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Sovranismi – Dal Sovranismo Regionale al Sovranismo Nazionale di Mario Scalisi

 

MARIO SCALISI

DAL SOVRANISMO REGIONALE AL SOVRANISMO NAZIONALE

CANEPA

Vivevo a Siena da sei anni. Quattro erano stati necessari per conseguire la laurea nella locale Università.  L’anno successivo ebbi l’occasione di collaborare con un giornale di quella città. Il sesto anno mi fu conferito l’incarico d’insegnare al Liceo Scientifico “Poliziano” di Montepulciano e, per completare l’orario  di cattedra, all’Istituto Tecnico Commerciale “Redi” del medesimo paese.
All’inizio dell’estate del 1969, come di consueto, rientrai in Sicilia, a Randazzo, mia città natale, per trascorrere le solite vacanze estive.

 Immancabilmente ad attendermi alla stazione della ferrovia dello stato c’era l’amico Totò Del Campo, cancelliere presso la Pretura di Randazzo. E immancabilmente l’amico cancelliere mi accolse con la solita domanda : “tutto bene nei paesacci?”. Io, altrettanto immancabilmente, risposi: ”si:”. Alla  domanda del cancelliere attribuivo il valore di una battuta. Certamente non si può definire “paesaccio” la splendida Toscana.
Alla fine dell’estate, però, non rientrai a Siena. Mio padre aveva bisogno del mio aiuto per sovrintendere i lavori di taglio e di vendita degli alberi dell’immenso castagneto di una delle nostre proprietà. Operazione che si effettuava ogni venti anni. L’evenienza rese felici i miei amici, in primis il cancelliere del Campo e Santino Cammarata.
Santino Cammarata aveva ricoperto per un breve periodo la carica di Sindaco di Randazzo. Da tempo ci interessavamo dei problemi amministrativi del comune e ci prendevamo cura d’informare i concittadini con la pubblicazione e diffusione periodica di un opuscolo.
Il 17 giugno del 1970 a Randazzo, in località Murazzu Ruttu,  confluirono i rappresentanti dei vari movimenti indipendentisti della Sicilia. Il motivo era quello di commemorare il professor Antonio Canepa, capo dell’Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), davanti al cippo eretto nel luogo in cui i carabinieri gli tesero  un agguato che portò alla sua morte.
Mi tornarono alla mente tutti discorsi che sentivo durante la mia infanzia, quando, nelle sere d’estate, gli adulti si ritrovavano davanti alle porte di casa e  facevano salotto seduti su  sedie malferme. Nei loro discorsi c’era grande consenso per il MIS, Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Il bandito Salvatore Giuliano veniva dipinto come un eroe che avrebbe contribuito a far diventare la Sicilia un’ulteriore stella della bandiera degli Stati Uniti d’America. Qualcuno ricordava che negli anni successivi all’unità d’Italia, all’interno delle case delle famiglie più umili, era appeso il ritratto di Abramo Lincoln e non quello di Vittorio Emanuele II di Savoia.
Quel raduno dei movimenti indipendentisti avvenuto a Murazzu Ruttu e  il ricordo del fatto che uno dei miei fratelli quel 17 giugno 1945 si trovava nei pressi del luogo dell’agguato a Antonio Canepa, professore di storia delle dottrine politiche all’Università di Catania , mi fecero sorgere il desiderio di ricostruire gli ultimi giorni di vita del capo dell’EVIS

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Di questo mio progetto parlai con l’amico cancelliere Totò Del Campo. Sorridendo mi disse che nel dopoguerra lui era stato segretario del MIS di Randazzo. Nei giorni successivi mi fornì documenti riguardanti quel movimento indipendentista. Trovai una spiegazione alla domanda che mi faceva tutte le volte che rientravo a Randazzo “tutto bene nei paesacci?”, era conseguenza del motto separatista “al di là dello stretto il nemico”. Lo stretto è ovviamente quello di Messina.
All’inizio del mese di luglio del 1970 il cancelliere mi condusse a Francavilla di Sicilia e mi fece parlare col campiere dei feudi di Maria Majorca di Mortillaro, zia di Antonio Canepa e suocera di Franco Restivo, l’importante personaggio politico della Democrazia Cristiana, che ricoprì cariche pubbliche di grande rilievo. Fu componente dell’Assemblea Costituente, Presidente della Regione Siciliana, Ministro dell’Interno, della Difesa e dell’Agricoltura, rispettivamente nei governi presieduti da Giovanni Leone, Giulio Andreotti e Aldo Moro.

