, biografie, interviste, racconti, recensioni letterarie, collaborando a diverse testate, quali il Gazzettino di Giarre, Il Sette, il bollettino del Comune di Randazzo, Randazzo notizie, Famiglia domenicana (periodico dell’O.P.), il giornale della Diocesi di Acireale La Voce dell’Jonio (anche nella versione online, ed alla rivista Il Convivio, suoi scritti sono apparsi sul Giornale di Sicilia, La voce dell’isola, e su Prospettive.

È stata relatrice in alcune presentazioni di libri, conferenze e tavole rotonde, come una conferenza per la sezione l’Unitre di Randazzo sul tema “Le leggende di Randazzo” (2006) e una tavola rotonda su “Federico De Roberto a Randazzo” per l’Associazione RIS (2014), collabora occasionalmente con emittenti locali, ha fatto spesso parte di giurie in occasione di concorsi artistici e letterari.

Libro di Maristella Dilettoso

 

 

Produzione Letteraria

 Produzione artistica

 

 

Parlano di Maristella

Collana Etnografia

Titolo: Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze sicilane

Autore: Maristella Dilettoso  

Descrizione – Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze sicilane

«… si può con sicurezza affermare che la Dilettoso ha raccolto, illustrato e confrontato il mondo variegato delle tradizioni randazzesi da lasciare ben poco ad altri da spigolare nel vastissimo campo.
E pur avendo sottolineato nella sua introduzione di aver voluto circoscrivere il suo studio all’ambiente randazzese … e considerata una così grande importanza storica della città, questo ricco patrimonio culturale, regalatoci dall’ardua fatica della Dilettoso, non può restare circoscritto ad un ambiente delimitato al quale ha peraltro intrecciato una splendida corona, ma ha diritto di superare i ristretti confini geografici, di essere conosciuto, studiato e di far parte del prezioso tesoro delle tradizioni po­polari siciliane.
Di conseguenza, il volume merita di stare accanto alla produzione demologica dei grandi e meno grandi folkloristi dell’Isola, anche perché ricco di opportune annotazioni, con la finalità di agevolare l’intelligenza dei vocaboli e del senso della pregevole scelta dei proverbi.
E, inoltre, il volume mette in risalto una vasta erudizione, un’abilità non comune, una grande vivacità di fantasia, discernimen­to critico e un’arte singolare di descrivere della ricercatrice: proprio così, Mari­stel­la Dilettoso ha conservato uno dei più bei monumenti della nostra città e ha collocato un magnifico gioiello nel forziere nel quale vengono conser­vati i tesori della cultura popolare» (dalla Prefazione di Salvatore Agati).

L’Autore – Maristella Dilettoso

Maristella Dilettoso, nata a Randazzo nel 1951, laureata in Let­tere moderne all’Università  degli Studi di Catania, dopo brevi esperienze di insegnamento, dal 1978 dirige la Biblioteca comunale della sua città.
Si è occupata di pittura e disegno,  giornalista pubblicista, ha scritto articoli di cronaca, storia, arte, cultura locale, re­cen­sioni lette­rarie, collaborando a varie testate giornalistiche siciliane.
Ha pubblicato:
la Guida turistica ” Randazzo città d’arte” (1994), e con altri autori,
una Guida storico-turistica di Randazzo (2002) 
la monografia:  Un beato che unisce: Randazzo e Montecerignone (2006).

La battaglia di Francavilla di A Manitta a cura di M Dilettoso


 

Randazzo / La parrocchia di S. Martino vive l’Anno Giubilare del seicentesco “crocefisso della pioggia” |

La voce dell’Jonio  19 maggio 2016

“Crocifisso della pioggia” di S. Martino, – Randazzo

La Parrocchia di San Martino in Randazzo celebra quest’anno il 475° anniversario della presenza del Crocifisso del Matinati, con un Anno Giubilare straordinario indetto da Papa Francesco.
Le celebrazioni del Giubileo, che si sono aperte il 13 settembre e si concluderanno il 20 settembre 2015 con una grande festa in onore del Crocifisso, si articoleranno per un anno intero attraverso celebrazioni parrocchiali, pellegrinaggi, concessioni di indulgenze, nel corso delle varie ricorrenze e festività previste dall’anno liturgico.  

In apertura, la sera del sabato 13, per desiderio del parroco, padre Emanuele Nicotra, durante la Messa serale, è stato inaugurato un nuovo quadro, realizzato dall’artista Giuseppe Giuffrida e offerto alla chiesa di S. Martino da due parrocchiani che hanno preferito restare anonimi: l’opera si riferisce a un momento particolare dell’eruzione dell’Etna del marzo 1981 – quella che distrusse molte case e terreni del territorio di Randazzo, e minacciò seriamente l’abitato – e rappresenta S. Giuseppe, patrono della città, che intercede per la sua salvezza. La celebrazione  eucaristica è stata presieduta dall’arciprete Domenico Massimino, parroco del Duomo di Giarre.

Domenica 14 settembre, sempre in S. Martino, è stato inaugurato ufficialmente l’anno giubilare per i 475 anni dall’arrivo del Crocifisso a Randazzo con una messa celebrata dal vescovo della Diocesi di Acireale Mons. Antonino Raspanti, e la partecipazione di tutto il clero della città. Nel corso della celebrazione il Vescovo ha consacrato il nuovo altare.

Vale la pena di ricordare brevemente, a questo punto, la leggenda cui è legato il “Crocifisso della pioggia” di S. Martino, chiamato comunemente dai randazzesi ‘u Signuri ‘i l’acqua:  opera pregevole di uno dei Matinati, famiglia di “crocifissari” rinomata in tutta la Sicilia, probabilmente Giovanni Antonio,  è una scultura dallo stile contenuto e dalle armoniche proporzioni.
Vuole la tradizione che, in una sera di settembre del 1540, alcuni uomini trasportavano il Crocifisso verso un paese dell’interno, cui era destinato; giunti a Randazzo, o perché sorpresi da un acquazzone, o semplicemente per il sopraggiungere delle tenebre, chiesero ricovero per il simulacro nella chiesa di San Martino. 
All’indomani, venuto il momento di riprendere il viaggio, non appena giunti sulla porta della chiesa, un violento temporale li costrinse a rimandare la partenza, e così per tre giorni di seguito, finché, interpretando il prodigio come una manifesta volontà del Signore di rimanere a Randazzo, il clero della chiesa non ne  formalizzò l’acquisto.
L’immagine, ritenuta miracolosa, è stata ne corso dei secoli oggetto di grande venerazione da parte dei randazzesi, che in passato, durante i periodi di siccità e carestia, si rivolgevano a lei per impetrare la pioggia, con digiuni, preghiere e processioni.

Maristella Dilettoso

 

Randazzo / Riconoscimento filiale per mons. Mancini. A dieci anni dalla morte, il Comune gli dedica una piazza.

 

Lo scorso 29 aprile 2016 , giorno del 10° anniversario della scomparsa di mons. Vincenzo Mancini,  la città di Randazzo ha voluto dedicargli una piazza con una cerimonia che ha visto la partecipazione di autorità religiose, civili, militari, parrocchiani e numerosi altri cittadini.
Mons. Vincenzo Mancini era nato a Randazzo il 26 agosto 1921. Seguendo una vocazione manifestatasi fin dall’infanzia, ricevette l’Ordine Sacro il 4 marzo 1944, dopo gli studi compiuti presso il Seminario vescovile di Acireale.
Erano gli anni tristi della guerra (solo pochi mesi prima il fratello maggiore, Alessandro, era perito in mare durante l’affondamento della corazzata Roma), Randazzo non si era ancora completamente destata dall’incubo dei bombardamenti e dell’invasione, dovunque vi erano macerie, lutti, fame e distruzione, e il clero dovette molto impegnarsi a dare assistenza e sostegno.
Fin dall’inizio del suo ministero, il neo sacerdote fu assegnato alla Basilica di S. Maria, e da allora la sua vita è rimasta legata strettamente, inscindibilmente, a questa chiesa, uno splendido tempio che affonda le sue origini nella leggenda, che si è arricchito nei secoli di tante opere d’arte, grazie anche al mecenatismo degli arcipreti che vi si sono succeduti, che ha accolto la comunità randazzese nei momenti più luminosi come in quelli più bui, superando, magnifica e indenne, terremoti, eruzioni e guerre.
Di questa chiesa mons. Vincenzo Mancini è stato, per ben 62 anni, custode e guida, dal 1° dicembre 1966, quando ne divenne arciprete e parroco, succedendo a mons. Giovanni Birelli.
La successiva nomina di vicario foraneo, da parte del vescovo di Acireale, gli conferiva un ruolo pastorale, oltre che giuridico e amministrativo, che si estendeva ben oltre i confini della parrocchia e della città di Randazzo, comprendendo anche Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, ruolo di grande importanza, che lo promuoveva tra i più vicini collaboratori del vescovo, e che mons. Mancini ha svolto sempre con grande dignità e competenza, grazie a quella prudenza e innata saggezza, diplomazia, capacità di mediazione e autorevolezza, che lo hanno sempre contraddistinto.
Il suo impegno non restò circoscritto all’attività parrocchiale, ma si era esteso anche al mondo della scuola, con l’insegnamento presso il liceo classico “Don Cavina”, e all’assistenza agli anziani, perseguita e realizzata particolarmente attraverso la casa di riposo “Paolo Vagliasindi del Castello”.
L’istituzione, fondata nel 1929, e in un primo tempo aggregata all’ospedale civile, dal 1964 collocata in una struttura autonoma e dignitosa, lo ebbe nel 1956 commissario prefettizio, e dopo alcuni mesi presidente, carica, questa, che padre Mancini ricoprì, salvo brevi interruzioni, fino alla fine, e nella quale investì energie e impegno, promuovendo ampliamenti e ristrutturazioni dell’edificio, al fine di assicurare una vecchiaia e un’assistenza dignitosa e adeguata a tanti anziani di Randazzo e del circondario. Rimase attivo e presente nella vita parrocchiale, anche quando il fardello dell’età e degli acciacchi aveva cominciato a rallentare il suo passo, e nonostante il peso dei gravi lutti familiari che gli era toccato di affrontare negli ultimi anni. Si spense a 84 anni, il 29 aprile 2006.

L’Amministrazione comunale di Randazzo, considerato lo spessore del sacerdote e dell’uomo, e quanto mons. Mancini sia stato, nel corso del suo lungo mandato, un punto di riferimento, per tanti giovani, adesso cresciuti, per tanti anziani, per il clero locale, per la comunità parrocchiale e per la città tutta di Randazzo, con deliberazione di Giunta. n. 19 del 19.02.2016, stabiliva di dedicargli un’area cittadina.
La manifestazione del 29 aprile scorso, iniziata con una concelebrazione nella Basilica di S. Maria, presieduta dal vescovo della Diocesi di Acireale, mons. Antonino Raspanti, con la partecipazione dell’arciprete don Domenico Massimino e degli esponenti del clero di Randazzo, è proseguita con l’intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia), che si affaccia sul fiume Alcantara, e che da oggi, a ricordo di chi in quei luoghi ha operato per lunghi anni, si chiamerà “Largo mons. Vincenzo Mancini”.

 | La Voce dell’Jonio 4 maggio 2016 – Maristella Dilettoso 

 

la chiesa nera
Recensito 23 maggio 2016

La basilica di Santa Maria è la più famosa di Randazzo, e ha sempre costituito un’attrazione per turisti e visitatori. Interamente costruita in pietra lavica, la sua origine si perde nella leggenda. L’edificio, per come lo vediamo oggi, è il risutato di diverse fasi costruttive, fuse armonicamente. La parte absidale, la più antica, risale al XIII secolo.
All’esterno la costruzione è realizzata in blocchi squadrati di nero basalto, che non lasciano intravedere la malta tra le connessure. Oltre alle tre absidi merlate, dove si può vedere lo stemma di Randazzo, il leone rampante su uno scudo di marmo bianco, molto interessanti i due portali della facciata nord e sud, il campanile neogotico, costruito al centro della facciata nella seconda metà del XIX sec. sullo schema di quello originario, con tre ordini di finestre bifore e trifore, che alterna pietre bianche e nere, crendo con la sua bicromia un insieme artistico armonioso e suggestivo.
All’interno, una fuga di colonne in pietra lavica, alcune delle quali monolitiche, numerosi dipinti e oggetti preziosi.
Ricordiamo la Madonna di Pietro Vanni (1886) sull’altare maggiore, l’affresco con la Madonna del Pileri, sulla porta nord, legato alle leggendarie origini della chiesa, 6 tele del palermitno Giuseppe Velasco (sec. XIX), tra cui spiccano un’Annunciazione e il Martirio di S. Andrea, la Crocifissione del fiammingo Van Houmbracken (sec. XVII), la tavoletta di Girolamo Alibrandi sec. XVI) con La Madonna che salva Randazzo dalla lava, il Martirio di S. Lorenzo e di S. Agata, entrambi di Onofrio Gabrieli e il Martirio di S. Sebastiano di Daniele Monteleone, tutti del sec. XVII, la Pentecoste (sec. XVI), la tavola di Giovanni Caniglia (1548) cui s’ispira la Vara, il Battesimo di Gesù del randazzese F. Paolo Finocchiaro (1894), e un Crocifisso scolpito da frate Umile da Petralia.

 

 

 Articoli di Maristella

Francesco Giaimo

  Ausilia Giaimo,  la  terzogenita di Francesco Giaimo scultore in pietra che ha realizzato molti monumenti e ristrutturazioni a Randazzo, è stata da noi sollecitata ad inviare una biografia completa del padre.

Ausilia Giaimo

Collaborata dalla figlia l’architetto Daniela De Domenico, la potete leggere di seguito.
Francesco Giaimo è stato attenzionato anche dalla Rassegna Periodica Trimestrale  “Randazzo Notizie”  edito dal Comune di Randazzo negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.
La famiglia Giaimo pur trasferendosi a Messina ha continuato a tenere legami con la nostra Città con i propri parenti e i tanti amici tra cui la signora Santina Gullotto che è stata tramite e che ringraziamo di cuore.
Riportiamo qui l’articolo su “Randazzo Notizie” n. 25 – Maggio 1988.

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Sebastiano Anzalone


STORIA  RI   BASTIANU  ANZALUNI

Fimmini e omini, amici e parenti macari,

Si pirmittiti na storia vera vi vogghiu cuntari,

ri un certu bastianu omu nobiri e sinceru

travagghiaturi ri primu graru,

tanti e tanti lu ievunu a circari

picchi era omu bonu e facìa lu carritteri,

girava sempri nda feste e nda fieri

cattannu, scecchi, muli e calvacaturi,

chissà Bastianu lu facìa pi mistieri,

Cu autri amici ca cu illu si ponu paragunari.

Donne, uomini, amici e pure parenti,

se permettete una storia vera vi voglio raccontare,

di un certo Bastiano, uomo nobile e sincero,

lavoratore di primo grada,

tanti e tanti lo andavano  cercare

perché era uomo buono e faceva il carriettiere,

girando sempre nelle feste e nelle fiere,

comprando asini, muli e cavalli.

Questo Bastiano lo faceva per mestiere.

Con altri amici che come lui si potevano paragonare.

D’accordu ievanu sti amici frequentati

E pi tantu tempu ficiru a societati

Tirannu ra cussi avanti e cu stentu

Si spartiu ri sti amici giustu appuntu

Cussi pi Bastianu arrivau lu momentu

Ca cu so sapiri fari ‘ntricciau a lu rimbuschimentu,

no cchiui scecchi e muri, cu lu cammiu travagghiava

e purtava terra, pianti e piantini

facennu viaggi pi la chiana e li marini.

D’accordo andavano questi amici che si frequentavano

e per tanto tempo furono in società,

tirando avanti e con stenti.

Si separarono questi giusto ed appunto,

così per Bastiano è arrivato il momento

che con il suo saper fare ha intrecciato rapporti con il rimboschimento,

non più asini e muli, ma con il camion lavorava

e portava terra, piante e piantine 

facendo viaggi per la piana e le marine.

Cussi illu si dava ra fari

E appi tanta firucia ri la guardia forestari,

pi tantu tempu a lu boscu travvagghiau

e a tanti autri posti bonu si truvau.

Chissu Bastianu lu fici a lassa e pigghia

pi purtari avanti tutta la famigghia.

Ma la sorti misira e mischina

A bastianu nu cià dietti sta fortuna

nda stu fratempu brutta genti capitau

e la carta presti ci giriau,

mentri onestamenti trovagghiava

si presentava qualcunu chi lu disturbava.

Tanticchia ri campagna a lu murazzu ruttu avìa

Un cappannuni cu intra mezzi e interessi tinia,

e quannu non vossi cchiu pagari

u capannuni prestu ci inu a brusciari,

dannu assai ci ficiunu sti delinquenti

si brusciau tuttu ntempu nienti,

li carabinieri arrinau prestamenti

pi viriri sta scena stravacanti.

Bastianu arrivau a li momenti

Visti lu fuocu e non poti diri nienti.

A mia mi ficiru stu dannu

Cu lu Signurisi si l’ena viriri sti pezzenti.

Così lui si dava da fare

ed aveva tanta fiducia della guardia forestale,

per tanto tempo nei boschi lavorava

ed in tanti altri posti bene si trovava.

Questo Bastiano lo faceva a lascia e piglia

per portare avanti tutta la famiglia.

Ma una sorte misera e meschina

a Bastiano no gli ha dato questa fortuna,

nel frattempo brutta gente capitò

e la carta presto si è girata,

mentre onestamente lavorava

si presentava qualcuno che lo disturbava.

Un pezzo di campagna in quel di murazzo rotto aveva,

un capannone per i mezzi ed altri interessi teneva,

e quando non ha voluto più pagare,

il capannone presto fecero bruciare,

un grosso danno fecero i delinquenti

e tutto si bruciò nel tempo di niente,

i carabinieri arrivarono urgentemente

per vedere questa scena stravagante.

Bastiano arrivò in quel momento

ha visto il fuoco e non e non disse niente.

A me hanno fatto questo danno

con il Signore se la vedranno questi pezzenti.

Na cosa ancora vi vuogghiu diri

ri Bastianu,quannu pi tantu tempu

ia a trovagghiari versu lu continenti

pi purtari tanta roba a li mercati,

girannu e furriannu ‘nda tanti cittati,

chissà faccìa Bastianu u rannazzisi

girava sempri nda tanti paisi

pi tirari avanti e putiri campari.

Assai ni visti poviru criaturi

Ma non fu mai capaci

A qualcun ri farici mari,

era ri tutti rispittatu e sempri ri beni vurutu

e unni rivava, li porti l’amici ci ana aprutu.

Prima cu li carretti pi tantu tempu travagghiau

E ri tanti fatichi illu mai si stancau,

‘nda la so vita tanti sacrifici fici

e passau puru qualchi guaio bruttu e nfilici

fu macari ru mpocu ri mara saluti prissighuttatu

e pirdia a paci poviru svinturatu,

tanti spitari Bastianu avia giratu

e pi fortuna assai n’avia superatu.

Ancora una cosa vi voglio dire

di Bastiano, quanto per tanto tempo,

è andato a lavorare verso il continente

per portare tanta roba nei mercati,

girando e rigirando per tante città, 

Questo faceva Bastiano il randazzese

girava per tanti paesi

per tirare avanti e poter campare.

Assai ne vide povera creatura,

ma non è stato mai capace

di fare del male a qualcuno,

era da tutti rispettato e da tutti ben voluto

e dove arrivava, gli amici gli aprivano le porte.

Prima con i carretti per tanto tempo ha lavorato

e di tante fatiche non si è mai stancato,

nella sua vita tanti sacrifici fece

ed ha passato pure qualche guaio brutto ed infelice.

Fu pure da un po’ di mala salute perseguitato

ed ha perso la pace povero sventurato,

tanti ospedali aveva girato

e per fortuna assai ne aveva superato.

Ma rivau lu iornu ca non ci fu chiù nienti ra fari

Na marattia brutta a Bastianu lu curpìu

E la so vita cussì prestu finìu.

E pi chiuriri na cosa a tutti vi vogghiu diri

Ca non mi possu chiui prilungari

Ri Bastianu tanti cosi vulissi diri

Ca ri la so vita u romanzu putissi fari

E vi lu dici mentri ca ci pensu

Ca tutti sti paroli li scriviu l’amicu Vicenzu.

Ci pensa sempri Vicenzu

Macari ca fussi un baruni

Si ricorda sempri lu nomu ri Bastianu Anzaluni.

Ma arrivò quel giorno che non c’è stato nulla da fare,

una malattia brutta a Bastiano lo colpì

e la sua vita così presto finì.

E per chiudere una cosa vi voglio dire

che non mi posso più dilungare,

di Bastaiano tante cose vorrei dire,

che della sua vita un romanzo potrei fare,

e ve lo dico mentre che ci penso

che queste parole li ha scritte l’amico Vincenzo.

Ci pensa sempre Vincenzo

magari anche se diventassi un barone

si ricorderà sempre in nome di Bastiano Anzalone

 

 

     Pippo Anzalone con il padre       Sebastiano.

        Bastiano Anzalone sul suo Carretto.

 

 

 

  La famiglia Anzalone

 

 

 

 

Giovanni Di Giovanni – L’ebraismo in Sicilia (1748)

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Magro M. Teresa- Considerazioni sui vasi plastici siciliani nella collezione Vagliasindi di Randazzo

 

Considerazioni sui vasi plastici siciliani presenti nella collezione Vagliasindi di Randazzo

 

I vasi plastici sono da considerarsi una classe fittile strettamente legata alla coroplastica. Di seguito si vuole proporre alcune notazioni tipologiche su un gruppo di esemplari provenienti dalla necropoli di Santa Anastasia di Randazzo in provincia di Catania rinvenuti nel 1886.

La collezione Vagliasindi.

La collezione Vagliasindi.

Il sito è conosciuto in letteratura sin dai primi del novecento, a seguito di una breve comunicazione di Paolo Orsi in Notizie degli scavi dell’Antichità del 1907, della campagna di scavi archeologici da parte della Soprintendenza Archeologica di Siracusa, un’altra campagna sotto la direzione dell’architetto Patricolo della Soprintendenza alle antichità di Palermo. I reperti, rinvenuti in occasione della prima campagna di scavo da Paolo Vagliasindi, rimasero di proprietà dello stesso proprietario del fondo ed erano esposti privatamente nel palazzo di sua proprietà fino al bombardamento aereo del 1943 che colpì il palazzo ed anche la collezione.
Nel 1996 furono esposti nel Museo Civico di Randazzo intitolato al suo scopritore dopo un’accurato lavoro di assemblaggio e restauro, mentre una considerevole parte è stata divisa i tra i musei archeologici di Siracusa e di Palermo.
Si deve a Barbara Heldring la coniazione del termine vaso plastico e la loro classificazione basata sulla distinzione delle caratteristiche vascolari e decorative, che la porta a suddividerli in tre gruppi.
  –   Il primo gruppo, il “ Syracuse group”, raccoglie gli esemplari dell’area sud est della Sicilia e per i quali propone come centro di produzione la stessa città.
 –   Il secondo gruppo raggruppa gli esemplari presenti nei centri del nordest della Sicilia e che denomina il “Randazzo group”, e il cui centro di produzione non sarebbe identificato.
  –  Infine il terzo gruppo, chiamato il “Selinunte group”, venivano prodotti in loco e con imitazioni nell’area circostante.

Riguardo agli esemplari del Museo Vagliasindi, nel catalogo della Heldring risultano 13 esemplari tra interi e frammentari attribuiti al Randazzo group ed un esemplare attribuito al Syracuse group, a cui aggiunge un esemplare del Museo Salinas di Palermo proveniente dagli scavi nella stessa necropoli. Per i due gruppi la Heldring propone due datazioni diverse, tra la fine del VI secolo e gli inizi del V per il gruppo siracusano e la seconda metà del V secolo per il gruppo randazzese.
Dopo i restauri e gli assemblaggi avvenuti prima della loro esposizione nel Museo Civico in realtà gli esemplari plastici risultano in numero di otto in quanto almeno tre frammenti indicati dalla Heldring sono stati ricomposti a formare un vaso configurato a colomba che presenta la testa rotonda con occhio di forma circolare applicato ed il becco appuntito. La vasca di forma allungata è desinente a ventaglio con il rendimento della coda con tratti a stecca, mostra la presenza di un beccuccio cilindrico di versamento sul un lato del dorso (Fig. 1).

La tipologia dei vasi può essere divisa in due categorie in base alla forma del contenitore, in quanto un tipo si presenta come un contenitore ovoidale allungato a cui vengono aggiunte le zampe, le orecchie, e la coda, e con l’aggiunta di due piccole appendici forate sul dorso e di un’apertura circolare che dimostra l’uso del vaso finalizzato a contenere dei liquidi. In alcuni casi è aggiunto un beccuccio troncoconico simile a quello dei gutti impostato sul dorso, come nel caso del vaso configurato a topolino (Fig. 2),

o su un lato come nel caso della colomba, il secondo tipo, costituito da un askos con tre sostegni tubolari e con l’inserzione di una parte modellata a pieno, conservando comunque le appendici forate che permettevano di sospendere il vaso in posizione orizzontale tramite una cordicella e l’apertura circolare al centro (Fig. 3).

All’interno di questi due gruppi si distinguono diverse tipologie decorative, che si differenziano : una prima tipologia con decorazione a motivo a tralci vegetali con foglie d’edera in vernice nera sovra dipinta sull’argilla che decora la parte superiore dell‘askos attorno all’apertura superiore e in sei esemplari (centauro, delfino, tre topolini), una seconda con la presenza di vernice nera che copre interamente la superficie (due topolini, due cavalli, e una colomba) che appare completa solo in un esemplare, mentre negli altri esemplari è visibile solo in parte (Fig. 4).

Per il primo tipo si distinguono due diverse fatture sulla base del colore dell’argilla utilizzata e per la tipologia decorativa, in quanto la maggior parte degli esemplari presenta la decorazione sul fondo dell’argilla di colore rosa pallido con un disegno piuttosto “affrettato” delle foglie d’edera, come nel caso del vaso configurato a delfino (Fig. 5).

Anche nel caso del vaso configurato a cavallo le briglie sono rese da piccole foglioline accostate, mentre nel caso di due vasi configurati forse a topolino (Figg. 6 e 7) la decorazione sovra dipinta vegetale è piuttosto accurata e a foglie perfettamente cuoriformi, così come il rendimento anatomico degli occhi e del muso reso da piccolo puntinato è stesa su un ingobbio lucido rossastro che lo contraddistingue.

Figg. 6 e 7

Figg. 6 e 7

Di tipo diverso è il vaso plastico configurato a centauro (Figg. 8 e 9) che presenta l’aggiunta di un busto umano modellato a pieno impostato nel recipiente che mantiene le caratteristiche dell’ esemplare configurato a cavallo. Il busto è modellato con le spalle piuttosto strette ed i pettorali evidenziati da solchi resi con l’uso della stecca ed evidenziati dall’uso di colore nero.
Le braccia, ripiegate al gomito e tese in avanti non complete, probabilmente sostenevano un attributo.
La testa di forma allungata, con la mandibola pronunciata e rivolta in avanti, presenta un naso dalle grosse narici, una fronte bombata, occhi resi tramite profonde solcature oblique con il rendimento della pupilla, ed una corta capigliatura a riccioli che copre il capo sormontata da un piccolo copricapo di forma triangolare.

Figg. 8 e 9

Figg. 8 e 9

Passando in rassegna gli esemplari di vasi plastici esposti nei musei siciliani è evidente che l’antropomorfizazione si presenta per lo più nella configurazione femminile, resa con l’inserimento della sola testa nell’askos come nel caso dell’esemplare proveniente da Santa Maria di Licodia del Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, mentre resta assolutamente sino adesso isolato l’esempio maschile costituito da nostro centauro. Resta non chiara la sua caratterizzazione, definito di tipo caricaturale dalla Heldring ma che definirei piuttosto volutamente mostruoso. Tra le raffigurazione di centauro presenti nel mondo greco, per citare i più noti, sia la statuetta da Lefkandi del Museo Archeologico di Eretria (Fig 10), che l’askos del Museo Archeologico di Cos (Fig. 11) mostrano la voluta diversità del personaggio tramite delle anomalie, come è il caso della presenza di sei dita.

Figg. 10 e 11

Figg. 10 e 11

Il nostro centauro, che doveva probabilmente sostenere un ramo, come è consuetudine nelle raffigurazioni di centauri sui vasi, ma le cui braccia possono essere state volutamente rotte, e presenta anche un altro attributo, lo strano copricapo a piccole falde con tre punte che ricorda il petaso, è raffigurato in modo volutamente sgraziato e con un aspetto semi ferigno. È possibile tentare una identificazione del nostro centauro ? Un’ipotesi possibile che sia da identificarsi con chirone in quanto educatore di eroi, ma anche legato al mondo dei morti pertanto la sua collocazione in ambito funerario, sarebbe da considerarsi un messaggio implicito di educatore di fanciulli ma anche di accompagnatore o viaggiatore dell’oltretomba.

Benchè per i vasi plastici di Santa Anastasia non si hanno i dati di scavo per poter identificare l’età e il sesso dell’inumato, in altri contesti si hanno attestazioni della loro presenza in sepolture infantili, probabilmente utilizzati in rituali funerari come vasi per versare. Ma si ipotizza anche durante i riti di passaggio e di iniziazioni giovanili che potrebbero motivare la scelta dei soggetti quali la colomba e il porcellino presenti nelle statuette femminili di offerenti e dunque legati alla sfera femminile e ed il cavallo per la maschile.

Oltre ad un confronto stilistico sarebbe necessario effettuare delle analisi delle argille per l’indentificazione dei centri di produzione di questa classe ceramica che inizia a diffondersi con il declino delle importazione dai centri ionici di oggetti di lusso, quali i balsamari configurati probabilmente in connessione con gli avvenimenti politici del tempo, come la conquista persiana della Lidia e delle poleis greche d’Asia.

Top of page

Bibliography

M. Albanese, “Randazzo,” in Bibliografia Topografica della colonizzazione grecain Italia e n elle isole tirreniche, vol. XIV, Pisa-Roma-Napoli (1996), pp 554–561.

F. Caruso, “Sul centauro di Lefkandi” in N. Chr. Stampolidis, A. Giannikouri (a cura di), To Aigaiosten Proime Epoche tou Siderou. Praktika tou Deithnous Symposiou, Rhodos 1–4 Novembriou 2002, pp. 391–401.

F. Giudice, “La Ceramica attica del IV secolo a.C. in Sicilia e il problema della formazione delle officine locali,” in N. Bonacasa, L. Braccesi, E. De Miro (a cura di), La Sicilia dei due Dionisi, Atti della settimana di studio, Agrigento 24–28 febbraio 1999, Roma (2002), pp. 169–20.

B. Heldring, “A Mermaid and a Centaur ? Two South-Italian Plastic Vases,” Meded Rom XXXIX (1977), pp. 13–19.

B. Heldring, Sicilian Plastic Vases, Archeologia Traiectina XV, Utrech, 1981.

M. Kozioff, Animals in Ancient Art from the Leo Mildenberg Collection, catalogue of the exhibition at the Cleveland Museum of Art, Cleveland, 1981, m. 125.

M. T. Magro, Il Museo Archeologico di Randazzo, Randazzo Notizie, Organo Ufficiale del Comune n. 38 (1991) pp. 1–9.

M. T. Magro, F. Privitera, Collezione Vagliasindi, Supplemento a Etna territorio, 15, Catania 1993.

M. T. Magro, S. Barresi, “‘Ad radices Aetna montis.’” Ceramica figurata del V sec. a. C. nella collezione Vagliasindi,” in M. Ursino (a cura di) Da Evarco a Messalla, Archeologia di Catania e del territorio dalla colonizazzione greca alla conquista romana, Palermo, 2012.

M. Malfitana, “Per una ripresa degli studi sulla necropoli di S.Anastasia presso Randazzo (CT) : I materiali dei musei di Siracusa e Palermo,” in Il Greco, il barbaro e la ceramica attica : Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione degli indigeni, F. Giudice, R. Panvini (a cura di), Atti del Convegno Internazionale di studi, Catania, Caltanissetta, Gela, Camarina, Vittoria, Siracusa, 14–19 maggio 2001, Monografie della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Catania pp. 33–42.

P. Orsi, “Scavi e scoperte nel sud-est della Sicilia, XII Randazzo, Necropoli di S.Anastasia, in NSc (1907), pp. 495–497.

M. G. Palmieri, “Il centauro e il bambino : l’askos 1104 e lo statuto del bambino in epoca geometrica a Cos,” ASAtene LXXXIX, serie III (2011) pp. 346-354.

A. Pautasso, M. Albertocchi, “Nothing to do with trade ? Vasi configurati, statuette e merci dimenticate tra Oriente e Occidente”, in R. Panvini, G. Guzzone, L. Sole (a cura di), Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo tra Protostoria e V secolo a.C., Palermo (2006) pp. 283-290.

G. E Rizzo, “Una necropoli greca a S. Anastasia, presso Randazzo, e la collezione Vagliasindi”, Bullettino dell’Imperiale instituto archeologico germanico, vol. XV (1900) p. 237- 260.

P. Virgilio, Randazzo e il Museo Vagliasindi, Catania, 1996.

G.Zahlhass, « Aus Noahs Arche. Tierbilder der Sammlug Mildenberg aus fünf Jahrtausenden », Catalogue of exhibition at the Prahistorische Staatsammlung Munchen, Museum fur Vor-und Fruhgeshichte, October 11th, 1966 to January 12th (1977), p. 82 n. 65.

List of illustrations

Title La collezione Vagliasindi.
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-1.jpg
File image/jpeg, 172k
Title Fig. 1
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-2.jpg
File image/jpeg, 476k
Title Fig. 2
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-3.jpg
File image/jpeg, 692k
Title Fig. 3
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-4.jpg
File image/jpeg, 372k
Title Fig. 4
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-5.jpg
File image/jpeg, 252k
Title Fig. 5
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-6.jpg
File image/jpeg, 340k
Title Figg. 6 e 7
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-7.jpg
File image/jpeg, 492k
Title Figg. 8 e 9
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-8.jpg
File image/jpeg, 340k
Title Figg. 10 e 11
URL http://journals.openedition.org/acost/docannexe/image/440/img-9.jpg
File image/jpeg, 420k

Maria Teresa Magro .

mariateresa.magro@virgilio.it

Sicularagonensia l’inizio

 

SICULARAGONENSIA  L’INIZIO 

In una città dallo straordinario valore artistico e culturale, cinta da mura aragonesi, attraversata da vicoli medievali e arricchita da splendide chiese, nasce l’Associazione Sicularagonensia.
Essa è frutto dell’idea e dell’impegno di un gruppo di amici che ha sempre creduto nelle potenzialità e nella bellezza di Randazzo, una bellezza da salvaguardare, proteggere e soprattutto valorizzare.

Maria Cristina Fioretto


Era il 1995 quando, con un atto redatto da un notaio, fondiamo una associazione culturale avente un proprio statuto, un presidente, nella persona della sottoscritta Maria Cristina Fioretto, e un consiglio direttivo composto da Di Stefano Francesca, Gangemi Giuseppe, Gangemi Alessandro e Gangemi Laura.
La scelta del nome dell’Associazione era legata alle tradizioni e alla storia della città di Randazzo, per lungo tempo dominata dagli Aragonesi.
Furono così poste le basi per dare vita a quella ventata culturale che portò alla rea-lizzazione della Festa Medievale, che nella prima edizione non era ancora una “rievocazione storica”. 
La prof.ssa Francesca Di Stefano si occupò di disegnare tutti i bozzetti per i costumi quattrocenteschi, che furono poi realizzati a mano da sarte del posto e anche per le acconciature e il trucco, frutto del lavoro delle parrucchiere e delle estetiste di Randazzo.
La prima edizione della Festa Medievale si svolse il 10 agosto del 1995, in una unica giornata, nella quale sfilò un corteo con trenta figuranti.
Volendo però dare una precisa identità alla festa, iniziammo a cercare una figura storica legata a Randazzo, della quale rievocare le gesta. 
Si voleva però valorizzare un personaggio che non fosse già protagonista di altre manifestazioni analoghe. 
Fu così che, su suggerimento del prof. Giuseppe Severini, ripescammo da alcuni testi di storia la figura di Bianca di Navarra, vedova di Martino il Giovane, re di Sicilia, da lui nominata reggente del regno quando si recò in Sardegna per conquistarla e dove poi morì.

Francesca Di Stefano

Giuseppe Gangemi

Laura Gangemi


Leggendo la storia di questa donna forte e determinata, scoprimmo che ella fece tappa proprio a Randazzo mentre si recava a Taormina dove era stato convocato un consiglio dei nobili siciliani per decidere la successione sul trono di Sicilia.
Iniziammo allora la ricerca delle figure che accompagnarono la regina in quel suo viaggio: il capitano d’armi, il capitano di giustizia, le damigelle di compagnia e alcuni membri della corte.
Il successo della prima edizione e l’aver trovato una figura ai più sconosciuta e per di più donna rese facile decidere di rievocare il suo passaggio nella nostra città e ci invogliò a replicare la festa negli anni successivi, con una conseguente crescita del numero dei partecipanti che arriva oggi a contare ben 100 personaggi. 

     
     
     

 

Alla corte si aggiunsero infatti i gruppi dei tamburi, degli arcieri, dei popolani e dei giocolieri.
La particolarità del corteo è data dal fatto che sia la corte che i popolani sono in grado di esibirsi in danze (popolari) e bassedanze (cortigiane) del periodo (XIV XV sec.), frutto di stages con professionisti del settore.
Oggi l’Associazione Sicularagonensia è conosciuta e apprezzata da molti, è spesso invitata a partecipare alle feste e alle rievocazioni storiche di altre città ed è un vanto e motivo di orgoglio per tutti noi poter dire di aver dato vita a una manifestazione che è una tra le realtà più interessanti nel panorama delle rievocazioni storiche della Sicilia.

Maria Cristina Fioretto

Maurits Cornelis Escher

m_c_escher_relativita_1953

Maurits Cornelis Escher nasce a Leeuwarden, Olanda, il 17 giugno del 1898, quarto figlio di un ingegnere idraulico.

Nel 1903 si trasferisce con tutta la famiglia ad Arnheim dove, dal 1912 al 1918, frequenta il liceo con esiti disastrosi, tanto che alla prova di maturità viene addirittura respinto. Dopo essere riuscito con tanta fatica a conseguire il diploma, Maurits Escher si stabilisce ad Haarlem per seguire i corsi di architettura alla Scuola di Architettura e Arti Decorative, come voleva suo padre. L’architettura non interessa il giovane Escher quanto il disegno e, dopo pochi mesi, abbandona architettura per iscriversi ai corsi di disegno dell’insegnante di grafica Samuel Jesserun de Mesquita. Alla fine degli studi, come era quasi d’obbligo per tutti gli aspiranti artista, Maurits Escher fa un lungo viaggio in Italia e in Spagna nel 1922 dove rimane incantato dalla la prodigiosa complessità dalle decorazioni moresche dell’Alhambra, il castello di Granada. Proprio in Spagna scopre la tecnica dei “disegni periodici”, caratterizzati da una divisione regolare della superficie piana, disegni che diventeranno una costante di certe sue illustrazioni che lo renderanno celebre ed inconfondibile, nonché simbolo di un’arte contaminata dal pensiero scientifico.

Nel 1923 il pittore torna in Italia dove incontra Jetta Umiker, svizzera e l’anno dopo la sposa e compra casa a Roma, dove resterà per undici anni e da dove partiva per i suoi numerosi vagabondaggi. Durante gli anni italiani Maurits Escher prende moltissimi disegni e schizzi che si trasformeranno in litografie e comincia ad eseguire le incisioni su legno, servendosi di blocchi di faggio, della consistenza più dura, che gli permettono di tracciare delle linee sempre più sottili e di scolpire le sue sfere. Per trovare idee e spunti nuovi, viaggia molto, visitando ad esempio gli Abruzzi a piedi e molte località Italiane: è del 1929 la prima litografia “Veduta di Goriano Sicoli, Abruzzi”.
In questo periodo la sua produzione è ispirata alla natura ed ottiene un notevole successo con la sua prima mostra allestita Siena, primo passo in un susseguirsi di successi e affermazioni con esposizioni personali via via più corpose, nelle città europee fino in Olanda. In Italia, si afferma il regime fascista e il clima politico del paese diventa pesante, così alle prime avvisaglie di guerra si trasferisce con la famiglia in Svizzera, dove nel 1938 nasce il figlio Jan, avvenimento che lo allontanano dalla visione della natura per concentrarsi sulle sue immagini interiori.

In seguito, Maurits Escher, parlando della sua vita, definì l’anno della nascita di suo figlio come quello in cui maturò la svolta della sua vita: ” In Svizzera e in Belgio ho trovato molto meno interessanti sia i paesaggi che l’architettura, rispetto a ciò che avevo visto nel Sud Italia. Mi sono così sentito spinto ad allontanarmi sempre di più dall’illustrazione più o meno diretta e realistica della realtà circostante. Non vi è dubbio che queste particolari circostanze sono state responsabili di aver portato alla luce le mie “visioni interiori”.

La sua arte, ormai matura, riflette la sua visione del mondo che lo circonda e le elabora attraverso la fantasia, le realizza in architetture, prospettiva e spazi impossibili; le sue opere grafiche sono celebri per l’uso fantasmagorico degli effetti ottici. Il campionario sviluppato da Escher, contempla le sorprese più spettacolari che vanno da paesaggi illusori, prospettive invertite, costruzioni geometriche minuziosamente disegnate e altro ancora, frutto della sua inesauribile vena fantastica, che incanta e sconcerta. Nelle opere di Escher, l’ambiguità visiva diventa ambiguità di significato e dall’ osservazione delle opere e invenzioni di questo artista si intuiscono gli interessi e fonti di ispirazione, che vanno dalla psicologia alla matematica, dalla poesia alla fantascienza, che animano la sua mente geniale, affiancandolo a Michelangelo, Leonardo da Vinci, Dürer e Holbein. “La metamorfosi”, realizzata nel 1940 rappresenta una sorta di riassunto delle sue opere: densa di richiami alla geometria è una splendida storia per immagini in cui tutti i soggetti rappresentati si trasformano rapidamente in un qualcosa d’altro, in un continuo processo di mutazione.

Le case sul mare diventano scatole, perdono via via le loro caratteristiche, si trasformano in semplici cubi, in esagoni e alla fine in ragazzini cinesi; sono questi passaggi da una forma all’altra, dalla seconda alla terza dimensione che sconcertano l’osservatore. Due anni dopo venne pubblicato “M.C. Escher en zijn experimenten”. Nel 1941 si trasferisce in Olanda, a Baarn e, dal 1948, in concomitanza di mostre personali, tiene una serie di conferenze per illustrare il senso del suo lavoro. Nel 1954 M.C. Escher stabilisce un primo contatto con il mondo scientifico grazie alla sua esposizione al Museo Stedelijk di Amsterdam, in coincidenza con il Congresso Internazionale dei Matematici e, nel 1955, il 30 aprile riceve una onorificenza reale. Per il sessantesimo compleanno di Escher la città dell’Aia organizza una grande mostra retrospettiva per celebrare il suo genio, viene pubblicato “Divisione regolare delle superfici” e realizza la sua prima litografia dedicata alle sue celeberrime costruzioni impossibili : “Belvedere”. Dopo una lunga permanenza in ospedale, nel 1964 il pittore intraprende un viaggio in Canada, dove viene ricoverato ed operato d’urgenza.

Oltre ad essere un artista grafico, M.C. Escher si occupa di illustrazioni per l’editoria, progetta arazzi, francobolli e murales, un’attività senza sosta che gli vale il premio della Cultura della città di Hilversum. Nel 1969, in luglio, realizza la sua ultima xilografia, “Serpenti”, ma l’anno dopo subisce un’operazione e resta ricoverato per lungo tempo in ospedale, dopo di ché si trasferisce in una Casa di Riposo per Artisti a Iaren e muore il 27 marzo del 1972. La parte più originale della ricerca del pittore-matematico è quella riguardante la distribuzione del colore nei disegni periodici, per facilitare l’individuazione delle singole figure, ognuna delle quali deve svolgere alternativamente il ruolo di figura e di sfondo. Ad esempio, nei suoi Uccelli/Pesci, gli uccelli sono acqua rispetto ai pesci e i pesci sono cielo rispetto agli uccelli.

La sua teoria della “simmetria di colore” sui disegni periodici a due o più colori contrastanti, verrà scoperta solo parecchi anni dopo dai cristallografi che l’applicheranno con notevoli vantaggi nella classificazione dei cristalli e delle loro proprietà. Maurits Escher, popolare per le sue cosiddetto strutture impossibili, come “Ascending e Descending”, “Relatività”, le sue stampe di trasformazione, come “Metamorfosi I”, ” Metamorfosi II “, ” Metamorfosi III “e ” Sky & Water I o rettili “, non voleva dire nulla di più di quanto si vede nelle sue opere. La sua ricerca estetica è semplicemente una ricerca geometrico-formale, e la sua idea di bellezza risiede nella purezza del segno, nell’armonia, anche apparente, delle composizioni e nei paradossi illusionistici che solo la matita può creare. Eppure, al di là delle intenzioni consapevoli o inconsapevoli dell’artista e al di là dell’adesione ufficiale a un particolare movimento pittorico, le opere di Maurits Escher lo collegano al Surrealismo.

 

Maurits Cornelis Escher: breve biografia e opere principali in 10 punti

Due minuti per raccontare la vita dell’artista olandese, delle sue scale senza fine e delle sue prospettive impossibili.

Scale che non hanno inizio né fine, uccelli in volo che si fondono come il giorno e la notte, mondi impossibili che sembrano partoriti da un sogno. Osservare le opere di Maurits Cornelis Escher significa intraprendere un viaggio lungo i confini dello spazio, in una realtà che esiste in qualche anfratto profondo della nostra mente e quando viene a galla ci costringe a porci degli interrogativi su ciò che è vero e ciò che è solo apparenza. Eppure questo geniale artista olandese, forse non avrebbe mai creato quelle opere che lo hanno reso immortale, se la sua vita non lo avesse costretto a rinunciare al sole, al mare e agli splendidi paesaggi italiani.

LA VITA E LE OPERE DI MAURITS CORNELIUS ESCHER:
1. Maurits Cornelis Escher (1898-1972) è stato un incisore e grafico olandese. È conosciuto soprattutto per le sue incisioni che hanno per oggetto immagini basate su curiose simmetrie che esplorano l’infinito, paradossi matematici e prospettive (apparentemente) impossibili.

2. Escher non è stato uno studente modello, essendo carente in quasi tutte le materie, compresa la matematica, ad eccezione (ovviamente) del disegno.

3. L’Italia ha un peso rilevante nella vita di Escher. L’artista olandese vive infatti a Roma dal 1923 al 1935 con sua moglie Jetta Umiker che sposa a Viareggio nel 1924. È in Italia che nascono i suoi figli George ed Arthur. Escher ricorderà i suoi anni in Italia come “I migliori anni della sua vita”.

4. Escher approfitta del soggiorno italiano per percorrere la penisola in lungo e in largo in cerca di ispirazione. Oltre ad innamorarsi del sole, del mare e dei paesaggi del Belpaese, Escher è attratto dai piccoli villaggi della Calabria (es. Pentedattilo, sopra) e della Sicilia (CESARO’, MASCALI e RANDAZZO, in basso) che lo colpiscono per la particolare composizione e la struttura dei centri abitati che sembrano fondersi col paesaggio.

5. Lascia l’Italia per andare in Svizzera nel 1935 a causa dell’insopportabile clima politico causato dal fascismo. Nell’inverno del 1944 il suo grande maestro e amico Samuel Jessurun de Mosquita muore con la moglie e il figlio nel campo di concentramento di Theresienstadt, nella Repubblica Ceca.

6. Negli anni Quaranta Escher si trasferisce in Belgio e poi in Olanda. Da qui comincerà il suo periodo artistico più prolifico, in cui abbandonerà la riproduzione della realtà per rappresentare il suo mondo interiore. Escher motiva questa scelta spiegando che nei paesaggi di Belgio e Olanda non ha trovato nulla di così bello da ispirarlo, cosa che accadeva invece quando ammirava i paesaggi italiani.

7. Simmetrie, paradossi geometrici, luoghi che inducono a moti senza fine. La matematica e il calcolo sono componenti chiave per comprendere a fondo le opere di Escher. Lui stesso è stato amico di molti matematici come Bruno Ernst che su di lui ha scritto un libro “Lo specchio magico di M.C. Escher”.

8. Una delle opere più famose di Escher, Salita e discesa (1960) è ispirata all’illusione ottica dei matematici inglesi Lionel e Roger Penrose che ne avevano parlato in un articolo pubblicato nel 1958.

9. Day and night del 1938 (immagine in basso), Mani che disegnano (1948), Relatività (1953 – a lato) e Belvedere (1958) sono alcune delle opere più note di Escher.

10. Per le sue deformazioni spaziali capaci di creare mondi alternativi, Escher è stato molto amato dagli hippie e dalla controcultura dell’epoca, tanto che Mick Jagger scrisse una lettera molto amichevole (forse troppo) al maestro olandese per chiedergli di creare un’opera da usare come copertina per un album dei Rolling Stones. Escher rifiutò, chiedendo inoltre a Mick Jagger la cortesia di usare il “lei”, piuttosto che il “tu” nella loro corrispondenza.

 

“Solo coloro che tentano l’assurdo raggiungeranno l’impossibile.” (Maurits Cornelius Escher)

Maurits Cornelis Escher,inoltre esegue molte incisioni su legno e straordinariamente una bella veduta di CESARO’ con lo sfondo dell’Etna innevata, un panorama di RANDAZZO con in primo piano il Ponte sul fiume Alcantara, la Basilica di Santa Maria e di nuovo l’Etna innevata e una serie di litografie raffiguranti “la lava” che distrugge la città di Mascali (1928) ed il recupero di una villa circondata dalla lava.

Cesarò – 1933 Randazzo – Basilica di Santa Maria 1933 Mascali 1928

Mascali, la casa immortalata da Escher e ritrovata
             A novant’anni dall’eruzione che ha cambiato l’Etna

La litografia si chiama House in the lava near Nunziata e racconta la devastazione del 1928. La fotografa e documentarista Maria Aloisi, assieme alla crew di Etna walk, ha ricostruito la storia, ritrovando i ruderi di quella villa. 

Ritratta dal celebre Maurits Cornelis Escher, l’artista dell’impossibile e dei paradossi, House in the lava near Nunziata è una litografia che raffigura una grande villa completamente circondata dalla lava, nel piccolo borgo di Nunziata, frazione di Mascali, piccolo paese alle pendici dell’Etna.
Quest’opera, insieme a tante altre, è stata esposta al Palazzo della Cultura a Catania lo scorso anno, in occasione di una mostra che ha svelato, per la prima volta al pubblico siciliano, l’estro e le oniriche visioni dell’artista olandese.
Fu tra il 1928 e il 1936 che Escher si recò per lunghi soggiorni in Sicilia, affascinato dai paesaggi selvaggi e incuriosito dalla notizia della distruzione che la colata dell’Etna aveva seminato nel territorio di Mascali, nel novembre del 1928.