Il campiere  mi disse che il professor Antonio Canepa, autore dell’Opuscolo “La Sicilia ai Siciliani”, fondatore e capo dell’EVIS, Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia , qualche giorno prima di morire, fra il  13 e il 16 giugno 1945. si recò nel  feudo di  Maria Majorca di Mortillaro. Era accompagnato da due personaggi definiti dal campiere “silenziosi ed equivoci”. Sicuramente appartenenti o alla mafia o ai servizi segreti.”
Il feudo, di cui lui era il campiere, era base per il rifornimento di armi destinate all’EVIS.
In Sicilia la gente sapeva, a ragione, che l’Indipendenza trovava la compiacenza degli Inglesi e degli  Americani.  Ma gran parte della popolazione siciliana cadeva nell’errore di pensare che gli alleati sostenendo i movimenti indipendentisti della Sicilia intendessero cautelarsi per mantenere  sotto il loro controllo la strategica posizione dell’isola, nell’eventualità in cui l’Italia fosse rimasta sotto l’influenza di Tito e dell’Unione Sovietica.

 


Dai documenti ufficiali risulta, invece, che gli alleati non avevano mai pensato all’indipendenza della Sicilia, parlavano di “Italiani di Sicilia”.
Durante la conferenza di Yalta, che  ebbe luogo dal 4 all’11 febbraio 1945 e alla quale  parteciparono i capi dei tre paesi che sconfissero la Germania nazista: l’americano Franklin Delano Roosevelt, l’inglese Winston Churchill e il russo Iosif Stalin, fu concordata la spaccatura dell’Europa in due zone d’influenza. L’Unione Sovietica sarebbe stata potenza predominante nell’Europa Orientale e Centrale. Ma mentre si centellinò la proporzione d’influenza per ogni singolo stato europeo, nulla si disse dell’Italia, perché, in quella sede, fu considerata paese cobelligerante degli alleati.

E’ storia che i Siciliani tutte le volte in cui si sono trovati in stato di malessere sociale hanno sempre sfoderato l’indipendentismo.

 

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 gli Angloamericani, incontrando qualche difficoltà, sbarcarono in Sicilia, in un tratto di litorale lungo circa 150 chilometri  che va da Licata a Cassibile. La strategia dei comandi militari americani e inglesi era quella di stringere a tenaglia le truppe tedesche e impedire loro di trovare rifugio nell’Italia continentale. Da Licata dovevano partire operazioni militari in direzione di Palermo, da Cassibile in direzione di Catania e Messina.
Ai disagi patiti durante il periodo nazifascista si aggiunsero quelli derivanti dalle operazioni militari degli Americani e degli Inglesi. Randazzo, sede del comando tedesco, fu pesantemente bombardata dagli alleati per impedire gli spostamenti delle truppe tedesche, ma, quando entrarono in città, il generale Hube l’aveva già abbandonata per schierare le sue truppe in posizione più vantaggiosa.  Come sempre avvenuto per il passato, in una situazione così drammatica, rispuntarono i movimenti separatisti. Gli alleati li sostennero  per avere  la simpatia e l’appoggio della popolazione. Al sostegno degli alleati si aggiunse quello della mafia e del bandito Salvatore Giuliano.

 

Finalmente l’occupazione della Sicilia da parte degli alleati fu completata.

Nonostante molti comunisti e democristiani sostenessero il MIS, l’indipendenza della Sicilia non era vista di buon occhio dal Partito Comunista Italiano e, soprattutto, dalla Democrazia Cristiana di Salvatore Aldisio, allora Alto Commissario per la Sicilia. Aldisio preferiva la visione autonomistica di Luigi Sturzo. 
Divennero imbarazzanti i rapporti con l’EVIS, frutto della trasformazione del GRUPPO ETNA operata da Canepa. IL GRUPPO ETNA, guidato e composto da uomini di sinistra, fu artefice di diverse azioni armate nell’ambito della resistenza  in Sicilia contro il nazifascismo.

La mattina del 17 giugno 1945  mio fratello Gaetano, in groppa  all’asino, si recava nella nostra proprietà agricola in località “la Nave” nel confinante comune di Maletto.  Giunto a Murazzu Ruttu, poco fuori Randazzo, scorse  dei carabinieri appostati  in una curva della strada. Percorse qualche centinaio di metri e incontrò un motocarro che procedeva in direzione di Randazzo. Su quel motocarro viaggiavano il Professor Canepa  e quattro giovani: Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi. Dopo poco sentì degli spari. Si trattava del conflitto a fuoco, a seguito del quale trovò la morte il professor Antonio Canepa, capo dell’EVIS. Mio fratello ebbe l’impressione che quei carabinieri appostati stessero aspettando il passaggio di quel motocarro, partito da Cesarò per raggiungere il feudo di  Maria Majorca di Mortillaro.

Nei primi mesi del 1970 informai anche Santino Cammarata della mia ricerca di testimonianze tese a ricostruire le ragioni che portarono all’agguato di Murazzu Ruttu e alla morte di Antonio Canepa. Lui sapeva chi aveva trasportato all’ospedale Canepa e mi organizzò un incontro.

Qualche giorno dopo incontrai  Vincenzo Mazza davanti alla chiesa di San Martino, quartiere lombardo di Randazzo. Mi confermò di aver trasportato Canepa all’ospedale: “ Viaggiavo per lavoro col mio motocarro. Giunto a Murazzu Ruttu i carabinieri imposero l’alt a me e al motocarro di Luigi Arcidiacono. Notai subito che era successo qualcosa di grave e che c’erano dei feriti. Sul mio motocarro sdraiammo il professor Canepa.  I carabinieri dissero che si trattava di pericoloso brigante e ci imposero di seguire un percorso tortuoso che ritardò l’arrivo in ospedale. Il personale dell’ospedale di Randazzo fu messo in uno stato di ansia di fronte a quell’uomo definito brigante pericoloso. Finché non passò il dottor Giuseppe Petrina, che conosceva Canepa,  e disse “ma che brigante e brigante, questo è il professor Canepa”. Era troppo tardi. il prof Canepa, gravemente ferito all’inguine, morì dissanguato di lì a poco.”

La dinamica dello scontro a fuoco fra carabinieri e gli uomini dell’ EVIS che viaggiavano su quel motocarro insieme al professor Canepa ha avuto versioni diverse.


Da testimonianze raccolte sembra  che la trappola fu organizzata dai servizi segreti inglesi. A Canepa fu consegnata una borsa piena di soldi che doveva costituire il suo lasciapassare al controllo dei carabinieri. Ma quando i carabinieri imposero l’alt al motocarro del professor Canepa ci fu una sparatoria anomala, perché appostati c’erano alcuni giovani comunisti, due di Randazzo e tre dei paesi vicini. Uno di questi, alla fine della sparatoria alla quale aveva partecipato, prese la borsa di soldi, che avrebbe dovuto costituire il lasciapassare del povero prof Canepa, e la restituì ai carabinieri. Quella borsa scomparve  nel nulla. La vicenda dell’agguato a Canepa resta comunque oscura e imprecisa, come i tanti misteri della politica italiana.
C’è chi suppone che essa nasconda un regolamento di conti fra comunisti. Altri che collegano ad essa l’attentato a Togliatti da parte di Antonio Pallante.