House in the lava near Nunziata

La stessa curiosità che ha spinto la fotografa, grafica e documentarista Maria Aloisi a indagare su quella litografia mascalese, dando una svolta alla storia di una villa diventata famosa nel mondo e, fino a questo momento, ritenuta perduta per sempre.rappresenta una testimonianza e un simbolo di quella che, sull’Etna, sarà ricordata come una delle eruzioni più devastanti degli ultimi secoli: interi campi coltivati completamente bruciati, abitazioni inghiottite dalla lava, popolazioni costrette a scappare e a lasciare in fretta le proprie case, comunicazioni ferroviarie e stradali interrotte e buona parte dei territori di Mascali e Nunziata sepolti in soli sei giorni.
«Dopo avere visto la litografia alla mostra mi sono attivata per cercare informazioni sulla casa nella lava – spiega Maria a MeridioNews – Ero affascinata da quest’opera e mi sono domandata se qualcuno avesse mai cercato i resti della villa o se invece era tutto perduto per sempre; grazie a un post su Facebook e a un’amica in comune, sono riuscita a rintracciare Francesca Failla, ultima erede della famiglia proprietaria della casa».
L’incontro di Maria con Francesca, tra i lucidi ricordi della signora e le fotografie ingiallite conservate gelosamente nei cassetti, si rivela inaspettatamente prezioso: «Sono andata a trovare Francesca convinta di fare una semplice chiacchierata e invece sono tornata a casa con in mano una splendida storia da raccontare», continua Aloisi che, poco dopo, decide di dare vita a un documentario per raccontare la storia di questa ricca famiglia caduta in disgrazia dopo l’eruzione, ma anche la storia di una tragedia che ha segnato le sorti di un intero paese.
«Escher ha dato un’altra vita a Palazzo Barabini, è così che si chiama la casa nella lava, dal nome della mia famiglia», racconta la signora Francesca Failla. «Vedendo la litografia ho avuto una grande emozione al pensiero dei miei nonni e di mia madre che abitavano proprio lì e di come poi le sorti della mia famiglia furono segnate dall’eruzione: agli splendori subentrarono gli stenti e mia nonna fu costretta ad appellarsi alla clemenza di Mussolini, chiedendo dei contributi che altrimenti non sarebbero arrivati, dato che mio nonno era dichiaratamente antifascista», continua Francesca.
«Non sono mai voluta andare a vedere un’eruzione dell’Etna: per la mia famiglia era un tabù», conclude l’ultima erede dei Barabini.
Negli ultimi mesi, durante la preparazione del documentario, Maria Aloisi, insieme a Giuseppe Distefano e Marco Restivo, documentaristi e fondatori di Etna walk My Etna map, hanno effettuato diverse ricerche e sopralluoghi per tentare di individuare i resti della casa della famiglia Barabini, nonostante tutte le voci e le notizie lasciassero pensare che della villa non ci fosse più alcuna traccia. «Abbiamo confrontato mappe antiche dell’Ufficio tecnico del Comune di Mascali, del catasto, fotografie dell’epoca, abbiamo consultato l’archivio dell’Istituto Luce e le preziose immagini dell’Eth di Zurigo e ci siamo fatti raccontare i ricordi di bambini degli ultimi anziani del paese.
 La difficoltà principale è stato muoversi in un territorio complesso, ampiamente martoriato dall’edilizia selvaggia e dall’abusivismo», spiega Maria.
Quando tutto sembrava perduto, l’aiuto decisivo per il ritrovamento della casa arriva grazie a una palma raffigurata in un’antica mappa che i tre documentaristi trovano presso l’Ufficio tecnico del Comune di Mascali.
Quella palma era la stessa ritratta da Escher nella litografia di House in the lava near Nunziata e, prima della catastrofica eruzione, fungeva come una sorta di faro per le persone che ogni giorno si recavano a lavorare presso gli agrumeti e i frutteti della proprietà dei Barabini.
 «Un ringraziamento particolare va al signor Zappalà, uno degli ultimi testimoni viventi dell’eruzione 1928, incontrato per caso mentre eravamo in centro a Mascali; un prezioso aiuto ci è stato dato inoltre da Leonardo Vaccaro dell’Associazione Mascali 1928 e dall’architetto Alessandro Cavallaro», conclude Maria Aloisi.
Il documentario La Casa nella Lava sarà visibile i primi di novembre a Mascali, nell’ambito degli appuntamenti dedicati al 90esimo anniversario dell’eruzione.
MICHELA COSTA 

a cura di Lucio Rubbino

Fra Antonino Pintabona – Vittima del Coronavirus

 

Coronavirus e vittime / I Camilliani e Randazzo piangono fra’ Pintabona: animo semplice innamorato dei sofferenti 

Si è spento a Cremona, lo scorso 7 aprile, per Coronavirus, il frate camilliano Antonino Pintabona, di 72 anni.
Era nato il 24 novembre 1947 a Randazzo (CT), da Giuseppe e Maria Cariola, secondo di otto figli.  Frequentate le scuole dell’obbligo, in età giovanile prende contatto coi figli di san Camillo (Randazzo appartiene alla Diocesi di Acireale, dove sono presenti e operano i Ministri degli Infermi) e fa il suo ingresso nella formazione in Provincia Siculo Napoletana.
La sua base scolastica gli permette di ottenere il solo titolo di infermiere generico, che gli è sufficiente per espletare la sua vocazione, quella dell’assistenza agli ammalati. Dopo il noviziato, è fra i primi camilliani – col responsabile P. Cisternino – ad aprire la missione africana del Benin, dove trascorre il periodo della professione temporanea dei voti, rinnovati per diversi anni. Dopo il trasferimento alla Provincia Lombardo Veneta, riprende ex novo tutto il percorso formativo, con umiltà e impegno.
Il 20 settembre 1981 inizia come postulante nella Comunità della Casa di Cura S. Camillo di Cremona, dove, salvo brevi interruzioni, resterà per 30 anni,
Nel 1983 entra in noviziato a Capriate S. Gervasio (BG), sotto la guida del maestro P. Lucio Albertini, e nel 1984 fa la professione religiosa dei voti temporanei, da rinnovarsi anno per anno, e viene inserito nella comunità di Predappio (FC) dove sono assistiti ex degenti degli Istituti psichiatrici. Finalmente, il 18 dicembre 1988 con la professione perpetua, entra definitivamente nell’Ordine come fratello laico.
Nel 1996, è trasferito alla Casa di Cura S. Camillo di Cremona: qui gli è affidato l’incarico, per lui gratificante, di prendersi cura della cappella e di seguirne le funzioni, nel luogo che custodisce le spoglie del Beato Enrico Rebuschini, camilliano, molto amato dalla cittadinanza, e del quale Fratel Antonino era particolarmente devoto.
Tornava in Sicilia per brevi periodi, durante le vacanze estive, per fermarsi nella natìa Randazzo, vi frequentava assiduamente la Basilica di S. Maria offrendo la propria collaborazione, senza tralasciare di recarsi ad Acireale, dai Frati Camilliani, dov’era avvenuta la sua prima formazione.
Ma l’epidemia del coronavirus, che si propaga proprio nel cremonese, investe la casa di cura S. Camillo, Frate Antonino non ne è stato risparmiato e agli inizi di marzo è ricoverato in reparto per una polmonite; il peggioramento non previsto lo porta alla morte la mattina del 7 aprile, assistito dai confratelli.  Sarà la seconda vittima tra il personale della Casa di Cura, dopo il dottor Leonardo Marchi, medico infettivologo e direttore sanitario.
Il religioso era conosciuto e amato da molte persone per il suo carattere aperto e spontaneo, i confratelli lo ricordano per i suoi modi diretti e scherzosi, come anima dei momenti conviviali in comunità, fiero delle proprie origini siciliane, sempre generoso e concreto nell’assistenza agli anziani e ai malati.
Quella di Frate Antonino è stata, certamente, una fede lineare e immediata, aliena dalle profonde disquisizioni teologiche, attenta piuttosto a quelle forme devozionali più semplici (il culto dei santi, le immaginette, che, pare, collezionasse con passione) ma dedita, soprattutto, all’amore e alla carità verso il prossimo, che aveva concretizzato, per lunghi anni, nella cura e nell’assistenza ai malati e ai sofferenti.

Maristella Dilettoso .

Antonio Tomarchio

 Antonio Tomarchio  è nato a Catania il 10 settembre del 1982 da Venerando (detto da sempre Nuccio ) noto Imprenditore di Giarre  e Rita Fieramosca (di Randazzo) Insegnante. Sposati nel 1973 hanno tre figli, Giusy laureata in Ingegneria Informatica lavora alla ST Microelectronics, Salvo laureato in Fisica insegna matematica e fisica nelle Scuole Superiori e Antonio .
Antonio è laureato in Ingegneria Matematica e sposato con Carla Patanè hanno una bambina di 4 anni.  Carla insegna in una scuola montessoriana. Le scuole montessoriane a New York sono molte richieste e ci sono delle liste d’attesa incredibili, naturalmente sono scuole private. La bambina frequenta una scuola montessoriana da quando aveva due anni.
Dopo la maturità scientifica, conseguita presso il liceo scientifico “Leonardo” di Giarre,  Antonio si trasferisce a Milano per frequentare, presso il Politecnico, il corso di laurea in Ingegneria Matematica.

Al terzo anno di università partecipa a una selezione per il programma di doppia laurea “time” con l’École Centrale di Parigi, dove rimane due anni.

Antonio Tomarchio


Nel 2005 consegue la laurea di primo livello. Nel 2006 la laurea all’École Centrale. Nel 2008 completa il percorso universitario conseguendo la laurea specialistica.
Durante il percorso universitario ha fondato due startup la prima, Precydent, negli USA con il professore Thomas Smith di San Diego; la seconda, Ad Right, in Italia, ceduta all’azienda Dada del gruppo RCS.  Azienda che ha assunto Antonio e tutto il team che lavorava con lui. A ottobre 2010 Antonio si dimette da Dada, continuando a dare consulenza per 6 mesi.
In seguito si dimettono anche i ragazzi che tuttora collaborano con lui.
Tutti insieme si buttano in una nuova avventura, “Beintoo”, che nel giro di pochi mesi acquisisce milioni di utenti e vince a Parigi “Le Web 2011”, competizione internazionale alla quale parteciparono circa 600 startup.
Questa vittoria permette a Beintoo di espandersi.
Oggi Beintoo opera globalmente nel mobile marketing e ha sedi a Milano, Shangai, Londra, New York.
Nel 2014 Antonio si trasferisce a New York, dove fonda Cuebiq, di cui è CEO  ( in inglese/americano e la sigla di Chief Executive Officer  cioè  l’Amministratore Delegato) .
Cuebiq inizialmente considerata uno spin off di Beintoo, successivamente ha acquisito un’identità propria.
Ha varie sedi: quella principale a New York, una in Italia, inoltre a San Francisco e Chicago.
Cuebiq si occupa di business intelligence. La metodologia di cui è proprietaria Cuebiq consente la raccolta anonima dei dati sulla posizione e l’analisi offline dei trend aggregati.
Il modo in cui le persone si muovono all’interno dei punti vendita viene elaborato sulla base di altri dati sul comportamento dei consumatori.

 

Antonio Tomarchio


Il tutto avviene in forma completamente anonima.
Le tecnologie di localizzazione di Cuebiq vengono utilizzate anche dagli sviluppatori di app per creare esperienze migliori per gli utenti. 

Nel 2016 riceve due riconoscimenti importanti uno in Italia da parte del politecnico di Milano come alunno dell’anno; l’altro a New York come giovane imprenditore di età inferiore a 40 anni (Antonio ne aveva 34), “40 Under 40 Awards” In tutto negli USA sono stati premiati 40 giovani manager del settore tecnologico.

                                                                    ——————————————-

Giarre: Premio “Antonio Tomarchio”, uno stimolo allo studio e a nuove start up

Giarre: Premio "Antonio Tomarchio", uno stimolo allo studio e a nuove start up
 

di Mario Pafumi

GIARRE – Il liceo statale “Leonardo” di Giarre lancia il Premio “Antonio Tomarchio” per incentivare allo studio e alla realizzazione delle start up, gli studenti delle quarte e quinte classi. L’iniziativa avrà il suo battesimo lunedì 17 febbraio prossimo, dalle ore 10 alle 12, nell’aula magna. 
 
L’ingegnere giarrese Antonio Tomarchio, ex alunno eccellenza del liceo giarrese, da anni ormai tra i piu brillanti “businness man” newyorkesi, ora amministratore delegato della Cuebiq, società di business intelligence di New York, incontrerà gli alunni nell’aula magna, per un momento di orientamento in uscita. Nell’occasione, sarà la dirigente, dottoressa Tiziana D’Anna a presentare il Premio “Antonio Tomarchio”, rivolto alle eccellenze in matematica, che prevede l’assegnazione di una borsa di studio e un viaggio a New York per due studenti del “Leonardo”(uno del quarto e l’altro del quinto anno) che si saranno particolarmente distinti.

 

MILANO E HINTERLAND

GLI INVESTIMENTI DELL’ITALO-AMERICANA  CUEBIQ

 

Dimmi come compri e ti svelo chi sei
Nell’hub degli specialisti dei dati tra talenti e il rientro di cervelli in fuga.

 

Il quartier generale è a New York
Ma l’azienda fondata a Milano ha scelto il capoluogo lombardo per potenziare ricerca e sviluppo.

  

IL PROGETTO è ambizioso: costruire il primo hub di professionisti dei dati in Italia. La realizzazione anche. «Cerchiamo alte professionalità sfruttando le relazioni con le università. E puntiamo sul rientro dall’estero dei migliori “cervelli in fuga”», spiega Walter Ferrara, uno dei fondatori con Antonio Tomarchio (promotore e CEO) Filippo Privitera e William Nespoli di Cuebiq, azienda italoamericana nata nel 2016 a Milano.


Eppure il piano della società che sviluppa e vende piattaforme per trasformare «la grande mole di dati in informazioni intelligenti » è avviato: «Entro fine anno – assicurano – il team di professionisti che lavora a Milano passerà da 70 a 120 persone».
Cuebiq ha scelto. Il quartier generale è e resterà a New York.
Ma il dipartimento di ricerca e sviluppo avrà casa nel cuore del capoluogo lombardo, nella sede da poco ampliata in Porta Romana: circa mille metri quadrati tra open space, sale riunioni, aree relax, cucina e terrazzo.
QUI DATA SCIENTIST, analisti e sviluppatori non si limitano a suggerire le novità da trasferire alla produzione, «ma fanno ricerca, lavorano ad algoritmi», sottolinea Ferrara, country manager per l’Italia di Cuebiq. «Siamo una delle poche aziende in cui si fa innovazione con i dati. Già oggi abbiamo uno dei dipartimenti di ricerca e sviluppo più grandi del Paese: investiremo buona parte delle risorse ottenute con il nuovo round di finanziamento (27 milioni di dollari) sulla sede milanese, con l’obiettivo di farla diventare un polo di eccellenza e d’avanguardia in ambito “big data”.
Un punto di riferimento per i professionisti dei dati in Italia».
Sviluppatori di software, ingegneri, data scientist, product manager e business analyst saranno tra i cinquanta specialisti selezionati da Cuebiq per creare l’hub di Milano.
In tre anni l’azienda ha triplicato il personale in organico tra Stati Uniti e Italia (140 in tutto). Tra il 2017 e il 2018 il fatturato è cresciuto del 300% trasformando la società italo-americana in una delle realtà leader del settore.


«LAVORIAMO per grandi brand e media agency – fa sapere Ferrara –. Vendiamo la nostra piattaforma per estrarre valore dai dati ».
Il sistema intelligente che archivia e trasforma i dati in informazioni si chiama Clara.
CLARA è Una piattaforma che consente alle aziende di conoscere i comportamenti dei propri utenti e confrontarli con quelli dei competitor.
Così come sviluppare nuove strategie commerciali, identificare opportunità di mercato e misurare l’impatto delle campagne pubblicitarie.

I DATI – precisa il country manager per l’Italia di Cuebiq – sono anonimi e de-identificati. Utilizziamo un’avanzata metodologia di crittografia per archiviare e trasmettere i dati raccolti: la tutela della privacy è una priorità, l’azienda ha creato un team dedicato e può contare su un manager come Shane Wiley con quasi trent’anni di esperienza in aziende tech.
Cuebiq ha creato anche un team specializzato nella cybersecurity » .

Con Clara i numeri diventano notizie.

LE TAPPE DELLA CRESCITA

Dall’anno zero al boom di affari
Nel 2016 quattro italiani fondano a Milano Cuebiq, azienda che sviluppa e vende piattaforme per trasformare dati in informazioni Il fatturato nell’ultimo anno è cresciuto del 300%.

Triplicato il personale
L’azienda ha triplicato il personale in organico tra Stati Uniti e Italia dove lavorano complessivamente 140 persone. La società è diventata una delle realtà leader del settore.

Il potenziamento dell’organico
L’ultimo finanziamento di 27 milioni di dollari sarà destinato soprattutto al potenziamento del team al lavoro a Milano. L’organico verrà potenziato e passerà da 70 persone a 120 entro fine anno.

I professionisti impiegati
Sviluppatori di software ingegneri, data scientist product manager e business analyst saranno tra i cinquanta specialisti selezionati da Cuebiq per creare il primo hub in Italia.
Luca Balzarotti
MILANO

 

                                                                                       ——————————————————————————-

La startup di business intelligence Cuebiq raccoglie 27 milioni di dollari per accelerare la crescita e supportare l’avanzamento delle iniziative sulla privacy dei dati.

Cubeiq è una società di business intelligence che fornisce ai propri clienti comportamenti del consumatore e approfondimenti sulle tendenze. Oggi, la società ha annunciato di aver raccolto $ 27 milioni in finanziamenti della serie B per sostenere la crescita, l’innovazione dei prodotti e il progresso delle iniziative sulla privacy dei dati. Il round è coordinato da Goldman Sachs Principal Strategic Investments (PSI), Nasdaq Ventures, DRW Venture Capital, Tribeca Venture Partners e gli investitori esistenti Tribeca Angels e TLcom Capital.

Antonio Tomarchio.

“In relazione al finanziamento, Brian Hirsch, co-fondatore e Managing Partner di Tribeca Venture Partners, e Marco DeMeireles, Head of Private Investments presso Balyasny Asset Management, sono entrati a far parte del consiglio di amministrazione di Cuebiq”, ha dichiarato la società in un comunicato pubblico.

Fondata nel 2015 da Antonio Tomarchio, Walter Ferrara e William Nespoli, Cubeiq, con sede a New York, è una delle principali società di intelligence di localizzazione e conoscenza dei consumatori che sfrutta il più grande database di dati di posizione accurati e precisi negli Stati Uniti. La sua piattaforma di intelligence di dati analizza modelli di posizione anonimi per consentire alle aziende di acquisire informazioni utili e comprendere meglio il percorso del consumatore offline.


Cubeiq offre ai suoi clienti servizi di marketing, vendita al dettaglio, ricerca ed editori. 
La sua piattaforma di marketing offre targeting per pubblico, attribuzione di campagne offline, analisi delle prestazioni e approfondimenti sulla posizione.
 La sua piattaforma di vendita al dettaglio offre analisi del footfall, selezione del sito e opinioni dei consumatori sul pubblico e geo-comportamentali.
 La sua piattaforma di editori offre servizi di segmentazione del pubblico, attribuzione della campagna e monetizzazione dei dati. 
La piattaforma SaaS di Cuebiq offre ai clienti analisi della posizione offline, ottimizzazione della campagna in tempo reale e attribuzione del footfall, nonché audience geo-comportamentali per il targeting di annunci multipiattaforma. 
Cuebiq ha sede a New York con uffici a San Francisco, Chicago, Italia e Cina.

La società ha guidato una significativa innovazione di prodotto con un aumento delle entrate di 3,2 volte su base annua e una crescita di 2,4 volte su base annua nella sua base di clienti.
 Oltre 1.300 aziende e marchi in una varietà di settori verticali utilizzano le soluzioni Cuebiq per accedere e personalizzare le informazioni in base alle loro esigenze in modi senza precedenti. 
Questo finanziamento supporterà l’ulteriore sviluppo del prodotto, contribuirà ad espandere le operazioni globali e far avanzare le iniziative sulla privacy dei dati attualmente in corso.
La metodologia proprietaria di Cuebiq consente la raccolta anonima dei dati sulla posizione e l’analisi delle tendenze offline aggregate.
 Questo livello di dati e intelligence aiuta gli esperti di marketing con siti di mattoni e malta a comprendere meglio le tendenze dei consumatori offline, analizzare le prestazioni dei negozi, misurare l’efficacia dell’attivazione del marketing e, in definitiva, competere meglio con le aziende di e-commerce.
Tali approfondimenti aggregati hanno dimostrato di fornire sostanziali capacità predittive per la previsione delle prestazioni. Ciò consente correlazioni di tendenze e vendite per una vasta gamma di settori verticali, dalla vendita al dettaglio alla comunità degli investimenti.

La location intelligence di Cuebiq aiuta anche gli sviluppatori di app a creare esperienze utente migliori, consentendo la consegna di contenuti e pubblicità più pertinenti al contesto.

Come parte dell’investimento, Cuebiq sfrutterà la tecnologia blockchain per creare un mercato di dati aperto per portare valore economico non solo alle società di dati e ai loro clienti, ma anche agli utenti finali.
“Mentre l’industria dei dati alternativi continua a maturare, ci sono crescenti applicazioni e opportunità per la comunità finanziaria di prendere decisioni di investimento più intelligenti”, ha affermato Ashwin Gupta, amministratore delegato del gruppo PSI di Goldman Sachs. “Di particolare importanza per noi nel fare questo investimento è il fatto che Cuebiq è leader nella tecnologia della privacy. Dal momento che riteniamo che la privacy dei dati sia il problema principale nel segmento dell’analisi della visione dei consumatori oggi, siamo lieti di collaborare con un’azienda innovativa che sta guidando il progresso tecnologico a questo scopo.
“Una delle nostre missioni chiave come azienda tecnologica è quella di investire in soluzioni e servizi che rafforzano l’integrità dei mercati mondiali”, ha affermato Gary Offner, capo di Nasdaq Ventures.
 “Siamo stati attratti da Cuebiq per la sua posizione unica come fornitore indipendente e indipendente dai media di informazioni sulla posizione che è stata ricavata da dati aggregati e anonimizzati. A integrazione del nostro investimento, esploreremo le opportunità per sfruttare l’intelligence di Cuebiq per i nostri clienti, nonché potenzialmente applicare la nostra blockchain e zero tecnologie a prova di conoscenza tramite il nostro Nasdaq Financial Framework per guidare ulteriormente l’iniziativa sulla privacy dei dati di Cuebiq. ”
“Fin dalla sua istituzione, Cuebiq si è impegnata a proteggere la privacy degli utenti, che ha ottenuto le certificazioni NAI e TRUSTe dell’azienda”, afferma Antonio Tomarchio, CEO di Cuebiq. “Questo impegno ha reso il desiderio di collaborare con investitori che la pensano allo stesso modo un fattore critico.

 Cuebiq non è solo pronto per la conformità al GDPR in Europa, ma sta anche lavorando con le sue app partner in tutto il mondo per adottare lo stesso framework lungimirante. Riteniamo che la privacy e la trasparenza saranno vantaggiose per tutte le parti interessate – dagli utenti finali, agli sviluppatori di app e alle società di dati allo stesso modo. ”
Nell’ultimo anno, Cuebiq ha lavorato per preparare la conformità al GDPR fornendo alle sue app partner una soluzione chiavi in ​​mano per una migliore gestione del consenso e della rinuncia. Ciò include un’app proprietaria, in fase di sviluppo, che fornirà agli utenti un modo aggiuntivo per esercitare i loro diritti sulla privacy.
Cuebiq è stato anche leader nell’utilizzo di dati e approfondimenti al servizio di una varietà di cause. 
Attraverso la sua iniziativa “Data for Good”, la società condivide le proprie conoscenze sulla posizione con i ricercatori delle migliori università e organizzazioni no profit per promuovere l’innovazione per cause quali il miglioramento della qualità della vita nelle comunità scarsamente servite, la risposta ai disastri naturali e lo sviluppo di una città intelligente.
Team TechStartups  pubblicato IL 18 maggio 2018 

Antonio Tomarchio (Founder and CEO at Cuebiq) – Antonio Tomarchio is founder and CEO of Cuebiq; a location intelligence company that helps businesses glean actionable insights based on consumers’ offline behavior and purchase intent. Cuebiq is a spinoff of Beintoo, a market gin tech company to serve the needs of marketers, the media community and investors. Antonio founded Beintoo in 2011 and served as CEO until February 2016. Before Beintoo, Antonio was Head of Product and R&D of Dada and prior to that, Antonio co founded multiple data driven companies, US and Europe based. Antonio holds an M.S. in Mathematical Engineering from Polytechnic University of Milan and a double degree in Engineering Science from the Ecole Centrale de Paris.

 

MINDS SHAPING THE WORLD


Startupper seriale conquista l’America partendo dal Politecnico

Antonio Tomarchio: Alumnus dell’anno 2016: Da Giarre a New York, costruendo il futuro della business intelligence.

 


Un keynote speech sul futuro dell’intelligenza artificiale e il deep learning che fa scattare l’applauso più lungo della mattinata è solo l’antipasto per Antonio Tomarchio, CEO e fonder di Cuebiq la start-up premiato il 15 ottobre durante l’annuale Convention degli Alunni del Politecnico.

Partito da Giarre – in provincia di Catania – più di 15 anni fa per studiare Ing. Matematica al Politecnico di Milano, Tomarchio dagli anni di studio non è rimasto fermo un attimo. Prima gli anni di lavoro in azienda, poi il salto. Diventa uno startupper seriale, con successi all’attivo in Italia e nel mondo: prima del salto da un continente all’altro, quello davvero importante.

Il trasferimento a New York, dove dalla sua prima start-up, Beintoo, nasce lo spinoff centrato sulla business intelligence in tempo reale Cuebiq. Cuebiq, ha spiegato Tomarchio, è una piattaforma che permette di raccogliere in tempo reale informazioni sulle abitudini dei consumatori nei luoghi d’acquisto.
Sono dati raccolti in forma anonima e nel rispetto di ogni normativa sulla privacy grazie allo smartphone che ognuno di noi possiede, e che vengono utilizzati solo a livello di aggregato per permettere alle aziende di comprendere al meglio le esigenze e le abitudini dei consumatori che visitano gli store e i negozi fisici.
Un’idea tutto sommato laterale per un mondo che sembra muoversi sempre più in direzione dell’e-commerce, dato che il senso comune vuole i negozi tradizionali destinati se non a scomparire quantomeno a vedere ridimensionati i propri volumi d’affari.
Ma un’idea potenzialmente rivoluzionaria per il mondo retail tradizionale. La tecnologia proprietaria – che a stretto giro verrà brevettata – di Cuebiq permetterà così di intercettare i trend di visite degli store, analizzando il flusso di traffico e fornendo al brand di turno informazioni sull’utente.

 

 

Cuebiq: l’azienda con radici italiane riceve un nuovo finanziamento da 27 milioni di dollari

Cuebiq: l'azienda con radici italiane riceve un nuovo finanziamento da 27 milioni di dollari

Cuebiq è lo spin-off americano dell’azienda italiana Beintoo: ha annunciato un nuovo sostanzioso finanziamento a sei anni dal primo round di investimenti

di Rosario Grasso pubblicata il 21 Maggio 2018, alle 16:21 nel canale MERCATO

 
 
 

Cuebiq ha annunciato di aver ottenuto un finanziamento da 27 milioni di dollari da una cordata guidata da Goldman Sachs e Nasdaq Ventures che coinvolge precedenti finanziatori dell’azienda come Tribeca Angels e TLcom Capital. Cuebiq è una startup americana con CEO italiano, Antonio Tomarchio, nata nel 2016 come spin off dell’azienda italiana Beintoo. Si tratta del secondo round di finanziamento per l’azienda che già nel 2012 aveva ottenuto 5 milioni di dollari.

L’operazione porta all’interno del consiglio di amministrazione di Cuebiq Brian Hirsch, co-founder e Managing Partner di Tribeca Venture Partners, e Marco DeMeireles, Head of Private Investments a Balyasny Asset Management. L’investimento arriva in seguito alla crescita del fatturato dell’azienda, con un aumento delle entrate nell’ultimo anno di 3,2 volte e una crescita di 2,4 volte per quanto riguarda la consumer base.

Cuebiq

Più di 1300 tra aziende e brand usano le tecnologie di Cuebiq per fornire soluzioni mirate ai loro clienti. Questo finanziamento supporterà lo sviluppo di ulteriori prodotti, contribuirà all’espansione delle operazioni su scala globale e all’avanzamento delle iniziative sulla privacy dei dati attualmente in discussione. Fra gli altri elementi della sua strategia, infatti, Cuebiq si fa promotore delle tecnologie a garanzia della privacy e dell’esportazione del GDPR su tutto il pianeta.

Cuebiq è un’azienda di business intelligence. La metodologia proprietaria di Cuebiq consente la raccolta anonima dei dati sulla posizione e l’analisi offline dei trend aggregati. Il modo in cui le persone si muovono all’interno dei punti vendita viene elaborato sulla base di altri dati sul comportamento dei consumatori. Il tutto avviene in forma completamente anonima e in modo da aderire alle recenti direttive del GDPR.

Ciò permette alle aziende di realizzare campagne pubblicitarie mirate: queste informazioni aggregate, infatti, hanno dimostrato di fornire notevoli capacità predittive per la previsione delle prestazioni. Ciò consente di correlare tendenze e vendite per un’ampia gamma di settori verticali. L’azienda ha saputo cogliere i trend di mercato e modificare il suo orientamento iniziale, più votato al concetto di gamification, come abbiamo visto in una precedente intervista ad Antonio Tomarchio.

Precedente intervista ad Antonio Tomarchio

Le tecnologie di localizzazione di Cuebiq vengono anche utilizzate dagli sviluppatori di app per creare esperienze migliori per gli utenti, consentendo la pubblicazione di messaggi pubblicitari contestuali. Come parte dell’investimento, Cuebiq sfrutterà la tecnologia blockchain per creare un mercato di dati aperto capace di portare valore economico non solo alle società che gestiscono dati e ai loro clienti, ma anche agli utenti finali.”Fin dalla sua istituzione, Cuebiq si è impegnata a proteggere la privacy degli utenti, ottenendo le certificazioni NAI e TRUSTe”, ha affermato Antonio Tomarchio. “Questo impegno ha reso un fattore critico la volontà di collaborare con investitori che la pensassero allo stesso modo. Cuebiq non solo è conforme al GDPR in Europa, ma sta anche lavorando con le sue app partner per adottare lo stesso framework lungimirante in tutto il mondo. Riteniamo che la privacy e la trasparenza offrano vantaggi per tutte le parti interessate, dagli utenti finali agli sviluppatori di app fino alle data companies”.

“È per noi fonte di orgoglio che l’intero R&D dell’azienda sia basato a Milano, nella nuova sede che conta già oltre 40 dipendenti con un forte piano di crescita”, aggiunge Walter Ferrara, Country manager italiano. “Abbiamo moltissime posizioni aperte, disponibili nella sezione career del nostro sito, tra cui Data Engineers, Data Scientist, Full Stack Engineers in un contesto di innovazione tecnologica che ci ha portato all’uso di soluzioni top-notch”.

Altre informazioni su Cuebiq sono reperibili sul sito ufficiale

 

Beintoo, la start-up da un milione di utenti 
Dal mare di Sicilia alla San Francisco bay

Filippo Privitera e Antonio Tomarchio hanno 30 e 29 anni, vengono rispettivamente da Acireale e Giarre, e danno lavoro a 18 giovani, età media 27 anni. Hanno 15 dipendenti a Milano e tre a Palo Alto, in California, ma vogliono espandersi perché «buona parte del nostro traffico viene dalla Cina». Tutto questo grazie alla loro start-up, che esiste da un anno e mezzo, ha vinto tutti i premi che poteva vincere ed è una delle realtà web più interessanti d’Italia

Startup L’ Italia del futuro Il nuovo business dei giovani .

Oltre il posto fisso, forse non c’ è il baratro.
C’ è un esercito di startup che si è finalmente messo in moto. Alzate lo sguardo.
In Cile qualche giorno fa una startup italiana ha vinto la gara mondiale per i migliori progetti di innovazione e business.
Doochoo propone un sistema per fare i soldi con i sondaggi in rete, ha già conquistato clienti come Ikeae Toyota, ed è guidata da un giovane che quando parla sembra sempre che stia per ribaltare il mondo: Paolo Privitera, veneziano, 35 anni, da dieci negli Stati Uniti («me ne sono andato perché volevo correre»). È uno startupper seriale, nel senso che ne ha all’ attivo già sei. Il premio cileno funziona così: i team scelti vengono ospitati a Santiago per sei mesi e incassano 40 mila dollari ciascuno.
Tanti? Pochi, se pensate che Doochoo potrebbe essere comprata entro l’ anno per 25 milioni di dollari.
Dice Privitera: «A San Francisco non ho mai visto tanti startupper italiani come in questi giorni».
Un terremoto? «No,è un tumulto». Ecco, tumulto rende meglio l’ idea della rivoluzione in corso. Tumulto iniziato da un po’ : l’ 8 dicembre a Parigi un’ altra startup italiana ha vinto LeWeb, il più importante evento europeo dedicato all’ economia digitale.
Per i francesi è stato uno shock: appena qualche giorno prima il presidente Sarkozy faceva i sorrisini quando gli nominavano les italiens. Antonio Tomarchio, 29 anni, partito da Giarre, provincia di Catania, sapeva di dover battere anche lo spread della credibilità: è salito sul palco ed ha sbaragliato la concorrenza parlando di Beintoo (una piattaforma per applicazioni legate al gioco che ha tre milioni di utenti al giorno, di cui un milione solo in Cina).

 

Antonio Tomarchio e il Vescovo di Acireale Antonino Raspanti.


Ancora un passo indietro: a ottobre aveva fatto scalpore il fatto che Mashape, l’ impresa di tre ventenni che avevano polemicamente lasciato l’ Italia, era stata finanziata con circa un milione e mezzo di dollari dal numero uno di Google e dal fondatore di Amazon, ovvero la Champions League della Silicon Valley.
Ma il tumulto non riguarda solo gli startupper lontani. Se restiamo ai casi di successo, quello forse più eclatante in questi giorni è AppsBuilder, piattaforma per farsi da soli applicazioni per telefonino, creata da un ingegnere del Politecnico di Torino di 25 anni, Daniele Pelleri: in undici mesi ha già sfornato 20 mila apps che sono state scaricate oltre un milione di volte.
Questo elenco potrebbe non finire mai. E vuol dire in fondo una cosa sola: avanza una generazione di startupper.
Sono di solito molto giovani, in prevalenza uomini ma ci sono tanti casi di donne (RisparmioSuper di Barbara Labate è il più noto).
E poi: sanno usare benissimo la Rete; parlano alla perfezione almeno l’ inglese; viaggiano in economy anche quando hanno successo perché i soldi non si sprecano; spesso all’ inizio non hanno un vero ufficio e sanno raccontare il loro progetto in tre minuti esatti, non una misura qualsiasi, ma il tempo di una corsa in ascensore con un potenziale investitore (di qui la formula americanissima degli” elevator pitch” per le ormai tantissime competizioni a caccia di capitali).
Ma, soprattutto, gli startupper, non sanno cos’ è il posto fisso. «Il nostro obiettivo nella vita non è trovarci un lavoro, ma creare lavoro», ha scolpito nel web Max Ciociola, 34 anni, fondatore di musiXmatch e «startup activist».
Riccardo Luna

 

Beintoo, la start-up da un milione di utenti 
Dal mare di Sicilia alla San Francisco bay

Filippo Privitera e Antonio Tomarchio hanno 30 e 29 anni, vengono rispettivamente da Acireale e Giarre, e danno lavoro a 18 giovani, età media 27 anni. Hanno 15 dipendenti a Milano e tre a Palo Alto, in California, ma vogliono espandersi perché «buona parte del nostro traffico viene dalla Cina». Tutto questo grazie alla loro start-up, che esiste da un anno e mezzo, ha vinto tutti i premi che poteva vincere ed è una delle realtà web più interessanti d’Italia.

«È una giornata intensissima, sono arrivati gli investitori, abbiamo tanti appuntamenti». La sede di Beintoo, a Milano, è piena di gente. In ogni stanza c’è qualcuno che lavora o qualcuno che discute. L’unico spazio vuoto è una stanzetta con la macchina per fare il caffè e un divanetto per fare una pausa. Filippo Privitera ha trent’anni, e Antonio Tomarchio 29.
Grazie alla loro start-up, oggi danno lavoro a 18 persone: 15 in quelle stanze milanesi, tre a Palo Alto, nella San Francisco bay. Se per caso i cognomi lasciassero dubbi, tutt’e due sono siciliani. Filippo di Acireale, Antonio di Giarre. «Ci siamo conosciuti tramite amici in comune, mentre io studiavo alla Scuola superiore di Catania, e all’università facevo Ingegneria elettronica», racconta Filippo, che dei due è quello che è andato via dall’Isola più tardi. «Mi sono trasferito qui nel 2008, sempre per lavoro – spiega – Mentre Antonio aveva studiato all’École centrale di Parigi, e poi al Politecnico di Milano».

«Beintoo è un modo per restituire un valore agli utenti che usano app sui loro smartphone». In parole semplici funziona così: ci sono una trentina di applicazioni – tra le quali la celeberrima Fruit Ninja (il gioco dove s’affetta frutta con la katana) che hanno deciso di aderire alla piattaforma ideata dai due siciliani. Ciò significa che, usandole, l’utente iscritto a Beintoo ci guadagna: «Abbiamo creato una moneta virtuale, i bedollars, che possono essere spesi per acquistare oggetti reali all’interno del nostro market online, oppure per vincere coupon sconto». Così, un numero stabilito di bedollars può valere un peluche per la festa della mammaun buono del 50 per cento da Bottega verde e molto altro: «In questo modo, i marchi piazzano i loro prodotti». L’idea per i due giovani è arrivata nel 2010, poi tra una cosa e l’altra – «adempimenti burocratici, soprattutto» – sono partiti a fine gennaio del 2011. Oggi, dopo un anno e mezzo di attività e 650 mila euro di finanziamenti trovati, Beintoo attinge a un bacino di 100 milioni di persone e ha raggiunto un milione di utenti registrati.
Un progetto ad alto contenuto d’innovazione, che piace al mondo delle start-up. LeWeb, per esempio, è una delle più importanti competizioni per start-up del mondo, «anche se in realtà è più basata sull’Europa», precisa Filippo. L’edizione 2011 l’ha vinta proprio Beintoo, tra gli applausi dei colleghi. «Ci siamo iscritti per provare, già superare le prime selezioni è stata una sorpresa, figurarsi arrivare per primi», ride il ragazzo, che è il responsabile di tutta la parte tecnica.
Oggi ancora in fase di assunzione. «Siamo in un momento di grande sviluppo, abbiamo bisogno di programmatori validi, cerchiamo le eccellenze, i migliori».
Trovarli, però, è difficile. O è difficile riuscire ad assumerli: «Vogliono il posto fisso, il contratto a tempo indeterminato, ma io e Antonio il tempo indeterminato l’avevamo e l’abbiamo lasciato per lanciarci in questa avventura, così come tutti i ragazzi che lavorano con noi, che sono tutti assunti con contratto a progetto». 
L’età media è 27 anni, il più giovane di anni ne ha 22. «Siamo un’azienda giovane, dinamica, il posto fisso è un concetto che non si lega bene al concetto di start-up – spiega Privitera – È troppo costoso, ed è anche un po’ obsoleto».
Non vuole fare polemica, non gli interessa, «voglio solo assumere persone che non vengono a lavorare per me perché vogliono sistemarsi, ma perché credono nel progetto: ho bisogno di gente che combatta come faccio io, non che si adagi con la stabilità». In più, se uno è tanto bravo e sa di esserlo, non ha paura di cambiare continuamente posto di lavoro: «È una sfida come un’altra».
I prossimi passi saranno l’apertura di nuove sedi di Beintoo in giro per il mondo: «Vogliamo ingrandire Palo Alto e poi il nostro obiettivo principale è l’Asia, visto che buona parte del nostro traffico viene dalla Cina».
Alla Sicilia ci si pensa, mica no. «Volevamo aprire giù qualcosa che si occupasse di ricerca e sviluppo», ma è una regione complicata. «Non è che non si possano fare start-up lì, è solo che il territorio non ti supporta, i clienti li devi incontrare fisicamente e al Sud non ci sono aziende con le quali si possa lavorare, per esempio, sull’advertising».

Luisa Santangelo 29 MAGGIO 2012

 

Beintoo, startup tutta italiana, si aggiudica la Startup Competition di LeWeb. Ennesima dimostrazione di come l’eccellenza italiana conquista e mette d’accordo tutti in giro per il mondo.

 

La Startup Competition di  LeWeb, svoltasi in questi giorni a Parigi, ha visto trionfare Beintoo, unico concorrente italiano. Il primo della fila Antonio Tomarchio.

Cos’è Beintoo?
Beintoo permette di ottenere benefici reali dalla tua attività online.
Utilizzando le tue app preferite (piattaforma Android/iOS/Facebook) potrai incrementare il tuo Bescore e quindi aumentare la tua ricchezza in Bedollars.

In un secondo momento potrai trasformare i tuoi Bedollars virtuali in reali benefici come coupon, sconti e bonus, presso i partner affiliati, da utilizzare nella vita di tutti i giorni.

Ovviamente la piattaforma è aperta anche agli sviluppatori che vogliono monetizzare quanto da loro prodotto.
Il modello di business adottato prevede che il 60% del ricavato sia destinato allo sviluppatore mentre il 40% a Beintoo.

Chi c’è dietro Beintoo?
Dietro un nome, un brand o un marchio c’è sempre un team di persone che, con le proprie eccezionali capacità, hanno speso tutto per inseguire il sogno.
Come già anticipato, Beintoo è startup tutta italiana. Ecco tutti i componenti del team:

Antonio Tomarchio – Fondatore
– Filippo Privitera – Fondatore
– Andrea Cozzi – Co-Fondatore
– William Nespoli – Co-Fondatore
– Walter Ferrara – Co-Fondatore

Qualche numero:
– 24 milioni di utenti
– 200 sviluppatori attivi
– 60 mila utenti “premiati” ogni giorno

Questo ennesimo successo di una realtà italiana dimostra come le migliori menti del nostro paese siano sempre in grado di stupire e di convincere tutti in giro per il mondo.
Anche se il nostro paese spesso non offre il giusto supporto alla crescita ed alla maturazione di realtà imprenditoriali, il crescente successo dei nostri giovani ci fa ben sperare per una società migliore nel prossimo futuro. 
SABATO 10 DICEMBRE 2011

 

Cuebiq/Beintoo

Oggi una delle realtà informatiche che affondano le radici in Italia, e in particolare in Sicilia, più promettenti è Cuebiq, spin-off americano dell’azienda italiana Beintoo. Il suo CEO è Antonio Tomarchio, già conosciuto per il suo lavoro in Dada sul sistema di online advertising Simply. Oggi Tomarchio guida il successo di Cuebiq da New York e le ultime procedure per la conclusione della fase di startup.
La squadra di Tomarchio, così come i due ragazzi della prossima storia, ha molti elementi originari della provincia di Catania.
Recentemente Cuebiq ha ricevuto un secondo round di finanziamento da 27 milioni di dollari.
Si tratta del secondo round di finanziamento per l’azienda che già nel 2012 aveva ottenuto 5 milioni di dollari.
Più di 1300 tra aziende e brand usano le tecnologie di Cuebiq per fornire soluzioni mirate ai loro clienti. Questo finanziamento supporterà lo sviluppo di ulteriori prodotti, contribuirà all’espansione delle operazioni su scala globale e all’avanzamento delle iniziative sulla privacy dei dati attualmente in discussione. Fra gli altri elementi della sua strategia, infatti, Cuebiq si fa promotore delle tecnologie a garanzia della privacy e dell’esportazione del GDPR su tutto il pianeta.

Antonio Tomarchio

Cuebiq è un’azienda di business intelligence. La metodologia proprietaria di Cuebiq consente la raccolta anonima dei dati sulla posizione e l’analisi offline dei trend aggregati. Il modo in cui le persone si muovono all’interno dei punti vendita viene elaborato sulla base di altri dati sul comportamento dei consumatori. Il tutto avviene in forma completamente anonima.
La metodologia proprietaria di Cuebiq consente la raccolta anonima dei dati sulla posizione e l’analisi offline dei trend aggregati.
Ciò permette alle aziende di realizzare campagne pubblicitarie mirate: queste informazioni aggregate, infatti, hanno dimostrato di fornire notevoli capacità predittive per la previsione delle prestazioni allo scopo di correlare tendenze e vendite per un’ampia gamma di settori verticali.
Una vera e propria manna dal cielo per tantissime imprese il cui business funziona sulla raccolta e l’elaborazione dei dati.
L’azienda affonda le sue radici in Beintoo, brand con il quale Tomarchio e la sua squadra hanno saputo cogliere i trend di mercato e modificare il suo orientamento iniziale, più votato al concetto di gamification, come abbiamo visto in una precedente intervista ad Antonio Tomarchio.
“La ricerca di fondi è una sfida fondamentale perché è necessario essere finanziati per poter avere la tranquillità di lavorare focalizzati sul prodotto e senza distrazioni”, diceva Tomarchio in quell’intervista. “In Italia esiste una comunità di angel e inizia a esserci una comunità di venture capital di rilievo formata da persone competenti. È chiaro che non vi è la stessa disponibilità di fondi che si può avere negli Stati Uniti, ma è anche chiaro che il numero di startup è decisamente ridotto”.

 

La tecnologia Beintoo ha rappresentato una parte cruciale di uno dei titoli mobile di maggior successo di quel periodo, Fruit Ninja. La software house di origine siciliana con sede a Milano ha infatti collaborato con Halfbrick Studios, la software house australiana che ha creato Fruit Ninja e Jetpack Joyride.

Le tecnologie di localizzazione di Cuebiq vengono anche utilizzate dagli sviluppatori di app per creare esperienze migliori per gli utenti, consentendo la pubblicazione di messaggi pubblicitari contestuali. Cuebiq sfrutterà la tecnologia blockchain per creare un mercato di dati aperto capace di portare valore economico non solo alle società che gestiscono dati e ai loro clienti, ma anche agli utenti finali.

“Fin dalla sua istituzione, Cuebiq si è impegnata a proteggere la privacy degli utenti, ottenendo le certificazioni NAI e TRUSTe”, ha affermato Antonio Tomarchio. “Questo impegno ha reso un fattore critico la volontà di collaborare con investitori che la pensassero allo stesso modo. Cuebiq non solo è conforme al GDPR in Europa, ma sta anche lavorando con le sue app partner per adottare lo stesso framework lungimirante in tutto il mondo. Riteniamo che la privacy e la trasparenza offrano vantaggi per tutte le parti interessate, dagli utenti finali agli sviluppatori di app fino alle data companies”.

“È per noi fonte di orgoglio che l’intero R&D dell’azienda sia basato a Milano, nella nuova sede che conta già oltre 40 dipendenti con un forte piano di crescita”, aggiunge Walter Ferrara, Country manager italiano. “Abbiamo moltissime posizioni aperte, disponibili nella sezione career del nostro sito, tra cui Data Engineers, Data Scientist, Full Stack Engineers in un contesto di innovazione tecnologica che ci ha portato all’uso di soluzioni top-notch”.

 

 

 

Drive-to-store, McDonald’s sceglie la location intelligence di Beintoo

L’azienda di fast food ha utilizzato BeAttribution Lite, nuova versione alleggerita del prodotto BeAttribution, per misurare l’efficacia delle campagne pubblicitarie mobile dedicate a promozioni brevi.
McDonald’s ha scelto Beintoo per verificare sul campo l’efficacia dei dati di location effettuando studi di analisi del traffico su campagne drive-to-store legate a brevi promozioni.

 

Mandatory Credit: Photo by Shutterstock (9077573o)
Scott McDonald (President and CEO, ARF), Antonio Tomarchio (CEO, Cuebiq), Mark Rabe (CEO, Sojern), David Wong (SVP, Product Leadership, Nielsen Watch), Chris Kelly (CEO, Survata)
Measuring Up seminar, Advertising Week New York 2017, Target Media Network Stage, PlayStation Theater, New York, USA – 27 Sep 2017


Grazie alla BeAttribution Lite della società tecnologica, una nuova versione alleggerita del prodotto di location intelligente BeAttribution, è possibile infatti effettuare questi studi su tutte le campagne, senza limiti di durata o delivery (numero di impression ecc.), restituendo accurati insights sulla risposta offline dei consumatori.
“La versione Lite è stata pensata per rispondere alle esigenze di diverse tipologie di player: dai grandi marchi che basano il loro business sulla diversificazione dell’offerta e hanno l’esigenza di promuovere diversi prodotti, ai piccoli brand che vogliono sfruttare gli strumenti della location intelligence per orientarsi verso il marketing data driven.
In un mercato dominato dall’omnicanalità, infatti, è fondamentale ottenere insights sulle singole iniziative di marketing con una frequenza periodica, motivo per il quale abbiamo pensato che questo prodotto sarebbe stato in grado di rispondere alle esigenze di McDonald’s.
Il brand, infatti, realizza spesso iniziative promozionali limitate nel tempo e, inoltre, si è sempre dimostrato aperto all’innovazione e alla sperimentazione di nuovi strumenti e prodotti”, afferma Luca Marmo, Sales Account Manager Beintoo.
L’azienda ha richiesto inizialmente un primo studio di BeAttribution Lite sulla campagna drive-to-store Crispy McBacon. Grazie alla tecnologia proprietaria, Beintoo ha erogato la campagna su specifiche audience e quantificato il numero di utenti che, dopo essere stati esposti al messaggio pubblicitario, si sono recati in uno dei punti vendita McDonald’s sul territorio nazionale.
Per misurare l’effettiva efficacia della campagna, inoltre, questi dati sono stati incrociati con quelli di un gruppo di controllo con le stesse caratteristiche che non era stato esposto al messaggio, generando così il dato di uplift, ovvero, il numero reale delle visite attribuite grazie all’impatto della campagna pubblicitaria.



La prima campagna drive-to-store ha ottenuto più di un milione di impression e portato nel punto vendita decine di migliaia consumatori su tutto il territorio nazionale, facendo registrare un tasso di visita compreso tra il 5% e il 7% (rapporto tra gli utenti raggiunti dalla campagna e le visite uniche presso gli store all’interno della finestra di conversione).
L’efficacia della campagna è stata dunque molto positiva, come dimostra il dato di uplift che ha registrato un incremento in linea con la media di settore. McDonald’s ha poi deciso di effettuare questo studio anche sulle campagne pianificate successivamente, migliorando ancora la tendenza positiva fino al raggiungimento di un uplift superiore al 15% per la campagna Salva Euro.
Lo studio di BeAttribution Lite ha fornito, inoltre, al cliente una dashboard navigabile dove poter osservare nel dettaglio per ogni campagna insights come: le visite, il tempo di permanenza, la distanza percorsa per raggiungere lo store, l’arco temporale trascorso tra la visione del messaggio pubblicitario e la visita in store e, infine, la creatività utilizzata.
Questo consente di poter analizzare con semplicità i singoli risultati divisi per regione, ed effettuare una valutazione minuziosa sull’efficacia delle diverse promozioni in relazione all’arco temporale e alla distribuzione geografica degli utenti e dei punti vendita.
Cosimo Vestito – 16 luglio 2019

Che dire ?!!!  Congratulazioni  alla famiglia Tomarchio e un grazie ad Antonio chè ci fa sentire più orgogliosi di essere siciliani. 
Ad Maiora Semper.

 

 

 

 

Ebrei a Randazzo

 

Il 18 giugno 1492, Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia presero una decisione grave che in seguito ebbe sviluppi tragici nell’economia del regno spagnolo e in Sicilia allora già vicereame: un gesto di fondamentalismo cattolico fu l’editto che impose senza condizioni che gli ebrei dovessero abbandonare per sempre la Sicilia entro tre mesi, pena la morte.
Gli ebrei erano vissuti in Sicilia dai tempi biblici e la Trinacria era stata una delle terre più importanti in cui si erano fermati, una volta partiti dalla Palestina all’inizio della diaspora nel 70 d.e.v.

Ferdinando il Cattolico ed Isabella di Castiglia

La Sicilia era abitata, fino all’anno 1492, da un numero d’ebrei, in percentuale alla popolazione residente, superiore a quelli presenti in qualsiasi altra regione o stato europeo o del bacino del mediterraneo (percentuali di presenza purtroppo incerte nel territorio siciliano, ma oscillanti secondo cifre controverse di stima da un minimo del 5% per città ad un massimo del 50%, che si raggiunse a Marsala).
Nel 1492 Ferdinando il cattolico era entrato vincitore nella città di Granada, vincitore della guerra di riconquista contro i musulmani, liberando così la Spagna definitivamente dal popolo arabo: i piccoli e grandi banchieri ebrei, in quanto da sempre popolo sottomesso, avevano finanziato la guerra di Ferdinando il cattolico contro i mussulmani di Spagna e segretamente aiutato economicamente il governo islamico in Spagna contro lo stesso Ferdinando (perché non a torto riconoscevano ai musulmani una disponibilità ed una tolleranza nei loro confronti certamente più favorevole dei governanti cattolici).
Gli ebrei erano sempre considerati come gli eredi di quel sinedrio che aveva condannato Gesù alla morte (un pregiudizio che costò loro una persecuzione ingiusta e fino ad oggi viva nell’immaginario collettivo), ed in più erano particolarmente mal tollerati in quanto praticavano il prestito di denaro su pegno.
Di fronte all’editto di espulsione, se si decideva di rimanere, bisognava chiedere il battesimo e convertirsi definitivamente al cristianesimo: si doveva accettare il cristianesimo o abbandonare la Sicilia e la Spagna, vendere i beni mobili ed immobili entro tre mesi, oppure rimanere e rinnegare l’antica fede.
In realtà sembrerebbe che per Ferdinando sia stata più una rivalsa post bellica che non una manifestazione di fede cattolica.