Ma quali erano gli argomenti degli Indipendentisti dell’EVIS? Basta leggere “la Sicilia ai Siciliani”, l’opuscolo pubblicato dal professor Antonio Canepa, con lo pseudonimo Mario Turri. L’assunto è che “tutte le volte che la Sicilia è stata indipendente, tutte le volte che si è governata da sé , è stata anche forte, ricca e felice. Invece tutte le volte che abbiamo dovuto obbedire ai padroni venuti dal continente, siamo stati deboli, poveri e disprezzati.”

Quindi passa in rassegna le conseguenze delle dominazioni fatte dal continente.

La prima dominazione italiana fu fatta da Roma. I Romani erano un popolo incolto. Umiliarono e saccheggiarono il benessere spirituale e materiale  che fin dagli antichissimi tempi i Fenici e i Greci avevano portato in Sicilia. I governanti romani erano una banda di ladri. Imposero tasse, trafugarono statue d’oro e d’argento, si appropriarono delle risorse naturali della Sicilia e portarono il tutto “al di là dello stretto”.
  La popolazione fu ridotta in schiavitù.

La seconda dominazione fu quella della Monarchia Borbonica. Nel 1848 la Sicilia insorse per affermare la propria indipendenza da Napoli e per diciotto mesi fu libera.
La terza dominazione è quella derivante dall’Unità d’Italia, da Garibaldi al periodo liberale e al regime fascista.
Sempre furono trascurate e oppresse le ambizioni e le spettanze  dei Siciliani e la Sicilia fu trattata come un problema coloniale a vantaggio degli interessi Piemontesi.
Gli argomenti del MIS erano i medesimi, ma esposti in modo più aulico e sentimentale. Basti leggere la lettera dal carcere scritta da Attilio Castrogiovanni  considerato fra i più dinamici del MIS in quanto teneva i rapporti con l’EVIS, di cui, dopo la morte di Canepa, divenne per breve tempo comandante.

 

Il MIS continuò ad impegnarsi, come aveva sempre fatto, nell’organizzare i propri iscritti in sezioni territoriali, nell’  elaborare e nell’ approvare gli statuti interni del movimento.  




A fatica trovò un esponente di spicco: Andrea Finocchiaro Aprile, docente di Storia del Diritto all’Università di Siena.

Ineluttabilmente l’indipendenza della Sicilia tornò ad essere un sogno. Fu concessa l’Autonomia.

I vari movimenti indipendentisti si adoperarono per farsi accreditare dalle Autorità regionali. Alle elezioni indette per formare il parlamentino siciliano ottennero pochi voti.

Alcuni di essi, però, s’impegnarono a tenere aperto il problema dell’indipendenza della Sicilia a livello europeo.

A Marsiglia fu creata la sede del porta parola della Sicilia in Europa.

BOSSI

A novembre del 1970 abbandonai Randazzo, mentre ricoprivo la carica di vicesindaco, e mi trasferii in Valle Imagna, nella bergamasca, dove mi fu assegnata una cattedra per l’insegnamento nella Scuola Media di Sant’Omobono. Con l’abbandono di Randazzo abbandonai anche la ricerca sui retroscena politici italiani che determinarono la morte di Canepa.
In Valle Imagna, dove vivo da oltre cinquant’anni, mi è stata data l’opportunità di ricoprire diverse cariche elettive.
Alla fine degli anni ottanta, quando la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania cominciò a prendere piede, ricoprivo anche la carica di Presidente del Consorzio Idrico della Valle Imagna. L’Assemblea del Consorzio era formata da Sindaci e Consiglieri Comunali in rappresentanza di ciascun comune aderente al Consorzio Idrico che venivano eletti dai singoli Consigli Comunali.
La Lega Nord fu il risultato dell’Unione di vari movimenti: La Lega Lombarda, che propugnava la secessione dall’Italia, la Liga Veneta, Piemonte Autonomista, l’Unione Ligure e Alleanza Toscana. 
Agli inizi degli anni novanta l’Assemblea del Consorzio Idrico accolse i primi rappresentanti della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, quelli del comune di Palazzago. Erano il Sindaco Ferruccio Bonacina e il consigliere comunale  Cristiano Forte.
Già conoscevo gli argomenti dei leghisti. A parti invertite coincidevano con quelli del movimento per l’indipendenza della Sicilia. I leghisti  vedono la ricchezza delle regioni del Nord fagocitata da “Roma Ladrona” e sperperata per l’assistenzialismo dell’inetto Meridione d’Italia , di conseguenza creano lo slogan “Prima il Nord”.
Proprio per questo parallelismo fui interessato a dialogare con i due rappresentanti leghisti di Palazzago. In particolare con Cristiano Forte, che in quel tempo era anche impegnato a coordinare, per conto della Lega, i rapporti fra imprenditori bergamaschi e Comunità Europea. Successivamente, dal 2004 al 2006, ricoprì la carica di segretario Politico della Lega Nord di Bergamo.
Con Cristiano Forte parlai dell’indipendentismo siciliano e dei problemi effettivi delle regioni dell’Italia Meridionale e della Sicilia. Gli feci visionare alcuni documenti propagandistici del MIS. Fu particolarmente incuriosito dal fatto che un ufficio del Separatismo Siciliano avente sede a Marsiglia rilasciava ai nati in Sicilia che ne facevano richiesta, una carta d’identità valida per spostarsi nella Comunità Europea,.
Umberto Bossi con la Lega Lombarda prima voleva perseguire la secessione dall’Italia, poi da capo della Lega Nord per l’indipendenza della Padania il termine secessione divenne indipendenza. Ma la sostanza non cambiava.
Il leader massimo della lega non andava per il sottile, manifestò disprezzo per il tricolore dicendo che quando lo vedeva s’incazzava e che “la bandiera italiana gli serviva per pulirsi il culo”. S’impegnò a divinizzare il Po e organizzò in modo esemplare i raduni a Pontida, dove i suoi fedeli, vestiti in modo folcloristico, trovarono la tribuna mediatica per inveire contro Roma e l’inetto meridione d’Italia.
Per rafforzare l’immagine di separazione della Padania dal resto d’Italia, prese le distanze dalla nazionale di calcio, creò la Padania Football Association A.S.D. e organizzò il concorso per l’elezione di Miss Padania.
Non poteva mancare la costituzione del Parlamento della Padania. E non poteva mancare la creazione della Guardia Padana per vigilare le strade “dove si annidano puttane e culattoni e dove, complice l’oscurità, si annidano gli infidi negri, rom, ladri, nomadi, zozzi comunisti, drogati.”

Creò i suoi gadget indipendentisti. La carta d’identità della Repubblica Federale Padana, 

e coniò la moneta della Banca Nord Nazione.

 

 