Già prima del 1492, operò anche in Sicilia, il tribunale dell’inquisizione, definito “Della Santa Inquisizione”, perché fregiandosi di tale aggettivo, potesse andare assolto da ogni nefandezza e persecuzione illegale, che spesso portava alla condanna a morte delle sue vittime, troppo spesso di religione ebraica.
Così la chiesa di Roma continuava a cavalcare il mito dell’unica confessione religiosa presente nel mondo civile conosciuto a quel tempo.
Tale atteggiamento prevaricatore ed assolutista, continuò nei secoli, anche dopo l’unità d’Italia ove con la costituzione della Repubblica Sabauda si consolidò in Italia l’antico dominio ideologico religioso.

Tale atteggiamento invasivo politico-assolutista, si concretizzava nel disporre costanti e silenziose iniziative quando di distruzione, quando di acquisizione di tutte le testimonianze ebraiche che soprattutto in Sicilia potessero fare ritornare alla memoria la storia di un popolo siciliano, che per molti secoli rese lustro all’arte medica, ai mestieri, alla cultura ed all’economia isolana.
Dopo le ricerche di Giovanni  Di Giovanni e dei Lagumina, per circa un secolo interesse storico per la fede ebraica siciliana fu quasi del tutto sopito.

Solo dopo il 15 giugno 1992, a seguito del noto convegno “Italia Giudaica – gli ebrei di Sicilia sino all’espulsione del 1492”, si innescò il grande interesse degli storici verso la storia degli ebrei di Sicilia.
La quantità d’ebrei in uscita dalla Sicilia non è stata mai accertata neanche con una credibile approssimazione, ma probabilmente i poveri preferirono cercare nuove terre, mentre molti ricchi ebrei si convertirono apparentemente al cristianesimo (la vendita con premura non sarebbe mai stata un buon affare, specialmente con compratori consapevoli della grave situazione dei legittimi proprietari diffidati ad andarsene): molti andarono a Napoli, altri certamente in Nord-Africa, nella città di Salonicco, nelle isole del Dodecanneso, altri sparsi per il mondo come vuole una tradizione antica e modernissima che vede questo popolo perseguitato ed errante in tutte le direzioni.
Il sultano ottomano inviò in Spagna e Sicilia, a più riprese, un’intera

Monastero San Giorgio – Randazzo

 flotta per accogliere come profughi in Turchia i giudei cacciati, e questa terra (in particolare Istanbul) è ancora abitata dagli eredi di Spagnoli e Siciliani emigrati: non fu solo un atto d’umanità, poiché le autorità turche si resero conto della grande utilità economica degli ebrei.
Chi rimase in Sicilia e finse d’essere cristiano cercò segretamente di mantenere usi e tradizioni, ma soprattutto di rispettare la religione ebraica e le cerimonie ad essa connesse: essendo questo considerato destabilizzante per il potere spagnolo, non fu tollerato che la finta conversione passasse inosservata e impunita e, temendo il potere economico degli ebrei e la loro capacità di far adepti per la loro religione, essi furono sottoposti sempre ad imposizioni fiscali a volte addirittura umilianti (le richieste di pagamento dei “balzelli” mettevano a dura prova le loro capacità finanziarie).
Per quanto tempo segretamente fu professata la religione ebraica in Sicilia dopo il 1492 non è facile a determinarsi, ma si può tutt’ora certificare l’antica presenza ebraica da molti cognomi rimasti in uso fra i siciliani e nomi di strade e toponimi ancora esistenti che denotano la diffusa presenza di questo popolo.

(Calò, Consolo, Consiglio, Castro, Bonaventura, Levi, Marino, Massa, Manara, Meli, Milano, Pavia, Catania, Palermo, Perugia, Piazza, Porto, Prato, Recanati, Romano, Russo Veneziano, nonché tutti i cognomi provvisti di suffisso – Di Carlo, Di Grazia, D’Agata, Del Vecchio, Greco, Ferro, Fiorentino, Franco, Franchetti, Vita, Vitale, etc).

Molti storici si sono interessati alla storia della cacciata degli ebrei di Sicilia cercando di scoprire perché questa tragedia accadde e quanti furono gli ebrei che abbandonarono realmente l’isola, le loro case, le attività ben avviate e soprattutto i luoghi dove nacquero e avevano vissuto.
Il monaco inquisitore Giovanni di Giovanni nel 1748 e i monaci fratelli Lagumina nel 1885, scriveranno sui giudei di Sicilia con documentata penetrazione.
I loro libri diventeranno gli studi da cui partire per le successive ricerche e in ogni modo due libri che sono fondamentali per affrontare quest’argomento.
Com’è facile considerare, Giovanni Di Giovanni e Giuseppe e Bartolomeo Lagumina appartenevano al clero cattolico; non misero in buona luce la civiltà ebraica di Sicilia.
Le ricerche storiche fino ad oggi continuano ad appassionare e l’argomento non è chiuso, sebbene molti storici, sulle cose e vicende di Sicilia, abbiano approfondito quest’avvenimento.

 


Tutti riconoscono che la perdita dei giudei di Sicilia fu un fatto grave per l’economia dell’isola. (Denis Mack Smith, Lodovico Bianchini), perché gestivano attività importanti in alcuni casi faticose, ma sempre a buon reddito.
Avevano in loro mano buona parte dell’economia commerciale e soprattutto quella bancaria e finanziaria del regno e del vice regno di Sicilia, anche se questo privilegio non era esteso a tutta la comunità giudaica di Sicilia.
Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività commerciali, avevano aziende nell’attività della concia delle pelli (cunziria di Vizzini), lavorazione del ferro, lavorazione della seta, coltivazione della canna da zucchero (Savoca), produzione di maioliche (Naso).
Numerosi gli ebrei di Sicilia nella professione medica con una presenza sorprendente anche di donne (non solo specializzate in ginecologia). 52 erano le giudecche esistenti con 60 sinagoghe ben localizzate: si possono ancora vedere i luoghi che testimoniano la loro presenza per scoprire ciò che è rimasto di questa civiltà attraverso la presenza di numerose testimonianze ancora visibili per considerazioni intuitive o tracce d’attività e di luoghi depositari di memoria.

Nel libro di Nicolò Bucaria “Sicilia judaica, sono indicati reperti e oggetti di tradizione ebraica in parte ancora rintracciabili e che si riferiscono ai seguenti comuni siciliani:
Acireale, Agira, Agrigento, Akrai, Alcamo, Bivona, Caccamo, Calascibetta, Caltabellotta, Caltanissetta, Cammarata, Castelbuono, Castiglione, Castronovo, Castroreale, Catania, Caucana(Rg), Cittadella Maccari(Sr), Comiso, Enna, Erice, Gela, Lentini, Lipari, Marsala, Mazara del vallo, Messina, Monreale, Mozia, Noto, Palermo, Polizzi Generosa, Ragusa Randazzo, Rosolini, Salemi, San Fratello, San Marco d’Alunzio, Santa Croce Camerina, Sciacca, Scicli, Siculiana, Siracusa, Sofiana(Cl), Taormina; Termini Imerese, Trapani.

Ma per quel che più ci interessa nel contesto di queste pagine è sottolineare come le prime grandi comunità ebraiche dell’isola, coincidono con le conquiste arabe di Mazara, Agrigento, Mineo, Caltabellotta, Sciacca e Siracusa, comprovando, così, che il grosso insediamento ebraico siciliano, si cominciò a delineare proprio con tale conquista dei nostri territori, laddove i conquistatori disponevano di una grossa componente ebraica cui affidare poi, l’amministrazione dei territori conquistati e la gestione dei tributi.
Tale componente, mantenne nel tempo i contatti sia economici che culturali con i paesi di provenienza, sviluppando, così in favore delle loro comunità e della Sicilia tutta una notevole economia. Agli inizi di tale conquista, in Sicilia si parlava il greco, mentre si faceva strada il volgare siciliano che in seguito divenne la lingua ufficiale del Regno di Sicilia e che gli ebrei presto impararono a parlare meglio degli altri.
Forme più o meno virulente di antisemitismo sono ancora presenti in tutto il mondo, eppure bisogna prendere atto che vi è un’ondata di rinnovato interesse per la cultura ebraica.

 

       

Questo nuovo e diffuso interesse per gli ebrei, fa leva sulla circostanza egoistica che li vede come lievito per lo sviluppo economico di un territorio. Tale interesse, misto al desiderio di conoscenza di un popolo diverso e molto attivo, fanno sentire oggi, in moltissimi siciliani il desiderio di riallacciare gli antichi legami con la cultura ebraica che tanta parte ha avuto nella formazione e nella storia siciliana.
Tale interesse per una storia poco nota o del tutto dimenticata di un grande popolo siciliano; per la sua religione, per il suo moderno stato, fornisce un impulso fondamentale sia all’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica, che alla Charta delle Judeche di Sicilia, dallo stesso promossa, che li spinge a trasformare questo affascinante aspetto culturale in un vero e proprio motore di sviluppo economico sociale e culturale per la Sicilia ebraica dei giorni nostri.

 

 

Padre Luigi Magro  così scrive degli ebrei che si trovavano nella nostra Città nel suo famoso libro:

CENNI STORICI DELLA CITTA’ DI RANDAZZO” 

EBREI IN RANDAZZO (PAG. 219)

Nella nostra Città vi fu anche una numerosa Comunità ebraica. Nulla sappiamo delle sue origini, ma da quanto ci è dato conoscere si può arguire essere stata una delle più importanti dell’Isola. Ciò dicono i vari Diplomi Reali emanati a loro riguardo.

Narra  Mons. Giovanni Di Giovanni, nel suo Ebraismo in Sicilia:

                      “Perchè gli Ebrei di Randazzo, in tempo del Re Ferdinando I° mostrarono risiedere in loro uguale attenzione ed ubbidienza verso i cenni del Monarca che in alcuni altri fratelli loro della Sicilia, per mezzo di un prestito della somma di Onze venticinque che fecero alla Regia Corte allora bisognevole di denaro: perciò l’Infante D. Giovanni, figliuolo secondogenito del medesimo Sovrano e suo Vicegerente nella Sicilia ordinò che la stessa Regia Corte, già sollevata dalle strettezze passate, restituisse secondo il dovere agli accennati Ebrei la somma suddetta”. (vedi Regio Cancellario libro anno 1415 pag. 237).

Questo prestito, ci dice lo stesso autore Mons. Giovanni Di Giovanni, fu fatto alla Regia Corte da tutti gli Ebrei di Sicilia, ma nessuna comunità ha concorso tanto quanto quella di Randazzo tranne che tre, segno questo che essa era più numerosa delle altre.
Troviamo difatti che Caltagirone ha dato la somma di Onze dodici; Noto  Onze 22; Licata  Onze 10; S.Lucia di Milazzo Onze 15; ecc.
Ancora della maggior popolazione ebrea della nostra città, abbiamo che la cosi detta  Gabella della Gisìa si pagava da tutti gli ebrei della Sicilia nella seguente somma: Randazzo pagava Onze cinque all’anno; Castrogiovanni che aveva ottanta famiglie ne pagava 4; Noto Onze 3; Castroreale Onze una; Piazza Onze tre; Calascibetta unza una tarì sei e grana dieci ogni anno, ecc.
Nel 1477, questa comunità ebraica era talmente importante da essere retta da un Giudice particolare, come si può vedere da un Diploma del 3 giugno 1477 in cui il Conte Sigismondo de Luna, Maestro Segreto di Sicilia, indirizzando una lettera al Governatore ed al Giudice di Randazzo dava loro disposizioni tassative in una controversia tra gli ebrei e le Monache di S. Giorgio per la chiusura di una finestra di una casa prospiciente sul Monastero.
Riportiamo il documento che trovasi in copia nell’Archivio di S. Giorgio in Randazzo, col seguente indirizzo:

Dirigitur Spectabilibus Gubernatori et Judici Judeorum in Terra Randatii.
Nos D. Sigismundus De Luna Comes, Siciliae Magister Secretus et Magister Portulanus.
Spectabilibus Gubernatori et Judici Judeorum Terrae Randatii Amicis nostris Salutem.
Perocché, ut informamur in frontem hospitiu di la Ecclesia di S. Giorgi monasteriu di donni, vi è una casa di la Muschita et quilla li judei locanu a multi et diversi persuni cristiani la quali teni li finestri che scoprinu intra lu Bagliu di dictu monasteriu ac ortu adeo chi nixuna monaca po’ andari intra li Bagliu di dictu monasteriu né ortu che non sia vista da li finestri di la dicta casa, essendumi propterea supplicatu chi li vulissimu supra zò provvidiri havimu provistu, et cusì, per la presenti, vi dicimu, commettimu et comandamu che a petizioni di lu dicto monasteriu, pro ejus honestate, faczati riqueriri li Prothi di la dicta judea oy a cui specta chi digianu oy vindiri la dicta casa a lo dicto Monasteriu oy murinu li finestri per modu chi di quilla non si pocza scopriri intra lu dictu manasteriu, oy quilla alloghinu a persuni cum voluntate Abbatissae oy si paghino dallu dictu Monasteriu lu lueri chi è statu solitu allugarisi.
Et si la vurrannu vindiri, ci fariti pagari lu pretiu chi fu per loru cumprata, costringanduli chi omnino hagianu a fari una di li dicti electioni, cohertionibus vobis benevisis, et quillu chi elegirannu, faczati pro honestate et beneficio dicti Monasterii exequiri cum effectu.
Sic vos in praemissis gerentes per modum, chi non sia bisognu recurriri a Noi, sub poena unciarum quinquaginta.
Datum Panhormi die III junii Xª indictionis MCCCCLXXVII. Sigismundus De Luna etc.

Essendo la dicitura di tale documento abbastanza chiara, ci asteniamo dal tradurlo.
Nel 1492 gli ebrei furono espulsi da tutti i vasti domini dei Re Ferdinando II° e quindi anche dalla Sicilia.
Costretti gli ebrei di Randazzo a lasciare la Città, hanno venduto alle Monache di S. Giorgio la sopraddetta casa con l’attigua Moschea e due altri casaleni con degli annessi e Cimitero confinanti con il Monastero, con il patto di ritorno nel caso che fossero richiamati dall’esilio.
L’atto fu redatto presso il Notaro Staiti il 26 novembre IIª Indiz. 1492, nei termini seguenti:

Manueli Servidei Medico e Benedetto suo figlio, Mastro José Paneri e Rasè Rabi Medico, Mardacchi De Panormo, Abraam Russo, Gidilu Calabrisi, Gidilu Rabi, Jacob Guadagnu e Xibiti Miseria, come Majorenti Actori e Factori di tutta la Giudaica di questa Terra di Randazzo, congregati entro il loro tempio, vendono alla Reverenda Soro Maria De Pidono, Abbadessa del Venerabile Monastero di S. Giorgio il riferito loro tempio o mischitta, o moschea, nec non la casa collaterale solerata et altri due casaleni confinanti con detto tempio o mischitta e con la casa di detto Monisterio, esistenti nel Quartiere di S. Maria confinanti dalla parte di settentrione con le mura di detta Terra e Via pubblica; et ancora numero sei giarre ad uso di oglio, venti lampe, una scala, et un banco esistente nell’Oratorio, dove commoravano le donne di essi giudei.
Ac etiam il riposto delle predette cose; il secchio di rame ad uso di tirare acqua dalla cisterna e la stessa cisterna; e questo per mezzo di Onze ventiquattro, con patto e condizione, che ritornando detti giudei dall’esilio di questo Regno per stare ad abitare in questa Terra, sia obbligato il monastero revendere le sopradette cose vendute, e ciò per lo stesso prezzo, pagate le spese ecc.
Promise la stessa reverenda Abbadessa detto tempio tenerlo ed averlo solamente per dormitorio di detto suo monasterio.
Similmente venderono il luogo sacro e religioso per riposo dei cadaveri dei giudei, dummodo non inferant injuriam ossibus judeorum.”

Questa copia di contratto ce l’ha tramandato il Plumari che l’ha copiata dall’originale che si conservava nel monastero di S. Giorgio ed ha aggiunto come nota bene: il luogo del sepolcro dei giudei venne poi incluso dentro la clausura di detto monastero, nel punto del giardino che guarda l’occidente.
Le Monache del Monastero non si sono mai serviti della cisterna loro venduta dagli ebrei, avendone altre due.
Dopo la partenza degli ebrei da Randazzo fu abbatuta una lapide di pietra lavica portante una iscrizione in ebraico di cui il Colonna, nel suo manoscritto Idea dell’Antichità della Città di Randazzo, ne riporta un frammento rilevato da un pezzo trovato da lui sulla riva del fiume Alcantara il 18 settembre 1723 e che non potè decifrare perchè ignaro della lingua; l’abbiamo riportato nel capitolo VI° della prima parte, quando si parlò della Porta Orientale della Città di Randazzo.
Delle altre numerose case che formavano il ghetto non si ha notizia, probabilmente saranno state distrutte al tempo della peste che infierì a Randazzo dal 1775 al 1780, quando i sanitari venuti da Messina per incarico del Governo, con il Capitano d’Arme per la peste, ordinarono che fossero incendiate tutte le case, a partire dal punto del cordone sanitario che era nel piano di S. Maria fino a S. Giorgio e di là anche tutte le case fuori le mura, senza eccettuarne una sola; questo incendio durò per sei giorni continui.
Rimase solo salvo il Monastero di S.Giorgio perché non poteva essere infetto, essendo le Monache andate, sin dal principio del pestifero morbo, nel Monastero di S. Bartolomeo. (vedi il capitolo della peste).

———————————————————————————————————————————————————————-

Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero
 

Ashkenaziti, Sefarditi, Mizrahim, ma anche Bukhari, Falashà e Romanioti. Sono numerosissimi i gruppi che compongono la Diaspora ebraica. Tuttavia gli Ebrei italiani, gli Italkim, rappresentano un’eccezione unica e con una grande storia.
Spesso si sente parlare di due categorie di Ebrei: Ashkenaziti e Sefarditi. Alcuni alludono anche a un terzo gruppo, i Mizrahim, per indicare gli Ebrei che vivevano in quei territori che oggi sono Iraq, Siria, Yemen, Iran, Georgia e Uzbekistan. Ma questa divisione in gruppi può risultare molto più complessa di quello che può sembrare a un primo sguardo.
Ci sono tre modi di intendere la classificazione degli Ebrei; uno di questi si basa sulla geografia.
Questo approccio applica l’etichetta “
Ashkenazita” agli Ebrei che hanno gli antenati che provengono dal territorio che nella letteratura rabbinica medievale era chiamato Ashkenaz.

Alexander Beider

 Questa zona corrisponde alle regioni dove la maggioranza cristiana parlava dialetti germanici.
Gli Ebrei Sefarditi invece, sono quelli i cui antenati vivevano nella 
Sfarad medievale: la Spagna o, più in generale, tutta la penisola iberica.
Un secondo approccio si basa  sulla lingua più che sul territorio. Secondo questa strategia, gli Ashkenaziti moderni discendono dagli Ebrei che parlavano lo Yiddish, mentre i Sefarditi da coloro che parlavano lo spagnolo o il judezmo (in spagnolo ladino, da non confondersi però con il ladino dolomitico).
Seguendo questo metodo di giudizio, viene usato il termine “Mizrahi” per riferirsi agli Ebrei che durante la prima metà del 1900 parlavano (Giudeo-)Arabo. Quindi tutti gli Ebrei nordafricani, a prescindere dai loro antenati, sarebbero considerati 
Mizrahim.
Un terzo modello classifica gli Ebrei in base ai riti religiosi usati nelle proprie comunità. Questo criterio fa risultare i Sefarditi il più grande gruppo, considerato che sin dall’inizio del XX° secolo erano tante le comunità nel mondo senza membri di origine spagnola che seguivano i rituali ebraici secondo la tradizione sefardita.
Nessuno di questi approcci diversi riesce a rispondere alla domanda: a quale categoria appartengono gli Ebrei italiani?

Ebrei italiani, questi sconosciuti
L’opinione più diffusa è che gli Ebrei italiani siano legati ai Sefarditi. Implicitamente, questo pensiero segue l’ultima delle tre definizioni elencate sopra. È senz’altro vero che negli ultimi secoli, sia stato il rito sefardita quello più usato nei territori appartenenti ai vari Stati, che nella seconda metà del XIX° secolo si sono uniti per formare l’Italia.
Tuttavia, secondo il criterio linguistico, l’Ebraismo italiano dovrebbe essere visto come un gruppo culturale separato dagli altri Ebrei, dato che gli Ebrei che vivono in Italia parlano da secoli l’italiano.
In questo articolo applicherò il primo metodo di classificazione per rivelare le radici geografiche di diversi gruppi di Ebrei italiani, usando i cognomi delle famiglie ebraiche italiane per fornire buoni esempi. Questo approccio rivela come il nocciolo degli Ebrei italiani non sia né sefardita, né ashkenazita, ma un gruppo completamente a parte.

Lo Stivale e la Stella di Davide
Gli antenati degli Ebrei italiani erano presenti nello Stivale già molti secoli fa, alcuni sin dai tempi dei Romani. Nella letteratura ebraica non esiste un termine largamente accettato per indicare questi Ebrei “indigeni”, e sono spesso chiamati semplicemente Italiani. Roma, che già nell’antichità aveva una grande popolazione ebraica, ha ospitato per secoli la comunità con più Italiani.
La leggenda vuole che gli antenati di quattro famiglie ebraiche furono portati a Roma dall’imperatore Tito come prigionieri dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 e.v. Tra le fonti ebraiche, queste famiglie appaiono come i min ha-tappucḥim (delle mele), min ha-adumim (dei [capelli] rossi]), min ha-anavim (dell’umile) and min ha-ne‘arim (dei giovani).
La più vecchia fonte scritta di questa leggenda è relativamente recente.
Appare in un libro pubblicato alla fine del XVI° secolo da un membro della prima famiglia, Rabbi David de Pomis (delle mele, in latino) di Venezia.

 


Dello stesso secolo troviamo anche la più antica menzione della seconda famiglia in un documento cristiano, che fa riferimento al nome italiano della famiglia, de Rossi.
I membri della terza famiglia appaiono in documenti italiani del 1600, con la strana forma ebraica di anaw (Anau).
Tra le fonti ebraiche, i riferimenti più antichi sono i seguenti: XI° per Anau, XIII° per i de Rossi e i de Pomis e XIV° per il nome che significa “dei giovani”.
Ma la maggioranza degli Italiani ha ricevuti cognomi ereditari solo nel corso del 1500.
La più grande categoria di cognomi è basata sui nomi di località, solitamente i nomi di città vicino a Roma da cui provenivano le famiglie che andavano a vivere nella capitale dello Stato Pontificio. Tra di essi vi sono Di Segni, Piperno, Pontecorvo, Rieti e Tivoli.
Quando, nel 1571, vi fu un censimento della popolazione ebraica di Roma, 278 famiglie erano catalogate come Italiani (indigeni) e 110 come Tramontani (stranieri).

Migrazioni ebraiche
Migranti ebrei arrivarono in Italia anche dai territori dell’odierna Francia. Giunsero in due ondate.

La prima si produsse con l’espulsione degli Ebrei dalla Francia nel 1394 e molti di essi si stabilirono in Piemonte. A partire dal medioevo il Piemonte fu parte della Contea dei Savoia, uno Stato che copriva i territori che oggi appartengono alla Francia. Le famiglie Foa, Segre e Treves, che arrivarono durante questa ondata migratoria, hanno giocato un ruolo importante nella vita culturale dell’ebraismo italiano nei secoli seguenti.

Il secondo grande gruppo di migranti ebrei arrivò in Italia da Marsiglia e altre città della Provenza, una regione annessa al regno di Francia alla fine del 1400. L’espulsione degli Ebrei dalla Provenza avvenne nel 1501. È da questo periodo che viene il cognome Provenzale, come anche Passapaire e Sestieri.

Gli ashkenaziti rappresentano il terzo maggior gruppo di Ebrei italiani. Giunsero tra il 1200 e il 1600 principalmente da province germanofone che oggi corrispondono alla Bavaria e all’Austria, in fuga da pogrom  (violenta azione persecutoria) e legislazioni anti-ebraiche. I migranti ashkenaziti si stanziarono principalmente nelle regioni settentrionali e nord-orientali della penisola: nella Repubblica di Venezia (principalmente Venezia, Padova e Verona), nei Ducati di Milano e Mantova e nell’area di Trieste. Ma ashkenaziti si stabilirono anche in Piemonte, e in Italia centrale e meridionale. Per esempio, fonti romane della metà del 1500 menzionano una congregazione ashkenazita a parte, dotata anche di una sua sinagoga, chiamata Scola Tedesca. Alcuni avevano già dei cognomi, come i Rappa di Norimberga (questo nome diede origine alla famiglia Rappaport, diffusa in Europa dell’Est), gli Heilpron (in Italia più conosciuti con la dicitura Alpron) e i Mintz (o Minci).
Durante questo periodo però, i cognomi erano rari tra gli ashkenaziti. Per questo motivo, molte famiglie comprarono i loro cognomi ereditari una volta arrivati in Italia. Il cognome Katzenellenbogen ha origine dalla città tedesca da cui veniva il fondatore di questa dinastia di rabbini quando giunse a Padova.
Tante famiglie ashkenazite finirono per farsi chiamare coi nomi delle città italiane dove risiedevano. Tra queste vi sono i Bassano, i Colorno, i Conegliano, i Pescarolo e i Soncino (poi modificato in Sonsino). Gradualmente il cognome Tedesco (e le sue varianti Tedeschi e Todesco) divenne uno dei cognomi più diffusi tra gli Ebrei italiani. Altri cognomi famosi di famiglie italiane di origine ashkenazita sono Luzzatto e Morpurgo.
Gli Ebrei sefarditi apparvero in Italia in momenti diversi. Individui e famiglie erano già presenti tra i XIII° e il XV° secolo. Dopo la cacciata dalla Spagna del 1492, molti Ebrei spagnoli si stabilirono a Roma. Tra di essi, alcuni portavano i cognomi Almosnino, Corcos, Gategno e Sarfati. Un gruppo più piccolo (che comprendeva anche gli Abarbanel) si rifugiò a Napoli e dintorni, e lì rimase fino all’espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli, nel 1541.

L’arrivo degli Ebrei “portoghesi”
È nella seconda metà del XVI° secolo che si registra l’arrivo di nuovi migranti ebrei sul territorio italiano: i cosiddetti Ebrei “portoghesi”. Venivano non solo dal Portogallo, ma anche dalla Spagna e dai territori sottomessi alla Corona spagnola, tra cui la città, oggi belga, di Anversa. Tutte queste persone erano formalmente cattoliche: ogni forma di culto ebraico era vietata e perseguita nei loro luoghi d’origine, e il loro attaccamento all’Ebraismo era tenuto nascosto.
Queste persone, i cui antenati erano principalmente Ebrei convertiti a forza al Cristianesimo alla fine del 1400, sono solitamente chiamati Marranos”. Con lo spostamento a paesi dove l’Ebraismo era tollerato, molte di queste famiglie iniziarono a professare la loro fede più liberamente.
Inizialmente questo flusso si concentrò a Ferrara ed Ancona; ma alla fine del XVI° secolo, Venezia e Livorno diventarono le principali destinazioni. Numerosi gruppi di Ebrei portoghesi (ex-marrani) si stabilirono a Genova e in Piemonte tra il 1500 e il 1700. Tutti questi migranti fondarono grandi comunità che seguivano il rito sefardita.
Alcune famiglie recuperarono i cognomi dei loro antenati ebrei che erano vissuti nella Spagna medievale: Aboab, Attias, Mazaod and Namias. Altri presero i cognomi che indicavano a quale delle tre caste sacerdotali appartenevano i loro antenati: Cohen, Levi e Israel. La maggior parte però scelse di mantenere i cognomi che usavano da Cattolici, tra cui Fonseca, Lopes, Mendes, Pinto e Rodrigues.
Col tempo, Livorno – unica città italiana con un’importante presenza ebraica che non istituì mai un ghetto – divenne il fulcro della vita ebraica italiana, attraendo tanti Ebrei di ogni origine da tutte le parti d’Italia.
La propagazione graduale del rito sefardita in Italia fu principalmente dovuta all’influenza degli Ebrei “portoghesi”.

Tra i secoli XVII° e XX° arrivarono in Italia (soprattutto a Livorno) tanti Ebrei provenienti dal Nord Africa, che portavano con sé cognomi come Busnach, Elhaik, Racah e Sasportas.
Tutto questo mostra il grado di complessità cui può arrivare la storia delle comunità ebraiche in ogni area geografica. In situazioni tali – che sono più che comuni nella storia ebraica – uno può facilmente essere ingannato da opinioni troppo semplificatorie o da affermazioni che usano termini ambigui.

Randazzo, segreti e misteri alle falde dell’Etna di ANGELA MILITI

                                                                —————————————————————

Leggi, usi, consuetudini, aneddoti sugli Ebrei  

  • L’alfabeto ebraico non ha maiuscole. Neanche Dio è scritto con caratteri speciali.
  • Messìa/mashìah  viene dal verbo “mashah” che significa ungere.
  • Il Messia per noi cristiani è venuto, ma deve ritornare. Per gli ebrei deve ancora venire.
  • Per i cristiani Messia si scrive con l’articolo, per gli ebrei senza articolo in quanto per loro  è un nome familiare,  un parente dell’albero genealogico del ramo di Davide, quindi un nipote.
  • “Mashìah vet kumen”  ( Messia verrà).
  • Il Messia annuncerà la sua venuta con tre squilli del corno di ariete.
  • Per alcuni studiosi ebrei la Morte è Messìa. La fine di ogni essere umano coincide col messìa, non ce n’è un altro e non c’è altro.  (La Famiglia Mushkat di Isaac Bashevis Singer).
  • ROSH HASHANAH   capodanno ebraico che si celebra con la luna nuova di settembre (Tisrì) per due giorni.
  • PURIM  festa delle sorti dal 13 al 15 di Adar (febbraio-marzo) si celebra la liberazione degli ebrei in Persia ad opera della regine Ester.
  • SHAVUOT   la Pentecoste. Commemora il giorno in cui venne data la TORAH (la Bibbia) al popolo ebraico.
  • SUKKOTH  festa autunnale delle Capanne. Commemora il soggiorno degli ebrei nel deserto.
  • YOM Kippur  Giorno dell’Espiazione. Il giorno del grande digiuno celebrato il 10 di Tisrì (settembre-ottobre). 
  • PESACH:  “Pasqua” commemora la liberazione o esodo degli ebrei dall’Egitto.
  • SHABBATH  sabato.
  • Kasher il cibo puro secondo la tradizione.
  • MAZAL TOV  “Buona fortuna” “Siate felici”.
  • SHALOM ALEICHEM  La pace sia con voi.
  • CABALLA  le dottrine mistiche ed esoteriche circa Dio e l’universo che si asserivano rivelate a un numero ristretto di persone e tramandate di generazione in generazione.
  • DYBBUK:  spirito di un defunto che non trova pace nella tomba ed entra nel corpo di un vivente.
  • TORAH  Bibbia. La legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai.
  • TALMUD  il complesso delle discussione giuridiche ed esegetiche sulla Bibbia e sulle Leggi Tradizionali. Il Talmùd si compone della MISHNAH (il codice delle leggi) e della GHEMARA’ (lo studio o discussione della MISHNAH), ed è diviso in trattati.
  • Tanakh  scrittura sacra.
  • Geenna: l’Inferno ebraico.
  • Gentili (o goi):  sono i non ebrei.
  • Gli ebrei, come abbiamo visto, sono o Sefarditi (di origine spagnola) o Ashkenaziti (di origine est europea).
  • Gli Ashkenaziti che significa “tedeschi” parlavano la lingua  Yiddish, una specie di dialetto ebraico innestato nella lingua tedesca e manifestano una abilità intellettuale molto al di sopra della media.
  • Gli Ebrei nel mondo sono solo lo 0,2% della popolazione tra i vincitori del premio Nobel gli Ashkenaziti sono il 20%, tra i vincitori della Medaglia Fields il 25%, e tra i campioni del mondo di scacchi circa il 50%.
  • SHOAH: olocausto, distruzione, sterminio del popolo ebreo.
  • PROGROM:  persecuzione violenta.
  • SIONISMO: movimento politico-religioso per costituire uno stato in Palestina
  • Gli ebrei appena si alzano si lavano le mani e prima di ogni pasto.
  • PE’ OT :  riccioli rituali lasciati crescere sulle tempie degli ebrei ortodossi (leviatico 19,27).
  • Non mangiano la carne di maiale nè con la carne qualsiasi cibo derivato dal latte, ma debbono trascorrere sei ore tra un alimento e l’altro. 
    Francesco Rubbino

                                                                                  
 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

                                                            —————————————————————————————-

      Ebrei  Italiani famosi   

 

 

Roberto Saviano 

 

Enrico Mentana

 

Paolo Mieli

 

Sen. Liliana Segre 

 

Elsa Morante

 

Lapo Elkann

 

Amedeo Modigliani

 

Alessandro Haber

 

Rita Levi Montalcini

 

Vittorio Gassman

 

Gad Eitan Lerner

 

Franca Valeri

 

Don Lorenzo Milani

 

Carlo De Benedetti

 

Susanna Tamaro

 

Raul Cremona

 

Luca Barbereschi

 

Corrado Augias

Clemente J.Mimum

Arnoldo Foà

 

Stefano Di Mauro – Rabbino di Siracusa

 

     Ebrei Italiano deportati ad            Auschwitz

 

       Ebrei Italiano deportati ad Auschwitz

 

    Ebrei Italiano deportati ad Auschwitz

     
     
 EBREI FAMOSI NEL MONDO    

Albert Einstein

Isaac B. Singer

Karl Marx

Mordecai Richler

The Beshavis Singers

Mark Zuckerberg (FB)

Larry Page – Google

Sergey Brin – Google

Israel Josha Singer

Quentin Tarantino and Daniela Pick

Woody Allen

Philip Roth

Isaac Newton

Isaac Asimov

George Soros

Sigmund Freud

Franz Kafka

Harvey Weinstein

 

Steven Spielberg

 

Dustin Hoffman

   

                  Lev Trockij

 
     
     

 

                                                                                                                                                                                                                          

  • “STORIA E RELIGIONE: LA PRESENZA EBRAICA E LA CACCIATA DA RANDAZZO “. Un tour alla ricerca delle radici ebraiche. 
  • Annamaria Distefano

  • Presso il museo dei Pupi di Randazzo si è svolta una conferenza sul tema “La presenza ebraica e la cacciata da Randazzo”. Questo evento è stato fortemente voluto dal rabbino di Siracusa, Stefano Di Mauro, capo della “Comunità ebraica di Sicilia”, e fa parte di una serie di incontri che si svolgeranno in tutta la Sicilia, alla ricerca delle tracce della presenza ebraica.
    Lo storico randazzese Salvatore Rizzeri, ha spiegato che per dare il via a questa serie di conferenze,  è stata scelta Randazzo perchè fu sede di una delle più importanti e ricche comunità ebraiche della Sicilia.
  • Purtroppo però non è pervenuto nessun documento che risalga alle origini, ma al primo  secolo dopo Cristo.
    Il primo atto documentato della presenza ebraica nella nostra cittadina è datato 1347, quando l’Infante Giovanni proibì a Raimondo de Pizzolis, arcivescovo di Messina, di intromettersi negli affari della comunità ebraica. Quello che sappiamo di sicuro è che nell’anno 1492 (al momento dell’ editto di espulsione) tale comunità si componeva di ben 170 famiglie per un totale di 1100 persone, l’11,3% della popolazione di Randazzo.
    Vi erano due rabbini, due medici e un banchiere. Un certo Joseph Salom, di professione ciabattino, possedeva 12 volumi, mentre il rabbino capo della città di libri ne possedeva quaranta. Questo si evince dai vari Diplomi reali  aventi per oggetto questa comunità.
    Un importante abbraccio tra due degli esponenti del clero locale, padre Domenico Massimino, arciprete della Basilica di Santa Maria e don Santo Leonardi parroco del Sacro Cuore di Gesù e il sefardita ortodosso Di Mauro, ha dato l’avvio alla conferenza.
    Erano presenti il sindaco, prof. Michele Mangione , il presidente del consiglio comunale, Antonino Grillo e il vice sindaco, dott. Gianluca Lanza. Presenti anche Yitzhak Ben Ayraham, del “Centro sefardico siciliano”, affiliato alla “Federazione delle Comunità ebraiche del Mediterraneo” e il dott. Gabriele Spagna, segretario della Comunità ebraica di Siracusa.
    Relatori della conferenza sono stati: il prof. Ignazio Vecchio, neurologo catanese, docente di Storia della medicina e bioetica presso l’Università degli Studi di Catania e segretario della “Federazione delle Comunità ebraiche del Mediterraneo”, l’arch. Piero Arrigo, ricercatore di Storia e Cultura ebraica siciliana, lo storico randazzese Salvatore Rizzeri e il presidente dell’associazione “Pro Randakes”, Nicolò Sangrigoli .
    Il rabbino cardiologo dott. Stefano Di Mauro ha ripercorso la storia delle persecuzioni e dei martirii perpetrati nei secoli nei confronti dell’ebraismo. Ha parlato delle radici in comune tra le tre religioni monoteiste ma anche della loro inconciliabilità teologica. Proprio a tutela delle loro diversità – egli ha detto – dobbiamo adoperarci per fare in modo che nelle varie religioni non ci sia spazio per soggetti che fomentino odio, e adoperarci per costruire una pacifica convivenza. Per arrivare a ciò è necessario stimolare il dialogo interreligioso.
    A questo punto il professor Ignazio Vecchio ha ricordato come da sempre gli ebrei e l’ebraismo abbiano trovato posto nella vita sociale ed economica siciliana fino alla data della loro espulsione.
    La presenza degli ebrei   in Sicilia, dall’epoca romana al 1492,  e’  documenta   sicuramente   da  Gregorio  Magno all’inizio del Medioevo nelle  sue  “Epistole”. Alcune di queste descrivono gli  ebrei della Sicilia, le  loro attività economiche  e  sociali  e  la   loro religiosita’.
    Sotto il   regno di  Federico II  agli ebrei, furono  concessi   privilegi  che  aumentarono nel periodo aragonese.
    I documenti che testimoniano la presenza ebraica in Sicilia, nel solo periodo aragonese, sono più  numerosi  di  quelli dei periodi  precedenti. Gli ebrei di Sicilia   furono assorbiti, dopo la loro  cacciata  dall’isola nel 1942, dalle altre comunità   ebraiche   del  Mediterraneo (Istanbul e Salonicco principalmente).
    Al momento dell ‘espulsione del  1492,  la   comunità ebraica   di  Sicilia  era  composta   da  circa   40  mila  abitanti, il 5% della popolazione, ed erano   presenti  circa  cinquanta   giudecche,  quartieri ebraici all’interno delle varie comunità cristiane, veri e propri enti  amministrativi  autonomi.
    L’ arch. Piero Arrigo, ha parlato delle poche tracce rimaste degli ebrei in Sicilia dopo 5 secoli dalla loro cacciata. Ha denunciato le difficoltà che a volte riscontra nel restauro e nella valorizzazione dei reperti in cui si imbatte. Un esempio è fornito dal reperto raffigurante la stella di David ritrovato all’interno di un rudere, situato nel centro storico di Savoca, luogo che si ritiene sia stato adibito a sinagoga. La scoperta di questo referto ha fatto riaccendere i riflettori sulla storia delle comunità giudaiche esistenti fino alla fine del 1492 a Savoca e nel territorio dell’intera Valle d’Agrò.

    Però, ancora oggi, a diversi anni della scoperta, l’edificio resta di proprietà privata e il comune di Savoca non sembra intenzionato all’ acquisto e al restauro.
    Ha concluso il presidente dell’associazione organizzatrice ProRandakes, ringraziando la delegazione per aver scelto Randazzo come primo comune di questa sorta di “ tour alla ricerca delle radici ebraiche “ .
    Annamaria Distefano 18 marzo 2016 
     
      
  •  Presentato “Gli ebrei a Randazzo”, saggio di don Santino Spartà edito da “La Voce dell’.Jonio”

Si è svolta ieri, 12 agosto, nel salone della chiesa di San Nicola a Randazzo, la presentazione dell’ultimo libro di don Santino Spartà.

 

 

Annamaria Distefano

Il libro “Gli ebrei a Randazzo”, il cui titolo non potrebbe essere maggiormente esplicativo,  parla della presenza di una comunità ebraica di circa 500 persone in un lasso di tempo di 150 anni, nel paese etneo di cui è nativo lo stesso autore.
Lo ha presentato la prof.ssa Giuseppina Palermo che conosce talmente bene la storia personale e il curriculum vitae di don Santino, da averne tratto un libro.
Era presente al tavolo dei relatori anche la dott.ssa Rita Messina, che, per conto della nostra casa editrice La Voce dell’Jonio, ne ha curato la pubblicazione.
Subito dopo un breve saluto della prof.ssa Pina Palermo, è proprio la dott.ssa Messina a prendere parola e a illustrare magistralmente il breve saggio. Se è fondamentale conoscere la nostra storia nazionale- ha detto – lo è altrettanto conoscere la storia locale, quella della nostra isola, dei nostri luoghi, del nostro paese.
La metodologia di don Santino – ha affermato la Messina – è  degna di risalto perchè segue due strade che sono una complemento dell’altra.
Se il primo approccio è scientifico e si basa sulla raccolta di dati provenienti da documenti storici, degli archivi di Palermo e Catania principalmente, laddove le fonti scarseggiano, don Santino afferma chiaramente di aver elaborato proprie teorie sullo stile di vita e sugli avvenimenti del tempo, basandosi su ragionevoli deduzioni logiche.

Il libro si apre con una data importante, il 1492, anno in cui Ferdinando d’Aragona promulgò l’editto antisemita che prevedeva la cacciata degli ebrei da tutti i territori siciliani, ivi compresa la cittadina di Randazzo.

 

Rita Messina, Don Santino, Pina Palermo


Attraverso un racconto a ritroso, viene quindi ripercorsa la storia dei precedenti secoli, per poi ritornare alla conclusione del libro, come seguendo un andamento ciclico, alla stessa data.
A suscitare l’interesse dello storico, don Santino, sul tema degli ebrei – precisa la dott.ssa Messina – un riferimento di Onorato Colonna, circa una lapide ritrovata nel territorio di Randazzo, che conteneva un’iscrizione ebraica.
A conclusione dell’incontro,  don Santino  ha ringraziato la dott.ssa Messina per l’appoggio ricevuto,  la prof.ssa Palermo e i partecipanti uno per uno. Tutti i presenti hanno infatti ricevuto una copia gratuita del  libro, consegnata direttamente dalle mani del prete, che, girando tra i banchi, ha calorosamente salutato tutti i suoi ospiti.
  • 

                                                                    ———————————————————————————————————–

 

L’Ebraismo della Sicilia ricercato ed esposto da Giovanni Di Giovanni Canonico della Santa Metropolitana Chiesa di Palermo ed Inquisitor Fiscale della Suprema Inquisizione della Sicilia.
IN PALERMO MDCCXLVIII (1748).
Nella Stamperia di Giuſeppe Gramignani.-
Con licenza de’ Superiori.

Nel Capo XXI a pagina 361 scrive: “Degli Ebrei di Piazza, di Calatascibetta e di Randazzo”.

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

 

     In un momento particolare per gli ebrei ho voluto dedicare questa ampia pagina per riconoscenza e solidarietà.
Riconoscenza perchè alcuni  di loro hanno letteralmente trasformato il nostro modo di essere cittadini del mondo.
Altri ci hanno insegnato come è fatto l’Universo e quali leggi lo governano. Hanno saputo scrivere romanzi e poesie indimenticabili, e ci hanno fatto sognare con i loro film.
Il popolo ebraico (l’unico sopravvissuto in questi ultimi duemila anni) è stato da sempre perseguitato. Con loro condividiamo molte cose, non ultimo il Vecchio Testamento.
 

1956/1965 – Due Terribili Tragedie

La frazione di Montelaguardia nel 1956 aveva un piccolo plesso scolastico con una sola aula frequentata dai bambini della frazione.
Il 24 aprile all’uscita della scuola alcuni scolaretti invece di rientrare a casa si attardano a giocare nel vicino boschetto proprio dietro la scuola.
Uno di loro sfortunatamente trova un ordigno residuato bellico dell’ultima guerra mondiale.

Non è inutile ricordare come la nostra Città tra il 13 luglio ed il 15 agosto 1943 è stata bombardata dagli alleati Anglo/Americani, basti pensare che nel solo giorno del 7 agosto vi furono ben 24 incursioni aerei.
 

Si misero a giocare. La deflagrazione fu tremenda. Persero la vita:

Santo Russo di Sebastiano nato il 24 agosto 1946

Arturo Raciti di Giovanni nato a Randazzo 22 gennaio 1947

Domenico Barbagallo di Salvatore nato a Randazzo il 3 luglio del 1947.

Una immane tragedia che segnò per molti anni la nostra comunità.
a cura di Vincenzo Rotella

                                                                        ————————————————————

Nello slargo che si forma alla fine della via Lanza  quando incrocia la via Marconi davanti al bel palazzo dei baroni Romeo   si consuma un’altra tragedia. La sera del 16 marzo 1965 due ragazzi giocano con le cartelle, gioco assai in voga in quel periodo. Si trattava di far girare le cartelle utilizzando il palmo della mano.
I due sono seduti davanti al portone del palazzo quanto all’improvviso scoppia una bomba che per alcuni è un residuato bellico per altri un ordigno inesploso che i contadini usavano per spaventare il “tempo”. 
Santino Franco di di 12 anni muore sul colpo, forse perchè più vicino all’ordigno, mentre Melo Marullo di 13 anni viene soccorso e trasportato con la macchina di  Vincenzino Quattropani a Catania all’ospedale Vittorio Emmanuele.
Sulla macchina vi era anche uno zio del ragazzo Santo Donato a cui il giovane gli raccomandava di non dire niente a sua madre ( i genitori si trovavano in Svizzera per lavoro) e che non facevano niente di male in quanto giocavano con le cartelle.
Durante la notte il ragazzo finiva di soffrire.
Su questo avvenimento molte sono state le illazioni e i commenti, purtroppo non è facile capire quello che veramente è successo e un certo oblio è caduto su questo fatto.
Le famiglie dei ragazzi erano molto noti e tutti si strinsero attorno al loro profondo dolore. 
 

 

Santino Franco nato a Randazzo il 27 marzo 1953

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Melo Marullo nato a Randazzo il 27 giugno 1952

 

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Vincenzo Rotella

Don Calogero Virzì- Salesiano

 DON SALVATORE CALOGERO VIRZI’ (1910 – 1986)

Il Salesiano don Salvatore Calogero Virzì, una tra le figure di più alta levatura nel panorama della cultura siciliana del XX secolo, per Randazzo e per tanti randazzesi è stato molto di più, un pioniere, una guida, uno stimolo, colui che ha acceso in loro il gusto, spesso sopito, della conoscenza e dell’amore verso il proprio paese.

Maristella Dilettoso – Randazzo

Don Calogero Virzì – Randazzo

Nato a Cesarò (ME) l’11 gennaio 1910, compì i primi studi nel paese natale, per frequentare poi il Ginnasio all’Istituto S. Francesco di Sales di Catania. Nel 1925 entrò nella Congregazione dei figli di Don Bosco, fu poi al S. Gregorio di Catania, all’Istituto D. Bosco di Palermo, come assistente dei convittori, e quindi al S. Domenico Savio di Messina, dove, nel 1934, fu ordinato sacerdote.Tornato a Catania, al S. Francesco di Sales, frequentò l’Università e nel 1937 conseguì la Laurea in Lettere Classiche presso l’Ateneo Catanese.
Quello stesso anno fu trasferito a Randazzo, all’Istituto S. Basilio.
E fu amore a prima vista, verso la cittadina piena allora, ad ogni passo, delle vestigia dell’arte del passato, inalterata nel suo assetto medievale, ma fu anche di breve durata: di lì a poco, nel 1943, in un solo, terribile mese di fuoco, dal 13 luglio al 13 agosto, quasi l’80% di quell’ingente patrimonio artistico sarebbe finito in un cumulo di macerie e di fumo.
Nell’introduzione al bellissimo volume sulla Chiesa di S. Maria (1984) “espressione di attaccamento a quella città che mi ospita da 40 e più anni, e di amore a questo suo monumento d’arte”, don Virzì ricorda: “venendo a Randazzo mi trovai in un ambiente consono al mio spirito… fu un dolce sogno per me… che purtroppo ben poco avrebbe potuto durare. Ho perduto…tutto, rimanendo con solo ciò che avevo addosso e col rimpianto della distruzione di tutto quello che era stato il sogno più bello della mia vita… Ed io, pellegrino doloroso, mi immersi in mezzo a questa rovina, cercando il passaggio tra i mucchi di macerie…ma ogni cosa gridava il suo dolore e il suo strazio”.
Trascorso quel primo, drammatico momento, in cui il sacerdote prestò la sua opera di soccorso, ad una popolazione troppo duramente provata, don Virzì avrebbe voluto salvaguardare il centro storico da interventi tempestivi quanto inopportuni, infatti l’urgenza di ricostruire, di ridare una casa ai troppi senza tetto, finì per arrecare danni irreversibili ai monumenti e agli edifici superstiti.
Di fatto, prevalsero allora le esigenze più concrete, e non possiamo oggi emettere verdetti col senno di poi, tanto più che, per farlo obiettivamente, dovremmo avere innanzi il quadro desolante che si ritrovarono i cittadini all’indomani dei bombardamenti, rivivere il loro stato d’animo, il dolore, la miseria, la fretta di riavere un tetto…
In un clima così poco adatto, per motivi storici e contingenti, a far sviluppare una lungimirante e scientifica cultura del restauro, a don Virzì non rimaneva che vigilare affinché, nell’ansia della ricostruzione, il patrimonio artistico di Randazzo non ne fosse stravolto.

Al Collegio S. Basilio, dove fino a qualche decennio fa confluirono giovani provenienti da ogni parte della Sicilia, ricoprì, per moltissimi anni, il ruolo di docente nel biennio del Ginnasio, conferendo all’insegnamento impartito un’impronta indelebile.
Da seguace di don Bosco, infatti, nutrì sempre un’attenzione particolare verso i giovani, indirizzandoli ai valori della bellezza e dell’immortalità. I suoi allievi d’un tempo, sparsi per ogni versante della Sicilia, ne serbano tuttora un ricordo riverente e affettuoso.
Non soltanto uno studioso, ma anche un grande educatore, nel senso più lato del termine: fu proprio attraverso la scuola che riuscì a instillare nei giovani l’amore e la conoscenza del proprio paese.
Sempre al S. Basilio fu, fino all’anno della morte, direttore e curatore della pregevole Biblioteca del Collegio.

Quando, nel 1971, venne istituito il Liceo Statale a Randazzo, fu chiamato a ricoprirvi il ruolo di docente di Storia dell’Arte.
Conferenziere, professore, studioso, don Virzì ebbe nella comunità randazzese un ruolo culturale attivissimo, che proiettò anche all’esterno: fu socio fondatore e membro combattivo della Pro Loco, dell’Associazione di Storia Patria Vecchia Randazzo, e della sua filiazione Arte S. Bartolomeo, Ispettore Onorario della Soprintendenza ai Beni Architettonici, Artistici e Storici, Istruttore in corsi per guide turistiche, Consulente esterno nella Commissione igienico-edilizia comunale, in qualità di esperto, senza tralasciare per questo l’impegno scolastico e sacerdotale. Fu assistente spirituale degli ex-allievi del S. Basilio, e gli si attribuivano doti di eccellente confessore.


Nel 1979 gli era stata conferita dal Comune di Randazzo, dall’allora sindaco Francesco Rubbino, la Cittadinanza Onoraria, atto questo che veniva a sancire, formalmente, quella che era già una realtà sostanziale, perché don Virzì era, di fatto, profondamente inserito nel tessuto sociale randazzese, ne aveva assimilato la cultura e il sentire, coltivava amicizie tanto nell’ambiente ecclesiastico che in quello laico.
Per l’occasione fu pubblicato il volume bio-bibliografico “Una vita dedicata a Randazzo: Salvatore Calogero Virzì e le sue opere”, curato dal prof. Salvatore Agati.