Tale animus, col quale si rivelava livore verso l’Italia di Roma ladrona e dei terroni, nella realtà di quel periodo, lasciava aperta a Bossi solo la via di un’insurrezione armata per poter realizzare l’indipendenza della Padania.
I Francesi avrebbero detto che  Bossi  si era cacciato in un cul de sac, cioè in un vicolo cieco. Nessuno, né a livello nazionale né a livello internazionale, avrebbe compreso e sostenuto azioni tese a spaccare l’Italia.
Il programma della Lega di Bossi non trovava riscontro in nessuno dei partiti politici italiani. Né in quelli di centrodestra: Forza Italia, UDC e Alleanza Nazionale, né in quelli del centrosinistra: Partito Democratico della Sinistra e Partito Popolare Italiano.
Essendo impossibile la secessione armata, la Lega Nord di Bossi ritenne conveniente entrare nelle stanze del Governo Nazionale per realizzare una qualche riforma che desse più poteri alle Regioni  con conseguenti maggiori vantaggi per le Regioni padane.
A partire dalle elezioni del 1994, navigando fra centrodestra, centrosinistra e centrodestra, la Lega Nord, intraprese la strada della devolution, che consisteva in una incisiva riforma della Costituzione. A fronte della  devolution, che, fra l’altro, recepiva il trasferimento di alcuni poteri alla competenza esclusiva delle regioni, Bossi rinunciò a ciò che non avrebbe mai potuto realizzare: l’indipendenza padana a mezzo della secessione.
La devolution fu definitivamente approvata dal Parlamento nel 2005, ma fu bocciata dal referendum costituzionale del 2006.
Morto un Papa se ne fa un altro. La Lega Nord calò sul tavolo dei giochi politici il Federalismo Fiscale. Serviva per Assegnare agli enti decentrati una maggiore autonomia di entrate e spese. Per introdurre il Federalismo Fiscale  non c’era bisogno di operare alcuna riforma della carta costituzionale.
Il federalismo fiscale della Lega Nord nel 2011 finì sepolto sotto le macerie della caduta del governo Berlusconi. Bossi si trovò con in mano un pugno di mosche e un consenso elettorale in caduta libera.
Per chiudere definitivamente le velleità della Lega Nord non fu necessario organizzare un agguato a Bossi, come quello organizzato per eliminare Canepa a Murazzu Ruttu. Bossi l’agguato se lo era organizzato da solo. La Lega Nord infatti aveva truffato allo Stato circa 49 milioni di euro, parte dei quali spesi a vantaggio dei motivi familiari del Senatùr.
Ad aprile del 2012, nel corso del Consiglio federale tenutosi nella sede di Via Carlo Bellerio, Bossi si dimise da segretario federale della Lega Nord, fu nominato presidente del partito. Al triunvirato Maroni, Calderoli, Dal Lago fu affidata la reggenza del partito  sino all’elezione del nuovo segretario federale.
Qualche mese dopo, il  1° luglio 2012, Roberto Maroni fu nominato nuovo Segretario Federale della lega Nord.

SALVINI

Roberto Maroni ricoprì la carica di segretario della Lega Nord per poco più di un anno. Il “barbaro sognante” si dimise il 15 dicembre 2013 per dedicarsi in modo completo ai compiti derivanti dalla carica di Presidente della Regione Lombardia conquistata a seguito delle elezioni del 2013.

Nuovo segretario della Lega Nord è eletto Matteo Salvini.

La sua elezione costituisce il punto terminale delle lotte intestine della Lega. Chiude o cerca di chiudere le vecchie ferite, ma ne provoca delle altre.
Sono contenti tutti i leghisti che erano stati emarginati o espulsi dal partito perché non graditi al “cerchio magico” di Umberto Bossi.
Nella Lega Nord di Salvini, dei vari obbiettivi perseguiti da Umberto Bossi resta vivo , ma problematico da realizzare, il federalismo  fiscale.
Problematico da realizzare perché Salvini intraprende la via della trasformazione della Lega Nord da partito del Nord d’Italia in partito nazionale. Cioè passa dal sovranismo regionale al sovranismo nazionale.
Questa trasformazione avviene in modo graduale ma irreversibile, nonostante l’irritazione dei leghisti fermamente convinti della necessità d’indipendenza per la Padania. Dal simbolo della Lega sparisce la parola Nord. Esso diventa Lega Salvini Premier.
Tutti gli slogan contro i terroni sono trasformati in attestazioni di amore verso il Sud d’Italia.

PRIMA

                                                                             

         DOPO 

                                                                  