Quanto don Virzì avesse apprezzato, e forse atteso negli anni, quel gesto, lo comprendemmo tempo dopo, entrando nel suo studio, al Collegio S. Basilio, una cameretta stipata fino all’inverosimile di carte, documenti, scaffali traboccanti di libri, pareti tappezzate di stampe, cimeli artistici e riconoscimenti, dove campeggiava la pergamena consegnatagli nel 1979 per il conferimento della cittadinanza onoraria.
Nel 1984 la stessa comunità randazzese si riunì numerosa per celebrare, nella basilica di S. Maria, alla presenza del Vescovo Mons. Malandrino, il 50° dalla sua ordinazione sacerdotale.

Morì in silenzio e improvvisamente, il 21 novembre 1986

. A un anno dalla scomparsa, gli fu intitolata la Biblioteca Comunale di Randazzo, quasi a voler rappresentare l’attualità e la continuità del suo messaggio culturale anche tra le generazioni future. Per l’occasione nell’atrio dell’edificio fu collocato un suo busto in bronzo, realizzato dallo scultore Nunzio Trazzera.
Dalla mole degli scritti di don Virzì – molti dei quali non ebbero, pur meritandola, la sorte di essere dati alle stampe – promana serietà, impegno, dedizione, entusiasmo ed amore per la ricerca ed il sapere, quali traspaiono forse solo dalle pagine di un altro illustre studioso e cultore del bello, il suo amico e sodàle professore Enzo Maganuco, meritevole anch’egli di avere fatto conoscere ed apprezzare l’arte randazzese.
Quegli scritti sempre attuali, letti, consultati, citati continuamente, costituiscono una pietra miliare per chiunque si accosti alla conoscenza di Randazzo, e il fatto che il suo messaggio cresca e perduri nel tempo, l’avrebbe reso certamente felice e consapevole di non avere lavorato invano.
“Apostolo all’interno e all’esterno di Randazzo affinché la città possa di nuovo assurgere alla dignità che le compete” fu definito don Virzì, e anche se un giorno dovessero venire alla luce nuove fonti, nuove scoperte atte a mettere in chiaro i tanti punti oscuri del passato di Randazzo, nessuno potrà mai rifiutarsi di riconoscergli obiettività di storico, equilibrio, cautela nell’esaminare e vagliare le notizie, nel porre le fonti nella giusta luce, nel non emettere mai giudizi o conclusioni che non fossero suffragati da riscontri certi e incontrovertibili.
“A lui vada il pensiero delle nuove generazioni, aperto finalmente a questi problemi. Vada la riconoscenza di tutti i suoi abitanti che, in questo fortunato risveglio ai valori più apprezzabili della nostra cittadina, è giusto che esternino il loro riconoscimento verso coloro che operarono, apprezzarono e fecero apprezzare ciò che di bello e singolare i padri ci hanno tramandato”. Con queste parole don Virzì chiudeva un articolo dedicato al professore Maganuco. Eppure, profeticamente, erano parole che si potrebbero applicare alla sua persona!,

Il giudice Sebastiano Virzì fratello di Don Virzì.

Certo, nella sua azione di “nume tutelare” del patrimonio storico-artistico di Randazzo, don Salvatore Calogero Virzì dovette imbattersi in non poche incomprensioni, del resto un certo tipo di edilizia che andò diffondendosi, spesso spregiudicatamente, dagli anni ’60 in poi, come poteva conciliarsi con la patina che il tempo aveva impresso sulla pietra lavica, con quella visione di austera bellezza di una Randazzo anteguerra, che gli era rimasta impressa negli occhi e nel cuore?
“La creatività avvalorata dall’amore del soggetto è sempre prolifica…” ebbe a dire, in una sua pagina che ci è particolarmente cara, e, considerando la mole dei suoi scritti, se ne deduce un grande amore verso Randazzo, suo paese d’adozione, ch’egli, da forestiero, riuscì ad amare come fosse stato la sua patria, e che auspicava “semper virens, semper accrescens, semper vigens” (sempre rigogliosa, sempre in crescita, sempre piena di vita), come recita l’iscrizione sul basamento del Piracmone.
Randazzo con la sua storia affascinante di re e regine, Randazzo nei suoi monumenti muti, di nera lava, cui egli seppe infondere voce, Randazzo nelle sue tradizioni cristallizzate da secoli, nelle sue ataviche rivalità dei tre quartieri in lotta, Randazzo nella sua gente di ogni estrazione sociale, dei pochi acculturati del tempo, che gli dispiegavano innanzi i vecchi libri ed i tesori d’arte custoditi nei palazzi, delle vecchiette, dei poeti estemporanei, dei monelli, dalla cui viva voce apprendeva, per tesaurizzarli, vecchi scioglilingua, proverbi, scongiuri e preghiere…
Randazzo, infine, lacerata, bombardata 84 volte, in quell’estate del 1943, prostrata davanti alle proprie macerie e davanti ai propri morti. Ma, da quel terribile momento, molte cose si sono evolute.

Don Calogero Virzì, Don De Luca, Francesco Rubbino, Giuseppe Montera

Il patrimonio perduto non si può più riacquistare, tanti recuperi e restauri non furono curati con lo scrupolo dovuto, è vero, ma don Virzì ha seminato bene, e se oggi c’è un maggiore rispetto ed interesse verso i beni artistici e monumentali, è soprattutto merito suo, di quest’uomo dalla grande vitalità, dalla grande fermezza, e dall’immensa cultura, che, nulla togliendo ai suoi meriti di sacerdote e di professore, riuscì a risvegliare nei cittadini randazzesi il culto e l’interesse per il proprio patrimonio artistico e per le proprie radici, di averli fatti conoscere un po’ meglio, di avere gettato il seme dell’amore per la propria terra nelle nuove generazioni.

Gli scritti di Don Virzì
Oltre a numerosissimi articoli su periodici locali e nazionali (La Sicilia, il bollettino del Comune Randazzo Notizie , ecc. ) molti furono gli scritti lasciati, editi e inediti:
– Memorie storiche del Collegio S. Basilio di Randazzo (inedito, 1953)
– Randazzo e le sue opere d’arte (dattiloscritto inedito del 1956),
– Paesi di Sicilia: Randazzo (Palermo: IBIS, 1965).
Su Memorie e rendiconti dell’Accademia Zelantea di Acireale ha pubblicato:
– Il regio Castello di Randazzo (1968),
– Sulla venuta di Nino Bixio nell’agosto 1860 in Randazzo (1968),
– Randazzo 1848 (1980).
E ancora:
– Storia della Città di Randazzo (1972), manuale divulgativo per le scuole,
– Breve guida attraverso i monumenti artistici della città di Randazzo…(1973),  – Randazzo nella sua storia e nei suoi costumi (inedito, 1960),
– La Chiesa di S. Maria, su Historica (Reggio Calabria, 1971).
Ha dato inoltre alle stampe le guide illustrate:
– Alcantara (1975),
– Etna (1978),
– Taormina (1979),
– Cesarò.
Per il 21° Distretto scolastico ha collaborato a
– Un itinerario etneo (1983),
– Storia, Arte e folklore in Randazzo, Castiglione e Linguaglossa (1985), e curato
– Randazzo nei suoi costumi (1986),
– Randazzo e le sue opere d’arte, 2 v. usciti postumi (1987/89).
Ricordiamo ancora:
– I cento anni del Collegio S.Basilio (1979),
– La Chiesa di S. Maria edito dal Comune di Randazzo (1984),
– Il Castello della Ducea di Maniace, pubblicato postumo nel 1992.

Maristella Dilettoso 

                                                     ———————————————————————————————————————

                               La “Batiazza” di Francavilla tra fede, storia e leggenda pubblicato il 06 ottobre 2015 

 

Salvatore Ferruccio Puglisi e Don Virzì

   Sarà il tema dell’originale pubblicazione, di imminente uscita, “Il Salto di San Crimo”, nella quale l’autore Salvatore Ferruccio Puglisi raccoglie gli approfonditi studi rimasti inediti di Don Salvatore Virzì sul monastero basiliano e sul suo fondatore Cremete. Partendo dal… Giro d’Italia del 1954, una cui tappa attraversò il Comune dell’Alcantara.

   Seconda incursione nella narrativa per Salvatore Ferruccio Puglisi, insegnante nativo di Francavilla di Sicilia, ma residente in Veneto per lavoro: ambientalista (è stato fondatore e presidente della sezione francavillese di “Italia Nostra”), naturalista, appassionato di fotografia, autore di documentari in diapositive, campione di corsa podistica e da alcuni anni anche scrittore. Puglisi aveva già avuto a che fare con l’editoria, inizialmente dando alle stampe delle pubblicazioni riguardanti rispettivamente la flora spontanea e le testimonianze preistoriche nel territorio della Valle dell’Alcantara per poi, cinque anni fa, cimentarsi nel genere del romanzo con “Gli zucchini di Loto”. Adesso è lui stesso a preannunciarci l’imminente uscita del suo secondo lavoro letterario, dove gli aspetti autobiografici si innestano nella ricerca storica.

   “Il Salto di San Crimo” sarà il titolo della nuova opera di Puglisi, interamente incentrata sul “leggendario” monastero basiliano comunemente denominato “Batiazza” (ossia “grande abbazia”) i cui ruderi (parti di pareti perimetrali, alcune strutture ad arco attestanti l’esistenza di un opificio per la vinificazione, una grande aia inamovibile, una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, qualche tomba rupestre e tanti mucchi di macerie indistinte) svettano sulla sommità di un’altura dalla strana forma cilindrica e con pareti a strapiombo ubicata nel territorio del Comune natio dell’autore, ossia Francavilla, a meno di quattro chilometri dal centro abitato nelle adiacenze della strada che conduce a Mojo Alcantara e Novara di Sicilia.

Per quanto ci riguarda, abbiamo avuto il privilegio di leggere in anteprima il prologo di Salvatore Ferruccio Puglisi a tale suo scritto e ci ha già incuriosito l’originale approccio dell’autore alla tematica trattata: fatti e personaggi “austeri” dell’età medievale vengono, infatti, introdotti dal nostalgico “amarcord” di un evento per così dire “effimero”, ossia il passaggio da Francavilla della… seconda tappa del Giro d’Italia nella memorabile giornata del 22 maggio 1954, quando il Puglisi era ancora un fanciullino di sei anni.  L’autore attinge, dunque, alla suggestiva tecnica del “flashback”, spesso impiegata nel cinema e consistente nel partire da situazioni contemporanee per poi proiettarsi a ritroso nel tempo.

   Nel caso di specie, a fare da “ponte” tra passato recente e passato remoto è proprio quello “storico” pomeriggio del ’54, quando ai francavillesi festanti per il passaggio dal proprio paese della popolarissima competizione ciclistica nazionale si contrapponeva contemporaneamente l’esperienza parallela, ma profondamente diversa, di un intellettuale che in quello stesso giorno decideva di recarsi, in tutta solitudine, in escursione alla volta della maestosa rocca della “Batiazza” per tentare di carpirne i misteri, ma finendo col rimanere piuttosto infastidito dalla chiassosa e strombazzante carovana del Giro che, prima di addentrarsi nel centro abitato di Francavilla, transitò ai piedi dell’altura su cui a tutt’oggi si ergono i resti dell’antico cenobio.

   Lo studioso in questione altri non era che l’illustre sacerdote salesiano Don Salvatore Calogero Virzì, docente di materie letterarie al Collegio “San Basilio” di Randazzo, con il quale Salvatore Ferruccio Puglisi si sarebbe incontrato otto anni dopo essendone stato allievo in quinta ginnasiale presso il collegio del Comune etneo, che a sua volta, prima che nel 1867 gli ordini religiosi venissero soppressi, aveva fatto da nuova sede dei monaci basiliani, probabilmente trasferitisi dalla “Batiazza” perché andata in rovina (anche a seguito del disastroso terremoto verificatosi sul finire del XVII secolo) o a causa del clima rigido e delle avversità atmosferiche che, durante i mesi autunnali ed invernali, rendevano pressoché invivibile quel particolare lembo sopraelevato di territorio francavillese.

   «Il compianto Don Virzì – spiega Salvatore Ferruccio Puglisiha condotto un’accurata ricerca sul monachesimo basiliano e su San Cremete, fondatore e primo abate dell’eremo di Francavilla, intitolato a San Salvatore della Placa. Al sottoscritto e ad altri allievi che venivamo dal Comune dell’Alcantara, amava parlarci spesso di Cremete.

   «Ci raccontava, in particolare, che “nella seconda metà del secolo XI, sui monti di Placa viveva questo santo eremita, attorniato da vari animali selvatici che lui era riuscito ad addomesticare. Un giorno, accompagnato dalle sue docili bestie, si presentò al Conte Ruggero, che con il suo esercito si recava a Troina per combattere contro i Mori, il quale rimase affascinato dalla figura di quel mistico. Così, salito con lui sulla sommità della rocca, gli concesse di erigere in quel posto un monastero di cui Cremete diventò l’abate ed il superiore degli altri suoi confratelli.

   «Ma un giorno alcuni monaci non vollero più ubbidire alla sua regola basiliana e pensarono di liberarsi di lui buttandolo giù dalla rocca. Ciò malgrado, Cremete sarebbe rimasto miracolosamente illeso (morì poi il 6 agosto del 1116) e, da quel momento, cominciò ad essere considerato un santo”.

   «Da qui – prosegue l’autore – il titolo di questo mio nuovo scritto (“

Collegio San Basilio – Randazzo

Il Salto di San Crimo”), che peraltro è un’espressione già usata da Antonio Filoteo degli Omodei, storico di Castiglione di Sicilia del 1500.

   «Purtroppo Don Virzì, deceduto nel 1986 all’età di settantasei anni, non fece in tempo a pubblicare questo suo studio su San Cremete ed i basiliani, di cui resta solo una semplice bozza dattiloscritta. Mi sono quindi prodigato per avere una copia di essa e, con mia grandissima sorpresa, in quei fogli ho rinvenuto anche un intero paragrafo dedicato alla descrizione della visita fatta dal religioso ai ruderi del monastero il 22 maggio del 1954 quando io, ancora scolaretto di prima elementare, ero invece tutto preso, così come l’intera popolazione francavillese, dal passaggio del Giro d’Italia.

   «“Il Salto di San Crimo” l’ho dunque articolato in due parti: la prima riguarda il mio personale ricordo di quel pezzo di storia sportiva nazionale transitata da Francavilla, mentre nella seconda ho integralmente riportato quanto scritto dal prete salesiano su quella stessa giornata, da lui vissuta in un contesto totalmente diverso da quello di noi “gente comune”».

   Mentre oggi Salvatore Ferruccio Puglisi si occupa della “Batiazza” di Francavilla dal punto di vista storico-letterario, in passato se ne è occupato da ambientalista per denunciare, in particolare, l’inopportuna installazione di freddi ed antiestetici tralicci dell’alta tensione nelle immediate adiacenze di quell’angolo di antichità.

   Tornando a “Il Salto di San Crimo”, sarà questa la seconda pubblicazione interamente dedicata all’anacoreta francavillese ed alla sua “Batiazza”. Nel 2004, infatti, lo scultore Mario Restifo, anche lui originario della cittadina dell’Alcantara, si cimentò nella narrativa con il romanzo “Il Nido dell’Aquila”, ispirato alle vicende mistico-leggendarie di San Cremete, i cui resti del capo sono conservati in un reliquario di bronzo dorato ed argento custodito nella basilica di Santa Maria a Randazzo.

Rodolfo Amodeo

 

UNA VITA DEDICATA A RANDAZZO  di Salvatore Agati 

Salvatore Agati – Randazzo

Intorno alle ore 20:00 di venerdì 21 novembre si spegneva, sicuramente senza neppure accorgersene, al San Basilio di Randazzo, la casa salesiana più antica di Sicilia, il sacerdote professore Salvatore Calogero Virzì, dopo una vita interamente dedicata alla sua missione sacerdotale, alla cura dei giovani e al loro insegnamento, allo studio e alla ricerca storico storico-artistica.
E tutto questo egli seppe portare avanti con scrupolo, competenza e modestia, cosa oltremodo difficile da riscontrare nei tempi che viviamo.

Il nostro era nato a Cesarò, un paesino sui Nebrodi in provincia di Messina, da famiglia onesta e laboriosa, l’undici gennaio del 1910. Dopo avere ricevuto i primi insegnamenti nel luogo natio, lasciava la casa Paterna per frequentare le scuole ginnasiali al San Francesco di Sales di Catania.
A contatto con i Padri Salesiani coltivò e seguì la sua vocazione che lo avrebbero portato ad entrare definitivamente nella congregazione dei figli di Don Bosco nell’anno 1925.


Lo troviamo, subito dopo, a San Gregorio di Catania poi al San Paolo di Palermo e successivamente al San Domenico Savio di Messina dove, nel 1934, riceveva gli ordini sacerdotali.

Il giovane sacerdote, nello stesso anno dell’ordinazione, ritornava ancora a San Francesco di Sales di Catania. Ed era nell’Ateneo di questa città che aveva modo di continuare i suoi studi alla Facoltà di Lettere Classiche. Appena conseguita la laurea, era il 1937, veniva trasferito a Randazzo, l’antica cittadina che tanto lustro aveva avuto nel Medioevo, dove avrebbe avuto modo di rafforzare non solo le sue attitudini all’insegnamento, ma anche la sua passione per la storia e l’arte, a contatto con un immenso patrimonio, di cui diverrà negli anni, il conoscitore più profondo e qualificato. In questo suo slancio e attaccamento troviamo il significato della sua ininterrotta presenza a Randazzo, dove rimase per il resto della sua vita.
Da persona sensibile alla cultura classica e all’arte in particolare, dove si rimane incantato della vecchia città medievale che, sebbene già scalfita dal tempo ma ancora integra nell’originaria bellezza, gli offre un insieme architettonicamente omogeneo nelle mura di cinta e nelle torri di guardia, nelle chiese e nei campanili, nei palazzi e nelle case, nelle vie e nei vicoli, nelle piazze e negli slarghi, negli elementi decorativi e nei colori.
Se a tutto questo si aggiungono ancora l’impareggiabile oreficeria, le ricche e originali suppellettili sacre, le magnifiche tele e pale pittorica, le pregevoli e maestose sculture, patrimonio di una gara esaltante tra la popolazione, che nei tre quartieri ritrovava nelle rispettive chiese di Santa Maria, Santa Nicola e San Martino il fulcro di ogni alterità partecipativa, si capisce subito come l’incanto del primo contatto si sia trasformato in un ardente desiderio di ricerca attenta e di studio meticoloso, volto a svelarne ogni particolare storico ed artistico.


Se i ricordi di una lunga collaborazione tra un maestro e un discepolo possono diventare testimonianza e messaggio, posso affermare che l’amore di Don Virzì per Randazzo nacque dalla consapevolezza scientifica che la città rappresentasse uno “scrigno di tesori” da custodire gelosamente per una migliore conoscenza di tutto ciò che i siciliani erano riusciti, sui tanti influssi portati dall’esterno, a realizzare attraverso un proprio ed originale processo creativo: Randazzo, per gli aspetti di presenza e di continuità nei tanti filoni dell’arte, rappresentava per don Virzì la più significativa chiave di lettura per comprendere l’insopprimibile bisogno espressivo del popolo siciliano.
Non aveva Don Virzì, del tutto penetrato le pieghe del complesso patrimonio artistico dell’antica città medievale del valdemone, quando sopraggiunsero i terribili giorni del luglio-agosto 1943. Infatti, nel tentativo di forzare la ritirata dei tedeschi, attestatisi sull’Alcantara lungo il confine tra la provincia di Catania e quella di Messina, gli anglo-americani misero in atto una serie di incursioni aeree e di bombardamenti che rasero al suolo Randazzo. Nei giorni che seguirono, il giovane sacerdote mentre da un lato si prodigava a portare aiuto e sollievo alla provata popolazione, dall’altro non trascurava di annotare le distruzioni e le mutilazioni che l’insieme architettonico e artistico della città avevano subito.
Va ricordato che don Virzì fu tra i pochi a sostenere che la municipalità randazzese avrebbe dovuto richiedere al governo centrale la costruzione di una città nuova, da erigersi in continuità con il centro storico, anch’esso da ricostruire e restaurare. Ciò avrebbe evitato l’obbligatorio intervento del privato che, da solo, non avrebbe assolutamente potuto salvare l’antico.
Difatti così avvenne, per cui alla distruzione della guerra seguì quella di una ricostruzione affrettata e disordinata, ma comunque necessaria. Il guasto si verificò sia sul fronte della salvaguardia che su quello, non meno importante delle legittime aspettative per avere un’abitazione dignitosa e adeguata ai tempi. Se vogliamo, su questa primaria esigenza, si pose, subito dopo, il doloroso esodo migratorio.

Questa sua visione, va chiarito, non era assolutamente limitativa, quasi che lo studioso volesse mummificare il centro storico escludendolo da ogni attività futura, così come non intendeva certo alla ricostruzione di una città nuova avulsa dal suo contesto. Queste idee erano belle lontane dalla mente lucida e competente di Don Virzì.
Lo scopo, invece, era duplice: dare un’abitazione immediata alla popolazione, secondo l’urgenza, legata alle necessità di sopravvivenza che il momento richiedeva, salvaguardando il centro storico da una ricostruzione frettolosa, non per paralizzarlo, ma per attuarla in una fase successiva, secondo un programma ben definito di restauro e di conservazione degli elementi architettonici, stilistici ed estetici, per realizzare un complesso cittadino armonico, ordinato ed omogeneo, di cui il centro storico stesso avrebbe dovuto essere il fulcro.

La linea di azione di Don Virzì, da quel momento in poi, non poté indirizzarsi, di conseguenza, se non verso una mediazione tra i bisogni della gente e le aspirazioni dell’uomo di cultura convinto che si dovessero conservare tutte le testimonianze del passato. Il fatto di non essere riuscito a fare capire il senso della sua azione gli provocò il dolore più grande della sua vita.
Tuttavia, va precisato che mentre sarebbe riuscito a comprendere e giustificare gli interventi di ricostruzione dettati da necessità, non avrebbe invece mai scusato la mancanza di volontà e di comprensione della classe dirigente nel non aver saputo porre il problema della Ricostruzione nei termini in cui andava condotto.

Nello stesso periodo in cui maturarono questi avvenimenti, Don Virzì penso bene di dovere rivolgere la sua azione educativa verso i giovani.
E la frequentatissima scuola dei Salesiani gliene diede larga occasione. Ecco, quindi, i due filoni lungo e quali l’azione dello studioso si indirizzo: la ricerca e lo studio, da una parte, e la divulgazione dall’altra. Capì, altresì, che le sorti del patrimonio storico-artistico di Randazzo non sarebbero passate solo attraverso l’azione municipale, ma principalmente attraverso la sensibilizzazione degli uomini di cultura presenti a tutti i livelli.
E in questo la sua lezione fu senz’altro più incisiva e proficua: la città divenne punto di riferimento di quanti, ed erano pochi, continuarono a credere che la conservazione del patrimonio dei progenitori sarebbe stata di valido aiuto anche al risveglio dell’attività turistica.

Ed è così che si concretizza la sua azione permanente di educazione, di sensibilizzazione e di divulgazione alla quale si dedica con impegno, passione e costanza: conferenze, dibattiti, articoli su giornali e riviste, tutto tende ad approfondire e a far conoscere Randazzo.
Nella città,come ebbe modo di affermare durante una conferenza, egli vedeva la “chiave della Sicilia sia per la storia che per l’arte”. Fu un conferenziere dalle qualità espressive stringate ma complete nell’essenzialità.
Il suo disquisire fu tanto interessante da fare perdere la dimensione temporale all’auditorium, il linguaggio usato nelle descrizioni tecnico e semplice, fu proprio di chi conosce la storia dell’arte in ogni sfumatura.

Da corrispondente di molti giornali, con i suoi articoli, pubblicati su quotidiani e periodici a diffusione nazionale, riuscì a suscitare tale interesse nei lettori, anche stranieri, da indurli a visitare Randazzo per verificare se quell’atmosfera di suggestione che, con i suoi scritti, aveva saputo creare sulla cittadina, aveva riscontri con il reale. Ma la sua opera non si fermò solo alle conferenze e agli articoli. Pur privo di mezzi, ma non di volontà, andò oltre: animò l’istituzione della Pro Loco, fondò l’associazione di Storia Patria “Vecchia Randazzo”, divenne ispettore onorario della Sovrintendenza ai Beni Architettonici, Artistici e Storici, istituì e tenne personalmente dei corsi per guide turistiche randazzesi.
Ma il frutto più significativo e proficuo della sua attività sono le opere edite ed inedite. Ed è citandole che sono certo di rendere il miglior omaggio alla memoria dell’uomo, dello studioso, del sacerdote, del ricercatore attento che, con molta umiltà, mise il suo ingegno e la sua opera al servizio di Randazzo: “Randazzo e le sue opere d’arte” del 1956, “Randazzo” del 1965,  “Il R. Castello di Randazzo” del 1968,  “Sulla venuta di Nino Bixio nell’agosto del 1860 a Randazzo” del 1968,  “Storia della città di Randazzo” del 1972,  “Breve guida attraverso i monumenti artistici della Città di Randazzo”del 1973,  “Randazzo nella sua storia e nei suoi costumi” del 1975,  “Alcantara” del 1975, “Taormina” del 1979,  “Randazzo 1848” del 1980, “Un itinerario etneo” del 1983,  “La Chiesa di S. Maria di Randazzo”del 1984.
In ultimo, non si può non sottolineare un altro aspetto importante della personalità di don Virzì, cioè quello di educatore, che pose l’insegnamento a base del suo quotidiano lavoro. In più di 50 anni di cattedra, curò i rapporti con le tante generazioni in modo personalizzato, tanto che in Lui gli allievi videro sempre non solo il docente, preparato e puntiglioso, ma, principalmente, l’amico, l’uomo che, in ogni occasione, era pronto a dare consigli ed anche ad aiutare. Ed è per questo, maggiormente, che oggi tutti coloro i quali lo hanno avuto per maestro lo piangono.

Salvatore Agati .  Randazzo Notizie n.19 del novembre 1986 

 

Carmelo Carmeni

Carmelo Carmeni nasce a Randazzo il 29 luglio 1972. Sposato con Maria Rita Giacca ha due figli Fabiana (10 anni) e Antonio (5 anni) che sembra voler seguire le orme paterne. 
Fin da piccolo ha una passione per la forgia,  il fuoco, il martello, l’odore del metallo fuso,  insomma tutto ciò che fa diventare un bravo fabbro artigiano. La sua passione lo porta sempre più a migliorarsi e perfezionarsi in questa non facile attività. Frequenta assiduamente la scuola di Stia (Arezzo) dove ha modo di apprendere i segreti del mestiere.


A Stia (oggi Pratovecchio Stia)  ogni due anni dal 1976 si svolge la Biennale Europea d’Arte Fabbrile che  è la più tradizionale manifestazione sul ferro battuto che si tenga con regolare cadenza in Italia e la più antica delle mostre d’artigianato artistico del ferro forgiato che con continuità si tengono in tutto il mondo. 
Nel 2013 nel  sesto campionato del mondo che si è disputato a Stia nell’ambito della XX Biennale Europea d’Arte Fabbrile il “nostro” Carmelo Carmeni vince  il titolo di Fabbro Campione del Mondo di Forgiatura” con l’opera dal titolo “Uno, Nessuno, Centomila” . ha preceduto nella classifica individuale l’austriaco Peter Reisinger e l’italiano Fabrizio Boccingher.
Dal titolo dell’Opera premiata si comprende il Suo profondo amore per la Sicilia. A nessuno penso sia sfuggito che il Carmeni ha voluto ricordare il capolavoro di Luigi Pirandello.
 
La gara,  ha visto la partecipazione di 200 fabbri provenienti da 20 paesi stranieri ed aveva come tema la “Plasticità”.

 

 

 

Carmelo Carmeni, il fabbro campione con il fuoco dell’Etna che gli arde nel cuore
La storia di un artigiano randazzese insignito del titolo mondiale di forgiatura nel 2013.
«Un mestiere/arte che consiglio ai giovani»

 

Carmelo Carmeni, il fabbro campione con il fuoco dell'Etna che gli arde nel cuore

Carmelo Carmeni

  
 

Il ribollente fuoco dell’Etna, sulle cui pendici vive, gli scorre nelle vene e nutre la sua passione, il suo mestiere e la sua vena artistica.
E come faceva il mitologico Efesto nel cuore del vulcano, Carmelo Carmeni,  47enne fabbro d’arte di Randazzo, campione del mondo di arte fabbrile nel 2013, batte e forgia il metallo piegandolo ai suoi voleri nella sua officina che, non per nulla, si chiama appunto “La fucina di Efesto”.
Un fuoco interiore che da sempre arde nel cuore di Carmelo Carmeni: «Sono stato contaminato dal vulcano – spiega con un sorriso -. La mia passione per il ferro battuto e la forgiatura nasce dalla mitologia. Finite le scuole dell’obbligo, ho iniziato a lavorare come apprendista fabbro a 14 anni. Ma in realtà già in precedenza avevo manifestato una certa attrazione per il fuoco, non perché fossi un piromane, ma perché l’energia del fuoco mi ha sempre attratto: così, sin da bambino giocavo costruendo oggetti con le aste degli ombrelli, che rendevo incandescenti forgiandole con le candele e battendole utilizzando un martello molto piccolo su una mazzetta da muratore senza manico che usavo come incudine».
Una passione, peraltro, non da figlio d’arte: «Mio padre di mestiere faceva il carbone. Io, con la mia forgia tradizionale a carbone, invece lo brucio».

Da apprendista fabbro, Carmelo Carmeni faceva soprattutto il saldatore, ma questa attività non lo soddisfaceva: decide quindi di mettersi in proprio, sorretto dalla passione e da una certa manualità innata. «Basta poi una scintilla per fare nascere una passione.
Ho iniziato a frequentare fiere e mostre e così ho scoperto altre realtà. In particolare, in Repubblica ceca ho assistito a una manifestazione sulla forgiatura e lì ho capito che esisteva un mondo assai diverso rispetto al mio».
Da autodidatta come era stato fino ad allora, Carmelo Carmeni comincia così nel 2004 a frequentare corsi di forgiatura: dapprima in Sicilia tramite l’Associazione Fabbri d’Arte, poi a Stia, nell’Aretino, dove esiste una scuola molto importante e si tiene la biennale di arte fabbrile, oltre che il campionato mondiale di forgiatura, una estemporanea durante la quale, in tre ore, i fabbri devono forgiare le loro sculture.
A Stia Carmelo Carmeni ha seguito la maggior parte dei corsi e, siccome non si finisce mai di imparare, tuttora, pur da campione del mondo 2013, continua a seguirne. Campionato mondiale al quale ha partecipato una sola volta, appunto nel 2013, quando ha vinto sbaragliando la concorrenza internazionale di circa 250 partecipanti, con una scultura denominata “Uno, nessuno e centomila” in onore di Luigi Pirandello.
«Per me è stata una bella esperienza, perché a fare la differenza non è il titolo, ma il confronto con altre realtà da tutto il mondo, quindi con tecniche, sensibilità, etnie e mentalità diverse. Il titolo è una soddisfazione, ma non si arriva mai a una meta, non significa nulla essere campione del mondo. Anzi, quello è solo un motivo in più per continuare a superarsi sempre».
L’idea di intitolare la scultura vincitrice “Uno, nessuno e centomila” è stata un omaggio a Pirandello ma anche dettata dal fatto che, «guardandola e riguardandola, mi sono reso conto che in quel pezzo c’erano tanti particolari e varie sfaccettature a seconda dell’angolazione dalla quale si guardava».

Un mestiere o un’arte della quale Carmelo Carmeni non potrebbe fare a meno perché la passione arde dentro di lui: «Io ritengo di essere un artigiano, non un artista. Questo lavoro a me dà la grande soddisfazione di essere libero di pensare, di fare, di costruire, di esprimermi senza vincoli. Per me non è un lavoro: io arrivo in officina la mattina, inizio a lavorare e, quando arriva la sera, mi sembra che siano passati appena cinque minuti, per me l’orologio corre troppo veloce, perché lavoro con una tale passione che non mi pesa».
E, considerato che Carmeni fa questo lavoro da 30 anni, non è una fortuna da poco né così comune…

 

Carmelo Carmeni

Un lavoro che Carmeni consiglia fortemente ai giovani, perché offre tante opportunità: «Gli artigiani stanno scomparendo, i giovani sono sempre meno. E di questo attribuisco la colpa alle istituzioni: lo Stato ha praticamente eliminato gli istituti professionali, mentre all’estero i miei colleghi hanno in officina giovani che provengono dagli istituti professionali e che hanno una certa formazione.
Qui in Italia, invece, non hanno nulla, qui studiano tutti per diventare avvocato o medico, ma non tutti lo possono essere. Purché qualcuno impari questo lavoro che oggi si sta perdendo, ho addirittura proposto al Comune di Randazzo di tenere corsi gratuitamente per trasmettere agli altri il mio sapere»
.
Ma gli unici interessati, in linea di massima, sono gli stranieri:
«Ogni tanto ne ospito qualcuno, perché gli stranieri sono abituati a fare esperienze da vari artigiani, in modo da tornare a casa con un nutrito bagaglio di idee, in quanto da ciascuno prendono il meglio. È la cosa che faccio ancora io stesso: vado talvolta all’estero a lavorare nelle officine di altri fabbri. Gli italiani, invece, la prima cosa che chiedono è: “Quanto mi dai?”. “E tu che sai fare?”, è la mia risposta. “Prima impari e poi ti pago”. È giusto che un ragazzo che lavora percepisca uno stipendio, però prima deve imparare a lavorare».

Ecco che quindi ai giovani Carmeni consiglia di «imparare a lavorare, perché sporcarsi le mani lavorando non è vergogna. E poi bisogna avere fame di conoscenza: io ogni giorno ho sempre più voglia di imparare, la ricerca è bella».

Tra le difficoltà che incontra un artigiano/artista, Carmeni mette al primo posto il fatto che «le istituzioni non fanno nulla per garantire gli artigiani, le tasse ci distruggono». Di contro, la soddisfazione è essere «libero di esprimermi e di fare quello che voglio».
Perché, per Carmeni, per fare questo lavoro in fin dei conti «non occorre nulla, solo la volontà di lavorare. C’è soltanto un segreto per avere successo, anzi sono tre: il primo è lavorare, il secondo è lavorare, il terzo è lavorare. Fine».
Anche per le donne: «Nei Paesi esteri ce ne sono tante, soprattutto nell’Est Europa, ma anche in Germania, Austria e negli Usa. Donne fabbro che fanno tutto: forgiano, battono il ferro, realizzano il lavoro e poi lo montano. D’altronde, quale dovrebbe essere la differenza tra uomo e donna?».

 

Carmelo Carmeni

Prendendo forza da una terra, dalla sua Randazzo che, ammette Carmeni, «non riuscirò mai a lasciare: ci sono legato, io mi nutro da questa terra, il suo fuoco ce l’ho nel Dna e, quando sono fuori, magari anche per lavoro, mi manca il paese, l’Etna, l’officina, la forgia. Persino la domenica vengo qui in officina almeno 5-10 minuti, ne respiro l’odore e poi torno a casa. E, in qualsiasi parte del mondo vado, cerco sempre un’officina dove entrare, perché devo sentire l’odore del carbone, della forgia».
Impossibile, di fronte a tanta passione, avere quindi rimpianti, pur con la consapevolezza che altrove magari Carmeni avrebbe avuto maggiori opportunità:
«Però quello che fa la differenza tra una persona e un’altra è la tenacia, il credere nei progetti. È la perseveranza che premia. E io sono così».

 Maria Ausilia Boemi    
“La Sicilia” 30 settembre 2019

Di recente ha realizzato la targa per la intitolazione della piazzetta antistante il ristorante “La Bifora” davanti all’ingresso di quello che fu il Cinema Centrale di proprietà dell’avvocato Matteo Vagliasindi.
 Si chiamerà “Slargo Spartà” in ricordo di Antonio 57 anni, Vincenzo 26 anni e Salvatore 19 anni, che il 22 gennaio 1993 divennero “vittime di mafia”. 

 

      a cura di Lucio Rubbino                                                                     

Giuseppe Plumari ed Emmanuele – Codice Diplomatico della Città di Randazzo.

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Giuseppe Plumari – La Felicità Politico-Cristiana.

Omelie recitate dall’Autore nella Basilica di Santa Maria il 12 gennaio 1801 e il 12 gennaio 1821.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Giuseppe Plumari – Lettere Autografe 1822

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Pro loco Randazzo – Rassegna Poesie Dialettali 2010

Pubblicazione rassegna di poesie 2010 Definitivo A5

Pro Loco Randazzo – Rassegna Poesie Dialettali 2013

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Proietto Di Silvestro Gioele

GIOELE PROIETTO DI SILVESTRO (Barman, mixologist)

Gioele Proietto a 12 anni.

Nasce a Taormina il 17 maggio 1988, all’età di 12 anni fa la sua prima esperienza lavorativa come barman e capisce che questo sarà il suo lavoro.

L’attività in questo settore lo porta a lavorare in diverse a attività di ristorazione e banqueting nella zona etnea.
Ha partecipato a diverse competizioni e corsi di perfezionamento sui metodi di preparazione dei cocktails in Italia ed in Europa. Fino a quando nel 2014 decide di trasferirsi in Francia, a Parigi dove tutt’oggi lavora.

Ecco la sua esperienza nella capitale parigina.

Gioele, come è nata la scelta di Parigi?

Io sono di un piccolo paesino meraviglioso che si chiama Randazzo in provincia di Catania, sull’Etna. Detta la Bourgogne d’Italia per restare in tema.
Perchè Parigi. È una scelta che mi è arrivata, più che io a scegliere lei. È iniziato tutto nel novembre 2014. Uno dei miei più cari amici d’infanzia, il buon caro Marco, era già qui per lavoro, è un pizzaiolo molto conosciuto. Ci incontrammo in paese e mi disse: “Sai Gioele sono a Parigi, se c’è possibilità tu verresti?”. Gli ho risposto: “Guarda aspetto una tua chiamata ed in 48 ore sono lì”.

Qualche mese dopo arrivò questa fatidica telefonata alle 11 di mattina, in 48 ore feci il biglietto ed iniziò il mio viaggio a Parigi, la mia avventura parigina.
Ho iniziato in questa pizzeria dove lui era capo pizzaiolo e si era occupato appunto dell’avviamento. Una pizzeria siciliana. Ringrazio anche il titolare con il quale poi è nata una bellissima amicizia. Titolari una coppia meravigliosa Francesco e Amelie. Ho imparato la lingua abbastanza in fretta e poi mi sono inserito nel mondo del bartending, della mixologia parigina. Quando arrivai a Parigi in effetti ero già un barman, avevo già degli anni di esperienza un po’ in tutta Italia. Non parlavo ancora bene il francese, e questo è un lavoro dove saper parlare è molto importante. Infatti ho fatto in fretta ad 
imparare la lingua dei cugini francesi, per potermi inserire bene.

Qual è il cocktail più richiesto qui a Parigi ?

C’è molto un ritorno negli ultimi anni, l’ultima tendenza, l’uscita dal periodo ciclico degli anni 90 , quindi di questi cocktail molto colorati, appariscenti, c’è stato un grande ritorno alla miscelazione dell’800 del 900, alla ricerca del cocktail vintage.

Sono riemersi dei cocktail meravigliosi quali il Vieux Carré, il Manhattan, il Negroni, che si afferma come l’eccellenza italiana nel mondo.

Il cocktail ha una grande storia, è un qualcosa che è sempre stato presente a livello di cinematografia, di arte, di correnti letterarie.

 

Elisa Alessandro intervista Gioele Proietto

Uno dei progetti che abbiamo sviluppato qui è stato la ripresa delle polibibite del ‘900 del Movimento Futurista. Molto sentito in Francia, anche perchè il Futurismo fu un movimento presentato su Le Figaro .

Portraits racconta degli italiani che si sono trasferiti a Parigi. Sulla base della tua esperienza, Parigi sì o no ?

Parigi, tutta la vita. Perchè è veramente una città dove la meritocrazia è uno dei pilastri del sistema sociale francese.

Quando sono arrivato qui conoscevo tre parole in francese : bonjour, bonsoir e cigarette, perchè purtroppo sono un fumatore.

In due anni e mezzo mi ritrovo ad aver affrontato, da quasi due mesi e mezzo a questa parte, una grossa apertura di un club che entra nello scenario del lusso a Parigi. È una grande soddisfazione, per un ragazzo italiano che arriva qui e parte da zero. Quindi come l’ho fatto io lo possono fare tutti. È una città che ti offre di metterti davanti allo specchio delle tue capacità e potenzialità, e lì dici “Ok, vediamo chi sono”.

Gioele ti ringraziamo tantissimo di aver partecipato!

Grazie a voi. Grazie a te. Vi aspetto tutti con piacere. E per dirla come un caro vecchio amico direbbe in questa occasione: spero que tout va bien. Ciao a tutti a presto.

E noi ci vediamo al prossimo appuntamento con Portraits !

 

PARIS – DEC 8, 2018 – Sacre Coeur Cathedral on Montmartre in Paris, France

 

Se vuoi partecipare a Portraits non esitare a scriverci: parigi@italiani.it.

https://parigi.italiani.it/portraits-quarto-appuntamento/

 

                                                                          —————————————————————————————–

Gioele Proietto Di Silvestro : questo è il nome del nuovo Chef Barman du Fou , questo bar parigino situato nel 2 ° arrondissement della capitale.  

Questo italiano da una famiglia di ristoratori ha avuto la  sua prima esperienza come barista all’età di 12 anni. 
  
Poi ha moltiplicato alcuni anni dopo le esperienze di restauro, prima di fare i suoi primi cocktail  al fianco dello Chef Danilo Fraccare . 
  
Da allora, ha stabilito legami nel campo della mixology e ampliato la sua rete, accanto a rinomati mixologist tra cui David Wondrich , Oscar Quagliarini ,Agostino Perrone , Mauro Mahjoub o Simone Caporale .  

Nel 2014, è arrivato in Francia e ha iniziato la sua avventura parigina come Brand Ambassador France di VKA , una vodka biologica premium della Toscana. 
  
Il suo gioco preferito in mixology? Perpetuare antiche tecniche di preparazione come l’Oleo Saccharum e 
moltiplicare i piccoli additivi magici come questa fiala di essenza di foglie di mandarino o la sua suite di “finali di cocktails” che tiene sempre su di lui!  

 

 

 

 

Alcuni Link che parlano dell’attività di Gioele.

Gioele Proietto Di Silvestro: nuovo chef barista a Parigi

Il bar parigino Le Fou ti invita a incontrare il suo nuovo Chef          

Proietto Di Silvestro Gioele
Gérant de PINOT

GIOELE CI INSEGNA COME  FARE UN COCKTAIL 

A cura di Francesco Rubbino

Cavalieri dell’Ordine di Vittorio Veneto

 

L’Ordine di Vittorio Veneto è stato istituito con Legge 18 marzo 1968, n. 263, (abrogata dal Decreto Legislativo del 15 marzo 2010, n. 66), per “esprimere la gratitudine della Nazione” a quanti, avendo combattuto per almeno sei mesi durante la prima guerra mondiale o precedenti conflitti, avessero conseguito la croce al merito di guerra. 

Capo dell’Ordine, comprendente una sola classe di Cavalieri, è il Presidente della Repubblica; un Generale di Corpo d’Armata ne presiede il Consiglio, che provvede al vaglio delle domande avanzate dagli interessati.

All’onorificenza, concessa con Decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro della Difesa, corrisponde un esiguo assegno annuo, in favore di quei decorati che non godano di un reddito superiore al minimo imponibile.

CAVALIERI DI VITTORIO VENETO DI RANDAZZO

FOTO NOME DATA NASCITA INDIRIZZO COMUNE DATA DECRETO
  ADORNETTO GIUSEPPE 25/10/1899 GULLOTTO 101 RANDAZZO 25/11/70
  AGATI ALFIO 8/9/1897 FONTANA 41 RANDAZZO 25/11/70
  AGATI MARTINO 24/11/1896 REG.MARGHERITA 173 RANDAZZO 25/11/70
  AGATI VINCENZO 29/3/1896 VIA REG. MARGHERITA 86 RANDAZZO 30/10/71
  ALFONSO ALFIO 13/2/1895 VIA OLIVIERI 26 RANDAZZO 5/8/71
  ALFONSO GIOVANNI 16/9/1899 OLIVERI 31 RANDAZZO 26/5/73
  ALFONSO PAOLO 7/5/1898 VIA FURNARI 27 RANDAZZO 30/12/71
  ALFONSO PAOLO 25/1/1882 CAPPUCCINI 40 RANDAZZO 26/5/73
  ALFONSO SALVATORE 1/1/1894 ORIOLES 12 RANDAZZO 25/11/70
  ALFONSO SANTO 31/10/1898 VIA CAGGEGI 4, RANDAZZO 16/6/69
  ALFONSO VINCENZO 1/9/1896 VIA DEI MAIO 5 RANDAZZO 30/10/71
  ALIA FRANCESCO PAOLO 31/1/1888 COLLEGIO 60 RANDAZZO 30/10/71
  ALLIA ANGELO 13/1/1894 S.CATARINELLA 47 RANDAZZO 27/4/72
  ALLIA MICHELANGELO 22/9/1894 POLLICCHINO 2 RANDAZZO 30/10/71
  ALLIA SALVATORE 6/11/1896 VIA DOMINEDO 52 RANDAZZO 30/10/71
  ALLIA SALVATORE 11/8/1900 VIA CARMINE 100 RANDAZZO 30/10/71
  ALLIA VINCENZO 7/7/1900 VIA GAETA 20 RANDAZZO 30/10/71
  AMATO GIUSEPPE 12/3/1886 VIA ETNA 17 RANDAZZO 30/10/71
  ANZALONE LUIGI 18/10/1899 VIA ROMA 3 RANDAZZO 16/6/69
  ANZALONE VINCENZO 23/6/1889 FISAULI RANDAZZO 30/10/71
  ANZALONE VINCENZO 27/1/1894 REG.MARGHERITA 164 RANDAZZO 30/10/71
  ARCIDIACONO FORTUNATO 8/3/1900 BUONARROTI 16 RANDAZZO 30/10/71
  ARCIDIACONO MARIANO 22/3/1890 VIA UMBERTO 236 RANDAZZO 30/10/71
  ARCIDIACONO SALVATORE 22/1/1897 VIA BAGGIO 2 RANDAZZO 25/11/70
  ARENA GIUSEPPE 26/4/1898 VIA UMBERTO 10 RANDAZZO 16/6/69
  ARRIGO GIUSEPPE 23/1/1898 GALLIANO 67 RANDAZZO 25/11/70
  BAGIANTE MICHELANGELO 29/5/1893 MARCONI 37 RANDAZZO 25/11/70
  BARBAGALLO GIUSEPPE 16/10/1894 S.CATERINELLA 7 RANDAZZO 25/11/70
  BARBAGALLO VINCENZO 19/4/1897 SAITTA 60 RANDAZZO 30/10/71
  BASILE FERDINANDO 16/12/1882 VIA ROMA 96 RANDAZZO 30/7/70
  BERIZIA SALVATORE 17/3/1882 MARCONI 116 RANDAZZO 30/10/71
  BERTONE VINCENZO 28/1/1890 MAROTTA 119 RANDAZZO 9/3/72
  BISIGNANO ANTONINO 6/10/1898 CIPRIOTTI 2 RANDAZZO 16/6/69
  BONANNO ALFIO 5/10/1895 MONTELAGUARDIA 51 RANDAZZO 30/12/71
  BONANNO FRANCESCO PAOLO 13/8/1885 ROMEO 40 RANDAZZO 30/10/71
  BONANNO NUNZIO 9/6/1893 VIA DUCA ABRUZZI 34 RANDAZZO 30/10/71
  BONANNO ROSARIO 27/4/1897 GULLOTTO 196 RANDAZZO 16/6/69
  BONAVENTURA MICHELANGELO 17/11/1891 VIA VITTORIO VENETO 8 RANDAZZO 16/6/69
  BONFIGLIO LORENZO 4/11/1897 VIA CAMARDA 7 RANDAZZO 25/11/70
  BONGIOVANNI FRANCESCO PAOLO 20/1/1888 VIA TAGLIAMENTO 15 RANDAZZO 30/10/71
  BONGIOVANNI GIUSEPPE 3/6/1896 VIA DUCA ABRUZZI 53 RANDAZZO 30/12/71
  BONGIOVANNI SALVATORE 14/4/1889 DE QUATTRIS 39 RANDAZZO 30/10/71
  BONGIOVANNI SALVATORE 13/4/1897 VIA MANCHI 40 RANDAZZO 25/11/70
  BRUNO GIUSEPPE 16/11/1896 FONTANA 8 RANDAZZO 16/6/69
  CAGGEGGI ANTONINO 27/11/1881 VIA DUCA ABRUZZI 54 RANDAZZO 30/10/71
  CAGGEGGI MARIANO 6/8/1889 VIA BRANCIFORTE 28 RANDAZZO 30/10/71
  CAGGEGI DOMENICO 23/4/1899 GULLOTTO 126 RANDAZZO 16/6/73
  CAGGEGI DOMENICO 27/8/1877 VIA CAPPUCCINI 38 RANDAZZO 26/5/73
  CAGGEGI FRANCESCO PAOLO 18/9/1890 BASILE 177 RANDAZZO 30/10/71
  CAGGEGI GIOVANNI 24/9/1885 PIAZZA S. ANTONIO DI PADOVA 3 RANDAZZO 30/12/71
  CAGGEGI GIUSEPPE 23/4/1899 GULLOTTO 126 RANDAZZO 25/11/70
  CALA’ IMPIROTTA NUNZIO 9/11/1898 SANTA MARGHERITA 84 RANDAZZO 25/11/70
  CALA’ VINCENZO 2/9/1899 SANTUARIO 85 RANDAZZO 30/12/71
  CALA’ VINCENZO 28/2/1894 FIORETTO 27 RANDAZZO 30/10/71
  CAMARATA ANTONINO 15/5/1896 VIA GULLOTTO 58 RANDAZZO 30/10/71
  CAMARATA MARIANO 9/5/1889 FURNARI 35 RANDAZZO 25/11/70
  CAMARATA NUNZIO 15/7/1894 AGONIA 2 RANDAZZO 30/10/71
  CAMARDA ALFIO 21/3/1897 VIA ROMA 108 RANDAZZO 9/3/72
  CAMARDA GIUSEPPE 15/3/1897 BONARROTI 28 RANDAZZO 30/10/71
  CAMARDA MICHELE 4/6/1895 VIA DUCA ABRUZZI 136 RANDAZZO 25/11/70
  CAMARDA NICOLA 28/6/1899 IMBISCUSO 3 RANDAZZO 25/11/70
  CAMARDA NUNZIO 8/9/1886 VIA V. VENETO 4 RANDAZZO 16/10/73
  CAMARDA SALVATORE 1/6/1899 POLIZZI 25 RANDAZZO 26/5/73
  CAMARDA SANTO 27/9/1898   RANDAZZO 16/6/69
  CAMERINI PASQUALE 23/2/1898 BRANCIFORTE 1 RANDAZZO 9/3/72
  CAMMARATA ANTONINO 4/2/1896 VIA OZIERI 2 RANDAZZO 30/12/71
  CAMMARATA GAETANO 25/2/1891 AGONIA 3 RANDAZZO 25/11/70
  CAMMARATA GIUSEPPE 30/9/1891 FURNARI 62 RANDAZZO 25/11/70
  CAMPAGNA ANTONIO 31/10/1891 FISAULI 9 RANDAZZO 30/10/71
  CAMPIONE ANTONINO 21/2/1889 CARCARE 14 RANDAZZO 30/10/71
  CAMPIONE FRANCESCO 21/6/1895 V ETNA 1 RANDAZZO 31/3/71
  CAPIZZI SALVATORE 29/3/1899 S.MARGHERITA 7 RANDAZZO 28/12/70
  CAPUTO SALVATORE 29/9/1895 VIA LOMBARDO 16 RANDAZZO 30/10/71
  CAPUTO SANTO 20/8/1898 GRASSO 13 RANDAZZO 18/4/72
  CARIOLA ANTONIO 13/2/1895 MARCONI 93 RANDAZZO 30/10/71
  CARIOLA SIMEONE 8/6/1893 VIA GAETA 69 RANDAZZO 30/10/71
  CARTILLONE GIUSEPPE 9/3/1893 BRANCIFORTE 10 RANDAZZO 30/10/71
  CARTILLONE SALVATORE 6/5/1898 BASILIANI 22 RANDAZZO 25/11/70
  CARTILLONE SALVATORE 10/1/1896 MONASTRA 50 RANDAZZO 16/6/69
  CARUSO GIUSEPPE 13/9/1896 VIA SAITTA 23 RANDAZZO 30/12/71
  CARUSO VINCENZO 19/7/1899 GALLIANO 87 RANDAZZO 25/11/70
  CASELLA FILIPPO 23/1/1887 PIAZZA CAVOUR 34 RANDAZZO 28/12/70
  CASTIGLIONE ANTONINO 15/1/1877 S.MARGHERITA 47 RANDAZZO 30/10/71
  CASTIGLIONE NUNZIO 27/2/1896 VIA SANTO ANTONIO DI PADOVA 9 RANDAZZO 25/11/70
  CATANZARO CARMELO 9/12/1892 ETNA 35 RANDAZZO 31/3/71
  CATANZARO ROSARIO 2/9/1898 VIA BELLINI 2 RANDAZZO 25/11/70
  CELONA SALVATORE 18/11/1894 VIA VITTORIO VENETO 4 RANDAZZO 16/6/69
  CERAULO VINCENZO 22/4/1899 VIA RAFFAELLO 96 RANDAZZO 16/10/73
  CIMINO SALVATORE 1/11/1878 SCIACCA 2 RANDAZZO 25/11/70
  CIMINO SALVATORE 30/9/1894 VIA PARDO 21 RANDAZZO 30/10/71
  CINCONZE CARMELO 30/7/1898 VIA MARSALA 43 RANDAZZO 6/2/78
  CINCONZE GIUSEPPE 30/10/1891 BONARROTI 9 RANDAZZO 25/11/70
  CINCONZE SALVATORE 2/12/1894 VIA FILANGERI 4 RANDAZZO 25/11/70
  CIRINO FRANCESCO PAOLO 1/1/1885 GAETA 60 RANDAZZO 30/10/71
  COSTANZO ANTONINO 1/9/1896 MURAZZOROTTO RANDAZZO 4/11/74
  COSTANZO CARMELO 12/7/1899 CAGGEGI 53 RANDAZZO 25/11/70
  COSTANZO MALOPIERI SALVATORE 16/12/1889 VIA CALABRIA 2 RANDAZZO 28/12/70
  CRIMI ANTONINO 7/8/1889 VIA MARCONI RANDAZZO 26/3/75
  CULLURA FRANCESCO 8/5/1897 VIA GIOVANNI VERGA 12 RANDAZZO 30/10/71
  CULLURA’ NICOLA 10/10/1891 RISORGIMENTO 7 RANDAZZO 25/11/70
  CUNSOLO PAOLO 28/6/1896 VIA DEI ZINGALI 28 RANDAZZO 24/1/74
  D’AMICO ALFIO 27/5/1894 V.S.T.DOMINEDO’ 1 RANDAZZO 27/4/72
  D’AMICO BENEDETTO 21/5/1892 ETNA 8 RANDAZZO 30/6/71
  D’AMICO GIUSEPPE 14/4/1897 VIA MARCONI 66 RANDAZZO 30/10/71
  D’AMICO GIUSEPPE 1/1/1893 TAGLIAMENTO 13 RANDAZZO 30/10/71
  D’AMICO SALVATORE 4/1/1896 VIA TORRE 11 RANDAZZO 5/8/71
  D’AMICO VINCENZO 2/4/1889 MAROTTA 71 RANDAZZO 25/6/71
  DEL CAMPO GIUSEPPE 4/3/1895 VIA VITTORIO VENETO 6 RANDAZZO 25/11/70
  DEL CAMPO GUGLIELMO 22/5/1899 VIA FONTANA 26 RANDAZZO 30/10/71
  DI PAOLA GIUSEPPE 1/5/1898 VIA G. BASILE 14 RANDAZZO 30/10/71
  DI PASQUALE FRANCESCO PAOLO 2/6/1891 MONTELAGUARDIA 100 RANDAZZO 25/11/70
  DILETTOSO CALOGERO 24/4/1895 VIA OLIVERI 30 RANDAZZO 25/11/70
  DILETTOSO FEDERICO 29/9/1896 DUCA DEGLI ABRUZZI 245 RANDAZZO 16/6/69
  DILETTOSO GIUSEPPE 7/12/1899 REG.MARGHERITA 176 RANDAZZO 30/10/71
  DILETTOSO GIUSEPPE 16/6/1897 SI MARGHERITA 26 RANDAZZO 25/11/70
  DONATO LUIGI 15/3/1898 CARMINE 46 RANDAZZO 30/10/71
  EMANUELE SALVATORE 6/8/1893 VIA MONTELAGUARDIA RANDAZZO 25/11/70
  EMMANNUELE NUNZIO 5/9/1885 V.ARCHIMEDE 59 RANDAZZO 27/4/72
  FALANGA SALVATORE 29/9/1891 CARMINE 36 RANDAZZO 30/10/71
  FALANGA VINCENZO 22/4/1897 BUONARROTI 24 RANDAZZO 25/11/70
  FALANGHELLA BENEDETTO 1/12/1884 DON CAVINA 3 RANDAZZO 30/10/71
  FARINA ANTONINO 1/1/1899 PALESTRO 5 RANDAZZO 25/11/70
  FARINA DOMENICO 20/1/1898 VIA UMBERTO 23 RANDAZZO 16/6/69
  FARINA FRANCESCO 8/4/1900 DILETTOSO 8 RANDAZZO 25/11/70
  FARINA MARIANO 9/8/1891 GULLOTTO 17 RANDAZZO 25/11/70
  FINOCCHIARO SALVATORE 3/11/1895 VITTORIO VENETO 33 RANDAZZO 25/11/70
  FINOCCHIO CARMELO 2/1/1892 VIA DEI FURNARI 5I RANDAZZO 16/6/69
  FINOCCHIO MATTEO 4/6/1886 VIA DEI FURNARI 48 RANDAZZO 30/10/71
  FIORITTO SEBASTIANO 11/11/1899 VI PALESTRO 75 RANDAZZO 16/10/73
  FORNITO DOMENICO 14/9/1890 BASILE 141 RANDAZZO 30/10/71
  FORNITO FILIPPO 6/8/1897 BASILE 155 RANDAZZO 30/6/71
  FORNITO FRANCESCO PAOLO 21/10/1895 VIA ARCHIMEDE 2 RANDAZZO 30/10/71
  FORNITO GIUSEPPE 8/5/1898 VIA SOLD. EMANUELE 1 RANDAZZO 25/11/70
  FRANCO ANTONIO 20/1/1898 VIA G. VERGA 2 RANDAZZO 28/12/70
  FRANCO CARMELO 25/2/1892 FIORETTO 18 RANDAZZO 30/10/71
  FRANCO FRANCESCO PAOLO 5/1/1895 EMANUELE 34 RANDAZZO 25/11/70
  FRANCO SANTO 27/2/1898 CARMINE 91 RANDAZZO 26/5/73
  FRANCO SANTO 10/2/1899 VIA DUCA ABRUZZI 50 RANDAZZO 16/10/73
  FURNARI GIUSEPPE 18/3/1899 VIA FURNARI 36 RANDAZZO 25/11/70
  FURNARI VINCENZO 2/4/1886 VIA FURNARI 21 RANDAZZO 30/12/71
  GALVAGNO ROSARIO 4/12/1893 VIA GULLOTTO 244 RANDAZZO 30/10/71
  GALVAGNO ROSARIO 5/1/1892 BUONARROTI 38 RANDAZZO 16/6/69
  GAMBACORTA ROSARIO 13/9/1889 GIULLOTTO 177 RANDAZZO 16/6/69
  GAMBINO VINCENZO 19/9/1894 MONASTRA 38 RANDAZZO 26/5/73
  GARDANI GIUSEPPE 19/3/1882 VIA MAROTTA 53 RANDAZZO 30/10/71
  GARDANI SALVATORE 1/10/1896 LONGHITANO 19 RANDAZZO 30/10/71
  GENOVESE CARMELO 4/6/1891 SGROI 40 RANDAZZO 9/3/72
  GENOVESE FRANCESCO PAOLO 12/12/1899 VIA PIAZZA TUTTI SANTI 23 RANDAZZO 25/11/70
  GENOVESE GIUSEPPE 7/5/1890 VIA GULLOTTO 136 RANDAZZO 30/12/71
  GERMANA’ BENEDETTO 16/8/1891 VIA DEI ROMANO 41 RANDAZZO 26/5/73
  GERMANO’ SALVATORE 13/11/1897 VIA CAMPANELLA 9 RANDAZZO 25/11/70
  GIARDINA FRANCESCO 25/11/1895 V.S.CATERINA RANDAZZO 27/4/72
  GIGLIO FRANCESCO 16/4/1896 VIA S. PELLICO 12 RANDAZZO 30/10/71
  GIGLIO VINCENZO 3/1/1899 FURNARI 2 RANDAZZO 16/10/73
  GRANATA SALVATORE 28/8/1896 VIA ALFONSO 3 RANDAZZO 30/10/71
  GRASSO VINCENZO 26/10/1881 GAETA 100 RANDAZZO 26/5/73
  GRASSO ANGELO 17/3/1894 VIA REG.MARGHERITA 26 RANDAZZO 26/3/75
  GRASSO NUNZIATO 3/9/1898 VIA COCLITE 23 RANDAZZO 26/5/73
  GRASSO SALVATORE 16/3/1888 VIA S. MARGHERITA 38 RANDAZZO 30/12/71
  GRECO CARMELO 27/1/1891 PARDO 8 RANDAZZO 30/10/71
  GRILLO ANTONIO 6/5/1897 VIA POZZO 6 RANDAZZO 25/11/70
  GUIDOTTO FRANCESCO PAOLO 17/12/1883 FOTI 11 RANDAZZO 30/10/71
  GUIDOTTO GAETANO 12/11/1889 REG MARGHERITA 106 RANDAZZO 27/4/72
  GUIDOTTO MICHELE 10/11/1893 SANTUARIO 11 RANDAZZO 30/10/71
  GUIDOTTO SANTO 1/11/1897 VIA S. TEN. DOMINEDO’ 6I RANDAZZO 16/6/69
  GULINO SALVATORE 28/5/1884 VIA VERGA 14 RANDAZZO 25/11/70
  GULLOTTO ANTONINO 3/12/1880 BECCARIA 34 RANDAZZO 30/10/71
  GULLOTTO ANTONINO 13/1/1898 UMBERTO 18 RANDAZZO 16/10/73
  GULLOTTO CARMELO 3/8/1895 CASTELLO 9 RANDAZZO 30/10/71
  GULLOTTO FRANCESCO PAOLO 9/6/1893 MODICA 17 RANDAZZO 30/12/71
  GULLOTTO GAETANO 28/9/1891 DEGLI SGROI 2M RANDAZZO 16/6/69
  GULLOTTO GAETANO 14/10/1898 FURNARI 15 RANDAZZO 30/10/71
  GULLOTTO GIUSEPPE 3/12/1896 MONASTRA 28 RANDAZZO 25/11/70
  GULLOTTO GIUSEPPE 20/12/1884 CAGGEGI 6 RANDAZZO 26/5/73
  GULLOTTO SALVATORE 8/12/1890 VIA NAZIONALE 50 RANDAZZO 24/7/72
  GULLOTTO SALVATORE 4/1/1897 VIA MAROTTA 115 RANDAZZO 30/12/71
  GULLOTTO VINCENZO 1/10/1878 VIA DOMINEDO’ 66 RANDAZZO 30/10/71
  GULLOTTO VITO 4/12/1891 VIA CAMPO 29 RANDAZZO 30/10/71
  IMBISCUSO CARMELO 20/5/1896 VIA POZZO 11 RANDAZZO 30/10/71
  IMBISCUSO NICOLO’ 28/2/1892 VIA GAETA 31 RANDAZZO 30/10/71
  IMBROGIOANO VINCENZO 4/10/1893 VIA GAGLIANO 85 RANDAZZO 30/10/71
  INGRASSIA ANTONINO 17/3/1897 GULLOTTO 32 RANDAZZO 26/5/73
  INGRASSIA GIOVANNI 24/6/1889 FONTANA 11 RANDAZZO 26/5/73
  INGRASSIA NUNZIO 20/7/1889 LOMBARDO 1, RANDAZZO 16/6/69
  IUCULANO SEBASTIANO 11/3/1898 VIA S. GREGORIO 9 RANDAZZO 31/5/71
  LA MONACA SALVATORE 23/2/1893 VIA MAROTTA 151 RANDAZZO 26/5/73
  LA MONICA NUNZIO 24/7/1896 VIA CARMINE 62 RANDAZZO 4/11/74
  LA PIANA ANGELO 8/5/1896 VIA MAGRO 41 RANDAZZO 25/11/70
  LA PIANA BASILIO 1/7/1885 COLONNA 3 RANDAZZO 31/3/71
  LA PIANA EDOARDO 13/10/1890 DUCA DEGLI ABRUZZI 8L RANDAZZO 16/6/69
  LA PIANA FRANCESCO PAOLO 2/1/1896 VIA SOLD. EMANUELE 32 RANDAZZO 18/4/72
  LA PIANA FRANCESCO PAOLO 6/8/1882 CONCORDIA 17 RANDAZZO 30/10/71
  LA PIANA GIUSEPPE 22/3/1894 SAITTA 31 RANDAZZO 25/11/70
  LA PIANA GIUSEPPE 23/9/1894 MAROTTA 70 RANDAZZO 26/5/73
  LA PIANA GIUSEPPE 19/11/1879 VIA CAIROLI 2U RANDAZZO 16/6/69
  LANZA GIUSEPPE 16/12/1898 VIA GAETA 42 RANDAZZO 25/11/70
  LANZA VINCENZO 22/1/1896 VIA S. MARGHERITA 45 RANDAZZO 30/12/71
  LANZA VINCENZO 17/5/1881 REG.MARGHERITA 128 RANDAZZO 30/10/71
  LAPIANA SALVATORE 24/12/1884 VIA DEI CAGGEGGI 3 RANDAZZO 26/5/73
  LAZARO FRANCESCO PAOLO 22/6/1893 VIA DEI CAMPIS 2 RANDAZZO 30/12/71
  LAZZARO GAETANO 22/10/1888 V.S.T.DOMINEDO’ RANDAZZO 27/4/72
  LAZZARO VINCENZO  2/7/1887 DUCA DEGLI ABRUZZI 137 RANDAZZO 16/6/69
  LEANZA FRANCESCO PAOLO 4/10/1896 VIA ETNA 33 RANDAZZO 30/10/71
  LEANZA ILLUMINATO 14/10/1898 VIA ETNA 33 RANDAZZO 9/3/72
  LEO GAETANO 14/10/1897 VIA SAITTA 10 RANDAZZO 30/10/71
  LEONARDI ISIDORO 24/8/1899 VIALE DEI CADUTI 19 RANDAZZO 25/11/70
  LICARI ANTONINO 19/10/1899 SALETTI 14 RANDAZZO 25/11/70
  LICARI GIUSEPPE 6/9/1890 VIA BECCARIA 36 RANDAZZO 25/11/70
  LISEO CARMELO 20/4/1899 ALFONSO 1 RANDAZZO 25/11/70
  LISEO SALVATORE 23/2/1883 VIA VACCARO 10 RANDAZZO 30/10/71
  LO CASTRO ANTONIO 4/9/1891 R.MARGHERITA 87 RANDAZZO 25/11/70
  LO CASTRO BIAGIO 3/2/1893 RISORGIMENTO 21 RANDAZZO 25/11/70
  LO CASTRO GIOVANNI 17/7/1886 VIA MAROTTA 105 RANDAZZO 25/11/70
  LO FARO FRANCESCO PAOLO 14/7/1895 VIA VIAREGINA MARGHERITA 82 RANDAZZO 28/12/70
  LO GIUDICE EDOARDO 21/2/1888 VIA LANZA 11 RANDAZZO 9/3/72
  LO GIUDICE LEONARDO 5/11/1894 ROMA 72 RANDAZZO 16/6/69
  LO GIUDICE SALVATORE 9/1/1892 VIA GALLIANO 3 RANDAZZO 25/11/70
  LO PRESTI FRANCESCO 21/3/1896 ETNA 26 RANDAZZO 25/11/70
  LOMBARDO ANTONIO 19/5/1896 VIA S MARGHERITA 15 RANDAZZO 30/10/71
  LOMBARDO CARMELO 13/5/1891 COLLEGIO 47 RANDAZZO 25/11/70
  LOMBARDO CARMELO 31/7/1899 VIA PALESTRO 105 RANDAZZO 30/10/71
  LOMBARDO SALVATORE 14/5/1885 VIA COCLITE 17 RANDAZZO 23/12/72
  LONGHITANO FILIPPO 3/2/1897 VIA GALVAGNO 12 RANDAZZO 30/10/71
  LONGHITANO GAETANO 26/2/1896 ORTO 6 RANDAZZO 16/6/69
  LONGHITANO GAETANO 1/7/1893 S.FELICE 8 RANDAZZO 30/12/71
  LONGHITANO NUNZIATO 29/5/1899 S.T.FALLICO 53 RANDAZZO 30/10/71
  LOPRESTI MICHELANGELO 7/10/1898 VIA COLLEGIO 42 RANDAZZO 16/10/73
  MACCARONE EDOARDO 18/10/1895 VIA DEI GULLOTTO 129 RANDAZZO 25/11/70
  MAGRO ALFIO 19/6/1885 DE CAGGEGI 24 RANDAZZO 30/10/71
  MAGRO ANTONINO 4/9/1899 VIA GULLOTTO 260 RANDAZZO 24/6/72
  MAGRO GIUSEPPE 3/10/1889 MAGRO 51 RANDAZZO 30/10/71
  MAGRO MARIANO 14/9/1898 MONASTRA 20 RANDAZZO 30/10/71
  MAGRO NUNZIATO 2/5/1893 PIAZZA BASILICA 6 RANDAZZO 25/11/70
  MAGRO VINCENZO 1/1/1887 COLLEGIO 83 RANDAZZO 30/10/71
  MAIO FRANCESCO PAOLO 28/1/1892 BECCARIA 40 RANDAZZO 25/11/70
  MAIO GIUSEPPE 7/11/1895 VIA COLLEGIO 3 RANDAZZO 16/10/73
  MANITTA CARMELO 22/5/1891 GULLOTTO 175 RANDAZZO 30/10/71
  MANITTA FRANCESCO PAOLO 22/4/1882 VIA MAGRO 39 RANDAZZO 30/10/71
  MANITTA GIOVANNI 26/9/1891 MANCHI 70 RANDAZZO 25/11/70
  MANITTA SALVATORE 27/3/1897 ADUA 20 RANDAZZO 31/3/71
  MANITTA VINCENZO 17/8/1891 DE FRANCESCO 15 RANDAZZO 26/5/73
  MANNINO ANTONINO 1/3/1883 VIA CAMPANELLA 11 RANDAZZO 30/10/71
  MANNINO ANTONIO 29/1/1893 VIA DEI GULLOTTO 66 RANDAZZO 16/6/69
  MANNINO GIUSEPPE 22/9/1897 VIA SANTA MARGHERITA 23 RANDAZZO 30/10/71
  MANNINO NUNZIO 15/6/1889 GALLIANO 136 RANDAZZO 9/3/72
  MANNINO PAOLO 5/2/1877 GAETA 66 RANDAZZO 30/10/71
  MANNINO PAOLO 18/5/1881 VIA F. CAVINA 5 RANDAZZO 26/5/73
  MANNINO SALVATORE 4/10/1898 GULLOTTO 70 RANDAZZO 25/11/70
  MANNINO SEBASTIANO 4/3/1898 GAETANO BASILE 53 RANDAZZO 30/10/71
  MANNINO VINCENZO 14/12/1894 VIA CAMPO 37 RANDAZZO 26/5/73
  MANTINEO CARMELO 24/4/1889 VIA DUCA ABRUZZI 283 RANDAZZO 30/10/71
  MARINO PIETRO 28/6/1898 VIA MAROTTA 145 RANDAZZO 30/10/71
  MAVICA GIUSEPPE 30/7/1892 BASILE 151 RANDAZZO 25/11/70
  MAZZEO SALVATORE 31/7/1895 PIAZZA DON GUIDAZIO 9 RANDAZZO 30/10/71
  MELI ALFIO 27/1/1899 SOTT.TENENTE SAITTA 51 RANDAZZO 25/11/70
  MERCADANTE FRANCESCO 4/12/1898 VIA DEI GULLOTTO 130 RANDAZZO 16/6/69
  MINEO LUIGI 8/10/1888 SALETTI 20 RANDAZZO 30/10/71
  MINERVINI SAVINO 27/3/1886 VIA BASILE 101 RANDAZZO 5/5/71
  MODICA FRANCESCO PAOLO 23/3/1899 VIA DUCA ABRUZZI 67 RANDAZZO 30/10/71
  MODICA NUNZIO 28/5/1886 VIA DUCA ABRUZZI 253 RANDAZZO 24/6/72
  MOLLICA CARMELO 24/10/1895 BUONARROTI 66 RANDAZZO 30/10/71
  MOLLICA NUNZIO 17/3/1894 VIA VACCARO 3 RANDAZZO 9/3/72
  MONFORTE LUIGI 27/3/1892 GALLIANO 28 RANDAZZO 25/11/70
  MUNFORTE SALVATORE 11/3/1890 GALLIANO 176 RANDAZZO 9/3/72
  MUSCITONE GAETANO 5/4/1897 D’ANNUNZIO 21 RANDAZZO 16/10/73
  MUSUMECI LEONARDO 11/1/1895 EMANUELE 9 RANDAZZO 30/10/71
  MUSUMECI SALVATORE 1/4/1897 PIAZZA S MARTINO 12 RANDAZZO 25/11/70
  NERI VINCENZO 11/1/1898 ALFONSO 7 RANDAZZO 16/10/73
  NIBALI GIUSEPPE 7/7/1889 GALLIANO 186 RANDAZZO 30/10/71
  NUCIFORA FRANCESCO 21/1/1896 VIA MONTELAGUARDIA 38 RANDAZZO 30/7/70
  PACCIONE FRANCESCO 13/1/1899 CARDUCCI 11 RANDAZZO 25/11/70
  PALERMO CARMELO 19/7/1887 RAGAGLIA 2 RANDAZZO 30/10/71
  PALERMO FILIPPO 20/10/1888 POLICCHIO 7 RANDAZZO 16/6/69
  PALERMO SALVATORE 5/9/1891 VIA CONCORDIA 1O RANDAZZO 16/6/69
  PALERMO SALVATORE 23/7/1890 VIA CIALDINI 13 RANDAZZO 30/10/71
  PALLANTE CARMINE 8/9/1899 ROMA 76 RANDAZZO 16/6/69
  PANISSIDI GIAMBATTISTA 14/1/1893 VIA UMBERTO 207 RANDAZZO 16/6/69
  PANITTERI PAOLO 27/1/1889 VIA DE QUATRIS 22 RANDAZZO 26/5/73
  PAPARO MARIANO 28/2/1895 VIA REG. MARGHERITA 92 RANDAZZO 30/10/71
  PAPARO SALVATORE 20/10/1899 VIA MARCONI 83 RANDAZZO 30/10/71
  PAPARO VINCENZO 14/10/1892 VIA BAGGIO 16 RANDAZZO 25/11/70
  PAPOTTO MARIANO 18/12/1899 VIA BLANCIFORTE 9 RANDAZZO 5/8/71
  PAPOTTO NUNZIATO 16/2/1893 DOMINEDO’ 29 RANDAZZO 5/8/71
  PASSAMITI SALVATORE 13/1/1896 VIA SOLD. EMANUELE 26 RANDAZZO 30/10/71
  PATORNITI PAOLO GIUSEPPE 16/2/1898 BUONARROTI 1 RANDAZZO 30/1/71
  PERSICO CARMELO 26/6/1891 DUCA ABRUZZI 49 RANDAZZO 30/10/71
  PITINZANO SALVATORE 9/4/1892 GIUNTA CASE URRA 18 RANDAZZO 25/11/70
  PRIOLO NUNZIO 4/8/1885 FISAULI 4 RANDAZZO 30/10/71
  PRIOLO SANTO 14/4/1899 DE QUATTRIS 45 RANDAZZO 26/5/73
  PROIETTO ANTONINO 2/12/1891 VIA CARMINE 51 RANDAZZO 25/11/70
  PROIETTO DI SILVESTRO GAETANO 4/12/1895 REG MARGHERITA 323 RANDAZZO 30/10/71
  PROIETTO DI SILVESTRO SALVATORE 30/5/1891 D’ANNUNZIO 2 RANDAZZO 30/10/71
  PROIETTO GIUSEPPE 16/3/1893 VIA PALESTRO 1 RANDAZZO 30/10/71
  PROIETTO MICHELE 29/4/1895 ALFONSO 20 RANDAZZO 30/10/71
  PROIETTO SALANITRI GIUSEPPE 5/12/1895 RISORGIMENTO 5 RANDAZZO 30/10/71
  PROIETTO SALVATORE 22/12/1886 VACCARO 5 RANDAZZO 30/10/71
  PROTETTO BILLORELLO CARMELO 17/8/1892 VIA ARCHIMEDE 23 RANDAZZO 25/11/70
  PUGLISI FELICE 8/3/1890 MARCONI 74 RANDAZZO 30/12/71
  PUGLISI PASQUALE 27/9/1897 VIA G. BONAVENTURA 97 RANDAZZO 6/2/78
  QUATTROPAANI NUNZIO 3/7/1885 ETNA 9 RANDAZZO 30/10/71
  QUATTROPANI GIUSEPPE 20/10/1893 VIA L. CAPUANA RANDAZZO 30/10/71
  QUATTROPANI VINCENZO 21/9/1898 MAROTTA 50 RANDAZZO 25/11/70
  RAGUNI ANTONIO 3/12/1896 VI CAMARDA 11 RANDAZZO 25/11/70
  RAINERI SALVATORE 23/4/1899 PALESTRO 54 RANDAZZO 30/10/71
  RANDAZZO MIGNACCA ANTONIO 13/1/1897 MASCAGNI 11 RANDAZZO 25/11/70
  RAPISARDA DOMENICO 3/4/1891 VIA CAMPO 13 RANDAZZO 30/10/71
  RICCA VINCENZO 4/3/1893 FALLICO 23 RANDAZZO 30/12/71
  RIZZERI FRANCESCO 12/12/1889 VIA REG MARGHERITA 146 RANDAZZO 30/10/71
  RIZZERI FRANCESCO PAOLO 24/4/1898 GULLOTTO 70 RANDAZZO 30/10/71
RIZZO FRANCESCO PAOLO 6/8/1895 COLLEGIO 64 RANDAZZO 30/10/71
  ROMANO ALFIO 9/9/1892 S.MARGHERITA 54 RANDAZZO 30/10/71
  ROMANO ANTONINO 27/4/1896 LOMBARDO 15 RANDAZZO 30/10/71
  ROMANO ANTONINO 13/1/1894 CARCARE 8 RANDAZZO 30/12/71
  ROMANO ANTONIO 4/8/1895 V.RAFFAELLO 76 RANDAZZO 27/4/72
  ROMANO CARMELO 12/1/1894 FALLICO 52 RANDAZZO 25/11/70
  ROMANO CARMELO 13/5/1892 VIA CARMINE 60 RANDAZZO 30/12/71
  ROMANO GIUSEPPE 13/2/1892 VIA BASILE 149 RANDAZZO 25/11/70
  ROMANO ROMUALDO 28/11/1895 BASILE 167 RANDAZZO 31/3/71
  ROMANO SALVATORE 29/9/1895 FALLICO 15 RANDAZZO 30/10/71
  ROMANO SALVATORE 9/11/1895 VIA DEI GULLOTTO 8 RANDAZZO 30/12/71
  ROMANO VINCENZO 25/2/1891 FALLICO 29 RANDAZZO 25/11/70
  ROMEO FILIPPO 19/5/1892 MARCONI RANDAZZO 16/6/69
  ROMEO GIOVANNI 23/3/1899 PIAZZA S. NICOLO’ 16 RANDAZZO 16/6/69
  ROTELLA NUNZIO 8/1/1889 VIA CAMARDA 2. RANDAZZO 16/6/69
  ROVAGGI SALVATORE 3/7/1891 MARCONI 24 RANDAZZO 25/11/70
  RUBBINO ANTONINO 16/9/1889 BUONARROTI 76 RANDAZZO 30/10/71
  RUBBINO CARMELO 10/9/1891 ORATORIO 10 RANDAZZO 16/6/69
  RUBBINO VINCENZO 12/6/1898 GIUNTA 37 RANDAZZO 30/10/71
  RUFFINO ALFIO 14/5/1882 VIA DEI ZINGALI 58 RANDAZZO 30/10/71
  RUFFINO ANTONIO 18/4/1891 DILETTOSO 10 RANDAZZO 25/11/70
  RUFFINO VITO 10/8/1896 VIA VENTIMIGLIA 1M RANDAZZO 16/6/69
  RUSSO FACCIAZZA SALVATORE 1/5/1884 V.R.MARGHERITA 90 RANDAZZO 27/4/72
  RUSSO ROSARIO 2/1/1892 VIA PETRINA 22 RANDAZZO 30/12/71
  RUTTINO ANTONINO 29/4/1894 DUCA ABRUZZI 99 RANDAZZO 30/10/71
  RUTTINO ANTONINO 2/1/1897 VIA ARCHI 2 RANDAZZO 30/12/71
  RUTTINO GIUSEPPE 1/4/1889 VIA BUONARROTI 14 RANDAZZO 30/10/71
  SANGANI VINCENZO 12/9/1894 VIA CIPISOTTI 5 RANDAZZO 30/10/71
  SANGRIGOLI GIUSEPPE 10/6/1885 FALLICO 50 RANDAZZO 30/10/71
  SANGRIGOLI GIUSEPPE 22/5/1891 MARSALA 40 RANDAZZO 5/8/71
  SANGRIGOLI GIUSEPPE 9/3/1886 VIA MONTALAGUARDIA 38 RANDAZZO 30/12/71
  SANGRIGOLI ROSARIO 8/4/1897 VIA MARCHI 50 RANDAZZO 30/10/71
  SANGRIGOLI SALVATORE 13/10/1883 VIA RAFFAELLO 17 RANDAZZO 30/10/71
  SANGRIGOLI VINCENZO 31/3/1889 MONTELAGUARDIA NAZIONALE 54 RANDAZZO 30/10/71
  SANTANGELO PIETRO 31/8/1898 VIA GULLOTTO 90 RANDAZZO 9/3/72
  SCAFFIDI SALVATORE 16/12/1884 MARCONI 157 RANDAZZO 30/10/71
  SCALA GIUSEPPE 18/2/1881 VIA MARCONI 8 RANDAZZO 30/10/71
  SCALISI GAETANO 18/4/1898 MONTE LA GUARDIA 60 RANDAZZO 4/11/74
  SCALISI SALVATORE 2/3/1893 VIA FISAULI 54 RANDAZZO 16/6/69
  SCALISI VINCENZO 22/5/1893 MILITI 7 RANDAZZO 25/11/70
  SCANDURRA ANTONINO 1/2/1890 VIA OZZIERI 11 RANDAZZO 30/10/71
  SCHILIRO’ ANTONINO 22/3/1888 VIA COLLEGIO 31 RANDAZZO 25/11/70
  SCIAVARRELLO GIUSEPPE 3/6/1897 TAGLIAMENTO 28 RANDAZZO 16/6/69
  SCIRTO SALVATORE 29/3/1895 GULLOTTO 72 RANDAZZO 9/3/72
  SCRIVANO FRANCESCO 14/2/1889 VIA C. BECCARIA 28 RANDAZZO 25/11/70
  SCRIVANOAFRANCESCO PAOLO 24/5/1897 VIA GARIBLADI 8 RANDAZZO 30/12/71
  SGROI ANTONINO 27/2/1895 VIA BUONARROTI 47 RANDAZZO 9/3/72
  SGROI SALVATORE 20/8/1898 BUONAROTTI 40 RANDAZZO 30/10/71
  SGROI SALVATORE 3/6/1893 VIA CASTEL 22 RANDAZZO 16/6/69
  SORBELLO GIUSEPPE 22/9/1897 VIA DEL SANTUARIO 12 RANDAZZO 25/11/70
  SORBELLO ROSARIO 25/9/1896 MONTELAGUARDIA 44 RANDAZZO 25/11/70
  SORBELLO SEBASTIANO 18/4/1891 CELLINI 18 RANDAZZO 30/10/71
  SORBELLO VITO 2/8/1894 REG.MARGHERITA 39 RANDAZZO 30/10/71
  SPARTA’ GIUSEPPE 28/2/1895 FURNARI 16 RANDAZZO 25/11/70
  SPARTA’ VINCENZO 24/2/1893 CALDARERA 3 RANDAZZO 25/11/70
  SPITALERI CARMELO 1/12/1897 PIAZZA SIGNORE PIETA’ 1 RANDAZZO 16/10/73
  SPITALERI NUNZIO 4/6/1893 POLIZZI 22 RANDAZZO 25/6/71
  SPITALIERI LUIGI 17/4/1898 ROMA 37 RANDAZZO 25/11/70
  TESTA SALVATORE 30/5/1894 MACALLE’ 3 RANDAZZO 30/10/71
  TODAAROFFRANCESCO PAOLO 22/9/1895 VIA CLARENTANO 1 RANDAZZO 30/10/71
  TRAZZERA ANTONINO 19/1/1888 LOMBARDO 8 RANDAZZO 30/10/71
  TRAZZERA ANTONINO 4/8/1895 VIA GAETA 34 RANDAZZO 30/12/71
  TRAZZERA ANTONIO 28/11/1896 FURNARI 30 RANDAZZO 30/10/71
  TRAZZERA GIUSEPPE 20/3/1899 GULLOTTO 111 RANDAZZO 16/6/69
  TRAZZERA GIUSEPPE 15/11/1896 VIA D’ABRUZZI 47 RANDAZZO 30/7/70
  TRAZZERA PIETRO PAOLO 27/6/1885 LONGHITANO 22 RANDAZZO 30/10/71
  TRAZZERA SALVATORE 16/12/1890 EMANUELE 5 RANDAZZO 30/10/71
  TRIPI ROSARIO 2/1/1895 GAETA 62 RANDAZZO 25/11/70
  TRIPOLI ANTONIO 14/11/1896 VIA ADUA 40 RANDAZZO 28/12/70
  VAGLIASINDI MICHELE 10/5/1898 PIAZZA BIXIO 5 RANDAZZO 30/10/71
  VAGLIASINDI PIETRO 11/12/1896 VIA SOLDATI CAVALLARO 47 RANDAZZO 30/10/71
  VAROTTA PAOLO 5/2/1892 PIAZZA S.MARTINO 28 RANDAZZO 25/11/70
  VENEZIANO ALFIO 24/3/1895 SANTUARIO 75 RANDAZZO 30/10/71
  VENEZIANO VINCENZO 28/12/1889 VIA MARCONI 115 RANDAZZO 30/10/72
  VIRGILIO ALFIO 4/10/1895 PERCIABOSCO 14 RANDAZZO 30/10/71
ZINGALI ANGELO 1899      
  ZINGALI ANTONIO 11/12/1892 VIA DEI QUATTRO 35 RANDAZZO 25/11/70
  ZINGALI BENEDETTO 17/6/1892 PALESTRO 50 RANDAZZO 16/6/69
  ZINGALI CARMELO 19/6/1894 SACRO CUORE 9 RANDAZZO 30/10/71
  ZINGALI SALVATORE 24/9/1896 RAFFAELLO 70 RANDAZZO 9/3/72
  ZIRILLI GIUSEPPE 6/4/1892 VIA MARCONI 44 RANDAZZO 6/2/78
  ZIRILLI GIUSEPPE 13/1/1893 CAGGERI 7 RANDAZZO 26/5/73
  ZOCCO VINCENZO 6/1/1898 PIRANDELLO 12 RANDAZZO 27/4/72
  ZUCCARELLO GIOVANNI 3/1/1898 PIAZZA TUTTI SANTI 9 RANDAZZO 25/11/70

Insigniti di sola medaglia ricordo in oro (art.1 L. 263/68)

NOME INDIRIZZO DATA NASCITA CITTA’ DATA DECRETO
ALLIA GIUSEPPE BUONARROTI 16 24/5/1897 RANDAZZO 18/6/76
D’AMICO NUNZIO VIA FISAULI 46 6/5/1887 RANDAZZO 18/5/78
EMANUELE VINCENZO VIA C. CALDERARA 15/3/1899 RANDAZZO 29/1/75
GULLOTTO SALVATORE FALLICO 23 24/10/1890 RANDAZZO 29/1/75
LISEO GIUSEPPE VIA GULLOTTO 144 21/5/1900 RANDAZZO 29/1/75
RAGUSA FRANCESCO PAOLO VIA GALLIANO 148 26/3/1900 RANDAZZO 29/1/75
ROMEO VINCENZO PIAZZA S.NICOLO’ 20 17/4/1897 RANDAZZO 18/4/79
BERNARDO ALFIO CARCARE 1 13/7/1899 RANDAZZO 29/1/75
GULLOTTO SALVATORE SAITTA 37 22/2/1892 RANDAZZO 29/1/75
PAPOTTO SEBASTIANO VIA CADUTI 30 11/7/1900 RANDAZZO 29/1/75
LO CASTRO FRANCESCO PAOLO VIA CARMINE 28 10/1/1894 RANDAZZO 18/6/76

a cura di Giulio Nido e Francesco Rubbino

si ringrazia per la collaborazione prestata Santo Anzalone

Le Statue di Padre Pio

Guerra Santa per Padre Pio 

 

C’era una volta… C’era una volta, ai piedi dell’Etna, una città fortificata, dal clima salubre, circondata da monti, fiumi e vallate, ricca di monumenti e un tempo prediletta e frequentata da re e regine, ma… questa città era divisa in tre quartieri, fondati da tre genti diverse, lombardi, greci e latini, che vi avevano eretto tre chiese, e che con le loro rivalità, con le loro lotte per la preminenza, funestarono per secoli la storia della gloriosa cittadina, tirando in causa governatori, viceré, re, vescovi e pontefici.
A tal punto si spinsero le gelosie, che nel XV secolo ciascuna delle tre chiese a turno, per un anno, faceva da cattedrale e sede dell’arciprete, e, nel 1824, alla morte di Ferdinando I, la messa funebre si dovette celebrare in “San Nicola, perché in quell’anno funzionava da cattedrale, San Martino come cattedrale subentrante, e Santa Maria come uscente”. Così Federico de Roberto (Randazzo e la Valle dell’Alcantara, Bergamo 1909).
Eppure quella città aveva profonde e radicate tradizioni religiose, vantava un tempo ben 11 conventi e 99 chiese…
C’era una volta… e c’è ancora.
All’alba del terzo millennio questa città si ridesta, con un accanimento, una passione degni dei fasti dei secoli andati, rispolvera le sue ancestrali e mai sopite tradizioni, per cimentarsi in una lotta senza quartiere, o fra quartieri, se preferiamo.
Vero è che i nostri paesi erano adusi alle guerre di santi, dove, attorno a due culti antagonisti, si polarizzava tutta la vita sociale della comunità: addirittura, nell’omonima novella del Verga, persino un fidanzamento andava a monte per l’esacerbarsi dei contrasti fra la due fazioni. Ma nel nostro caso il bello, anzi il brutto, è che i contendenti non sono San Rocco e San Pasquale, ma un Santo solo, il Beato Padre Pio da Pietralcina, al secolo Francesco Forgione.
Non è il caso di descrivere minutamente i fatti, né la cronaca di tutte le battaglie di cui è fatta questa guerra, già abbastanza se n’è parlato, scritto e dibattuto, rinnovando ogni volta, dopo l’iniziale ilarità, un profondo senso di tristezza.
A illuminare i lettori, basti quanto segue.
In quella città, ch’è anche la nostra, in ossequio ad una consuetudine dilagante, si pensò un giorno di erigere un monumento a Padre Pio. Non sappiamo chi, per primo, abbia avuto l’idea, e a questo punto, forse, è irrilevante saperlo.
Come avvenne – in ambito però del tutto profano – per l’invenzione del telefono, attribuita alternativamente all’americano Bell e all’italiano Meucci, da una parte si ritenne di affidare l’esecuzione ad un bravo artista del posto, dall’altra di procedere ad una raccolta di fondi per realizzare l’opera.
E, quando già le iniziative si erano spinte abbastanza in là, si scopre che, in quell’unica città, si stavano per erigere ben due statue di Padre Pio, l’una in una piazzola di sosta lungo la scalinata che conduce al convento dei PP. Cappuccini (proprio dirimpetto all’abitazione dell’artista), l’altra nel giardinetto annesso alla chiesa di Maria SS. Annunziata.
Ironia della sorte vuole che la saggezza popolare, che da secoli si manifesta attraverso motti e proverbi, quando ci sia da definire un contegno ambiguo, di compromesso, ricorra all’espressione  mangiari ‘e Cappuccini e dormiri a’ Nunziata.
Tornando invece ai nostri giorni, pare che i tentativi di mediazione messi in atto, e volti ad unificare le due iniziative, sì da erigere un solo monumento, siano andati a vuoto per l’irriducibilità delle due parti, e che ciascuna abbia deciso di proseguire.
Nel settembre scorso, intanto, con una solenne inaugurazione, la prima statua ha trovato dimora lungo la scalinata dei Cappuccini, luogo ritenuto idoneo quant’altri mai dal momento che il Beato Padre Pio fu in vita un frate francescano.
Nel frattempo proseguivano i lavori per l’installazione dell’altra statua, inaugurata con altra solenne cerimonia lo scorso 23 marzo.
Inutili sono stati gli interventi delle Autorità ecclesiastiche locali e diocesane, inutili le esortazioni affinché si addivenisse a più miti consigli.  Niente.

Statua di Padre Pio nel giardinetto annesso alla chiesa di Maria SS. Annunziata

La statua di Padre Pio nella scalinata del convento dei Cappuccini realizzata e donata da Santino Papotto.


I due gruppi di preghiera, che si sono nel frattempo costituiti, fermi e irriducibili, pregano e recano fiori ciascuno per conto proprio, poco ci manca che ciascuno rivendichi: “Il nostro è l’unico vero Padre Pio, diffidate dalle imitazioni!”, ma c’è di più.
Qualcuno paventa che, da qui a poco tempo, ogni quartiere della città potrebbe volersi intestare l’erezione di un’altra statua.
Basta così. Lungi dalle nostre intenzioni voler essere irriverenti, e tanto meno verso Padre Pio che in vita fu uomo esemplare, timorato, obbediente e pacifico – soprattutto! – di santa vita, e che per i suoi meriti il prossimo 16 giugno si appresta a diventare Santo.
Qualche, anzi molte perplessità, invece, sul fatto che in nome della devozione, della pietas religiosa, si sia scatenata un’assurda querelle, nutrita di puntigliosità, schermaglie, intransigenze, che sarebbero sicuramente dispiaciuti all’umile frate di Pietralcina, una contesa che riporta Randazzo alle forse non sopite rivalità tra quartieri dei tempi andati.
Già, perché si trattava di Randazzo, forse c’eravamo dimenticati di dirlo.

(Maristella Dilettoso)

(articolo pubblicato sul Gazzettino di Giarre n. 13 del 2002)
n.b. : il testo è stato redatto in data anteriore alla canonizzazione di San Pio da Pietralcina, ed è per tale ragione che vi si adopera ancora l’espressione “Padre Pio”.

 

La Croce di ferro che i Padri Passionisti posero nel 1934 e la statua di padre Pio.  Notate qualcosa di strano !!??   (ndr)

 

Luciano Fioretto

 Luciano Fioretto, nato a Catania il 11/12/1989

Fin dalla giovane età, grazie anche alle attività parrocchiali dell’epoca, si ritrova sempre su un palcoscenico. Dalle tavole del palchetto del salone dell’Opera De Quatris nasce la sua passione per il teatro, tanto da fargli intraprendere, dopo studi accademici, il percorso di attore professionista.

 

Teatro Degli Specchi di CT

Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico Michele Amari di Linguaglossa (Ct) nel 2009, Luciano Fioretto si accosta per la prima volta al teatro professionistico grazie al “Laboratorio di avviamento al Teatro” del Teatro degli Specchi di Catania, diretto all’epoca dal drammaturgo Aldo Lo Castro e dall’attore Marco Tringali.

Qui il suo debutto tra i palcoscenici del capoluogo etneo e non solo:

2010: “Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate”, di William Shakespeare; regia di MARCO TRINGALI; “Festival Nazionale Di Regia Fantasio” Teatro Dell’Orologio di Roma; prod.Teatro Degli Specchi di Catania.

2011: “Bastardi A Cena”, di Salvo Giorgio; regia di MARCO TRINGALI; Magazzini Sonori di Catania, Gatto Blu-sala Harpago di Catania; prod. Teatro Degli Specchi di Catania.

2011: “Shakespearean Love Dream”, di Salvo Giorgio; regia di MARCO TRINGALI; TEATRO COMUNALE LEONARDO SCIASCIA DI ACI BONACCORSI (Ct); prod. Teatro Degli Specchi di Catania.

 

Classe triennio 2012/2015 Accademia d’Arte Drammatica Umberto Spadaro Teatro Stabile di CT

Dopo aver concluso il biennio di studi previsto dal Laboratorio del Teatro degli Specchi e dopo aver superato le tre fasi di selezione previste, Luciano Fioretto nel 2012 rientra tra gli allievi che formeranno il corso del triennio 2012-2015 dell’Accademia D’Arte Drammatica Umberto Spadaro del Teatro Stabile di Catania.

Qui si trova a seguire le lezioni di validi professionisti del settore quali:

Giuseppe Dipasquale, Ezio Donato, Mario Incudine, Filippo Brazzaventre, Donatella Capraro, Gioacchino Palumbo, Rita Gari e workshop con artisti del calibro di Vincenzo Pirrotta e Mariano Rigillo.

Il debutto artistico con lo Stabile di Catania avviene nel 2014 :

“Foemina Ridens”, di Giuseppe Fava; regia di GIOVANNI ANFUSO; musiche di MARIO INCUDINE; TEATRO A. MUSCO DI CATANIA, TEATRO COMUNALE DI TRECASTAGNI (CT); prod. Teatro Stabile di Catania, con protagonisti GUIA JELO e MIKO MAGISTRO.

Nel 2015, dopo aver concluso il percorso didattico e aver ricevuto il diploma, fa parte del cast dei seguenti spettacoli:

 

La volata di Calò con Mimmo Mignemi e Luciano Fioretto.

“La Volata Di Calò”, di Gaetano Savatteri; regia di FABIO GROSSI; TEATRO A. MUSCO DI CATANIA; prod. Teatro Stabile di Catania. Protagonista della pièce teatrale MIMMO MIGNEMI.

Trainspotting regia di GiamPaolo Romania

“Trainspotting”, di Irvine Welsh; regia di GIAMPAOLO ROMANIA; TEATRO SPAZIO NASELLI DI COMISO (RG), TEATRO A. MUSCO DI CATANIA, TEATRO DELL’ORCA DI CALTAGIRONE (CT); prod. Teatro Stabile di Catania e Spazio Naselli di Comiso.

 

Una Solitudine Troppo Rumorosa con Stefano Onofri

“Una Solitudine Troppo Rumorosa”, di Filippo Arriva liberamente tratto dal romanzo di Bohumil Hrabal; regia di FRANCESCO RANDAZZO; musiche di MARIO MODESTINI; TEATRO A. MUSCO DI CATANIA, TEATRO COMUNALE DI TRECASTAGNI (CT); prod. Teatro Stabile di Catania con protagonista STEFANO ONOFRI.

 

Il Giardino dei Ciliegi regia di Giuseppe Dipasquale – Mosca

La stagione 2015 si conclude con una trasferta dello Stabile di Catania a Mosca, portando in scena al FESTIVAL INTERNAZIONALE “YOUR CHANCHE” 2015 DEL TEATRO DI MOSCA “NA STASNOM”, “Il Giardino Dei Ciliegi” di Anton Cechov; regia di GIUSEPPE DIPASQUALE; musiche di GERMANO MAZZOCCHETTI; ruolo: ERMOLAJ ALEKSEEVIÈ LOPACHIN (protagonista); prod. Teatro Stabile di Catania.

Di ritorno dalla fortunata trasferta russa, nel 2016 Luciano Fioretto si ritrova a far parte del cast dello spettacolo:

 

La Cagnotte con Pippo Patavina e Vittorio Viviani

“La Cagnotte”, di Eugène Labiche; regia di WALTER PAGLIARO; musiche di GERMANO MAZZOCCHETTI; TEATRO G. VERGA DI CATANIA; prod. Teatro Stabile di Catania. Protagonisti della vicenda attori del calibro di PIPPO PATTAVINA e VITTORIO VIVIANI.

 

Sempre nel 2016 avviene l’incontro con il regista Antonello Capodici. Quest’incontro porterà Luciano Fioretto a entrare nel cast della tournée annuale regionale dello spettacolo:

“Orlando Pazzo”, commedia musicale in 3 atti di Turi Mancuso; regia di ANTONELLO CAPODICI; musiche di TURI MANCUSO; ruolo: NINO MARTOGLIO poi MEDORO (coprotagonista); Tournée regionale; prod. Teatro ABC di Catania.

Nel 2017, a conclusione della tournée regionale, fa parte degli spettacoli:

“Troppu trafficu ppi nenti”, adattamento di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale; regia di GIUSEPPE DIPASQUALE; TEATRO SILVANO TOTI GLOBE THEATRE DI ROMA diretto da GIGI PROIETTI; prod. Politeama srl in coproduzione con Teatro Della Città di Catania con: RUBEN RIGILLO, VALERIA CONTADINO, CARLOTTA PROIETTI e MIMMO MIGNEMI.

 

Toppu Trafifcu pi nienti _ Globe Theatre di Roma

Toppu Trafifcu pi nienti _ Globe Theatre di Roma

 

“Jeli il pastore”, adattamento di Lorenzo Muscoso; regia di LORENZO MUSCOSO; FESTIVAL VERGHIANO presso TEATRO CUNZIRIA di Vizzini (Ct); prod. Dreamworld Pictures.

 

Nel Tempo della Lontananza con Mariano Riggillo, Anna Teresa Rossini e Luciano Fioretto.

“Nel tempo della lontananza” La figura e l’opera di Luigi Pirandello nel 150° della nascita; regia di MARIANO RIGILLO; musiche di MATTEO MUSUMECI; Chiesa di San Francesco Borgia di Catania; iniziativa direttamente promossa da SOPRINTENDENZA PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI DI CATANIA con: MARIANO RIGILLO e ANNA TERESA ROSSINI.

Nel 2018, Luciano Fioretto fa parte del cast degli spettacoli:

“In attesa di giudizio”, di Roberto Andò da “Il mistero del processo” di Salvatore Satta; regia di ROBERTO ANDÒ; TEATRO G. VERGA DI CATANIA; prod. Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival Italia e il Nuovo Teatro di Marco Balsamo. Protagonisti della pièce teatrale FAUSTO RUSSO ALESI e FILIPPO LUNA.

 

L’Inferno di Dante – Luciano Fioretto

 
 

L’Inferno di Dante – Luciano Fioretto

 

 

L’Inferno di Dante – Gole dell’Alcantara

 

L’Inferno di Dante – Luciano Fioretto

 

“L’Inferno Di Dante”, di Giovanni Anfuso da “Divina Commedia” di Dante Alighieri; regia di GIOVANNI ANFUSO; musiche di NELLO TOSCANO; presso GOLE DELL’ALCANTARA; prod. Vision Sicily & Buongiorno Sicilia.

 

Filippo Mancuso e Don Lollò con Pippo Patavina, Tuccio Musumeci e Luciano Fioretto

“Filippo Mancuso e Don Lollò”, di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale; regia di GIUSEPPE DIPASQUALE; musiche di MATTEO MUSUMECI; ruolo: BERTO MANCUSO; Tournée regionale; prod. Teatro Della Città di Catania. Protagonisti della vicenda la coppia PIPPO PATTAVINA e TUCCIO MUSUMECI.

 

Filippo Mancuso e Don Lollò con Pippo Patavina e Luciano Fioretto

 

Sempre nel 2018 arriva il primo cortometraggio con:

“Magic Show”, di Andrea Traina, Ornella Sgroi e Davide Vigore; regia di ANDREA TRAINA; ruolo: GIOVANE ULISSE POIDOMANI (protagonista da giovane); prod. Onirica S.r.l. con la collaborazione di Studio Riva. Protagonista NINO FRASSICA.

Il 2019 si apre con tre tournèe regionali:

“L’aria Del Continente”, di Nino Martoglio; regia GIUSEPPE PATTAVINA; Tournée regionale. A ricoprire i panni di Don Cola Duscio, protagonista della commedia, è lo stesso PIPPO PATTAVINA.