Salvini ha le caratteristiche dell’uomo giusto per effettuare il passaggio dal sovranismo regionale a quello nazionale. Senza problemi dimentica il suo passato di capolista dei comunisti padani nel Parlamento della Padania e le sue frequentazioni, anche se saltuarie, del centro sociale Leoncavallo di Milano. Dimentica allo scopo di poter scambiare sorrisi  col movimento politico di estrema destra  Casapound e per potersi esibire al fianco di Marine Le Pen presidente del Fronte Nazionale francese.  
Conseguentemente deve abbandonare la sua  fede marxista e sbandierare quella cristiana. Probabilmente senza aver approfondito né i valori essenziali dell’una né quelli dell’altra.
Salvini fa della lotta all’immigrazione il suo cavallo di battaglia, grazie al quale ottiene consenso popolare. Purtroppo esordisce con una foto contradditoria.
Col manifesto attaccato alla parete Salvini intende evidenziare il fatto che, i pellerossa, avendo subito l’immigrazione degli Inglesi, sono finiti a vivere nelle riserve. Contemporaneamente Salvini indossa una maglietta che rappresenta il Presidente Trump e i suoi slogan contro l’immigrazione e solleva il pollice in segno di approvazione.
A Salvini è sfuggito il fatto che gli Inglesi non erano emigrati in America. In America avevano operato una conquista coloniale.
E gli è sfuggito il fatto che Donald  Trump è il discendente di quegli “immigrati” che erano sbarcati in America e avevano confinato nelle riserve i Pellerossa.


Non importa. Salvini può dire agli Italiani qualsiasi cosa. Può dire persino che è possibile andare in bicicletta sulla Luna. Circa il 30% degli elettori ci crede e magari pensa che Capitan Salvini sia una reincarnazione di Jules Verne.
Divenuto sovranista nazionale Salvini  si comporta in modo coerente. Se il sovranismo regionale aveva l’obiettivo di rompere l’unità dell’Italia, il sovranismo nazionale non può avere altro obiettivo se non quello di scombinare la possibile evoluzione delle istituzioni europee verso una forma di unione più compatta e autorevole a livello mondiale.
Non abbandona del tutto la campagna “Basta Euro”, snobba le istituzioni europee, si esibisce solo con quei capi di stato che svolgono il ruolo di pensarla come lui.
Cerca di instaurare  rapporti con Trump e Putin. Ma lo fa da dilettante della politica internazionale.
I rapporti con i capi di stato stranieri si tengono dopo aver preventivamente approfondito i loro obiettivi, gli interessi dello stato che rappresentano, le relazioni che essi hanno con gli altri stati e con i rispettivi operatori economici.
Salvini forse ha capito qualcosa dall’ “affaire Savoini” La Russia di Putin teneva i rapporti con gli imprenditori veneti e con Berlusconi a mezzo di persone più autorevoli e più competenti del suo intermediario.
E forse ha capito che per il capo di un partito che si propone di governare l’Italia è sconveniente tifare apertamente per uno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
L’amicizia dell’Italia è con il popolo americano e col Presidente che essi esprimono democraticamente.
I fatti  sopra enumerati costituiscono parte dell’azione politica fin ora effettuata da Salvini ed evidenziano le sue contraddizioni più evidenti.
L’impegno politico di Salvini è ancora in corso. Per tale motivo non ritengo lecito esprimere un giudizio sul suo operare, perché sarebbe un giudizio politico e non storico.
Bisogna attendere. I lavori sono ancora in corso.
Credo, però, che sia possibile esprimere qualche sensazione. Per la Lega delle origini aveva un senso portare all’occhiello Alberto da Giussano. E aveva un senso che, come conseguenza, si sentisse risuonare nelle orecchie il “Va pensiero sull’ali dorate…”.
Con Salvini Italiano L’inno “Fratelli d’Italia”, cantato da lui, sembra un po’ stonato.
Il suo comportamento attuale fa risultare enigmatico il contenuto dei suoi discorsi e inutile entrare nel merito dei suoi ragionamenti. Un motivo musicale risuona spontaneamente nelle nostre orecchie: “La  donna è mobile qual piuma al vento. Muta d’accento e di pensier”.
Ora resta solo da attendere con quali modalità e con quali contradizioni avverrà il passaggio della Lega Nord dal sovranismo nazionale al sovranismo dell’Unione Europea, frenato proprio dai sovranismi nazionali.
Quali sconquassi combinerà con la sua alleata/avversaria Giorgia Meloni  Presidente dei FdI.

Mario Scalisi

 

 

 

 

 

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