“Il Figlio Maschio” , di Massimo Leggio da “Il Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati; regia MASSIMO LEGGIO; ruolo: VINCENZO CAVALLARO (Antonio Magnano); Tournée regionale; prod. Brigata D’Arte Sicilia. Protagonista MIKO MAGISTRO.

Attualmente, Luciano Fioretto si trova impegnato con la ripresa con tournèe regionale dello spettacolo:

“L’Inferno Di Dante”, di Giovanni Anfuso da “Divina Commedia” di Dante Alighieri; regia di GIOVANNI ANFUSO; musiche di NELLO TOSCANO; Tournée regionale; prod. Vision Sicily & Buongiorno Sicilia.

Il Castello-Carcere

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Nino Di Stefano

 

Un randazzese girovago, Antonino Di Stefano. Oltre che nella città natale (dove ha studiato al collegio salesiano San Basilio), è vissuto a Messina, Napoli, Taranto, Perugia. Oggi, all’età di 67 anni, vive a Tradate, in provincia di Varese. Felice pensionato cura – insieme con la cara moglie Emma – i nipotini, il suo bel giardino, i suoi animaletti domestici.
Giornalista pubblicista, iscritto all’albo dal 1983, è specializzato in economia e finanza, aerospazio, Istituzioni europee. Oltre che “grillo parlante” su facebook, collabora con “RemoContro” del giornalista RAI Ennio Remondino e con “PaeseItaliapress”
 di Messina, diretto da Mimma Cucinotta. Fa parte dell’AGE, Associazione giornalisti europei, sezione italiana dell’AEJ, Association of European Journalists.

 

Nino Di Stefano con la moglie Emma

 

Di Randazzo conserva con gratitudine le radici, il ricordo di una infanzia felice, dei genitori Giuseppe e Maria Catena e della carissima nonna Paola. I suoi paesaggi, insieme dolci ed aspri, sono immagini indelebili.                                                   

Ha seguito studi di economia (non completati) presso l’Università Federico II di Napoli. Ha seguito corsi di specializzazione in comunicazione. Ha partecipato a migliaia di convegni di studio, in tutta Europa, principalmente in veste di giornalista.
Parla inglese e francese.
E’ stato consigliere nazionale dell’AGE, ex dirigente nazionale (commissione di accreditamento soci) della FERPI, Federazione relazioni pubbliche italiana, organismo che raggruppa gli operatori della comunicazione.
E’ stato Tesoriere dell’UGAI, Unione giornalisti aerospaziali, associazione per la quale ha organizzato convegni di studio specialistici.
Uguale incarico ha ricoperto presso la società sportiva di pallanuoto, ed il circolo nautico,  “Rari Nantes Napoli”.
Free lance, ha collaborato, tra gli altri, con i quotidiani e periodici: Napolinotte, Il Mattino di Napoli (supplemento economico “Lettera Sud”), Il Giornale di Napoli, Corriere di Napoli, Milano Finanza, Capitale Sud, L’Industria Meridionale (periodico dell’Unione Industriali di Napoli), Il Denaro, Roma, Napoli City, agenzia di stampa ASCA.
Funzionario di direzione del Banco di Napoli, per circa venti anni ha lavorato presso l’ufficio studi della banca come coordinatore di gruppi di lavoro nei settori: ufficio stampa e rapporti con i media; comunicazione interna (principalmente con la preparazione dell’house organ  “Nuove Frontiere Banco di Napoli” e la collaborazione al periodico “Dossier Unione Europea”); credito ed economia reale, con la redazione di studi e ricerche sull’andamento dei settori economici e del credito, in particolare per quanto riguarda l’area meridionale del Paese.
E’ stato anche dirigente sindacale regionale della UIL credito ed assicurazioni, sindacato per il quale ha curato il periodico “Casa Uilca”.

Autore, insieme con Matteo Paone, dello studio -pubblicato a cura della Camera di commercio di Napoli e del Centro studi Cresl- sulla “Evoluzione del sistema bancario e il Sud”, menzione speciale del premio internazionale  Guido Dorso nel 2006.

Per saperne di più e leggere suoi  articoli di economia e finanza  clicca qui

Grazie Nino, auguri a Te e alla Tua signora. Non dimenticare di venirci a trovare e di seguire il sito.

 

 

Alfio Mannino

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab
Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Le congratulazioni di Tutti Noi. 

Antonio Pallante

Il 14 luglio del 1948 accadde un fatto terribile e spettacolare ( non penso certamente a Gino Bartali che vince il Tour de France, anche se poi avrà un suo ruolo) l’attentato al segretario politico del PCI Palmiro Togliatti. Ma il fatto più stupefacente per noi è che l’attentatore è un giovane studente di Randazzo:  Antonio Pallante.
I randazzesi rimangono molto stupiti ed increduli. Molti conoscono la famiglia Pallante ed anche Antonio. Giovane molto impegnato in politica , anche se con idee confuse e contraddittorie,ma nessuno poteva immaginare che potesse diventare addirittura un attentatore.
Antonio Pallante e figlio di Carmine e di Meloro Maddalena, nato a Bagnoli Irpino il 3 agosto del 1923. Il padre abruzzese lavora nel Corpo Forestale ed era una persona molto rigida e severa soprattutto nei confronti dei tre figli, anche se durante un comizio di Antonio ad un certo Proietti che lo contestava gli dà un pugno che lo scaraventa a terra.
Da giovane era religioso,spinto pure dal padre che lo voleva sacerdote, ed entra nel seminario di Cassano allo Jonio in Calabria. Finita la vocazione prende la licenzia ginnasiale a Castrovillari, poi la maturità classica in Sicilia al prestigioso Real  Collegio Capizzi di Bronte, quindi si iscrive a giurisprudenza a Catania».
Per anni fa “finta” di dare esami  ingannando il padre che per mantenerlo agli studi aveva venduto un terreno di famiglia per duecentomila lire.
Ai primi di luglio del 1948 saluta i genitori, parenti e amici, raccoglie da loro tremilacinquecento lire e dice che sarebbe andato a Catania per la tesi di laurea.
A Catania ci passa  solo per acquistare una pistola la Smith calibro 38 al mercato nero per 250 lire e per 25 lire acquista in armeria cinque proiettili. e  parte per Roma.

Di seguito alcuni articoli di giornali, interviste e di recente un libro scritto dal giornalista  Stefano Zurlo inviato de “Il Giornale” –  Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia (Baldini+Castoldi, pagine 254, euro 17,00) , che spiegheranno bene e da diversi punti di vista cosa successe in quei terribili giorni.

 

Andrea Velardi per il Messaggero

La mattina del 14 luglio del 1948, anno della Costituzione e delle prime elezioni repubblicane, l’ Italia sfiora il baratro della guerra civile quando, davanti a Montecitorio, il giovane studente siciliano Antonino Pallante ferisce gravemente Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano.
La reazione del Migliore fa subito capire che quella del comunismo italiano sarà una vera anomalia, destinata a non reiterare gli scenari cruenti che la storia recente ha confermato essere assai realizzabili. 
A 70 anni da quell’ attentato si può considerare come tutta la storia del Partito comunista sia contenuta in nuce in questo evento così decisivo. Lo conferma il libro ricco e inusuale costruito da Salvatore Sechi mettendo insieme la sua lunga di intellettuale liberale di sinistra e la breve parentesi della sua consulenza presso la Commissione Mitrokhin, il cui lavoro viene giudicato fallimentare, a causa della censura nella accessibilità degli archivi e dei documenti, dei reciproci interessi partitici, del giornalismo petulante e sensazionalistico.

L’apparato para-militare del PCI e lo spionaggio del KGB sulle nostre imprese. Una storia di omissis fornisce, offre una tesi storiografica complessa e forte, restituendo la cornice di un’ identità del Partito comunista la cui matrice è in Togliatti e che si mantiene continua nonostante le virate e le mutazioni strategico-politiche del Novecento.

Il Pci ha perseguito due direttive contradditorie che in qualche modo hanno però realizzato la sua unicità con un equilibrio paradossale ma efficace. Da una parte l’ avversione esplicita per la socialdemocrazia, l’ influenza del Pcus e del Kgb nella politica italiana tra spionaggio industriale e tentativi di infiltrazione.
Dall’ altra l’ impossibilità di ridurre il comunismo italiano al Kgb e all’ immagine marziale del Partito così come venne espressa dall’ ampio dossier sulla organizzazione paramilitare dei comunisti italiani confezionato dal Sifar negli anni Cinquanta a cui si è appiattita tutta la vulgata storica e di cui bisogna attenuare la portata visto che una certa militarizzazione post-bellica era comune a partiti di diversa vocazione, col risultato dell’ esistenza di una Gladio bianca accanto ad una Gladio rossa.
LO SCENARIO.  Questo scenario riprende due linee adottate con grande efficacia da Togliatti.
L’ intuizione del dicembre del 1947 di non radicalizzare lo scontro armato sostenendo nella Direzione del partito la «possibilità di intreccio di lotte legali e di massa extralegali», pur non escludendo che si potesse essere costretti ad uscire dalla legalità, cioè ad abbandonare quelle che gli jugoslavi e gli stessi sovietici chiamavano «illusioni parlamentaristiche».
Vi è poi lo sforzo strumentale, ma geniale di Togliatti medesimo di agganciare la tradizione comunista a quella più risorgimentale e liberale, dissimulando in tutti i modi il reale e tremendo volto stalinista e bolscevico del Partito, con l’ effetto di italianizzare il comunismo (formula secondo Sechi poi fin troppo abusata), radicandolo inscindibilmente nella nostra tradizione sociale, istituzionale e costituzionale così da consolidare nei decenni successivi, soprattutto dopo la mutazione solo parziale dell’ era Berlinguer, una impermeabilità dei dirigenti di Botteghe Oscure alle stesse influenze sovietiche, impedendo nei fatti una infiltrazione massiccia dell’ Urss nel tessuto della nostra democrazia. 
Si dovrebbe così all’ input togliattiano se Berlinguer potrà con coraggio «non assecondare supinamente le decisioni e gli orientamenti dall’ Unione Sovietica» e insieme a Longo, Rodano e gli altri mantenere l’ ambiguità togliattiana della radicalità e dell’ enfasi della retorica della unicità storica della rivoluzione di Ottobre e della creazione dell’ Urss, nonché della contrapposizione tra comunismo sovietico e democrazie individualiste occidentali, minimizzando sulla repressione dei diritti civili come nella famosa intervista a Nuovi Argomenti nel giugno 1956 .

Palmiro Togliatti in ospedale dopo l’attentato

IL SOSTEGNO DELL’ URSS.  Senza coltivarne l’ immagine marziale, Sechi, che lasciò il Partito negli anni Settanta, non nasconde però quanto sia stato massiccio il sostegno economico sotto traccia del Kgb e quanto la storia del comunismo italiano sia sostanzialmente illiberale e totalitaria con buona pace di chi ha cercato di voler conciliare in tutti i modi la Rivoluzione liberale di Gobetti con il comunismo occidentalizzato, non leninista, ma certamente non pluralista, di Antonio Gramsci. 
L’ esperienza deludente della Commissione Mitrokhin e la disavventura di una infondatissima causa per diffamazione intentatagli da un ex parlamentare comunista non hanno permesso che si confermasse l’ amara conclusione di Sechi secondo cui «coltivare la speranza di ripensare la storia del comunismo è ormai impossibile». 
L’ occasione dell’ anniversario dell’ attentato a Togliatti e questo libro così denso ci fanno capire che lo sguardo dello storico può viaggiare alto al di là delle limitazioni documentarie e delle prospettive ristrette e faziose dei partiti e dei mass media.

 

LA DOMENICA DI REPUBBLICA: DOMENICA 29 APRILE 2007

La memoria:Storia d’Italia

Il 14 luglio 1948, in un periodo di estrema tensione politica, lo studente siciliano Antonio Pallante sparò da breve distanza quattro colpi di rivoltella contro il segretario del Partito comunista, che rimase ferito ma si salvò.

Abbiamo ritrovato negli archivi l’incartamento del processo che ne seguì e documenti rimasti sepolti per sessant’anni.

Antonio Pallante – arrestato

ROMA «Anche se in una cella del Regina Coeli, caro Paolo, io sono sempre quell’Antonio buono, affettuoso, e ponderato!». Era il 23 agosto del 1948 quando Antonio Pallante, da una cella d’isolamento del carcere romano, scrisse queste parole dirette al suo amico d’infanzia Paolo Marrone.
Poco più d’un mese prima, il 14 luglio, in piazza Montecitorio, quel ragazzo di Randazzo, provincia di Catania, che si definiva «buono e ponderato», all’epoca appena venticinquenne, aveva sparato a bruciapelo quattro colpi di rivoltella contro Palmiro Togliatti, ferendolo gravemente. 
E scatenando al Nord un moto insurrezionale che costò la vita a decine di persone. Quasi sessant’anni dopo, il fascicolo giudiziario di “Pallante Antonio” è diventato pubblico, custodito nell’Archivio di Stato, sezione di Galla Placidia.
Bisogna slegare sei o sette cordicelle per aprire il faldone quasi imbozzolito che contiene un migliaio di fogli ingialliti. 
Le pagine più toccanti che spuntano da quel fascicolo dimenticato sono le lettere inedite che Pallante scrisse a Regina Coeli e che la censura sequestrò.
Da quei manoscritti 
emerge il ritratto di un giovane fortemente condizionato da una ideologia intrisa di fascismo, che arrivò a Roma con un solo libro, Mein Kampf di Hitler. 
Il fascicolo giudiziario inizia con la testimonianza di “Iotti Romilde fu Egidio nata a Reggio Emilia, deputato al parlamento”, interrogata dal procuratore di Roma due ore dopo la sparatoria.
Stando 
a questa testimonianza di Nilde Iotti, che vide Togliatti «abbattersi al suolo», mentre «quel giovane pallido in viso si abbassava sul ferito e gli sparava a bruciapelo al fianco sinistro», e che fu la prima a gridare ai carabinieri «arrestatelo, arrestatelo», diventa difficile immaginare che il Migliore, quel drammatico frangente, possa aver pronunciato la fatidica frase che gli viene attribuita: «Non perdete la calma».
Dopo quello della Iotti, c’è l’interrogatorio 
dello stesso Togliatti del 22 novembre, quando, ormai guarito, pone fine alla tesi del complotto agitata a lungo dall’Unità e da esponenti del Pci. «Non sono in grado di fornire alcun elemento in merito a responsabilità di altre persone —dichiara, lapidario, ai giudici — non essendomi curato di fare indagini, né mi è stato riferito da altri alcun elemento al riguardo». 
Così il forestale Carmine Pallante descriveva il figlio. «Ha un carattere mite e ubbidiente, però un po’ nervoso, si adirava quando era contrariato anche nelle più piccole cose. Ha una certa ripugnanza per le armi. Durante il passato regime era appartenuto alla Gioventù italiana littoria».  
 
Pallante, ambizioso quanto confuso, passò dai liberali all’Uomo qualunque, e manifestò l’intenzione sia di scrivere per l’Unità, che di iscriversi all’Msi.
Ecco come 
descrisse se stesso alla polizia che lo aveva appena arrestato. «Nel ‘44 mi sono iscritto al Partito liberale, diventandone dirigente della sezione di Randazzo. Lo lasciai perché a mio giudizio troppo conservatore. Nel mio paese sono conosciuto come un fascista perché il mio noto anticomunismo viene a torto giudicato fascismo ». Ed ecco come spiegò il movente del suo gesto. «Ho sempre pensato che in Togliatti si debba ravvisare l’elemento più pericoloso alla vita politica italiana.

 

 

 

 

Repubblica Nazionale

Tra il febbraio e il luglio del 1948 la giovane democrazia italiana è sottoposta a tensioni durissime, che in più di un momento sono a un passo dal metterla in discussione. Esclusi socialisti e comunisti nel giugno 1947 dal terzo governo De Gasperi, l’Assemblea costituente è ancora riuscita, superando divisioni politiche sempre più profonde, a dare al paese la sua nuova Costituzione.
Ma la carta fondamentale della Repubblica appare più la testimonianza 
estrema di un momento irripetibile, maturato nel clima di unità del dopoguerra e presto svanito, che il fondamento riconosciuto di una nuova convivenza civile.
La Guerra fredda è diventata ormai una realtà.
Il risultato delle elezioni del 
primo Parlamento repubblicano italiano, convocate per il 18 aprile, rappresenta una posta altissima per le due superpotenze, che si dimostrano tutt’altro che disposte ad accettarlo a scatola chiusa: George  Kennan, autorevole consigliere del segretario di Stato americano, prospetta l’ipotesi di «mettere fuori legge il Partito comunista e condurre un’energica azione contro di esso prima delle elezioni» per provocarlo alla guerra civile, e fornire così il pretesto alla rioccupazione militare del Paese.
Togliatti informa l’ambasciatore sovietico 
Kostylev che il Pci è pronto a reagire ad un’eventualità del genere con un’insurrezione armata nel Nord del paese.



Strutture paramilitari clandestine sono apprestate non solo dai comunisti, ma, come è ora ampiamente documentato,

anche dai cattolici, in vista di uno show down ritenuto inevitabile nel caso che gli avversari non accettino un responso sfavorevole delle urne.
Il clima è avvelenato da una situazione sociale esplosiva. La politica di risanamento economico e finanziario inaugurata da Einaudi e proseguita da Pella ha aumentato i livelli di una disoccupazione già estesissima.
La Confindustria 
attribuisce il dilagare degli scioperi a un piano preciso del Pci e invita le imprese associate a non concedere nulla sul fronte della contrattazione.
La 
campagna elettorale si apre così in un clima di contrapposizione esasperata, in cui la situazione dell’ordine pubblico sembra sul punto di sfuggire di mano.
La Chiesa e i comitati civici si mobilitano nella lotta contro «l’Anticristo».
Gli emigrati americani scrivono alle loro famiglie in Italia che in caso di vittoria del Fronte gli aiuti del Piano Marshall cesseranno, e sarà la fame.
I partiti 
del Fronte popolare, apparentemente sicuri della vittoria, plaudono al colpo di forza con cui i comunisti, in Cecoslovacchia, si sono sbarazzati degli alleati di governo, e evocano minacciosi scenari di resa dei conti finale.
I toni della 
propaganda si fanno via via più accesi, rappresentando due Italie irriducibilmente nemiche.
La vittoria della Democrazia Cristiana, netta oltre ogni previsione, non smorza la tensione.
Nelle settimane successive al voto l’attenzione del Parlamento 
è polarizzata dalla ratifica dell’accordo con gli Stati Uniti sul Piano Marshall.
Nella discussione alla Camera, il 10 luglio, Togliatti denuncia in quell’accordo una subordinazione «alla politica dei gruppi dirigenti imperialisti degli Stati Uniti» e ammonisce che se il Paese dovesse essere trascinato in una guerra, «noi conosciamo qual è il nostro dovere. Alla guerra imperialista si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, della indipendenza,dell’avvenire del proprio Paese!».

Tre giorni dopo un editoriale del quotidiano socialdemocratico, siglato dal suo direttore Carlo Andreoni, bollando la «jattanza con la quale il russo Togliatti parla di rivolta», esprime la certezza che «il governo della Repubblica e la maggioranza degli italiani avranno il coraggio, l’energia, la decisione sufficiente per inchiodare al muro del loro tradimento Togliatti e i suoi complici. E per inchiodarveli non metaforicamente».
Questa prosa virulenta può essere qui matura il gesto di Pallante il 14 luglio. 
Sia la Direzione del Pci sia la Cgil sono colte di sorpresa dall’imponenza di una risposta di massa, disarticolata e in gran parte spontanea, in cui confluiscono la frustrazione per la sconfitta elettorale del 18 aprile, lo sdegno per l’attentato alla vita di un dirigente amatissimo dai militanti, la diffusa attesa per una .
Non è mai stato provato che dietro questo movimento tumultuoso ci fossero una trama organizzativa e una leadership politico-militare del Pci, come sosterrà più tardi il ministro Scelba.
È probabile piuttosto che scattino quei 
meccanismi di difesa che il partito ha predisposto per l’ipotesi di una «provocazione» e di un colpo di Stato, e che in qualche caso questi meccanismi sfuggano di mano, soprattutto per l’intervento degli ex-partigiani, a chi li aveva ideati.
Per tre giorni, paralizzata dallo sciopero generale, l’Italia sembra sull’orlo 
della rivoluzione.
Restano sul terreno almeno quindici morti, equamente 
divisi fra agenti delle forze dell’ordine e dimostranti, mentre vengono operati migliaia di arresti. 
Eppure in quel momento decisivo ciascuna delle parti che si fronteggiano compie un passo indietro sull’orlo del baratro: i comunisti frenano, evitano che il moto si trasformi in insurrezione, e presto lasciano cadere anche la richiesta di dimissioni del governo. 
Questo a sua volta non cede alla tentazione 
di mettere al bando il Pci. La guerra di movimento dei caldi mesi di febbraio-luglio si trasforma lentamente in guerra di posizione. 
Le appartenenze separate,
benché abbiano messo radici profonde e destinate a durare, non cancellano del tutto il senso di una cittadinanza comune e il rispetto di una serie di regole sia pure a malincuore condivise.
La democrazia, malgrado tutto, tiene.

 

Storia. Pallante, cronaca di un delitto mancato

 

Un libro-intervista di Zurlo chiude la bocca alle dicerie e ad ogni dietrologia sul tentato assassinio di Palmiro Togliatti. Settant’anni dopo il “mistero” svelato dal 95enne “ex attentatore” catanese.

Roma, 14 luglio 1948, l’attentato al leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti che ferito gravemente viene trasportato in ospedale, si salverà

Antonio Pallante – Oggi. (95 anni)

Antonio Pallante? Ma quel Pallante… l’attentatore di Palmiro Togliatti? Ma è una storia di settant’anni fa, possibile che sia ancora vivo? Questa la conversazione avuta con amici e colleghi, anche ferrati in storia patria, subito dopo la sorprendente scoperta: quell’Antonio Pallante che attentò alla vita del “Migliore”, il leader massimo del Partito Comunista Italiano, è ancora vivo e lotta per sé, e alla veneranda età di 95 anni risiede nella sua Catania.
 A testimoniarlo è il bel libro Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia(Baldini+Castoldi, pagine 254, euro 17,00) scritto dall’inviato de “Il Giornale” Stefano Zurlo.
Un lavoro paziente quello di Zurlo – mesi d’attesa per essere ricevuto da Pallante, stanco solo di difendersi dai rigurgiti storiografici e caduto volontariamente nell’oblio – quanto certosino nella ricostruzione dei fatti che si innestano in un momento in cui il nostro Paese sembrava sull’orlo della guerra civile.
 «Era il14 luglio, giornata caldissima e anniversario della presa della Bastiglia, un caso naturalmente, ma sì sa le coincidenze sono terreno fertile per giornalisti, storici, dietrologi…», racconta Pallante a Zurlo, fidandosi dell’esperto giornalista affinché una volta per tutte sgombri il campo dai falsi storici e dalla perniciosa pratica dietrologica che dal dopoguerra in poi ha fatto dell’Italia il Paese dei misteri.
Pallante si confessa, e il ritratto che ne esce è quello dell’idealista formatosi e partito con la sua pericolosa idea reazionaria da un piccolo paese siciliano, Randazzo.
Un borgo del catanese che, in quei giorni di “semimoti” di un altro ’48, era assurto agli onori delle cronache per il suo gesto estremo che ferì, ma non uccise, né Togliatti e tanto meno l’odiato Pci.
 L’allora 24enne studente in Giurisprudenza (era iscritto all’Università di Catania) racconta a Zurlo di essere «stato afferrato dal demone della politica».
 Il circolo «demoliberalqualunquista che aveva fondato a Randazzo era un coacervo di pensatori più o meno liberi, di simpatizzanti liberali, monarchici e adepti del neonato Fronte dell’Uomo Qualunque, nato nel 1946 dall’idea del giornalista Guglielmo Giannini.
Il buon Antonio tra un esame e l’altro («poi non mi sono più laureato») in quel microcosmo provinciale, fatto di lunghe “conversazioni siciliane” a tavolino e di infinite partite a dama e baccarà, si scaldava in comizi vulcanici e alla stesura di elzeviri monarchici (ero diventato corrispondente de “La Voce dell’Isola”, periodico monarchico di Catania) in cui si scagliava puntualmente contro «i comunisti asserviti a Mosca.
Non sopportavo – dice – i separatisti che volevano staccare l’Isola dalla mia Italia». Le elezioni del 18 aprile 1948 divennero la grande ossessione per quel ragazzo “ultrarisorgimentale”, per certi versi letterario, «un Vitaliano Brancati senza i baffi», che respirava i venti tempestosi dello scontro tra le destre postfasciste e la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi: forze in cui credeva e che dovevano arginare la deriva insurrezionale lanciata dal filosovietico Togliatti.
Nonostante la batosta rimediata alle urne dal Pci, per mesi Antonio il caldo aveva un solo pensiero in testa: «Dovevo essere il vendicatore degli italiani traditi dal Pci». Il “Migliore” per lui era la peggiore espressione politica, un nemico da eliminare in fretta e furia, prima che l’Italia potesse diventare un nazione soggiogata dallo stalinismo e quindi si ponesse fine al Piano Marshall (con il relativo sostegno economico degli Stati Uniti) e ancor peggio alla strategia di De Gasperi che «spingeva per inserire il nostro Paese nel Patto Atlantico, l’ombrello che avrebbe garantito il nostro benessere».
Togliatti, con il suo discorso incendiario pronunciato alla Camera, il 10 luglio, aveva tuonato: «Alla guerra imperialista, si risponde oggi con la rivolta, con la insurrezione per la difesa della pace, dell’indipendenza, dell’avventura del proprio Paese». Lo spauracchio delle masse operaie e contadine, guidate dagli intellettuali estremisti, pronti a mettere a ferro e fuoco il Paese, fecero accelerare il piano di esecuzione di Pallante. L’11 luglio del ’48 in treno era salito a Roma, armato (una pistola Hopkins&Allen calibro 38 acquista al mercato nero di Catania) e deciso ad estirpare il «Male».

L’attentatore catanese Antonio Pallante, classe 1923

Dopo giorni di “studio” della sua vittima, con ingannevole astuzia riuscì a convincere l’onorevole Francesco Turnaturi che cedendo all’insistenza del compaesano gli rilasciò il pass d’ingresso per il Parlamento.
Il povero Turnaturi aveva introdotto la “serpe” in seno a Montecitorio e quella si rivelò la vipera velenosa di Togliatti.
 Il leader comunista, quel pomeriggio afoso del 14 luglio si fece prendere dalla tentazione di un gelato da Giolitti e mentre si recava al noto bar romano assieme alla compagna di lotte e di vita, Nilde Iotti, in via della Missione venne raggiunto da quattro colpi di pistola sparati da Pallante.
La ricostruzione di quegli attimi cruciali sono degni della miglior trama di un noir. Il giovane catanese a quel punto si ritrovò stordito, con un’arma in mano, e a salvarlo dal linciaggio intervenne, celere, il capitano dei carabinieri Antonio Perenze che «due anni dopo sarà il protagonista della misteriosa uccisione del bandito Giuliano».
Sbattendolo dentro la jeep che schizzò via al carcere di Regina Coeli, Pallante ebbe salva la vita e lì iniziò la sua seconda esistenza.
Una seconda vita non macchiata dalla morte di Togliatti, salvo per miracolo (morì nel 1964), e da una guerra civile scongiurata (secondo i “gazzettieri” anche grazie alla straordinaria impresa compiuta da Gino Bartali che vinse il Tour de France) ma che comunque ferì il “Drago rosso”.
Tra il 14 e il 15 luglio sul campo di battaglia, da nord a sud, rimasero 30 morti, 800 feriti. Oltre 7 mila le persone arrestate con danni quantificati in 50 miliardi di vecchie lire. 
Notizie filtrate arrivavano a Pallante dietro le sbarre in cui, con i giorni, cominciò a delinearsi la sua doppia immagine pubblica: quella del “carnefice” anticomunista e di contro, l’eroe di tutti coloro che lo ringraziavano per lo scampato pericolo della rivoluzione rossa.
Durante la detenzione, che proseguì al carcere di Noto, ricevette centinaia di lettere di encomio e doni, anche in denaro, persino dall’eroina d’Argentina Evita Perón che «spedì «tanti pesos, forse l’equivalente di 25mila euro di oggi», esaltando il combattente anticomunista Pallante.
Difeso da un principe del foro come l’avvocato Giuseppe Bucciante, in Cassazione la pena gli venne ridotta a 6 anni (per effetto dell’amnistia tornò a casa il Natale del 1953) ma una volta fuori continuò la scia insopportabile delle illazioni che mistificavano quella grande Storia in cui, con ingenuità, furore e orgoglio giovanile, era stato ascritto.
 La diceria degli untori lo voleva braccio armato del complottismo e della nuova spirale fascista. Ma Pallante non era mai stato fascista, neanche sotto il regime, come dimostra il suo «quinto colpo di pistola», quello sparato a Bronte. 
Il tiro mancino esploso dal moschetto del liceale: fracassò la centralina elettrica che garantiva i collegamenti «fra Roma e Tripoli, fra Mussolini e i suoi generali… Ero spacciato».
Ma anche allora dal cielo si calò l’ancora della salvezza: il direttore delle poste di Bronte, caro amico del padre, fece sparire la documentazione sul “caso Pallante”.
 In seguito, il tenente americano Charles Poletti sbarcato in Italia, per liberarla, con la VII armata, volle incontrare quel «bravo italiano» e donargli mille lire di premio. «Non ho più saputo nulla di Poletti (poi noto avvocato a New York, morto a 99 anni, nel 2002) e non so se gli giunse in America l’eco di quello che poi ho combinato…», si chiede oggi Pallante che, prima di ritirarsi a una vita privata, quasi anonima (impiegato alla Regione Sicilia fino alla pensione, sposato con due figli) ha dovuto difendersi dalle accuse più disparate.
Ora grazie al saggio-intervista di Zurlo la verità finalmente trionfa.
 Pallante nell’attentato a Togliatti ha agito da solo, senza complici. «Sono solo uno studente e agisco per la libertà», disse allora e conferma oggi, concludendo: «Mi sono preso responsabilità pesanti e me le sono tenute strette, per tutta la vita».
Massimiliano Castellani martedì 22 gennaio 2019

 

L’attentato a Togliatti: Pallante un separatista vicino ad Antonio Canepa?

Cosa ha spinto l’uomo che nel 1948 sparo’ al leader del pci? veniva da Randazzo e aveva studiato con il leader dei separatisti siciliani. C’e un nesso tra l’attentato e la causa indipendentista? l’interrogativo nell’affascinante libro di Salvatore Grillo Morasutti che ricostruisce gli anni del dopoguerra in Sicilia: dall’assassinio di Canepa, al ruolo del pci, fino a quello di don Sturzo e delle potenze alleate.

Chi è veramente l’uomo che  il 14 luglio 1948 sparò quattro colpi di calibro 38 a Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano? Era davvero, ai tempi dell’attentato, un esponente di estrema destra- cosa peraltro da lui sempre negata- così come venne dipinto dai media?
IL mistero di Antonio Pallante, ancora oggi, rimane insoluto.  Ma, una nuova ipotesi comincia a prendere corpo. Una ipotesi che affonda le sue radici a Randazzo, città dalla quale partì per Roma con l’idea di uccidere Togliatti.

Città che, insieme con tutta la provincia di Catania, in quegli anni era la culla del separatismo siciliano  e in cui, nel 1945, venne ucciso il Professor Antonio Canepa, leader dell’Evis, l’Esercito dei Volontari per l’Indipendenza Siciliana. 
Di Canepa, Pallante era stato  alunno alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania. E  lui stesso in una intervista del 1972  trasmessa da Rai Storia (sotto il link al video) conferma che negli anni in cui era studente, in Sicilia il dibattito politico era animato dal fuoco separatista. 
C’è dunque un nesso tra la sua decisione di attentare alla vita di Togliatti e la causa indipendentista siciliana?L’interrogativo, declinato in tutti i suoi dettagli, è contenuto in un nuovo affascinante libro sugli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale. Si intitola ‘Il delitto Sicilia- Operazione Vulcano’ di Salvatore Grillo Morasutti, edito da Bonfirraro (18.90euro – distribuito anche dalle librerie Mondadori), che verrà ufficialmente presentato Sabato 12 Luglio a Caltagirone. 
Il testo, scritto sotto forma di romanzo storico – che lo rende di facile lettura anche ai neofiti – ripercorre le tappe principali della politica internazionale che all’indomani del conflitto ridisegnò stati e confini.
A questo disegno, ovviamente,  non sfuggì la Sicilia, unica regione in cui gli alleati imposero un governo provvisorio (Amgot) che dovette fronteggiare le istanze separatiste (nel 1945 il Movimento separatista aveva 500mila iscritti, gli altri partiti poche migliaia).
Nel libro di Grillo Morasutti, che pubblica documenti ufficiali dell’Intelligence inglese e americana, si evince chiaramente come le Grandi potenze straniere, all’inizio, avessero avuto un atteggiamento del tutto  conciliante nei confronti di una Sicilia indipendente. Poi tutto cambia. Una Sicilia libera, infatti, avrebbe richiesto una contropartita troppo grande  in favore dei russi (ad esempio, l’annessione di quella che oggi chiamiamo Padania all’Iugoslavia di Tito). 
Da qui sarebbe nata, secondo quanto leggiamo in questa interessante ricostruzione storica, l’Operazione Vulcano, ovvero la decisione di uccidere Antonio Canepa, che mai avrebbe accettato quella sorta di compromesso (rivelatosi alquanto fasullo) che poi ha portato all’Autonomia siciliana e alla sepoltura  dell’idea separatista.
L’influenza negativa della Russia rispetto alle istanze separatiste  e il ruolo di Togliatti nel ‘sacrificio’ della Sicilia, secondo la tesi del libro, potrebbero avere contribuito a spingere Pallante fino a Roma per uccidere il segretario del Pci. 
L’autore del libro ricorda, tra l’altro, che Canepa aveva aderito al Partito Comunista fino al 1944, quando a Firenze aveva fondato il Partito dei lavoratori in polemica con le scelte fatte dai vertici sulla Sicilia. Siamo ad Ottobre. Otto mesi dopo, Canepa verrà ucciso dai Carabinieri  nell’ambito dell’Operazione Vulcano, decisa dagli Alleati e dal Governo italiano.  Al tempo dell’uccisione del leader dell’EVIS, Togliatti era il Vice Presidente del Consiglio. Difficile che non sapesse cosa si stava decidendo per l’Italia e per la Sicilia.

E’ possibile dunque che Pallante avesse voluto vendicare Canepa?

Certo è che il trattamento da lui subito dopo l’attentato a Togliatti è molto singolare. Lo Stato, stranamente, si mostrò molto clemente con lui. Fu condannato, per un reato così  grave, a soli sette anni, dei quali solo due effettivamente scontati. Una volta scarcerato, fu assunto alla Forestale: un impiego pubblico.
Un premio per cosa? Il silenzio sulle reali motivazioni che lo avevano spinto ad attentare alla vita di Togliatti? Un altro contributo a quella propaganda ufficiale che ha voluto fare dimenticare ai siciliani parte della loro storia?
Nel libro, non mancano ( e non poteva essere diversamente) interrogativi anche sul ruolo di Don Sturzo, non solo sulla causa separatista (solo nel 1947 si dichiarò contrario, mentre uomini a lui molto vicini erano di sicura fede indipendentista) ma anche sullo sbarco degli alleati, organizzato mentre il prete calatino era esule negli Usa. Difficile, anche in questo caso, escludere un suo coinvolgimento. 
Nel testo di Grillo Morasutti-  320 pagine da leggere tutto ad un fiato per la ricchezza di documenti storici citati e per  lo stile romanzesco che rende il tutto scorrevole- si sfogliano le pagine della storia dell’Isola, del suo incanto, delle sue speranze e dei suoi drammi. Ma, soprattutto, si apprendono fatti che gettano non poche ombre sulla già oscure prime ore della vita dell’Italia Repubblicana.
ANTONELLA SFERRAZZA 8 LUGLIO 2014

 

         Pallante, l’ uomo che vuol farsi dimenticare.

Catania – Ci sono uomini che fanno di tutto per farsi dimenticare. Con il passare del tempo, a volte ci riescono. Con un atto di volontà provano a seppellire la loro storia, cancellano in un solo colpo la vecchia vita, violentano sentimenti e ideali pur di diventare invisibili agli occhi del mondo. Così, alla fine spariscono.
Dati quasi per morti, questi uomini possono vivere con un po’ di pace la loro nuova esistenza.
Come? Come fa l’ anonimo amministratore di un silenzioso condominio di Catania, quartiere borghese, i palazzi anneriti dai fumi del vulcano, gli alberi bruciati dalle ultime folate di scirocco.
Si chiama Antonio Pallante, l’ amministratore del condominio al numero civico 2 di piazza Beato Angelico.
C’ è qualcuno che si ricorda più di lui, in Italia? Cinquant’ anni fa era partito una notte dalla Sicilia perché credeva di avere una missione da compiere, il giorno dopo arrivò a Roma. Nella valigia aveva una copia di Mein Kampf, nella mano destra stringeva la pistola a tamburo appena comprata al mercato nero per 1500 lire.
Chi si ricorda più di lui? Chi si ricorda più di Antonio Pallante, l’ uomo che il 14 luglio del ‘ 48 cercò di uccidere il Migliore? Siamo andati a cercarlo “l’ attentatore”, l’ altro giorno. Non era a casa. Non era in campagna. Non era al solito posto al mare. E non era a casa né in campagna né al solito posto al mare nemmeno sua moglie Nunziatina. Siamo andati ad Acireale a parlare con suo fratello Guido.
Siamo andati a Randazzo per incontrare suo cognato Alfredo. Abbiamo telefonato a sua sorella Concettina che abita a Mirabella Imbaccari. Niente, loro non sapevano dov’ era Antonio. “Quello fa la sua vita e noi facciamo la nostra, ci sentiamo solo per le feste, Natale e Pasqua“, ci hanno risposto.
Parole pesate con cura, un certo fastidio mascherato dalla fredda cortesia, nessuna voglia di rinvangare il passato più lontano.
E poi il silenzio. Un silenzio lungo come mezzo secolo. Il tempo per diventare un altro uomo e farsi inghiottire dal nulla, per disperdere il suo nome e il suo volto nei labirinti della memoria. Per scoprire chi è oggi – e chi è stato per almeno quattro decenni – il “nuovo” Antonio Pallante, abbiamo inseguito tante vie. Abbiamo parlato con il suo amico Francesco Puglisi, che dal 1956 ha la macelleria all’ Orto dei Limoni a Catania.
Abbiamo provato a risvegliare qualche ricordo al vecchio capocronista de La Sicilia Turi Musumeci, che per primo intervistò “l’ attentatore” nel 1954. Abbiamo chiacchierato con i suoi vicini di piazza Beato Angelico, la signora Sebastiana Turrisi, l’ avvocato Santi Terranova, la signora Fina Toscano.
Abbiamo incontrato i suoi ex colleghi del Corpo Forestale, dove lui lavorava fino a dieci anni fa. Abbiamo parlato con il custode del lido alla Plaja dove Antonio, di tanto in tanto, passa qualche pomeriggio al mare con il nipotino.
Abbiamo chiesto notizie sul suo conto al giornalaio, al fioraio e al salumiere che vede ogni mattina quando scende a fare la spesa al Borgo.
Sull’ anonimo amministratore del condominio di piazza Beato Angelico numero 2, ciascuno di loro ci ha raccontato tutto ciò che sapeva.
Tutto ciò che sapevano era niente. E’ riuscito a farsi dimenticare l’ uomo che con la sua Smith & Wesson sparò a Togliatti.
Di lui – anche i suoi amici più intimi conoscono solo quello che lui ha voluto far loro conoscere. Che Antonio compirà 75 anni il prossimo 3 agosto. Che gli sono sempre piaciute le Vespe. Che è molto contento della laurea in Giurisprudenza presa da sua figlia Magda e che stravede per il piccolo Antonio, il figlio di suo figlio Carmelo.
Dicono che sia un uomo dai modi molto garbati. Amministratore di condominio scrupoloso. Mai una parola in più e mai una parola in meno con gli occasionali interlocutori. Religiosissimo. Tutto casa e chiesa.
E poi? Poi nulla. Nulla da dire. Nulla da raccontare. Tranne una sorta di leggenda metropolitana che gira negli ambienti musicali di Catania. La voce racconta che lui – “l’ attentatore” – sia il proprietario (insieme a un uomo misterioso) di una grande e famosissima azienda di corde per chitarre fondata nel 1958 a Saint Louis, Stati Uniti d’ America. L’ ultima intervista l’ ha rilasciata – ne concede una ogni dieci anni e sempre alla vigilia del 14 luglio – qualche settimana fa a una rivista. E’ l’ unico cedimento che gli si conosce sul suo passato. L’ ultima intervista era comunque la fotocopia di quella che aveva fatto nel 1988 e anche di quella che aveva fatto nel 1978.
Non rinnega nulla Antonio Pallante. Non si pente di nulla Antonio Pallante. Le poche volte che parla, dice sempre le stesse cose: “Io mi misi in testa un’ idea molto precisa: se Togliatti fosse morto, l’ Italia si sarebbe salvata. Pensavo che quello fosse l’ unico modo di evitare l’ invasione dei sovietici, dovevo farlo e l’ ho fatto”. 

Da quel giorno non mi sono mai più occupato di politica”. Quel giorno, suo fratello Guido aveva 16 anni. Ricorda poco. Ricorda soltanto le parole di suo padre: “Ci disse che non avremmo potuto incontrare Antonio per molto tempo…furono quasi sei anni…”. I quasi sei anni passati da Antonio Pallante in carcere. Condanna a 13 anni e 3 mesi in primo grado. Condanna a 7 anni in Appello. Condanna a 6 anni meno qualche settimana in Cassazione. Una volta libero, “l’ attentatore” tornò in Sicilia per cominciare un’ altra vita.
Il concorso al Corpo Forestale, il matrimonio con Nunziatina, i due figli, il condominio silenzioso di Catania, la tranquilla esistenza di un uomo qualunque che si confonde con gli altri.
ATTILIO BOLZONI -14 luglio 1998 Repubblica.it 

 

Alcune immagini della vita privata di Antonio Pallante

Alcune curiosità:

 L’Attentato a Togliatti
 del cantastorie Marino Piazza

«Alle ore undici del quattordici luglio
dalla Camera usciva Togliatti,
quattro colpi gli furono sparati
da uno studente vile e senza cuor.
(…)
L’assassino è stato arrestato
dai carabinieri di Montecitorio
e davanti all’interrogatorio
ha confessato dicendo così:

“«Già da tempo io meditavo
di riuscire a questo delitto,
appartengo a nessun partito,
è uno scopo mio personal”».

 

L’intervista di Mara Venier al giornalista Stefano Zurlo

Nella puntata di ‘Domenica In‘, trasmessa il 20 gennaio, Mara Venier ha ospitato Stefano Zurlo. Il giornalista ha presentato il suo libro ‘Quattro colpi per Togliatti – Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia’. Zurlo ha intervistato l’uomo che il 14 luglio 1948 tentò, senza riuscirci, di uccidere il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti:
“Sono riuscito a intervistare colui che 71 anni fa sparò a Togliatti. È ancora in giro, è ancora vivo, ha quasi 100 anni. Antonio Pallante finalmente si è convinto, a 96 anni d’età, a raccontarmi come arrivò a quella decisione. Lui, studente universitario, si era messo in testa che Togliatti fosse il nemico dell’Italia. Prese la pistola, dalla sua città Catania andò a Roma. Si piazzò davanti a Montecitorio per sparare a Togliatti. Realizzò l’attentato ma dato che erano pallottole comprate al mercato nero, per fortuna molto scarse e spuntate, Togliatti ha potuto raccontare quello che è successo perché è sopravvissuto all’attentato ed è vissuto a lungo. È morto nel 64”.

Mara Venier intervista Stefano Zurlo

Il commento di Mara Venier poi le scuse.

Mara Venier, allora, ha pensato di salutare Antonio Pallante: “Noi lo salutiamo perché lui forse ci sta guardando. Perciò salutiamo Antonio Pallante e grazie a Stefano Zurlo”. Il gesto di riguardo nei confronti di un uomo che all’età di 25 anni ha acquistato un’arma, ha esploso quattro colpi contro Togliatti e ha portato a termine (per fortuna senza successo) un attentato, ha suscitato grandi polemiche. La conduttrice, raggiunta da AdnKronos, si è scusata:
“Io ho soltanto salutato una persona molto anziana, di 99 anni. Chiedo scusa se qualcuno si è risentito. Sono molto dispiaciuta, ma vorrei fosse chiaro che la politica non c’entra nulla. Sono una persona spontanea, ma davvero non era mia intenzione prendere una qualsivoglia posizione”.
L’indignazione di Rita Borioni 
Dopo essere venuta a conoscenza dell’accaduto, la consigliera d’amministrazione della Rai Rita Borioni, ha espresso il proprio disappunto sui social: “Apprendo: a ‘Domenica In’ su Rai1, la conduttrice, al termine della presentazione di un libro sull’attentato a Togliatti avvenuto nel 1948, manda un ‘saluto a Antonio Pallante (l’attentatore n.d.r.) che ci segue da casa’. È sconcertante. È sconcertante che non si sappia che Togliatti rischiò di morire, che l’Italia rischiò la guerra civile e che fu solo per la responsabilità dello stesso Togliatti che si evitarono disordini. È sconcertante come si scelga di buttare tutto ‘in caciara’ e come un attentatore e potenziale assassino sia salutato come se fosse un simpatico telespettatore qualsiasi. Sono molto preoccupata per quello che sta succedendo in Rai. Molto preoccupata”.
Francesco Verducci parla di “pagina miserevole”. 
Repubblica.it riporta le dichiarazioni di Francesco Verducci, senatore Pd e membro della Vigilanza Rai, che richiede un intervento del cda per chiarire “come sia avvenuta una tale scempiaggine”: “Pallante è simbolo e artefice di una delle più drammatiche vicende della nostra Repubblica.
Vederlo ‘sdoganare’ da Rai1 nel contenitore nazionalpopolare per eccellenza è una pagina miserevole per il servizio pubblico e per il nostro Paese.
Chiediamo alla direttrice di Rai1 Teresa De Santis, all’amministratore delegato Fabrizio Salini e al cda di intervenire per chiarire come sia potuta avvenire una tale enormità e scempiaggine, per riparare questo torto e chiedere scusa agli italiani”.
Emiliano Minnucci reputa l’accaduto “vergognoso”

Emiliano Minnucci, consigliere regionale PD del Lazio, ha chiarito di reputare “vergognoso” quanto accaduto a ‘Domenica In’: “Quello che è accaduto questo pomeriggio nel corso della trasmissione ‘Domenica In’ ha dell’incredibile anzi, del vergognoso.
Mara Venier, a seguito della presentazione del libro di Stefano Zurlo, si è tranquillamente permessa di salutare il fascista Antonio Pallante. Un fatto di gravità inaudita soprattutto perché si è consumato nella rete di punta della nostra tv di stato. Mi auguro che i vertici Rai prendano immediatamente le distanze condannando l’accaduto in maniera seria e determinata. Stiamo parlando di un fascista che nel ’48 attentò alla vita di Togliatti, trascinando l’Italia sull’orlo della guerra civile con manifestazioni violente in tutto il Paese che portarono alla morte di decine di persone. La TV di stato non può essere questo”.

Alcune considerazioni vere o/e presunte su questo tragico avvenimento:
  –  Antonio Pallante non era fascista, ma sicuramente anticomunista.
  –  Agi da solo ?!  Sicuramente fu il braccio armato. In paese circolava voce che un gruppetto  di amici avente tutti lo stesso obbiettivo (uccidere Togliatti e così liberare l’Italia dal comunismo)  tirarono a sorte chi doveva farlo.
  –  Il giovane universitario Pallante aveva ingannato i propri genitori in quanto aveva dato pochi esami e conoscendo il carattere del padre (per mantenerlo agli studi aveva venduto un podere per duecentomila lire) era molto preoccupato e si sentiva in colpa. Forse anche questo fatto ebbe un suo peso. 
  – Antonio Canepa e il separatismo. Canepa muore a Randazzo il 17 giugno del 1945 vittima di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine in contrada Murazzo Rotto. Questa è la storia ufficiale. Storia che non convinse tutti. Si dice che furono alcuni giovani comunisti di Randazzo appostati sopra il vigneto (era di proprietà del salesiano Don Mondio) che si trova di fronte dove ora vi è il monumento a Canepa e da lì fecero fuoco. Se questa è la verità il giovane Pallante, come si è detto molto attivo politicamente, non poteva non sapere e con Lui i suoi amici. Da qui a quello che poi successe il passo non dovrebbe essere lungo.  
  –  L’ultima considerazione: abbiamo riportato quanto dichiarato da alcuni rappresentanti delle nostre Istituzioni al saluto di Mara Venier nella trasmissione televisiva……. ma siamo veramente combinati così male ? ! ? !
 

 

 

continua su: https://tv.fanpage.it/a-domenica-in-mara-venier-saluta-antonio-pallante-attentatore-di-palmiro-togliatti-e-polemica/

http://tv.fanpage.it/  

Una intervista, su Rai Storia, ad Antonio Pallante

MARIA PIA RISA

                   
                       Maria Pia Risa risiede a Randazzo e opera nel settore della formazione.


Giornalista, ha collaborato con la cattedra di Sociologia generale della Facoltà di Scienze

 della Formazione presso l’Università degli studi di Catania, per la quale ha pubblicato il volume “Prometeo al cibermondo” (Bonanno editore, 2010), e ha contribuito nel collettaneo “L’agonia di Apollo” di M. Calandra (Bonanno, 2008). Scrive per “La Voce dell’Jonio”, “La rivista dell’arma”, “Bioetica e cultura”. Ha relazionato in un convegno internazionale sulla criminalistica tenutosi a Montecitorio.
 Nel 2016 pubblica il volume “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”  presentato in Vaticano il 13 aprile 2016 dai relatori: Raffaele Luise (vaticanista della Rai), S. Ecc. Mons. Emery Kabongo (segretario particolare di San Giovanni Paolo II), Giuseppe Vecchio (giornalista), Don Santino Spartà (professore), modera l’incontro Rosanna Vaudetti, (presentatrice Rai). L’incontro è stato arricchito dalla declamazione cantata di alcune Poesie-preghiere del compositore e chitarrista Gesuele Sciacca, accompagnato dagli artisti: M. Leonardi (viola) F. Pulvirenti (fisarmonica), F. Sciacca (pianoforte), E. Cavallaro (basso) e dalle voci soliste: D. Greco, S. Cannata, A. Ardizzone e I. Sciacca.

 

 

 

              “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” di Maria Pia Risa: la presentazione in Vaticano

 

         Il volume sarà presentato – alla presenza dell’autrice – dal vaticanista Rai Raffaele Luise, dal giornalista Giuseppe Vecchio e dal professore don Santino Spartá.
Sarà presentato mercoledì 13 aprile alle ore 17:30, nella sala del Buon consiglio all’interno della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, il volume “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” (editoriale Agorà), curato dalla siciliana Maria Pia Risa. Si tratta di un’antologia di poesie-preghiere scritte dal ‘200 ai giorni nostri – particolare nel suo genere all’interno del panorama letterario – che contiene 209 poesie-preghiere di 58 autori diversi, per un totale di 360 pagine.
L’opera esordisce con San Francesco d’Assisi per giungere ai contemporanei, passando per figure prestigiose come Dante Alighieri e Giovanni Paolo II.

Poesie-preghiere di Maria Pia Risa

Da segnalare la presenza di poeti dichiaratamente lontani dal Cristianesimo, come Leopardi, D’Annunzio e Montale.
“Questa ricerca – spiega la curatrice nella sua premessa – trae ispirazione da un incontro culturale con don Santino Spartà (saggista e critico letterario dall’intensa attività poetico-culturale), che mi erudì sulla sottile, ma nodale differenza fra poesia-religiosa e poesia-preghiera”.
Solo la seconda, infatti, contiene un’invocazione, e non è stato un lavoro da poco individuare i testi che rispondessero a queste caratteristiche.
È nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma, luogo maestoso e di indescrivibile bellezza, che la curatrice ha svolto, quasi esclusivamente, la sua paziente opera di ricerca.
L’opera si distingue per il contenuto e la monumentalità. Per il contenuto, in quanto raccoglie esclusivamente poesie-preghiere, abbracciando oltre otto secoli.
Per la monumentalità, perché contiene poesie-preghiere composte in un lungo arco temporale, da quelle in volgare scritte da San Francesco d’Assisi a quelle in lingua corrente.
I testi sono raccolti in rigoroso ordine cronologico, mantenendo la trascrizione originale. Per agevolare il lettore, ogni autore è accompagnato da una breve biografia, mentre le note esplicative non sono concentrate alla fine del libro, ma poste a piè di pagina.
L’antologia “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” è arricchita da un’introduzione di don Santino Spartà e da una prefazione di Antonino Blandini,giornalista e dottore in Diritto canonico.
In copertina reca uno scatto di Gabriele Roncati e Gianni Caggegi.
“Poesia e preghiera sono sorelle, e non mi meraviglio che i poeti continuino a comporre le più belle orazioni”, scrive don Spartà, che traccia un ricco excursus sulle definizioni di “poesia” e di “preghiera” nei secoli, rammentando che “i poeti sono i portavoce dell’eternità nel tempo, le sentinelle sempre vigili tra terra e cielo, i sacerdoti laici, candidati a trasformare in preghiera l’alfabeto intimo dell’uomo”.
Il lavoro della Risa ambisce a porsi controcorrente: in un periodo storico in cui la poesia è sempre più negletta, la rilettura di questi testi immortali può essere di aiuto per rifugiarsi con profitto nell’interiorità del proprio essere.
Non solo: può rappresentare un valido sussidio divulgativo e didattico, specie per le nuove generazioni. 
      “Agli studenti di oggi è praticamente negata dalle antologie letterarie ‘ufficiali’ dei cosiddetti ‘libri di testo’ la conoscenza dei candidi fiori di preghiere-poesie espresse dai nostri grandi letterati, ormai classificati in categorie intoccabili e mummificate“, fa notare Blandini nella prefazione.
“Da qui scaturisce l’opportunità, anzi la necessità, di leggere, meditare, studiare per il bene dello spirito e della mente la presente antologia ‘orazionale’, una formidabile ‘catechesi poetica’, accessibile, godibile, leggibile e intellegibile a tutti coloro che apprezzano le geniali intuizioni poetiche contenute in tante preghiere che arricchiscono la storia della prestigiosa letteratura italiana”.
Il volume sarà presentato – alla presenza dell’autrice – dal vaticanista Rai Raffaele Luise, dal giornalista Giuseppe Vecchio e dal professore don Santino Spartá.
L’incontro – moderato dall’annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti – sarà arricchito dalla declamazione cantata di alcune poesie-preghiere contenute nel libro, musicate dal compositore e medico Gesuele Sciacca.
Sciacca canterà e suonerà alla chitarra accompagnato dalla sua band composta da: Mariodavide Leonardi alla viola, Franco Pulvirenti alla fisarmonica, Francesca Sciacca al pianoforte, Ettore Cavallaro al basso.
Voci coriste: Daniela Greco, Sebastiana Cannata, Angelo Ardizzone e Isidora Sciacca. Fonico: Giuseppe Pandolfo.
fonte Catania Today

 
PARLANO DI MARIA PIA RISA

           

Libri: presentato nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”

“L’incontro fra poesia e religione non è scontato. Eppure nel dinamismo della poesia autentica c’è sempre un’interrogazione profonda al mistero della creatura”, ha detto il vaticanista Rai, Raffaele Luise, intervenendo ieri sera nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano alla presentazione del libro “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”, curato dalla siciliana Maria Pia Risa.
Luise si è soffermato sul Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi, che apre il florilegio, “un testo profetico, continua fonte di ispirazione pure per il nostro Pontefice”.
“Il libro curato da Maria Pia Risa merita di essere conosciuto per il suo argomento profondo e per la sua grande validità educativa – ha aggiunto il giornalista Giuseppe Vecchio –, considerando, inoltre, il coraggio di concepirlo in Sicilia, dove le difficoltà di fare cultura sono rilevanti”.

Papa Francesco con Maria Pia Risa


“Realizzare questa raccolta è stato come tessere una tela – ha spiegato la curatrice – tenendo ben presente nella selezione dei testi la sottile, ma nodale differenza fra poesia preghiera e poesia religiosa, in cui solo la prima contiene un’invocazione”.
“Non si prega solo frequentando le celebrazioni religiose; si può pregare anche facendo poesia, a volte senza accorgersene, utilizzando il linguaggio poetico quale cassa di risonanza per gli interrogativi che da sempre attanagliano l’uomo”, ha puntualizzato Maria Pia Risa.
La presentazione dell’antologia – moderata dall’annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti – è stata arricchita dalla declamazione cantata di alcune poesie-preghiere musicate dal maestro Gesuele Sciacca, accompagnato dalla sua band.
fonte AgenSir

 

CITTÀ DEL VATICANO

Presentato il libro di Maria Pia Risa “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”

Un libro che sonda religiosamente le varie epoche della letteratura italiana, evidenziando i poeti che si candidano a portavoce dell’eternità”: con queste parole il saggista e critico letterario don Santino Spartà ha introdotto nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano la presentazione del libro “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi (editoriale Agorà), curato dalla siciliana Maria Pia Risa.
Il volume raccoglie 209 poesie-preghiere scritte dal Duecento ai giorni nostri, attribuite complessivamente a 58 autori.
L’opera esordisce con San Francesco d’Assisi per giungere ai contemporanei passando per figure prestigiose come Dante Aligheri e San Giovanni Paolo II.

Monsignor Emery Kabongo e Maria Pia Risa

Le loro orazioni sono state selezionate con un paziente lavoro di ricerca, svolto quasi esclusivamente nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma.
Tutti gli autori – ha aggiunto don Spartà, che ha curato l’introduzione dell’antologia – hanno affidato stilisticamente all’Altissimo gioie intime e problematiche esistenziali tramite le loro appassionate invocazioni. Ecco quindi sfilare tra le pagine le figure di santi, beati, preti, suore, laici, ma anche nomi dichiaratamente lontani dal Cristianesimo, tra cui Leopardi, D’Annunzio e Montale, che la curatrice ha individuato quali autori di poesie-preghiere”. 

Monsignor Emery Kabongo, che fu per sette anni segretario particolare di San Giovanni Paolo II, intervenendo alla presentazione ha raccontato alcuni aneddoti della sua collaborazione con il Papa polacco, ricordandone il grande amore per l’arte poetica.

 “La poesia si può realmente definire un dono di Dio – ha osservato il prelato – è un veicolo che ci aiuta a riflettere e a rendere migliore la società in cui viviamo, oltre ad essere una formidabile modalità di preghiera”. “L’incontro fra poesia e religione non è scontato”, ha aggiunto il vaticanista Rai Raffaele Luise. “Eppure nel dinamismo della poesia autentica c’è sempre un’interrogazione profonda al mistero della creatura, che rappresenta il vero fil rouge dell’antologia di Maria Pia Risa”. Luise si è soffermato sul “Cantico di Frate Sole” di san Francesco d’Assisi, che apre il florilegio, “un testo profetico, continua fonte di ispirazione per il nostro Pontefice, come dimostra l’enciclicaLaudato si’”. “In un tempo in cui si assiste alla crisi dell’invocazione – ha concluso il vaticanista Rai – il volume che presentiamo oggi ci dona una memoria viva, capace di fecondare il deserto in cui viviamo”. 

Il libro curato da Maria Pia Risa merita di essere conosciuto per il suo argomento profondo e per la sua grande validità formativa ed educativa, specie per le nuove generazioni”, ha aggiunto il giornalista Giuseppe Vecchio. Un ulteriore merito va alla caparbietà e al coraggio di concepirlo in Sicilia, dove le difficoltà di fare cultura sono rilevanti, specie nell’ambito della carta stampata”. “Realizzare questa raccolta è stato come tessere una tela”, ha spiegato la curatrice Maria Pia Risa. “Nel cercare un filo conduttore fra i diversi autori e selezionare i testi, ho tenuto ben presente la sottile, ma nodale differenza fra poesia-preghiera e poesia-religiosa: solo la prima, infatti, contiene un’invocazione”. “È importante ricordare che non si prega solo frequentando le celebrazioni religiose; si può pregare anche facendo poesia, a volte senza accorgersene. Il linguaggio poetico diventa così una cassa di risonanza per gli interrogativi che da sempre attanagliano l’uomo”, ha puntualizzato la Risa. 

La presentazione dell’antologia – moderata dall’annunciatrice Rai, Rosanna Vaudetti – è stata arricchita dalla declamazione cantata di alcune poesie-preghiere musicate dal maestro Gesuele Sciacca, accompagnato dalla sua band. Tra le liriche eseguite ci sono il “Cantico di Frate Sole” di san Francesco d’Assisi, “Infondi la saggezza della pace” di san Giovanni Paolo II, “A filo di cielo” di Angelo Barile, “Non senti Tu, o Signore” di Luca Ghiselli, “Tu navighi sul fiume” di David Maria Turoldo, e due testi di Giuseppe Ungaretti: “La madre” e “Dannazione”“Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”.
fonte Filo Diretto

In Vaticano si presenta il volume curato da Maria Pia Risa

Il volume, un’antologia di poesie-preghiere scritte da 58 diversi autori dal ‘200 ai giorni nostri, sarà presentato il 13 aprile nella parrocchia di Sant’Anna. 

         Sarà presentato mercoledì 13 aprile alle ore 17:30, nella sala del Buon consiglio all’interno della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, il volume “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” (editoriale Agorà), curato dalla siciliana Maria Pia Risa.

Si tratta di un’antologia di poesie-preghiere scritte dal ‘200 ai giorni nostri – particolare nel suo genere all’interno del panorama letterario – che contiene 209 poesie-preghiere di 58 autori diversi, per un totale di 360 pagine. L’opera esordisce con San Francesco d’Assisi per giungere ai contemporanei, passando per figure prestigiose come Dante Alighieri e Giovanni Paolo II. Da segnalare la presenza di poeti dichiaratamente lontani dal Cristianesimo,come Leopardi, D’Annunzio e Montale.

Rosanna Vaudetti e Maria Pia Risa.

“Questa ricerca – spiega la curatrice nella sua premessa – trae ispirazione da un incontro culturale con don Santino Spartà (saggista e critico letterario dall’intensa attività poetico-culturale), che mi erudì sulla sottile, ma nodale differenza fra poesia-religiosa e poesia-preghiera”. Solo la seconda, infatti, contiene un’invocazione, e non è stato un lavoro da poco individuare i testi che rispondessero a queste caratteristiche.

È nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma, luogo maestoso e di indescrivibile bellezza, che la curatrice ha svolto, quasi esclusivamente, la sua paziente opera di ricerca. L’opera si distingue per il contenuto e la monumentalità. Per il contenuto, in quanto raccoglie esclusivamente poesie-preghiere, abbracciando oltre otto secoli. Per la monumentalità, perché contiene poesie-preghiere composte in un lungo arco temporale, da quelle in volgare scritte da San Francesco d’Assisi a quelle in lingua corrente.

I testi sono raccolti in rigoroso ordine cronologico, mantenendo la trascrizione originale. Per agevolare il lettore, ogni autore è accompagnato da una breve biografia, mentre le note esplicative non sono concentrate alla fine del libro, ma poste a piè di pagina.

L’antologia “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” è arricchita da un’introduzione di don Santino Spartà e da una prefazione di Antonino Blandini,giornalista e dottore in Diritto canonico. In copertina reca uno scatto di Gabriele Roncati e Gianni Caggegi.

“Poesia e preghiera sono sorelle, e non mi meraviglio che i poeti continuino a comporre le più belle orazioni”, scrive don Spartà, che traccia un ricco excursus sulle definizioni di “poesia” e di “preghiera” nei secoli, rammentando che “i poeti sono i portavoce dell’eternità nel tempo, le sentinelle sempre vigili tra terra e cielo, i sacerdoti laici, candidati a trasformare in preghiera l’alfabeto intimo dell’uomo”.

Raffaele Luise e Maria Pia Risa.

Il lavoro della Risa ambisce a porsi controcorrente: in un periodo storico in cui la poesia è sempre più negletta, la rilettura di questi testi immortali può essere di aiuto per rifugiarsi con profitto nell’interiorità del proprio essere. Non solo: può rappresentare un valido sussidio divulgativo e didattico, specie per le nuove generazioni.
 “Agli studenti di oggi è praticamente negata dalle antologie letterarie ‘ufficiali’ dei cosiddetti ‘libri di testo’ la conoscenza dei candidi fiori di preghiere-poesie espresse dai nostri grandi letterati, ormai classificati in categorie intoccabili e mummificate“, fa notare Blandini nella prefazione.
“Da qui scaturisce l’opportunità, anzi la necessità, di leggere, meditare, studiare per il bene dello spirito e della mente la presente antologia ‘orazionale’, una formidabile ‘catechesi poetica’, accessibile, godibile, leggibile e intellegibile a tutti coloro che apprezzano le geniali intuizioni poetiche contenute in tante preghiere che arricchiscono la storia della prestigiosa letteratura italiana”.
Il volume sarà presentato, alla presenza dell’autrice, dal vaticanista Rai Raffaele Luise, dal giornalista Giuseppe Vecchio e dal professore don Santino Spartá. L’incontro – moderato dall’annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti – sarà arricchito dalla declamazione cantata di alcune poesie-preghiere contenute nel libro, musicate dal compositore e medico Gesuele Sciacca.
Sciacca canterà e suonerà alla chitarra accompagnato dalla sua band composta da: Mariodavide Leonardi alla viola, Franco Pulvirenti alla fisarmonica, Francesca Sciacca al pianoforte, Ettore Cavallaro al basso. Voci coriste: Daniela Greco, Sebastiana Cannata, Angelo Ardizzone e Isidora Sciacca. Fonico: Giuseppe Pandolfo.
fonte Paese Italia Press.it

Poesie-preghiere”, presentato al convento il libro di Maria Pia Risa 

l convento “San Francesco”, secondo appuntamento della rassegna letteraria “Stilografiche di primavera”, promossa dall’associazione “Luigi Sturzo” di Biancavilla.

Un pubblico numeroso e attento ha seguito, venerdì scorso nella chiesa del convento di San Francesco a Biancavilla, la presentazione dell’antologia di poesie-preghiere curata da Maria Pia Risa, operatrice della formazione e giornalista. Era il secondo appuntamento della rassegna letteraria “Stilografiche di primavera”, organizzata nell’ambito della “Settimana del libro” dall’associazione “Don Luigi Sturzo” di Biancavilla.

L’incontro è stato impreziosito dal maestro Gesuele Sciacca – medico e compositore che musica le poesie – e dalla sua band, i quali hanno suonato, declamato e cantato sette delle poesie contenute nella raccolta.

Una serata sobria e intensa, introdotta, in omaggio alla comunità ospitante, dall’esecuzione del “Cantico di Frate Sole” che apre la raccolta. A dare i saluti iniziali sono stati frate Antonio Vitanza, guardiano del convento, e Ada Vasta, presidente dell’associazione “Sturzo”. Il primo ha ricordato come il contenuto dell’antologia ben si sposi con lo spirito francescano e come questo porti al piacere-dovere dell’ospitalità. La seconda che l’opera, perfettamente inquadrata nella rassegna in corso, contribuisce alla crescita culturale della comunità locale anche stimolando il piacere della lettura.

Il giornalista Giuseppe Vecchio, direttore della testata cattolica “La Voce dell’Jonio” di Acireale, con la quale collabora la curatrice dell’antologia, ha sottolineato l’importanza dell’opera, realizzata grazie al contributo di un gruppo di operatori culturali tutti siciliani: da don Santino Spartà, che ha ispirato e guidato la Risa e ha scritto l’introduzione in cui spiega l’originalità della poesia-preghiera, al prof. Nino Blandini, giornalista e saggista, curatore della dotta prefazione che lega perfettamente tutti gli autori. E ancora, l’editore Santo Bella, che ha coraggiosamente creduto nell’opera, e il maestro Gesuele Sciacca con la sua band, composta in questa occasione da Franco Pulvirenti alla fisarmonica e dalle voci di Daniela Greco, Sebastiana Cannata, Isidora Sciacca e Angelo Ardizzone.

Maria Pia Risa ha illustrato al pubblico presente il suo lavoro, dal colloquio con don Spartà alla ricerca, effettuata soprattutto nella Biblioteca Apostolica Vaticana; ha parlato della “scoperta” di autori di poesie-preghiere come Leopardi, D’Annunzio e Montale, conosciuti dai più come laici ben lontani dalla religiosità, e quindi anche di poeti che, pur non credenti praticanti, dimostrano un atteggiamento di confidenza con il “loro” Dio.
La curatrice ha ricordato che l’opera consta di 209 poesie-preghiere di 58 autori diversi, scritte dal Duecento ai nostri giorni. Ha anche sfatato la diceria diffusa secondo cui la frequentazione della Biblioteca Vaticana sia riservata soltanto a religiosi, se non addirittura a sacerdoti.
“In effetti – ha spiegato – per frequentare la biblioteca bisogna dimostrare di entrare per motivi di studio e/o di ricerca. Io ha incontrato quasi esclusivamente laici”. E ha rivelato come sia rimasta spiritualmente colpita dal lavoro di ricerca svolto.
La presentazione di “Poesie-preghiere da San Francesco a oggi” è stata arricchita dagli interventi liberi di due biancavillesi, Giosuè Rubino, musicologo, e Annarita Nicolosi, ricercatrice e componente dell’associazione “Sturzo”, oltre che dagli intermezzi poetico-musical-canori di Gesuele Sciacca e la sua band, che hanno chiuso la serata con la riproposizione, richiesta ed applaudita, del “Cantico di Frate Sole”.
fonte : www.biancavillaoggi.it

  

 

 Rossella Janello  ” La Sicilia ”  12 aprile 2016.

 

 

“Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” di Maria Pia Risa: la presentazione in Vaticano

Il volume sarà presentato – alla presenza dell’autrice – dal vaticanista Rai Raffaele Luise, dal giornalista Giuseppe Vecchio e dal professore don Santino Spartá.
Sarà presentato mercoledì 13 aprile alle ore 17:30, nella sala del Buon consiglio all’interno della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, il volume “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” (editoriale Agorà), curato dalla siciliana Maria Pia Risa.
Si tratta di un’antologia di poesie-preghiere scritte dal ‘200 ai giorni nostri – particolare nel suo genere all’interno del panorama letterario – che contiene 209 poesie-preghiere di 58 autori diversi, per un totale di 360 pagine.
L’opera esordisce con San Francesco d’Assisi per giungere ai contemporanei, passando per figure prestigiose come Dante Alighieri e Giovanni Paolo II.
Da segnalare la presenza di poeti dichiaratamente lontani dal Cristianesimo, come Leopardi, D’Annunzio e Montale.
 
“Questa ricerca – spiega la curatrice nella sua premessa – trae ispirazione da un incontro culturale con don Santino Spartà (saggista e critico letterario dall’intensa attività poetico-culturale), che mi erudì sulla sottile, ma nodale differenza fra poesia-religiosa e poesia-preghiera”.

Solo la seconda, infatti, contiene un’invocazione, e non è stato un lavoro da poco individuare i testi che rispondessero a queste caratteristiche.
È nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma, luogo maestoso e di indescrivibile bellezza, che la curatrice ha svolto, quasi esclusivamente, la sua paziente opera di ricerca.
L’opera si distingue per il contenuto e la monumentalità.
 Per il contenuto, in quanto raccoglie esclusivamente poesie-preghiere, abbracciando oltre otto secoli.
Per la monumentalità, perché contiene poesie-preghiere composte in un lungo arco temporale, da quelle in volgare scritte da San Francesco d’Assisi a quelle in lingua corrente.
I testi sono raccolti in rigoroso ordine cronologico, mantenendo la trascrizione originale. Per agevolare il lettore, ogni autore è accompagnato da una breve biografia, mentre le note esplicative non sono concentrate alla fine del libro, ma poste a piè di pagina.
L’antologia “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” è arricchita da un’introduzione di don Santino Spartà e da una prefazione di Antonino Blandini,giornalista e dottore in Diritto canonico.
In copertina reca uno scatto di Gabriele Roncati e Gianni Caggegi.

          “Poesia e preghiera sono sorelle, e non mi meraviglio che i poeti continuino a comporre le più belle orazioni”, scrive don Spartà, che traccia un ricco excursus sulle definizioni di “poesia” e di “preghiera” nei secoli, rammentando che “i poeti sono i portavoce dell’eternità nel tempo, le sentinelle sempre vigili tra terra e cielo, i sacerdoti laici, candidati a trasformare in preghiera l’alfabeto intimo dell’uomo”.

Maria Pia Risa

Il lavoro della Risa ambisce a porsi controcorrente: in un periodo storico in cui la poesia è sempre più negletta, la rilettura di questi testi immortali può essere di aiuto per rifugiarsi con profitto nell’interiorità del proprio essere. Non solo: può rappresentare un valido sussidio divulgativo e didattico, specie per le nuove generazioni.
“Agli studenti di oggi è praticamente negata dalle antologie letterarie ‘ufficiali’ dei cosiddetti ‘libri di testo’ la conoscenza dei candidi fiori di preghiere-poesie espresse dai nostri grandi letterati, ormai classificati in categorie intoccabili e mummificate“, fa notare Blandini nella prefazione.
“Da qui scaturisce l’opportunità, anzi la necessità, di leggere, meditare, studiare per il bene dello spirito e della mente la presente antologia ‘orazionale’, una formidabile ‘catechesi poetica’, accessibile, godibile, leggibile e intellegibile a tutti coloro che apprezzano le geniali intuizioni poetiche contenute in tante preghiere che arricchiscono la storia della prestigiosa letteratura italiana”.
Il volume sarà presentato – alla presenza dell’autrice – dal vaticanista Rai Raffaele Luise, dal giornalista Giuseppe Vecchio e dal professore don Santino Spartá. L’incontro – moderato dall’annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti – sarà arricchito dalla declamazione cantata di alcune poesie-preghiere contenute nel libro, musicate dal compositore e medico Gesuele Sciacca.
Sciacca canterà e suonerà alla chitarra accompagnato dalla sua band composta da: Mariodavide Leonardi alla viola, Franco Pulvirenti alla fisarmonica, Francesca Sciacca al pianoforte, Ettore Cavallaro al basso. Voci coriste: Daniela Greco, Sebastiana Cannata, Angelo Ardizzone e Isidora Sciacca. Fonico: Giuseppe Pandolfo.

 

L’AUTRICE  Maria Pia Risa risiede a Randazzo (in provincia di Catania) e opera nel settore della formazione.

Giornalista, ha collaborato con la cattedra di Sociologia generale della Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università degli studi di Catania, per la quale ha pubblicato il volume “Prometeo al cibermondo” (Bonanno editore, 2010), e ha contribuito nel collettaneo “L’agonia di Apollo” di M. Calandra (Bonanno, 2008). Scrive per “La Voce dell’Jonio”, “La rivista dell’arma”, “Bioetica e cultura”.
Ha relazionato in un convegno internazionale sulla criminalistica tenutosi a Montecitorio.
 

 Prometeo al Cibermondo

Questo testo, quale ricerca per la cattedra di sociologia, non si pone come analisi epidemiologica, ma una visione di quanto succede in una società del tutto subalterna a scienza e tecnologia e come questo si rifletta sulla collettività, che avvicenda astio e affetto, apprezzamento e discredito, affidamento e incertezza! Si esamina quindi il tessuto comunitario della “seconda modernità”(società dell’informazione, postfordista), laddove affiora una evidente traccia di scienza e tecnica, che nel loro armonioso rincorrersi definiscono le mutazioni in itinere, captando nella globalizzazione la loro connaturale misura.

Si riscontra in  ciò l’idea di società del rischio confluendo in una indagine verso la società dell’incertezza e su come essa ripennelli le nostre esistenze puntando sul suo futuro.
Prometeo, che aveva dato il fuoco agli uomini, trasgredendo alle norme imposte da Giove.
Fantasia, miti che esprimono deliri ed allucinazioni in cui svolgono un ruolo determinante i processi inconsci dei rapporti umani con le norme regolatrici dell’esistenza.
Prometeo, un modello che coinvolge la complessità costitutiva dell’uomo, sia negli aspetti percettivi che in quelli elaborativi dell’insanire.
Prometeo è nel cibermondo, uomo e macchina sono costitutivi del processo cibernetico, è un continuo avvicendarsi tra macchina e uomo.
Il fuoco stesso brucerà i saperi passati, e dalle loro ceneri emergeranno i nuovi saperi, i nuovi dolori, i parti della scienza.
Maria Pia Risa

 

 

Presentazione del Prometeo al Cibermondo nell’aula consiliare “Falcone-Borsellino” di Randazzo

 

 

Monsignore Emery Kabongo già segretario di Giovanni Paolo II accompagnato da Maria Pia Risa e da Salvatore Restivo, suo accompagnatore,  visita il Parco Sciarone.

 

FISIATRIA, “PREZIOSO ALLEATO” DI UNA BUONA QUALITA’ DI VITA

               Negli ultimi anni la fisiatria si è conquistata sempre maggiori spazi sia in campo prettamente medico sia in quello della comunicazione e, quindi, nell’opinione pubblica. Ma in effetti poche persone sanno realmente cos’è e di che cosa si occupa questa branca della medicina; tanto che si fa anche molta confusione già tra fisiatria e fisioterapia e, quindi, tra il medico specialista e il terapista della riabilitazione. Su questi argomenti abbiamo chiesto lumi a uno dei maggiori esperti siciliani in materia, il dott. Salvatore Grassi, primario fisiatra emerito, decano dei primari fisiatri di Sicilia, già vice presidente nazionale della “Società italiana di Medicina fisica e riabilitativa” con delega per i rapporti con le Università.

Lo abbiamo incontrato nel Presidio di Fisiatria in Giarre, del quale è direttore sanitario.

 Dottore Grassi, cos’è la fisiatria e cosa cura? «La fisiatria è la disciplina medica che si occupa della cura e della riabilitazione di quei pazienti che, a causa di malattie che portano a limitazioni funzionali, talvolta anche gravi, quali paralisi motorie secondarie a ictus, a eventi traumatici, a malattie degenerative del sistema nervoso centrale e periferico hanno perso parte delle capacità motorie. Quindi, la fisiatria, con le sue metodiche riabilitative, assicura a tali pazienti una buona qualità della vita, soprattutto evitando loro la perdita dell’autonomia personale e mantenendo movimenti corporei adatti per una buona deambulazione e per tutto quello che richiede l’espletamento delle attività quotidiane. “Inoltre, la fisiatria, grazie all’allungamento dell’aspettativa di vita, è sempre più impegnata ad operare su pazienti che, oggi sempre più numerosi, raggiungono età ragguardevoli. Per cui, se è un vero bene che, grazie alle grandi scoperte della medicina, si vive di più, la fisiatria diventa preziosa perché riesce a mantenere anche in soggetti molti anziani un tenore di vita accettabile in tutti i sensi».

Quali sono i consigli da dare, a prescindere dalle cure specifiche, per mantenersi in buona salute fino a tarda età? «Premesso che la buona salute si deve acquisire durante gli anni verdi della nostra età con un tenore di vita regolare, evitando tutto ciò che può danneggiare il nostro organismo e abbassare le nostre difese immunitarie, bisogna mantenere sempre attivo il nostro cervello mediante il continuo interesse per ciò che ci circonda. Allenare il cervello con letture, anche di poesie da ricordare, meravigliarsi delle cose belle che ci offre la natura. Mantenere attivi i rapporti interpersonali. Cito a tal proposito il Premio Nobel Rita Levi Montalcini: Il cervello se lo coltivi funziona. Se lo lasci andare e lo metti in pensione, si indebolisce. Evitare la vita sedentaria e prediligere il movimento».
 Ci può dire un settore in cui la fisiatria ha trovato sorprendenti applicazioni negli ultimi anni? «La fisiatria ha fatto grandi passi in avanti per la cura di particolari patologie, specie quelle determinate da malattie dovute a fattori degenerativi del sistema nervoso centrale e periferico. Per esempio: nei pazienti affetti da morbo di Parkinson si è riusciti a fermare i movimenti alterati nei quali si ottiene a volte di abolire o attenuare il tremore, che è il sintomo più evidente in questi malati. Nei pazienti affetti da sclerosi multipla, grazie alle metodiche della riabilitazione funzionale, si hanno rallentamenti notevoli sul decorso della malattia anche per lungo tempo». «Negli ultimi anni la fisiatria si è dimostrata preziosa anche in età prenatale, riuscendo ad individuare, grazie alle tecniche moderne, movimenti atipici nel nascituro già nell’utero materno. Si conferma così che la fisiatria segue l’uomo per tutto il suo ciclo vitale». 

Infine, una domanda “obbligatoria”: quale evoluzione avrà la fisiatria? «La fisiatria, come tutte le branche specialistiche mediche, segue i progressi della ricerca scientifica. In particolare, la fisiatria attenziona i risultati delle ricerche sull’utilizzo delle cellule staminali, le quali hanno dimostrato la capacità di riparare alcuni tessuti corporei danneggiati da varie malattie. Se, in un futuro prossimo, si arriverà a usare queste cellule, specie nelle lesioni del sistema nervoso centrale e periferico, la fisiatria e la riabilitazione potranno raggiungere progressi e risultati che ad oggi sono soltanto un roseo auspicio».
Maria Pia Risa Fonte “La Sicilia” del 31-08-2019

Potrebbe interessarti: http://www.cataniatoday.it/cronaca/poesie-preghiere-da-san-francesco-ad-oggi-di-maria-pia-risa-la-presentazione-in-vaticano.html
Seguici su Facebook: 
http://www.facebook.com/pages/CataniaToday/215624181810278

 

Rassegna stampa del libro “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”

di Maria Pia Risa

http://www.vdj.it/tag/maria-pia-risa/

http://www.vdj.it/author/maria-pia/

https://www.google.it/ 

acireale-la-voce-dell-jonio-e-i-ragazzi-del-penitenziario

 

Libri / “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”, recensione di Anna Bella

www.acistampa.com

www.paeseitaliapress.it/

www.cataniatoday.it/

 

Acireale / L’antologia di Maria Pia Risa “Poesie preghiere da San Francesco ad oggi” presentata al “San Michele” in occasione della rinascita dell’Uciim

www.sicilymag.it/

Antologia di poesie religiose di Maria Pia Risa: presentazione il 13 al Vaticano

“Poesie-preghiere”, presentato al convento il libro di Maria Pia Risa

 

Presentazione a Catania del libro “Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi” curato dalla siciliana Maria Pia Risa

“Poesie-preghiere da San Francesco ad oggi”. In Vaticano si presenta il volume curato da Maria Pia Risa

MARIA PIA RISA

 

Biancavilla, per la rassegna “Stilografiche di primavera” spazio alle poesie-preghiere con il libro di Maria Pia Risa  

www.comune.catania.it/

Rinasce ad Acireale l’UCIIM e trova sede nell’Istituto San Michele

Libri: Luise (vaticanista), “l’incontro fra poesia e religione non è scontato”

www.santuariodellavena.it

www.editorialeagora.it

it.geosnews.com

www.ebay.it/

Biancavilla, primo appuntamento della rassegna “Stilografiche di Primavera”

POESIE-PREGHIERE DA SAN FRANCESCO AD OGGI

www.romasette.it

www.hoepli.it

www.amazon.it

Acireale / L’antologia di Maria Pia Risa “Poesie preghiere da San Francesco ad oggi” presentata al “San Michele” in occasione della rinascita dell’Uciim

Libri / L’antologia di Poesie-preghiere di Maria Pia Risa sarà presentata il 22 luglio a Santa Venerina

Biancavilla: Per la rassegna “Stilografiche di primavera” presentazione del libro di Maria Pia Risa

www.siciliafelix.it

www.carabinieri-unione.it/

www.ilfattoweb.it

“POESIE-PREGHIERE DA SAN FRANCESCO A OGGI”

Poesie-preghiere da S.Francesco ad oggi in Vaticano si presenta il volume curato dalla siciliana Maria Pia Risa

picclick.it

www.ibs.it

www.libreriadelsanto.it

www.vdj.it

www.yvii24.it

www.vdj.it

 

 

I CONSIGLI DEL GERIATRA PER INVECCHIARE BENE

 

Negli ultimi anni, in conseguenza dell’allungamento della vita media degli italiani e di una società che rivaluta il prendersi cura di sé, alla geriatria viene data sempre più importanza. Della salute degli anziani, della loro coscienza di ciò e del loro rapporto con la società abbiamo parlato con il dott. Gesuele Sciacca, incontrato nel Presidio ospedaliero di Randazzo, dove è direttore dell’Unità di geriatria. Dottore Sciacca, cosa intendiamo oggi per “qualità della vita” riferita ai cosiddetti anziani? «Poter vivere con una certa autonomia e armonia da un punto di vista psichico, fisico e sociale. Per un anziano, vivere non è l’equivalente di invecchiare bene. Per invecchiare bene è necessario uno stile di vita buono che deve nascere con noi e non quando il nostro corpo lancia segnali di sofferenza, perché allora diventa difficile cambiarlo e alle volte può anche essere tardi. Il benessere dell’individuo non è correlato solo alla presenza o no di malattie, ma è l’indicatore degli interventi messi in atto durante il percorso di vita».

Quali consigli dà ai suoi pazienti per vivere meglio e, possibilmente, bene? «Intanto, una buona alimentazione, per prevenire molte patologie; esistono precisi atteggiamenti psico-fisici che possono favorire la malattia: un consumo esagerato di carboidrati, di grassi di origine animale asseconda patologie come l’ipertensione, il diabete, le ematopatie, i problemi vascolari e da qui si può facilmente arrivare a malattie consequenziali come l’infarto, l’ictus cerebrale, l’insufficienza renale». «Poi, stimolare la mente con ciò che ci piace in modo tale che, a cascata, la condizione di vitalità venutasi a creare si ripercuote su tutto l’organismo, attraverso un meccanismo che è psico-neuro-endocrino e anche immunitario; e naturalmente l’attività fisica. L’educazione alla salute dovrebbe cominciare a casa e poi a scuola». Si può definire, oggi, una persona come appartenente a un’età solo in base agli anni che ha? «Distinguo due età, quella anagrafica e quella biologica. Ci sono età biologiche che non corrispondono per niente a quella anagrafica. Ho pazienti 80enni che hanno un aspetto molto giovanile e una vita dinamica, guidano, viaggiano».

Nel corso della sua attività professionale ha riscontrato un aumentato ricorso allo specialista geriatra? «Sì. Ma non perché ne hanno più bisogno rispetto alle epoche precedenti, bensì perché hanno maggiore consapevolezza del proprio corpo e quindi l’esigenza di effettuare accertamenti e praticare le relative cure». Qual è il rapporto tra gli “anziani” e la società? Oggi chi è avanti con l’età partecipa attivamente alla vita sociale? «Ci sono anziani che hanno raggiunto un certo livello professionale e diventano ancora più preziosi per sé stessi e per gli altri; altri, invece, non riescono a reinventarsi e si sentono inutili. Inoltre, il ruolo dell’anziano nella società è cambiato. Quando la famiglia era organizzata in maniera piramidale, il nonno era colui che, con la sua bacchetta magica, tirava fuori dal cilindro inestimabili storie che fungevano da aneddoto; oggi, invece, per una serie di cambianti sociali, crisi demografica, emigrazioni dei figli, famiglie allargate, la funzione del nonno viene meno, tanto che egli viene visto come un portatore di un sapere “vecchio”». Qual è la malattia più diffusa tra gli anziani? «In senso quantitativo le patologie dismetaboliche, come il diabete, la dislipidemia (aumento dei grassi nel sangue) e l’ipertensione. Quelle che determinano più mortalità, invece, sono le malattie cardiocircolatorie, come l’infarto, seguite dai tumori».
E le malattie più temute? «I tumori e l’infarto». E la malattia magari nascosta ovvero silente, più pericolosa? «L’ipertensione, per es., che può restare latente per tanto tempo e, quando si manifesta ha creato già danni non indifferenti». E’ vero che tanti “anziani” cadono in depressione e non se ne accorgono? «Sì; accade spesso. L’individuo non riesce a dare più un senso alla sua vita per poi sprofondare sempre più nella convinzione di inadeguatezza. Si vive il tempo che scorre senza un senso e così il condizionamento mentale è enorme, quindi il passo verso la depressione vera e propria è breve». Come gestisce il rapporto medicopaziente? «Con la crescita dell’esperienza prevale l’uomo, non la malattia. Vedere i pazienti implorare di morire e non poterli aiutare è tremendo; ciò suscita reazioni importanti nel medico. Aumenta la consapevolezza di ciò che siamo, la nostra fragilità, la nostra vita, il porsi tante domande. L’unica certezza è che non c’è certezza: è il mistero della vita».
Maria Pia Risa Fonte “La Sicilia” del 14-09-201

Articoli di Maria Pia Risa 

https://www.bronte118.it/tag/maria-pia-risa/

ARITMIE, AL CNAO DI PAVIA IL PRIMO PAZIENTE AL MONDO TRATTATO CON ADROTERAPIA

TUMORI, DIAGNOSI PRECOCE CON DIFFUSION WHOLE BODY

COME METTERE AL TAPPETO QUELLA VOCE INTERIORE CHE SUSSURRA: «HO FAME»

DISTURBI MENTALI: VALUTAZIONI, DIAGNOSI E CURE

abuso di antibiotici e infezioni ospedaliere in continuo aumento

 
 

foto Maria Pia Risa – Collegio San Basilio Randazzo, 1921

 

         

 

Padre Antonino Maugeri

 

Padre Antonino Maugeri

Padre Antonino Maugeri nasce a Randazzo il 4 settembre del 1918 primo di nove figli. La famiglia molto religiosa ha favorito la sua propensione e quella di suo fratello Rosario,  di dedicarsi alla vita religiosa e spirituale.
All’età di tredici anni entra nel Seminario Vescovile di Acireale e nel 1941 viene ordinato sacerdote.
Nel 1962 diviene Rettore della Basilica dei SS. Pietro e Paolo di Acireale dove rimane quasi 40 anni, stimato ed amato dagli acesi non solo per la missione sacerdotale, ma soprattutto per l’intelligenza e cultura.

Appassionato di musica consegue il diploma di canto Corale ed Organo alla Scuola Diocesana di Musica Sacra di Como. 
 Pianista, organista, compositore vince diversi concorsi di musica sacra.
 Padre Antonino Maugeri è stato un sacerdote solare pieno di iniziative operoso nel suo ministero e nell’insegnamento.
Accanto a questa attività pastorale emerge anche la sua passione per la musica.
Si diceva che ” La scala musicale era per Lui capace di unire la terra ed il cielo, di favorire un più intimo contatto tra l’umano e il divino”.
A detta di tutti quelli che lo hanno conosciuto era ” spiritoso, gradevolissimo nel suo eloquio, in cui riusciva a mettere anche filosofia,teologia, poesia, letteratura, musica (la “sua” !) citazioni in latino e battute in siciliano.

 Fu Presidente della FUCI di Acireale.
Nel 1990 si costituisce e gli viene dedicata “La Corale Polifonica don Antonino Maugeri ” che ha fatto conoscere la sua musica dappertutto.

Nel 2000 ha rassegnato le  dimissioni di Rettore della Basilica nelle mani dell’Arcivescovo.
Muore il 22 febbraio 2008 all’età di novanta anni  nelle braccia del fratello che,  racconta,   fine all’ultimo minuto cantava la sua musica.

. Il 23 maggio 2007 gli è stato intitolato l’Auditorium dell’Istituto “G.Galilei”  di Acireale

Il 22 febbraio 2018 nel decennale della sua morte e a cento anni dalla sua nascita è stato ricordato con una commossa cerimonia  nella sua chiesa alla presenza di numerosi cittadini ed autorità.
Per l’occasione il prof. Salvatore Licciardello ha presentato il libro: “ Tutto quaggiù è armonia. Don Antonino Maugeri: uomo sacerdote musicista”  edita da “La Voce dell’Jonio” Editrice.
Qui di seguito riportiamo alcuni articoli di questa manifestazione.
FrancescoRubbino

 

Invito_fronte_10_Anni_Maugeri Arcivescovo

 

Testimonianze / Don Antonino Maugeri è una benedizione di Dio

    “Nessuno è profeta in patria”. Lo diceva nostro Signore stesso. Forse anche in questo caso è riscontrabile: non mi pare, infatti, che se ne parli tanto, non quanto meriterebbe a otto anni di distanza, da quando ha salutato questo mondo per salire alla casa del Padre.
Padre Maugeri (è di lui che parliamo), di Randazzo, fratello di un altro sacerdote, a sua volta in fama di santa vita, don Rosario, che a Randazzo ha sempre portato la Parola del Signore, è stato una figura senza uguali nella nostra città, una vera benedizione del buon Dio.
Coltissimo (non per niente è stato assistente Fuci), non faceva mai pesare la sua cultura, musicista (pianista, organista, compositore), amante degli animali, e dei gatti in particolare, come è giusto che sia un buon cristiano, sulle orme di san Francesco, ovunque portava il sorriso e il profumo del buon Dio

“facitivi Santi ca non vi costa mancu menza lira” Mons.Padre Maugeri

.
La voce popolare lo chiamava “santo”, fin da quando è arrivato da noi, dopo un periodo in cui era stato parroco a Fiandaca (ne parlava sempre nelle sue “prediche”), ed era diventato canonico della nostra bellissima e amatissima chiesa di san Pietro e Paolo, in Acireale, la chiesa dove c’è la statua del “Divinissimo” Cristo alla Colonna, veneratissima, (e giustamente) da tutti gli acesi e già da secoli.
E quella resta sempre, per chi l’ha seguito per tanti anni, la sua “chiesa” (anche se, negli ultimi tempi della sua vita, è stato a san Paolo, con don Orazio Barbarino). Entrando in san Pietro, ancora sembra che lui sia lì, che da un momento all’altro debba entrare dalla porticina nascosta del “coro”, che debba subito togliersi il “trepizzi”, deporlo su uno scanno del “coro”, avviarsi all’altare e cominciare la Messa. Il suo sorriso, la sua parola.

Chi, come chi scrive, ha avuto la fortuna e la grazia di Dio di poterlo seguire per tanti anni, sa cosa voglia dire l’espressione “portava il sorriso e il profumo del buon Dio”. Le sue prediche duravano sempre molto. E a quella messa, la sua, ci si andava proprio per le prediche. Avrebbe potuto parlare tutta la giornata: non solo non stancava mai chi lo ascoltava, ma dava gioia, ricchezza, spunti di pensiero, di riflessione. Erano una grazia di Dio le sue prediche.
Chi scrive lo ha “scoperto”per caso, almeno 50 anni fa, più o meno. Perché una domenica, non avendo fatto in tempo per la Messa abituale in un altra chiesa, per caso ha trovato la Messa delle 11 a San Pietro. Ed ha scoperto un mondo ricchissimo e impensabile. Da allora, la sua Messa è stata sempre quella di padre Mauger

Padre Antonino Maugeri

i.
Spiritoso, gradevolissimo nel suo eloquio, in cui riusciva a mettere anche filosofia, teologia, poesia, letteratura, musica (la “sua”!), citazioni in latino e battute in siciliano…..
Parlare con lui, in confessione, o per la richiesta di un consiglio, era abbeverarsi ad una fonte di serenità e ricchezza. Persona coltissima, si diceva, (d’altronde proveniente da famiglia di grande cultura) e musicista.
Sedici anni fa, nel 2000, vinse il primo premio in un concorso a Castagneto Carducci ( in provincia di Livorno) – categoria “Messa in latino”- con un suo “Credo”, che chi scrive ha avuto l’onore di dirigere, in sua presenza, ad Acireale, nella chiesa di Odigitria, grazie alla squisita ospitalità di padre Domenico Massimino, allora parroco di quella chiesa, ed ora, neanche a farlo apposta, a Randazzo, proprio nel luogo di provenienza di padre Maugeri.

Del resto, come musicista, don Antonino era stato un “bimbo prodigio”, come si dice: per testimonianza della sorella prof. ssa Cecilia, abbiamo appreso che già a tre anni suonava il mandolino ad orecchio.
Moltissime sono le sue composizioni sacre (l’ inno a santa Venera, che ad ogni festa della santa viene cantato in città, è noto a tutti) ed alcune delle sue musiche sono state donate (così ci è stato detto) alla biblioteca Zelantea, altre al Seminario; altre sono sicuramente da qualche parte, in città.
Che aspettiamo a valorizzarle con maggiore assiduità e attenzione?
A Santa Maria Ammalati c’è già una “Schola cantorum” intitolata a padre Maugeri: ci auguriamo che venga sempre più valorizzata.

È vero che, ai nostri tempi, come diceva Tacito per i suoi, più volentieri che i nostri “externos colimus”, e che ben venga, anche i nostri valgono.
E padre Maugeri sacerdote meraviglioso, musicista, uomo di cultura, esorcista, persona sempre disponibile all’ascolto e al dialogo con tutti, capace di una parola buona con tutti, vale. E quanto vale!

Ha amato la musica fino alla fine. È morto cantando (come ha spesso ricordato il fratello che gli era accanto alla sua morte), cioè componendo un canto, nel momento estremo, che pare fosse un omaggio alla Madonna, alla cui devozione esortava tutti. Anche dalla malattia ha saputo trarre santificazione.
Padre  Antonino Maugeri suonava l’organo, quando le sue mani non erano sulla tastiera, o alle prese con un manoscritto di musica, o innalzate a benedire, tenevano sempre fra le dita il rosario. Sempre!  Nell’espressione che vediamo nella foto, in quel sorriso, c’è tutto padre Maugeri: la musica che si fa preghiera e gioia. Ed è giusto che ce ne ricordiamo.

                                                     ——————————————————-

 

     Un incontro volto al ricordo di una figura religiosa, quella di padre Antonino Maugeri, scandito dalla presenza della musica, eseguita a piccoli tratti, ma citata costantemente e resa protagonista insieme al sacerdote che l’ha coltivata lungo la sua vita, per parecchi decenni vissuta anche nel delicato servizio di esorcista.
All’interno della suggestiva Basilica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Acireale, è stato presentato al pubblico il libro “Tutto quaggiù è armonia – Padre Maugeri: uomo sacerdote musicista”, edito da La Voce dell’Jonio, scritto dal prof. Salvatore Licciardello. Gli amici, i conoscenti di don Antonino, ma anche semplicemente chi frequenta la chiesa hanno partecipato numerosi alla serata in cui è stata delineata con chiarezza l’immagine dell’uomo che si è dedicato a Dio ed agli altri, con la passione per la musica sacra ed il canto.
Le varie testimonianze, sia quelle citate nella biografia su di lui incentrata, sia quelle degli intervenuti alla serata, ne hanno proposto la figura sempre sorridente e felice. Un sacerdote popolare, per la gente, che si prodigava nell’ascoltare tutti. Originario di Randazzo, da una famiglia ben salda nei valori e nel senso della fede, favorevole a questa sua propensione religiosa e spirituale, all’età di tredici anni entra nel Seminario Vescovile di Acireale e nel 1941 viene ordinato sacerdote. Nel 1962 diviene Rettore della Basilica dei SS. Pietro e Paolo. La sua dedizione alla musica è tale da fargli conseguire il diploma di Canto corale ed Organo alla Scuola Diocesana di Musica Sacra di Como.
“La musica era la sua seconda vocazione e la viveva con grande interesse interiore”, conferma mons. Guglielmo Giombanco, vescovo di Patti. Una figura “ poliedrica”, come l’ha definita il prof. Licciardello, che vi ha dedicato la sua ricerca meticolosa di fonti, testimonianze, aneddoti e ne ha fatto una biografia usufruibile per tutti ed utile a perpetuarne il ricordo all’interno della comunità e della diocesi tutta. “Il libro ha puntato l’attenzione su una figura importante per Acireale, che rinasce nella memoria collettiva. Con la biografia si è portato avanti il programma di riedizione del nostro Padre Maugeri. Bisognava assolutamente ricordarlo, non solo per lui ma anche per l’intera città, che è stata presente numerosa questa sera”, ha affermato l’autore.
Ha ribadito l’utilità del lavoro il vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti: “Esprimo la gratitudine della diocesi di non lasciare fagocitare nell’oblio questa figura così talentuosa”. Don Antonino, infatti, svolgeva il suo ministero con la gioia della preghiera, del rendere grazie a Dio, dell’aiutare gli altri anche con il delicato ruolo di esorcista: “Trentacinque anni fa intervistai Padre Maugeri che mi parlò dell’esorcismo con una semplicità disarmante, ma che io feci fatica ad ascoltare fino in fondo, tanto che gli chiesi di fermarsi. Era un uomo fatto per la gente, semplice ma ricco di talenti che spendeva per gli altri”, ha raccontato il giornalista Giuseppe Vecchio, direttore de La Voce dell’Jonio, testata per la quale il prete ha collaborato con i suoi scritti per circa vent’anni.
Durante l’incontro è emersa, dunque, una persona semplice nella sua complessità. La sua musica gli nasceva spontaneamente e non poteva farne a meno “Serbo il ricordo personale di un uomo che metteva a disposizione sé stesso, che voleva capire meglio come la sua musica potesse servire per il suo messaggio evangelico. Era il suo modo di esprimersi per raggiungere immediatamente il cuore e la testa delle persone, c’è riuscito perfettamente e ci riesce ancora oggi”, così lo ha descritto lo storico della musica Gian Nicola Vessia, che lo ha conosciuto e ne ha condiviso la passione per le melodie.
La figura di don Antonino non sbiadirà nella mente delle persone che con lui hanno interagito e sarà abbracciata dalle musiche, dalle note generate dal suo animo per lodare Dio in modo gioioso ed allegro, per rispecchiare una fede carica di speranza ed amore.

Rita Messina

                                                                      ——————————————————-

     A distanza di dieci anni dalla scomparsa, ne ricorre l’anniversario il 22 febbraio, ed a cento anni dalla nascita, il 4 settembre prossimo, padre Antonino Maugeri, per quarant’anni rettore della basilica dei SS. Pietro e Paolo di Acireale, viene ricordato nel libro, scritto dal prof. Salvatore Licciardello, dal titolo “Tutto quaggiù è armonia – Padre Maugeri: uomo sacerdote musicista”, edito da La Voce dell’Jonio.

La biografia è dedicata ad un uomo di Chiesa, che si proponeva agli altri con l’animo volto a Dio ed alla sua magnificenza e ne rendeva grazie attraverso l’immenso trasporto per la musica sacra e per il canto. Spiritualità e musica, un connubio che ha caratterizzato la sua vita fin dai primi anni di studio, da quando, all’età di tredici anni, entrò nel Seminario Vescovile di Acireale, dove ebbe modo di manifestare questa sua passione. L’ascolto della parola di Dio, la sua applicazione pratica nel quotidiano, si manifestava in lui con le mille attenzioni agli altri, a tutti coloro che lo hanno conosciuto e ne serbano un ricordo personale e, per certi aspetti, vario.
“Da ragazzo sentivo molto parlare di lui nelle varie parrocchie, del suo modo di agire e del suo operato. Era una grande personalità sia come sacerdote sia come musicista. Per lui la musica era il linguaggio divino. Era in grado di percepire Dio in tutto ed in tutti. Ad un certo momento io e mia moglie fondammo una corale polifonica denominata Don Antonino Maugeri, mi avvicinai molto a lui, nell’ambito della musica e ne ho apprezzato le doti”, ha affermato il prof. Salvatore  Licciardello, autore del libro.

Un lavoro, il suo, iniziato tre anni fa. Un contributo che mira a preservare la memoria di una figura emblematica per la diocesi di Acireale. Padre Maugeri ha svolto, infatti, il suo ministero per circa sessant’anni. “Ho voluto realizzare questa biografia, che è stata una ricerca storica, una raccolta di documentazione, per dar possibilità e modo di ricordarlo a chi lo conosceva già. Per chi non lo ha conosciuto è occasione per apprezzarne la grande personalità. Lui era ed è un uomo di speranza per tutti. Con le sue omelie, con le sue parole riusciva ad entrare dentro il cuore dell’interlocutore. Le varie testimonianze raccolte hanno in comune l’immagine allegra e gioviale di padre Maugeri e quell’avvicinarsi a chi era in difficoltà senza risparmiare sé stesso. È stato un lavoro che mi ha appassionato particolarmente ma anche molto delicato, perché ha significato per me entrare dentro l’anima di una persona, mirando a rispettarla in totale”, ha continuato l’autore.
Tanti gli aneddoti, le immagini di vita riportate nella biografia. Il suo amore per la musica è ricordato attraverso gli innumerevoli fogli in cui era solito tracciare il pentagramma ed affidarvi le note che gli venivano in mente e che eseguiva con le “mollette della biancheria”, scuotendole come una batteria. Il suo infinito impegno si individuava nell’attività di prete, nel delicato ruolo di esorcista, nel ribadire l’eccesso di una moda eccessiva, ma anche nel saper essere amico, confidente, guida spirituale.
Sabato 17, nella Basilica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Acireale, alle ore 18, la biografia sarà presentata al pubblico, in una serata ricca di spunti e di interventi, momento di riflessione su una personalità locale che molto ha dato e continua a dare agli altri, anche una volta terminato il suo cammino terreno.

Rita Messina 

 

 

 

 

Antonio Petrullo

 

Antonio Petrullo

   

    Tutti noi conosciamo Randazzo: paese piccolo, ma dalla storia antica. In epoca moderna ingrandito e anche colpito, come tutti i paesi d’Italia e del mondo, da devastazioni edilizie, ma capace di conservare un cuore architettonico medioevale (e, scavando qua e là, tracce di un passato romano, greco, preistorico…).
Non molto popoloso (oggi meno di un tempo) ma, come tutti i paesi al mondo, capace di donare i natali tanto a persone che hanno vissuto senza lasciare tracce evidenti ma che, nel silenzio, hanno contribuito alla sua vita, alla sua storia, quanto a persone che hanno lasciato nel paesello o in qualche punto del mondo qualche traccia, piccola o grande che sia.
Questa breve nota riguarda uno di questi personaggi, che ho avuto la fortuna di avere (sin troppo poco, ahimè) per nonno materno.
Quell’uomo, nato a Randazzo alla fine del XIX secolo, si chiamava Antonio Petrullo; aveva avuto la fortuna – non comune all’epoca – dell’agiatezza, poiché il padre, Salvatore Petrullo, fu benestante, proprietario di terre e case, nonché amministratore presso un’importante famiglia del paese.
L’infanzia di Antonio è passata in famiglia, con il padre, la madre Carmela (Lo Presti), e vari fratelli e sorelle (uno di questi, Alfio, è fra quelli che hanno lasciato traccia di sé). Fra le altre cose, per diversi anni ha avuto problemi di salute che hanno fatto temere per la sua vita ma che furono superati grazie ai medici e a una ferrea forza di volontà, a un tenace e gioioso amore per la vita che lo hanno contraddistinto lungo tutto il suo percorso.
I suoi studi lo hanno portato al diploma di ragioniere, che però non fu mai impiegato per esercitare quella professione: divenne un imprenditore portando a termine lavori importanti, soprattutto in Sicilia.
Ha costruito acquedotti in piccoli centri dove ancora non esisteva acqua corrente, e molte strade e piazze, alcune delle quali ancora esistenti in vari paesi e realizzate “a regola d’arte”, alla “maniera antica”, ossia senza la necessità successiva di manutenzione, né di ricostruzione.
Era il buon vecchio orgoglio del lavoro ben fatto, e fatto per durare.
Ma il suo lavoro non si è fermato alla nostra splendida terra di Sicilia. Antonio Petrullo ha viaggiato molto, e realizzato opere in paesi lontani.
Ma ci arriveremo; per il momento vediamo Antonio crescere, divenire un uomo, e creare una famiglia.
Sposa una lontana cugina, Nunziata Mavica, nata da un agricoltore e piccolo proprietario terriero, Giuseppe Mavica, e da Paola Petrullo.
Nunziata fu all’epoca (ricordiamo che si parla di persone, e donne, nate alla fine dell’800) una delle rare donne che sia riuscita a trasferirsi a Catania per compiere i suoi studi, diplomarsi come insegnante e iniziare il suo lavoro, portandolo avanti per diversi anni in Lucania (Oliveto Lucano, poi Accettura, entrambi in provincia di Matera).
Rientrata a Randazzo, sposò Antonio, da cui ebbe tre figli: Alfredo, Mario e Lina.
I primi anni di matrimonio trascorsero a Catania, e più tardi a Randazzo.
Padre affettuoso, era figlio dei suoi giorni e, secondo la mentalità dell’epoca (si era nel Ventennio), ha unito alla dolcezza genitoriale il rigore morale; a tal fine i due figli maschi furono messi in collegio, il S. Basilio di Randazzo, gestito dai Salesiani, dove la loro educazione veniva completata sia sotto il profilo culturale che formativo. La figlia Lina invece era in casa con i genitori.
È sempre difficile descrivere le persone, anche sé stessi, perché non ci si conosce mai abbastanza, e ancor meno gli altri. Ciò che si può fare è solo rendere testimonianza nei ricordi propri e degli altri. Chi ha conosciuto Antonio lo ricorda come una persona gioiosa, cordiale, dall’inesauribile gioia di vita e dal sorriso aperto. Sul lavoro sempre molto attivo e rigoroso, ciò che lo ha portato ai traguardi di cui parleremo.
Poi ci sono i ricordi dei familiari. Antonio, nelle memorie della figlia Lina, viene descritto come “un padre meraviglioso, affettuoso, sensibile, delicato e molto attento alla salute dei figli”; lo era anche la madre, “ma lui arrivava a fare quasi l’impossibile … per quel che riguardava la salute”.
E la figlia, cresciuta in casa, iniziò ad andare a scuola nel 1934, e fu sempre circondata dall’amore genitoriale, ma mai viziata; Antonio soleva dirle:
non sempre, ma ogni tanto, bisogna saper rinunciare a qualcosa o al realizzarsi di qualche desiderio; bisogna essere pronti a qualsiasi evenienza, poiché la vita, a volte, può sottoporci a prove durissime quando meno ce lo aspettiamo”.
E queste parole dovevano rivelarsi terribilmente vere, con le vicende della guerra.
Quegli anni, gli anni ’30, non erano facili: allora dominava il fascismo, ma inizialmente in paese non vi furono estremismi.
Un esempio è proprio la famiglia di Antonio: lui, pur diffidando del governo degli uomini (di Mussolini, come del Re e degli altri), vedeva nelle prime idee del fascismo una strada per una società più sana, affidata alla dirittura morale sia dei singoli governanti che sociale.
Non vedeva ancora lo spettro della dittatura, al punto da scrivere e pubblicare nel 1934 un volume:La legge morale del fascismo”. (ed. Rinnovamento 1934)  
Parlavo di mancanza di estremismi e di esempio di ciò in famiglia, perché accanto ad Antonio viveva la moglie Nunziata che lungi dall’essere fascista, era di idee socialiste.
Eppure, questa differenza non fu mai un problema fra marito e moglie, né fu mai stata osteggiata od ostacolata nel suo lavoro o nella vita, né non fu mai perseguitata, per queste sue idee, di cui non faceva assolutamente mistero.
Antonio Petrullo parte per l’Eritrea nel 1935, come direttore di un’importante ditta ad Asmara e poi impiantandovi una florida impresa che si occupa, come già aveva fatto in Italia, di costruire strade e piazze; lo seguono nell’avventura africana alcune persone di famiglia e altri del paese.
Dopo circa un anno di lavoro in Eritrea, in seguito all’ingresso dell’esercito italiano ad Addis Abeba, il 5 maggio 1936, Antonio si trasferisce con la sua impresa edile in Etiopia, stabilendo la sua base operativa (e poi la sua casa) ad Addis Abeba, dove amplia l’iniziale impresa di costruzioni stradali trasformandola su invito del governo in impresa edile per la costruzione della nuova Addis Abeba.
Vi aggiunge anche un’immensa segheria (la maggiore macchina, una sega a nastro, era “
la più grande dell’Impero”) e poi dà avvio ai suoi sogni, che divenivano sempre più progetti: inizia a esplorare il territorio in avventurosi viaggi sempre più distanti dalla capitale, alla ricerca della terra che gli permetta di realizzare ciò che ha in mente.
E infine la generosa Africa gli svela un’area selvaggia che ai suoi occhi appare come il paradiso che da tempo sognava: grandi falesie calcaree per produrre la calce di cui ha bisogno la nuova capitale, la foresta per la produzione del legname, acqua in abbondanza da sorgenti e fiumi, e terreno fertile per vastissime distese di terreno da coltivare. Il “suo” paradiso è Guder, oggi una cittadina 140 chilometri a occidente di Addis Abeba.
Non mi dilungherò qui sugli anni difficili, avventurosi, meravigliosi, terribili trascorsi in Etiopia. Li ha descritti lui stesso in un romanzo di cui parlerò più avanti.
Qui mi limiterò ai fatti salienti e più personali: si fa raggiungere dalla famiglia ad Addis Abeba all’inizio del 1938: erano passati quasi tre anni dalla sua partenza; nella capitale ormai le sue attività sono molto ben avviate, come in tutta l’area sino a Guder: dalla costruzione delle strade a quella dei palazzi della città nascente, dalla produzione e lavorazione del legname, alla fabbrica di mattoni, all’agricoltura.
Quando ero bambino mi raccontava dello stupore nel vedere i prodotti coltivati in quella terra vergine: dai finocchi grandi come teste aimeloncini di Guder Petrullo (le papaie) a mille altre cose dalle dimensioni e qualità straordinarie. Lo ascoltavo con occhi meravigliati, ma non so quanto potessi crederci o davvero immaginare finché, giovane uomo, non andai io stesso in Africa, rimanendo a mia volta sbalordito nel guardare i banchi dei mercati, e ripensando alle parole di mio nonno.
Il ricordo degli anni africani della figlia Lina sono meravigliosi, pensando a quella straordinaria città che univa tratti di modernità ed eleganza italiana alla meraviglia da paradiso terrestre della boscaglia fra un quartiere e l’altro, una casa e l’altra (andava a scuola a cavallo, attraversando ampi tratti di boscaglia); e del padre dice che ha donato anni felici alla famiglia, in Etiopia, perché “con la sua intelligenza e la sua grande abilità, unita anche ad una profonda onestà e dirittura morale, aveva costruito un Impero nell’Impero.
La figlia Lina ricorda i due anni successivi come i più belli della sua vita.
Unica ombra, un episodio che avrà un tragico peso qualche anno più tardi: il fratello maggiore, Alfredo, curioso di conoscere usi e costumi locali, e di aiutare come poteva, si recava spesso presso le abitazioni degli indigeni: una di queste volte fu punto dall’insetto responsabile e veicolo della Ricketsia Mooseri, contraendo il tifo esantematico. Malattia gravissima che portava quasi sempre alla morte.
Oggi questa malattia si può curare con antibiotici e sulfamidici, ma allora questi prodotti, anche se erano stati scoperti, non erano stati isolati, e quindi non erano disponibili. Alla fine comunque Alfredo si salvò e si riprese, ma il fisico era stato minato, con conseguenze che avranno il loro peso qualche anno dopo. Intanto, ripresosi, verso l’inizio del 1939, d’accordo coi genitori, scelse di tornare in Italia per entrare al Collegio Navale della G.I.L. di Venezia (oggi Collegio Navale Francesco Morosini).
Intanto, la visione di Antonio sulla situazione italiana era profondamente cambiata: se si sentiva sempre, profondamente e fieramente italiano, era deluso dal fascismo, che tradiva tutte le promesse di libertà e rettitudine (la realtà di Stato era ben lontana quella “legge morale” di cui lui aveva scritto e in cui continuava a credere).
In effetti, mentre in Italia la propaganda (e la paura) condizionavano la vita e le menti, nella lontana Etiopia (o Eritrea, Somalia, Libia) gli italiani si trovavano ad affrontare da soli i problemi; a parte la presenza militare, lo Stato era qualcosa di astratto e lontano, e la costruzione “dell’Impero” era lasciata nelle loro mani; le roboanti parole di Mussolini lì arrivavano come un’eco lontana e puerile, una sorta di teatrino criminale, anche perché i capi militari si macchiavano di crimini che ben poco avevano a che fare con la fama di “italiani brava gente”; e questo, per i civili era dolosamente chiaro.
Tuttavia c’era l’orgoglio del costruire qualcosa in cui credevano: concetti come quelli odierni di occupazione, diritti dei nativi, ecc. erano ancora inesistenti, e si aveva la presunzione di “portare la civiltà” (non richiesta) e di dover essere ringraziati.
A ciò si aggiunga il fatto che nel caso dell’Etiopia la presenza ufficiale dello Stato era rappresentata dal Viceré Amedeo di Savoia-Aosta, uno dei rari esponenti della casata ad aver dimostrato dirittura morale e senso del dovere, tanto da recarsi da Addis-Abeba a Roma per parlare con Mussolini e con Galeazzo Ciano per cercare di convincerli che una guerra, in particolare in Etiopia, non sarebbe stata affatto opportuna.
Con Mussolini non riuscì a parlare da solo perché glielo impedirono. Ciononostante parlò chiaramente al Duce: una guerra nell’impero sarebbe stata insostenibile ed impossibile. Non esisteva la preparazione necessaria; in particolare per mancanza di armamenti sia in cielo che a terra. Ma non fu ascoltato. I fatti hanno dato pienamente ragione al Viceré che pagò personalmente e molto dolorosamente i gravi errori della II Guerra Mondiale.
Comunque, questi fatti storici non sono il tema di queste pagine, ma qui ne vediamo i risvolti per Antonio Petrullo.
I venti di guerra gli suggerirono di far rientrare in Italia la famiglia (si pensava che a Randazzo sarebbero stati più al sicuro) mentre lui rimaneva in Etiopia per portare avanti il lavoro.
Lo scoppio della guerra il 10 giugno 1940, come sappiamo, portò infine, in Etiopia, alla sconfitta degli italiani da parte britannica, nel novembre del 1941. Occupata Addis Abeba, gli Inglesi catturarono Antonio, ma gli proposero di rimanere al suo posto, conservando privilegi e proprietà, senza far nulla contro la sua patria, purché portasse avanti i lavori di produzione e costruzione.
Unica condizione, svelare se e dove avessero nascosto le armi. In effetti, all’approssimarsi degli Inglesi, Antonio aveva fatto nascondere armi nella speranza di un contrattacco italiano, in modo da poter combattere i britannici dall’interno della città.
Come sappiamo, non ci fu mai nessun contrattacco. Comunque, né le lusinghe né le torture lo convinsero a parlare (“io sono un Italiano!”) e le armi rimasero (o sono ancora???) nascoste dove lui le aveva fatte mettere: sepolte sotto l’immensa sega a nastro. Alla fine gli inglesi gli offrirono una bella passeggiata, di più di 1200 chilometri, da Addis Abeba sino a Ol Dònyo Sàbouk, ridente località nel verde del Kenya ove si trovava uno dei loro campi di concentramento; poco distante dal campo per i prigionieri comuni, come mio nonno, si trovava la villetta in cui era prigioniero Amedeo D’Aosta.
In questo campo si lega un particolare ricordo di mio nonno che diede origine a una piccola “leggenda familiare”: da bambino io volevo sempre mangiare con un cucchiaio in particolare, l’unico diverso, pezzo unico fra quelli dei servizi da tavola.
Cucchiaio umile, di metallo comune e non particolarmente bello ma lo volevo perché aveva dietro una corona; era, ovviamente, la corona britannica; si trattava di una posata portata da mio nonno dal campo di prigionia. Ma non l’aveva certo presa per quei tristi ricordi, bensì per una particolare ragione che mi raccontò quando avevo circa sei anni e gli chiesi cos’erano quei numeri graffiti dietro, sul manico, sotto la corona. Li aveva incisi lui, ed erano la ragione per cui aveva portato con sé il cucchiaio.
Si riferiscono a qualcosa che è più dominio del mistero, qualcosa che si può credere o non credere, e dunque la racconterò così com’è nata.
Torniamo a quel campo di concentramento in cui mio nonno fu “ospitato” dagli inglesi. Vi stette dal 1941 al 1946; ma quello che ci interessa riguarda il 1943. Anno particolarmente infausto per Randazzo, perché fu l’anno dei bombardamenti, ogni giorno, per quasi un mese consecutivo; i bombardamenti si susseguirono con una tale frequenza che un giorno se ne contarono ben 23. La notte tra il 15 e il 16 luglio del 1943 fu particolarmente cruenta; chi era scappato verso l’alto, sull’Etna, ricorda che alla fine del bombardamento vide verso il paese solo fiamme e sfacelo”.

 

13 luglio 1943 – Gli alleati entrano a Randazzo bombardata. Corso Umberto con la chiesa di San Martino.


Pensiamo solo un attimo al fatto che Randazzo, con la sua cinta muraria intatta e le 12 porte, racchiudeva in seno alle mura quello che dagli esperti medievisti veniva considerato “il più bel paese medioevale di Sicilia”.
Dopo il passaggio degli eroici americani, che bombardarono, solo perché “in posizione strategica”, un paese inerme, privo di qualsiasi difesa contraerea, rimanevano “solo fiamme e sfacelo”.
Le uniche due vittime gli Alleati se le fecero da soli: poiché non si accontentavano di bombardare, ma si accanirono mitragliando anche i civili in fuga sulla montagna, due caccia, facendo una picchiata si scontrarono, quasi sulla basilica (nell’area del ponte), precipitando a breve distanza.
Tutto questo fa parte della storia di famiglia perché nell’incubo dei bombardamenti mio zio Alfredo, che era da tempo rientrato da Venezia, si prodigava per andare in paese sotto le bombe e cercare viveri per la sorella, la madre e gli anziani, le donne e i bambini del gruppo di fuggiaschi, sempre tenendo per sé il minimo per la sopravvivenza, se mai lo teneva.
Quando finalmente i bombardamenti cessarono, Alfredo non riuscì più a tornare sull’Etna dai familiari. Era rimasto a letto con la febbre alta. In un primo momento si pensò che si trattasse solo di una febbre dovuta alle fatiche sostenute; ma quando la madre e la sorella tornarono a casa le aspettava la dura e tristissima realtà della malattia di Alfredo. La privazione per troppi giorni, gli stenti, gli sforzi per portare il cibo a chi non ne aveva, uniti all’indebolimento fisico della malattia che aveva contratto in Africa, lo portarono a debilitarsi troppo; un ufficiale medico disse che ci volevano quegli antibiotici che ormai si trovavano in America ma che in Italia non erano ancora arrivati.
La notte tra il 21 e il 22 novembre del 1943 Alfredo si aggravò ulteriormente; ormai alla fine, con una tristezza infinita, ad un certo punto raccolse le sue ultime forze, si alzò a sedere e disse, quasi urlando: “Papuccio mio, non ti vedrò mai più”, poi crollò sul letto ed esalò il suo ultimo respiro. Ma perché mai racconto questo episodio?
Perché nello stesso istante, a Ol Dònyo Sàbouk, a circa 5000 chilometri di distanza, mio nonno si svegliò di soprassalto con la sensazione di qualcosa di tremendo. La sensazione era così forte, e strana, e unica, che incise quella data su quel cucchiaio della mia infanzia.
Dovevano passare due anni perché Antonio sapesse cos’era accaduto in quell’istante di quella notte del ’43.
Solo alla fine del 1945 fu possibile uno scambio di notizie fra il campo di prigionia e la famiglia; e Antonio apprese della perdita del figlio. Si doveva ancora arrivare alla primavera del 1946 perché potesse tornare a Randazzo. Il suo ritorno, tanto atteso, lenì il dolore delle tante ferite che la guerra aveva procurato e consolò dei grandi dolori subiti, anche se Antonio ne era stato colpito tanto quanto la moglie e la figlia.
Antonio possedeva ancora dei doni preziosi: il suo carattere, la forza e l’ottimismo, l’amore per la vita e per la famiglia; e aveva parecchie possibilità, nonostante il crollo provocato dalla guerra.
Poco dopo il suo rientro, potè avvalersi dei reti del suo “impero” economico perso nella guerra; in effetti, il suo vecchio amico e socio d’Etiopia, l’avvocato Colitto, di rara onestà, era stato rimpatriato prima per ragioni di salute, e negli anni aveva potuto preservare a Roma qualcosa dal disastro bellico; grazie a quei fondi Antonio poté dare avvio a un nuovo inizio, creando quindi delle industrie anche a Randazzo (produzione di calce, mattoni, ecc.).
Gradatamente la famiglia ricominciò a prendere respiro, nonostante la ferita dovuta alla perdita del figlio primogenito fosse ancora molto viva.
Gli anni successivi furono quelli del dopo guerra, della ricostruzione, e di tutti gli esseri umani, di tutte le famiglie: lo scorrere degli anni, il lavoro, la crescita dei figli, i matrimoni, l’arrivo dei nipoti.
La figlia Lina uscì di casa per iscriversi in Medicina e Chirurgia, cosa rarissima per le donne, all’epoca; all’università di Messina incontrerà un collega, quel Paolo Damiano che sposerà e con cui andrà a vivere a Randazzo.
Quel Paolo Damiano che mi fu padre e che creò l’ospedale del paese con vent’anni di lavoro.
Dopo la sua partenza per Milano purtroppo la struttura declinò sino alla sua fine.
L’altro figlio di Antonio Petrullo, Mario, divenuto geometra, andò a lavorare per molti anni in Somalia.
La vita a Randazzo scorreva tranquilla: la casa alla fine del paese, a Crocitta, aveva intorno campi e, in fondo, le fornaci per la calce.
Per me quella casa e qui campi, quelle fornaci e la terra intorno sono l’infanzia, e tratteggiarne qualche immagine aiuta a conoscere alcuni aspetti di Antonio Petrullo come nonno: ho passato più anni con i miei nonni che con i miei genitori.
Forse dovrei dire “con mio nonno” perché la nonna è una figura quasi indistinta: sempre gentile e amorevole, era però circondata da un alone di eterna tristezza, con le sue vesti nere e il buio nell’anima: non si riprese mai dalla morte dell’amatissimo Alfredo; sorrideva del suo sorriso triste solo quando ero vicino a lei e mi chiamava “Alfredo, Alfreduccio” (che volle come mio secondo nome).
La casa dei miei nonni è per me ricordo di libertà in quegli ampi spazi e delle esplorazioni nella sciara infinita dietro casa; le chiacchierate e i giochi con mio nonno, le lunghe serate nel suo studio, accanto a lui, chino sui suoi scritti alla scrivania, mentre io seduto per terra divoravo libri su libri della sua biblioteca.
Era lui che ci portava, me e le cugine, con la Topolino, a Taormina; è lui che a tre anni mi insegnò a nuotare; ed era lui che sapeva trasformare in magia rituale le cose più semplici, facendoci sognare con un sorso d’acqua o una semplice aia.
Due esempi, due ricordi per tutti: quando, al rientro dal mare, facevamo troppo chiasso (com’è d’obbligo per una piccola banda di pargoli in una Topolino) non una voce si levava da lui, non un rimprovero; anzi! Era lì che iniziava la magia: con la voce del bravo narratore di favole ci diceva: “se fate i bravi, c’è per voi una sorpresa…”. Ovviamente, la sorpresa non era tale, e sapevamo benissimo quale fosse, e l’aspettavamo con gli occhi colmi di magia. Giocattoli? Caramelle? Gelati? Qualsiasi altra cosa comprata col denaro? Assolutamente no! Era rituale e magia. Era solo acqua pura, cristallina. Ma era l’acqua di un rituale magico: “quella” fontanella di pietra (a Piedimonte), di “quella” piazzetta, con “quel” bicchiere. Era uno di quei bicchieri da campo, pieghevoli, d’alluminio: con le mosse eleganti ed elaborate delle mani di un prestidigitatore che ammalia il pubblico scopriva la scatoletta del bicchiere, lo apriva, lo lavava dentro e fuori con la solennità di un antico sacerdote egizio, e poi il sospirato premio dei sorsi di acqua favolosa nel bicchiere magico. Non bevevamo l’acqua, ma la magia dell’amore di quel nonno straordinario. 
L’altro esempio? Se facevamo i bravi durante la settimana, in via del tutto eccezionale (dovevamo guadagnarcelo!) ci portava nel magico “tondo-tondo” che non era altro che l’aia che si trova ancora sulla strada di Santa Domenica Vittoria davanti alla piazzola che allora ospitava una cabina elettrica. 
E passavamo delle ore a rincorrerci felici.
Possedeva un’arte perduta, nonno Antonio: l’arte di creare la magia in noi, di saper stimolare la fantasia che è in ogni bambino.
E, come questi, molti altri ricordi mi riportano a quell’uomo fuori dal comune.
Gli anni della pensione non furono mai inattivi, ma presi dagli affari (tra cui le briciole dei rimborsi dei danni di guerra da un governo di Roma che stentava a rispettare la legge), ma soprattutto della scrittura dei suoi ricordi d’Africa, trasformati in romanzi; solo uno vide la luce: il suo romanzo storico/autobiografico “Nei giorni del crollo”, pubblicato nel 1970, considerato come “effemeride storica” e che gli valse l’accoglienza fra i membri dell’Accademia Tiberina di Roma.
Stava lavorando alla correzione delle bozze del secondo quando sopraggiunsero i pesi delle catene del tempo.
Il lavoro si fermò per il deterioramento della vista sino alla cecità, e un po’ della mente che iniziava a perdersi, ma solo a causa del buio dei suoi occhi.
Ricordo che un giorno disse alla persona che si occupava di lui (e di cui parlerò sotto): “ragazzo, preparami delle uova al bacon, per la colazione”; e quando il “ragazzo”, ridendo, rispose “certo, signore”, Antonio riconobbe la voce e ripiombò nell’assoluta lucidità del presente e del luogo.
Semplicemente, nella cecità, quando ricordava i suoi tanti viaggi, poteva capitare di continuare nella visione; ma bastava qualcosa come la voce per riportarlo alla realtà. In quel caso, ridendo, raccontò che stava pensando ai giorni di Londra e ridendo disse: “scusa, Paolo”.
Già, perché il “ragazzo” era Paolo, mio padre, suo genero.
Quegli ultimi due anni furono tristi e meravigliosi a un tempo per entrambi, perché mio padre, che col matrimonio trovò in Antonio il padre che lo aveva lasciato morendo quando lui aveva 19 anni, poté accudirlo come non poté fare con suo padre; e Antonio trovava il figlio più amorevole che potesse sognare.
Mio padre, che lavorava all’ospedale, aveva anche la condotta di Passopisciaro, Solicchiata, Rovittello e Verzella; Paolo Damiano, che aiutava la moglie medico nel suo ambulatorio e nelle visite, aveva la forza di accudire il suocero andandoci almeno tre volte al giorno, per portargli il cibo, aiutarlo a lavarsi e vestirsi, e fargli compagnia.
Avevamo provato a portarlo a casa nostra ma dopo pochi giorni volle tornare a casa sua perché le poche, vaghe ombre che vedeva gli impedivano di muoversi in casa nostra mentre in casa sua era libero comunque di spostarsi per le stanze.
Questi furono gli ultimi due, tristi anni in cui, come ogni essere umano che arrivi a tarda età, dobbiamo pagare il tributo a Kronos l’implacabile. 
Il 23 luglio 1973 Antonio Petrullo si spegneva nella notte, serenamente, nel suo ultimo sogno e, chissà, forse tornando col suo perduto e amato figlio in quell’Africa dei giorni felici.

Maurizio Damiano  

     Il romanzo ” Nei giorni del crollo ” dopo una breve prefazione di Arnaldo Di Serio, inizia con questa bellissima poesia:

Randazzo in Fiore – 2019

 

 

 

Cappuccini

 

 

 Porta San Giuseppe  (Associazione UNITRE)

 Via Dei Lanza

 

 Via Sciacca

 

 

Artisti ed Espositori

 

 

Clicca per vedere Corso Umberto e Piazza Municipio 

: https://www.randazzo.blog/2019/06/19/randazzo-in-fior…piazza-municipio/

Parco Sciarone – Madonna di Fatima

 

Area Attrezzata demaniale Sciarone

                                 

Dal Comune di Randazzo si segue la segnaletica “Parco Polifunzionale Sciarone” a circa 1 km dal centro del comune si trova l’area attrezzata, l’ingresso al demanio Sciarone è consentito solo a piedi, l’area attrezzata si trova a circa 1 km da tale ingresso.
L’area attrezzata si trova a circa 600 m sIm – la vegetazione è costituita prevalentemente da bosco di roverella in passato governato a ceduo adesso in conversione ad alto fusto.
L’area comprende 8 tavoli completi di panche, presenza di fontanella per l’acqua, barbecue, l’area è accessibile a tutti, sono presenti i bagni anche per i disabili, area parcheggio esterna, sentiero natura, possibili escursioni in mountain-bike.
  –  Assenza di barriere architettoniche
  –  4 servizi igienici di cui 1 per disabili
  –  1 giochi: Percorso vita

Possibilità di effettuare pic-nic grazie a: 5 punti cottura, 16 tavoli, per un totale di 128 posti a sedere – 1 punto di acqua potabile.

 

 

 

   

 

NuovoDepliant_Premi2020
Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab
Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Per avere più notizie complete visita il sito del Prof. Nino Grasso che ha dato il maggiore contributo alla realizzazione del Parco.

 

PARCO SCIARONE -RANDAZZO  =  NOSTRA SIGNORA DI FATIMA

 

 CONCESSIONE DELL’INDULGENZA PLENARIA AL PARCO SCIARONE

 

Nino Grasso intervistato sulle apparizioni nella rivista “Maria con Te”

La Sacra Penitenzieria Apostolica della Santa Sede, il 9 marzo 2019, ha emanato due DECRETI di concessione dell’Indulgenza Plenaria per il Parco Sciarone:
DECRETO 
     Viene concessa l’indulgenza plenaria a chi partecipa giorno 18 marzo 2019 alla solenne benedizione della Via Crucis e del Calvario, edificati dietro la Cappella di Nostra Signora di Fatima.
II DECRETO 
     Viene concessa per i prossimi 7 anni l’indulgenza plenaria nelle celebrazioni religiose annuali al Parco Sciarone:

13 Maggio festa della Madonna di Fatima

14 Agosto vigilia dell’Assunzione di Maria al Cielo (anniversario dell’inaugurazione della Cappella)

Ogni qual volta si celebra ufficialmente la Via Crucis.

Per lucrare l’indulgenza plenaria bisogna confessarsi, fare la Comunione e pregare secondo le intenzioni del Santo Padre.

                                                                                               ——————————————————————————-

Articolo del Prof. Nino Grasso sulla Via Crucis e il Calvario realizzato al Parco Sciarone con il programma della manifestazione del 18 marzo 2019.

 

 

 PREMIO LETTERARIO

«IL “SANTUARIO SILVESTRE” DI NOSTRA SIGNORA DI FATIMA NEL PARCO SCIARONE DI RANDAZZO».

 

Giovedì 26 settembre 2019, si è svolta al Parco Sciarone la cerimonia della premiazione degli elaborati vincenti del Concorso Letterario «IL “SANTUARIO SILVESTRE” DI NOSTRA SIGNORA DI FATIMA NEL PARCO SCIARONE DI RANDAZZO». A presiedere l’evento è stato il Prof. Don Santino Spartà, ideatore del premio.

Alle 16.30 è iniziata la celebrazione della Via Crucis, guidata dal parroco del S. Cuore, P. Salvatore Grasso e seguita lungo tutto il meraviglioso percorso dai fedeli presenti con grande devozione e partecipazione.

Al termine del rito, davanti alla Cappella della Madonna, è seguita la premiazione dei vincitori a cui è stato consegnato sia il compenso in denaro che la pergamena. La Commissione ha riconosciuto come vincitori del Premio della I° Edizione 2019 i candidati:

CAGGEGI GIORGIO       CAMARDA LUDOVICO       CANTALI MATTIA      CONSALVO MARIO    DILETTOSO MORGANA

MAGRO GABRIELLA     PALERMO MARIA     SGROI VALENTINA     SPARTÁ FEDERICA.

Commozione hanno suscitato due particolarità dell’evento: la premiazione della signora Palermo Maria che, oltre ad aver partecipato al concorso, è venuta dalla provincia di Verona anche a ringraziare la Madonna di Fatima per la guarigione del marito.
Una pergamena speciale e un coppa ricordo sono stati anche donati ad una giovane signora che da anni assiste con grande dedizione il suocero Salvatore Sgroi cieco e bisognoso di aiuto.
Al termine della celebrazione, don Santino Spartà ha salutato i presenti con un “Arrivederci il prossimo anno”, dato che riparte per Roma, dove vive, ed ha promesso la II edizione del premio nel 2020.
Nino Grasso

 

     

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

A cura di Francesco Rubbino

Pro Loco Randazzo – Rassegna Poesie Dialettali 2012

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Pro Loco Randazzo – 10 Anni……. di Poesia

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Alfio Petrullo – La Umana Commedia

Un grazie di cuore a Maurizio Damiano che ci ha fatto avere questo libro scritto da suo zio che pubblichiamo.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Giacomo Rosa (1472/1548) – Francescano

Angela Militi

Angela Militi ricostruendo la storia de : La Chiesa e il Convento di San Francesco dei Frati Minori Conventuali a Randazzo, si imbatte in un francescano randazzese  Padre Giacomo Rosa molto famoso ai suoi tempi per la sua eloquenza e sepolto addirittura nel chiostro del Noviziato della basilica di Sant’Antonio a Padova.
Qui di seguito la storia.

Per coloro che volessero approfondire la storia del nostro Convento basta cliccare sul titolo per accedere al sito ” Randazzo Segreta” di Angela Militi che ringraziamo di cuore per averci raccontato questa storia.

 

 

La foto in copertina raffigura la Basilica di S. Antonio – Padova 

Stefano Bottari

STEFANO  BOTTARI

           

Nato a Fiumedinisi il 6 marzo 1907 ma fu sempre molto legato al vicino paese di Itala (ME) dove aveva gli affetti ed aveva intrapreso un’importante attività di ricerca e studio.
Iniziò la propria attività di studio con un corso di architettura presso l’
Università degli studi di Messina. Iscrittosi al corso di laurea in presso l’Università degli Studi di Catania conseguì il diploma il 5 novembre del 1931 discutendo una tesi sulle rime di Michelangelo.

Iniziò la docenza nel 1935 quando ottenne l’incarico di professore di Storia dell’arte medioevale e moderna presso l’ateneo messinese.
Nel successivo 
1937 ottenne il medesimo incarico alla facoltà di Lettere dell’Università di Catania e nel 1939 ebbe l’incarico di docente di storia dell’arte medioevale e moderna a Messina.
Dopo un ulteriore periodo di docenza a Catania dal 
1957 ottenne una prestigiosa cattedra all’Università degli studi di Bologna.
Nella sua attività si occupò anche di catalogazione e restauro d’opere d’arte (si ricorda soprattutto la sua consulenza per la 
Pinacoteca Zelantea di Acireale[2]) e di divulgazione con la rivista «Arte critica e Moderna».
Noi  ricordiamo  questo illustre critico d’arte per aver scritto un pregevole libretto: ” LE OREFICERIE DI RANDAZZO “, dove non si limita soltanto a parlare dei tesori delle nostre tre chiese, ma traccia un profilo della Città veramente ragguardevole.
Si spense a 
Bologna l’11 febbraio 1967

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Francesca Paolino

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

In questo libro da pag. 171 a pag. 179 parla di Randazzo e della Basilica di Santa Maria.

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

 

 

 

Fernando Mainenti – La Sicilia dei Castelli

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Gesualdo De Luca-Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie

Gesualdo De Luca, al secolo Giuseppe Ignazio, nasce a Cesarò nell’agosto del 1814.
Sicuramente avrà studiato al Real Collegio Capizzi di Bronte e dopo aver superato gli esami nel 1829  si trasferisce a Castelbuono per indossare la veste di cappuccino ed assumere il nome di Gesualdo.
Con questo nome firma tutte le sue opere letterarie.
Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1837. Dopo essere stato nominato segretario del  Procuratore generale dell’Ordine di Messina si trasferisce a Roma e nel 1848 segue a Gaeta il Papa Pio IX  che aveva abbandonato Roma.
Nel 1849 fa ritorno a Bronte  dove è nominato Lettore di Teologia Dogmatica e Morale delle scuole dell’Ordine.
Scrive più di cento opere (il più famoso ” Storia della Città di Bronte “).
A seguito della legge legge 3036 del 7 luglio 1866,che sopprime gli Ordini Religiosi,  diviene un “pericolo pubblico “. 
 Il 22 settembre 1866 padre Gesualdo fu arrestato per le sue idee filo borboniche e dopo 14 giorni di prigione messo in libertà.
Dopo alcuni anni di girovagare nel 1870 si trasferisce definitivamente a Bronte dove muore il 26 febbraio 1892.
Nel 1859 pubblica presso l’editore Galàtola di Ct : “ Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie detto in San Martino di Randazzo chiesa collegiata parrochiale a turno matrice “ che puoi leggere qui di seguito.

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab
 

Abbiamo inserito anche  “La Storia della Città di Bronte” per meglio conoscere l’Autore.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Giovanni Lo Castro

Giovanni Lo Castro è un pittore poco noto a Randazzo in quanto ha vissuto quasi sempre a Firenze. I suoi parenti sono i D’Antonio che abitarono a Crocitta nella via Gulloto in alto. Per chì se la ricorda era il fratello della signora Maria che tutti nel quartiere la chiamavano “donna Maria a irata ” ( nel senso di gelata). Avendo fatto una lunga ricerca ed interpellato diverse gallerie d’arte Luca Sforzini mi ha inviato questa lettera.

Gentile Signor Rubbino,

con preghiera di citare la fonte Luca Sforzini Arte Le indico quanto segue :

Giovanni Lo Castro, nato a Randazzo il 20 giugno 1897, visse a Firenze ove morì nel 1973.

Fu allievo del Massani e del Rossi, ed iniziò la sua attività espositiva nel 1924.

Partecipò ad importanti rassegne, tra cui spicca la Biennale di Venezia del 1926.

Sue opere figurano in rilevanti collezioni private e pubbliche, tra cui la Galleria d’Arte Moderna di Firenze (“La mendica” e “Natura morta”),
e la Galleria degli Uffizi (il suo Autoritratto).

Con i migliori auguri, e cari saluti alla bella Randazzo e alla zona attorno all’Etna che conosco ed amo.

Luca Sforzini

 

Giovanni Lo Castro – Dipinto ad olio – Decoratore di vasi – 1931

Lo Castro Giovanni olio su tela 1930 Mestieri antico quadro olio su tela design


Lo Castro è abbastanza ben quotato difatti ” il decoratore di vasi ” è quotato 1.800,00 euro mentre “Mestieri ” 3.800,00 euro.

a cura di Francesco Rubbino

Raimondo Diaccini – Vita del Beato Domenico Spadafora

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Federico De Roberto – CATANIA con 152 Illustrazioni

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Walther Leopold

L E O P O L D   W A L T H E R

La Chiesa di Santa Maria di Randazzo di Francesca Passalacqua

Randazzo è l’ultima tappa dell’itinerario di Walter Leopold: lo studioso ne apprezzava immediatamente le caratteristiche paesaggistiche particolari di un centro storico incastonato sui declivi dell’imponente vulcano, in cui individuava una grande quantità di edifici civili di epoca medievale, ma affermando che «il massimo interesse lo destano la Chiesa di Santa Maria e la torre di San Martino» [Leopold 2007, 146].
La cittadina etnea deve il suo sviluppo all’amministrazione normanna, che ne aveva fatto lo snodo territoriale tra la costa ica siciliana e l’interno del territorio [Natoli Di Cristina 1965,; Basile 1984,; Terranova 1985, ].

Francesca Passalacqua

Sito alle falde del vulcano, sull’estremo lembo di un’antica colata lavica, l’abitato cresceva entro le mura con un andamento fusiforme e si sviluppava per effetto di un «singolare sinecismo di tre gruppi etnici distinti, derivanti dal ceppo latino-arabo, da quello lombardo e da quello greco» [Natoli Di Cristina 1965, 69].
Tre nuclei, pertanto: ciascuno cresciuto intorno alla propria chiesa, così da simboleggiarne i rispettivi valori e le rispettive tradizioni.
Fin dall’età medievale, le tre chiese di San Martino, di San Nicola e di Santa Maria, schierate lungo l’asse centrale dell’impianto urbano, erano i cardini di una forma urbis scandita da tre quartieri attraversati da un reticolo di viabilità variamente intersecato.
Era stato proprio l’assetto medievale della cittadina etnea ad attirare, come s’è detto, Walther Leopold a Randazzo, e a consentirgli di riconoscerne l’appartenenza agli oppida lombardorum di Sicilia.
Non a caso egli scelse di disegnare, insieme agli edifici e alle chiese, anche particolari costruttivi e decorativi che accomunassero i centri urbani attraverso le architetture risalenti a quell’aulica esperienza formale.
Per le architetture randazzesi Walter Leopold concepì dieci tavole.
La chiesa di Santa Maria, il campanile della chiesa di San Martino e le due piccole chiese di San Vito e Sant’Anna venivano rappresentati in sei tavole, mentre le restanti quattro si occupavano di alcuni edifici civili: i palazzi Lanza e Clarentano e le case La Macchia e Spitalieri.
Interessato esclusivamente ai caratteri originari delle fabbriche, Leopold riportava nelle tavole le piante, alcune sezioni, i prospetti principali e, come sappiamo, ometteva volutamente gli interventi incongrui con il periodo esaminato, arricchendo altresì il disegno di un gran numero di particolari costruttivi che esaltavano la fondazione medievale degli edifici selezionati.
Alla chiesa di Santa Maria egli dedicò ben tre tavole, ricostruendone l’ipotetico assetto primitivo, eliminando quelle trasformazioni considerate posticce.

 

W.Leopold – Chiesa di Santa Maria 1910/1911 – Randazzo

 

W.Leopold – Chiesa di Santa Maria profilo laterale 1910/1911 – Randazzo

W.Leopold – Chiesa di Santa maria 1910/1911 – Randazzo

Disegnando il tempio maggiore, rappresentava un edificio interamente marcato dai soli caratteri medievali. Interessato soprattutto all’assetto esteriore e ai caratteri originari, Leopold tralasciava le modifiche che sarebbero intervenute successivamente all’interno e all’esterno della chiesa, trasformandone radicalmente l’impianto originario.
Dalle epigrafi di fondazione deduceva l’esemplarità federiciana della chiesa e, nel ridisegnare la pianta e il prospetto laterale, secondo i procedimenti costruttivi dell’epoca di fondazione, Leopold sostituiva persino il portale meridionale – più tardo – con il disegno di un portale preesistente.
La rappresentazione restava anche mutila del prospetto principale e della cupola, che avevano completato il cantiere tra il XVIII e XIX secolo.
L’analisi dell’edificio è introdotta (senza alcun commento) dalla rappresentazione del calco delle due epigrafi, che gli permettono di confermare l’impostazione planimetrica del tempio, composto da tre navate separate da due file di sei colonne a sostegno di archi e concluso dalla vasta area del transetto triabsidato [Leopold 2007, 148].
La prima tavola  riproduce l’area absidale della chiesa. Divisa in due parti, nella superiore rappresenta (a scala maggiore rispetto ai restanti disegni) il prospetto delle absidi e del transetto affiancato dalle relative sezioni delle cornici di coronamento.
Nell’ inferiore, invece, pone al centro la pianta dell’intero edificio, riportandone fedelmente soltanto i caratteri presumibilmente originari e inserendo lateralmente il disegno della cripta e la relativa sezione trasversale sormontata dalle absidi; completano la tavola i disegni dei particolari delle bifore del transetto, delle finestre absidali e delle sculture leonine, che Leopold ritrova incastonate nella muratura della cripta e che ritiene di epoca romanica [Virzì 1984, 243].
Nella seconda tavola , dedicata principalmente al prospetto meridionale dell’edificio, risaltano le omissioni.
Leopold infatti non disegnava il campanile del prospetto principale, tralasciava integralmente la cupola e sostituiva il portale laterale con un portale coevo alla costruzione della fabbrica, «conservato», a suo dire, «in un ripostiglio». Dovrebbe trattarsi del portale laterale, originariamente sul prospetto settentrionale, poi rimosso per dar posto all’attuale porta d’ingresso, che invece proviene dal prospetto principale. [Leopold 2007, 148].
Grande risalto ricevono invece i particolari costruttivi del doccione, della cornice di coronamento e delle diverse aperture (le bifore e la trifora) dell’area del transetto, che occupano la parte sottostante della tavola.
 Il suo rigoroso senso del restauro dell’architettura medievale induceva, per contro, lo studioso a rappresentare, nella terza tavola concernente il tempio di Santa Maria , i portali laterali rimossi dal disegno dei prospetti.
Databili non prima del XVI secolo – proprio in ossequio al Cinquecento – potevano meritare di essere rappresentati: un privilegio negato alle successive opere (quali le modifiche della zona absidale finalizzate alla copertura del transetto con cupola e la torre campanaria, ricostruita nel secondo Ottocento), che restavano del tutto ignorate [Mothes 1882, 576-577; Bottari 1950, 41-42]. 

Leopold attribuendo la costruzione della chiesa di Santa Maria al tempo di Federico II di Svevia, come attesta l’epigrafe ancora conservata nel portico sottostante la sacrestia, la riteneva, nel suo aspetto esterno «uno splendido esempio di architettura» di quel tempo.

Conclusioni

Alla fine degli anni Novanta, Mario Manganaro, docente di disegno all’Università di Messina, recentemente scomparso, celebrava il viaggio-studio di Leopold con una raccolta di disegni dal titolo: Isole nell’isola. Ripercorrendo l’itinerario dello studioso tedesco realizzava raffinate vedute dei centri siciliani «con lo spirito del diario grafico di un viaggiatore» e un animo attento e delicato come la sua mano di esperto disegnatore.  Rappresentando, ottant’anni dopo il viaggio-studio di Leopold, gli stessi luoghi, rilevati e disegnati dallo studioso tedesco, Manganaro riproponeva scorci e vedute delle isole, prescelte all’interno della nostra Isola, 

 

Mario Manganaro

scoprendo, ancora una volta, un panorama tanto variegato dei centri storici, quanto è varia la storia della Sicilia. 
Alla ricerca del medioevo lombardo, Manganaro come Leopold, aveva individuato quei monumenti che mantenevano salda l’origine della costruzione, malgrado le modifiche e le sovrapposizioni successive.
Era rimasto particolarmente affascinato dal campanile della cattedrale di Piazza Armerina, che, «serrato dalla poderosa fabbrica barocca, mostra sul fianco laterale

 

Mario Manganaro – Chiesa di Santa Maria 1997


la sua candida architettura originaria». [Manganaro 1998, 1], rappresentandolo con dovizia di particolari per esaltarne le forme gotiche.
L’autore, come tanti studiosi, confermava la validità dell’opera di Leopold che, con un approccio curioso ha contribuito a diffondere un patrimonio artistico che è testimone, tra i tanti popoli che si sono avvicendati nel corso dei secoli, della cultura lombarda in Sicilia.
Francesca Passalacqua

per saperne di più:

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

a cura di Francesco Rubbino 

Gaetano Basile

Il dottor commendatore Gaetano Basile nacque a Randazzo nel 1864 e mori nel 1952. Fu  uno fra i più illustri personaggi della nostra Città e non solo. 
 Medico provinciale a Ravenna, Trapani e Catania

Nel 1930 fu designato dal ministro per l’Interno, Pietro Parini,  Direttore Generale della Sanità Pubblica (1930-35) , in seguito divenne Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità (1934-35), Cavaliere di Gran Croce e Gran Cordone dell’Ordine della Corona d’Italia.
E’ giusto anche ricordare che Gaetano Basile fu il più illustre discendente di Don Antonino Basile e Gemellaro che nel 1760 comprò l’ufficio di Mastro Notaro della Corte Civile di Randazzo. Sia lui che i suoi discendenti si imparentarono con nobili famiglie locali (Marotta, Vaccaro, Fisauli) e di paesi limitrofi (Salleo di Sinagra, Sardo di Castiglione, Caldarera di Sant’Angelo).
Gli ultimi anni della sua vita li passò presso l’abitazione delle sorelle ( i signurini Basile) che si trovava  alla fine della via Galliano ai confini della contrada “Scimonetta”.
Le persone più anziane si ricordano ancora oggi  il lunghissimo corteo funebre dove parteciparono le più alte cariche provinciali della Sanità, della Politica e della Religione oltre a tantissimi cittadini, che lo accompagnarono in chiesa e dopo al cimitero.

Il Consiglio Comunale di allora gli dedicò la più bella, la più lunga e la più larga via della “nuova” Randazzo:
Via Gaetano Basile.

Recentemente il ponte dell’ex FF.SS. è stato rimesso a nuovo grazie alla generosità  signor Paolo Maio in ricordo della tragica morte di suo zio Francesco.

a cura di Francesco Rubbino

Albino Rubbino

Albino Rubbino nasce a Randazzo il 16 dicembre 1945 da Carmelo e La Piana Carmela. Secondo di quattro figli.
Nel quartiere della Crocitta è il bambino più conosciuto per la sua simpatia e generosità.
A dodici anni, all’improviso,  decide di andare a studiare al seminario di Acireale per intraprendere la vita sacerdotale. A 17 anni pensa di averne abbastanza e ritorna a casa. Si presenta da esterno all’Istituto magistrale di Acireale e consegue la maturità magistrale.
Si guarda intorno e capisce che Randazzo gli sta stretto.
Con Concetta la sorella maggiore, parte per Cislago (Va) e poi a Milano dove riesce ad entrare alla Fabbri Editore prima come correttore di bozze e poi  come collaboratore amministrativo seguendo come responsabile le edizioni delle Enciclopedie.
La sua vis polemica, siamo nei primi anni settanta del secolo scorso, lo porta a diventare sindacalista e viene eletto segretario aziendale della CISL dei Cartai e dopo segretario provinciale.
Dopo aver conosciuto la Sua compagna decidono di ritirarsi a Garda. Si licenzia dalla Fabbri e pensa di poter finalmente liberare il suo estro artistico.

 

 

 

Apre un negozio di ceramica che chiama “La Bottega del Sole” ed espone solo opere create da lui e da Giovanni De Simone  (il ceramista palermitano) di cui diviene amico.
Il paese di Garda – sul lago omonimo – vive di turismo e accoglie di buon grado Artisti che possono renderlo più vivo.
Un giorno recatosi sul lungolago a fare colazione in un chiosco al momento di pagare il gestore  gli chiede se è Lui il proprietario del negozio di ceramica artistica , alla risposta affermativa gli dice: “se permette offro io non solo ora, ma tutte le volte che vorrà perché lei con la sua bottega ha reso il mio paese più bello”.
Piccole soddisfazioni.  Questo tipo di lavoro gli permette di avere l’autunno e l’inverno libero e quindi gli consente di girare il mondo, altra sua grande passione, permettendogli di acquisire conoscenze ed ispirazioni per il lavoro di ceramista.
La sua ceramica rappresenta la Sicilia – all’ingresso del negozio posiziona una grande ruota di un carretto siciliano ridipinto da lui – con la sua magia, i suoi colori, le sue luci, i suoi sapori e viene molto apprezzata la sua vena artistica da una clientela sempre più numerosa. Una certa clientela fissa rimane veramente affascinata anche dalla sua personalità, dal suo modo di porsi, dalle sue eccentricità. Quando pensa, però, di essere riuscito a raggiungere una certa “notorietà” ecco che tutto precipita.

Nel 1991 incomincia il Suo “calvario” che durerà cinque anni.

Nel 1994  (la malattia ormai era in uno stato molto avanzato)  scrive questa lettera a una Sua nipote: 

Negarine 20.02.1994

            Ciao …………   Scusami il lungo ritardo; sono stato in un luogo ove ogni cosa diventa bianca, i pensieri, l’inchiostro, la memoria, i vestiti, gli amori,le parole, tutto insomma. Mi turbava tanto non riuscire a trovare le parole per chiamare il sole, e il povero era allo stremo delle forze. Qui ho combattuto contro gli Elfi Bianchi, una volta miei alleati ora invece al soldo dei loro nemici i piccoli e cattivi Topazzi .
Ho ripercorso strade un tempo gioiose per portare tristezza e lutto !
Abbiamo perso.  Ti sembrerà strano, ma sono contento. In fondo io sono sempre stato un Elfo delle Rocce ed ho convissuto con il popolo Buco della Lava.
Che gente buffa il popolo Buco della Lava !  Basta un pò di vento perché cantino lunghe nenie d’amore. Basta avvicinare la mano vicino a loro perché incominciano a ridere, soffrono il solletico ! 
Ma ora non voglio annoiarti parlandoti di me, se vorrai, Ti racconterò quando ci incontriamo (speriamo presto!):
Io volevo qui dirti che la Tua lettera mi ha molto commosso. Grazie………… arrivederci a presto, così se vorrai Ti farò conoscere i miei amici: gli Elfi delle Rocce ! 
Ciao Tuo Albino
 

Torna a Randazzo nel gennaio del 1996 e serenamente si spegne il 27 aprile del 1996.

 

Alcune produzioni:

 

Ritratto di suo padre.

 a cura di Lucio Rubbino

123
No announcement available or all announcement expired.