L E O P O L D W A L T H E R
Nacque a Bologna il 18 Gennaio 1882 da Gustavo Leopold e da Anna Sandholz.
La coppia si era stabilita a Bologna dove Walter nacque e visse fino ad undici anni quando, in seguito alla morte del marito, la madre ritornò in Germania e Walter frequentò le scuole medie a Dusseldorf, Bad Godesberg e Lorrach.
Si iscrisse alla facoltà di Architettura dell’Università di Friburgo e continuò gli studi a Monaco e a Dresda, dove si laureò l’otto luglio 1910, in un ambiente culturale che proponeva il neogotico, soprattutto col suo professore Hartung che lo invogliò alla ricerca in Sicilia del gotico medievale.
Dopo la prima guerra mondiale sposò la bolognese Mariantonietta Neri e nel 1921 ritornò in Italia, a Milano, dove coltivò vari interessi culturali.
Nel 1941 si trasferì a Bologna.
Morì a Sulzano sul lago d’Iseo il 19 giugno 1976 e fu sepolto a Bologna.
La sua opera principale (e forse unica) è la sua tesi di laurea, pubblicata a Berlino nel 1917, col titolo “Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo”.
Egli giunse con la madre in Sicilia il 28 novembre 1910 ed iniziò il suo lavoro ad Enna (allora Castrogiovanni) l’1.12.1910; fu a Piazza Armerina dal 19. 1. 1911, a Nicosia dal 28.1, e a Randazzo dal 21 febbraio fino al 15 marzo del 1911.
Ad Enna studiò il palazzo Varisano, palazzo Chiaramonte, la matrice, le torri campanarie di S. Giovanni e del Carmine, la torre di Federico ed il Castello di Lombardia.
A Piazza Armerina la chiesa di S. Andrea, della Commenda, della Madonna del Gorgo Nero, la torre del Carmine ed il campanile del duomo.
A Nicosia le chiese di S. Nicolò, di S. Michele, di S. Benedetto e particolari del palazzo Speciale in via Giudecca.
A Randazzo la chiesa di Santa Maria, il campanile di S. Martino, casa Scala(o palazzo reale), casa La Macchia, chiesa di S. Nicola, di S. Vito, di Sant’Agata, il rosone della chiesa di S. Stefano, palazzo Lanza, palazzo Clarentano, casa Scala , due case in vicolo dell’ Agonia, una casa in via Romeo, casa Spitaleri, casa Menessali, palazzo Rumbolo, una finestra di casa Calderara, altra casa in via Calderara, un portale in via Cavallotti(oggi via Sottotenente Francesco Fisauli), una monofora in casa vicina a chiesa di Santa Maria, la bifora di casa Camarda, finestre in via Cavallotti, una monofora in via Roma.
Il Leopold era alla ricerca del gotico in Sicilia , oltre che nei centri noti di Palermo, Cefalù e Messina, nelle città interne e “lombarde”, come località e culture più intrise di cultura ed arte dell’Europa centrale.
Il lavoro del Leopold consiste in un vasto repertorio di disegni e schizzi puntuali e precisi (era la mano di un architetto) di edifici e di particolari architettonici (un semplice portale o una semplice finestra) che egli effettuò con ammirevole scrupolo e pazienza, sopportando i rigori di un inverno freddissimo (i ghiaccioli dai tetti che stupirono la madre Anna , bolognese, ma esperta del clima della Germania) e fornendo ai futuri studiosi e cultori d’arte e storia informazioni inedite ed originali che fecero da spunto e stimolo, come nel caso della descrizione del tetto ligneo dipinto della Chiesa di S. Nicolò di Nicosia che è il fiore all’occhiello dell’indagine del Leopold.
Infatti tale tetto, coperto e reso invisibile da un nuovo sottostante tetto, era rimasto quasi sconosciuto agli stessi Nicosiani (non certo ai frequentatori della chiesa, come dimostra il sacerdote Salvatore Gioco nel suo volume “Nicosia Diocesi”) per cui si parlò di scoperta del Leopold, e poi di altra scoperta del professore Giovanni De Francisco negli anni Settanta.
Santo Casalotto*
*Santo Casalotto è nato a Nicosia (En) il 2.11.1945 si laurea in Lettere Moderne a Catania e subito inizia ad insegnare ad Omegna e poi a Nicosia passando alla cattedra di Italiano e latino al liceo classico fino al pensionamento nel 2005. Da allora si dedica alla famiglia coltivando l’interesse per la storia e la cultura locale e componendo versi e racconti anche in dialetto gallo-italico.Ha scritto diversi articoli sul periodico locale “ L’ Eco dei Monti” e negli “ Atti delle giornate di stria locale”.
Ha collaborato con Lo Pinzino e D’Urso all’adattamento ed alla pubblicazione nel 2006 de “La Casazza di Nicosia”, un testo drammatico compilato in manoscritto dal canonico De Luca agli inizi del 1800 sulla Passione di Cristo.
Ha Scritto e pubblicato nel 2008, assieme A Salvatore Lo Pinzino, il volume “Nicosia e la Valle del Salso” evidenziando, tra l’altro, l’importanza , per la storia e l’economia di Nicosia, del sale e di altri minerali estratti in passato nel territorio di Nicosia.
Nel 2015 ha pubblicato, col Lo Pinzino e Il D’Urso, il rifacimento del manoscritto dal canonico Provenzale dal titolo “ Nicosia città di Sicilia Antica, Nuova, Sacra e Nobile”.
Nel 2017,in occasione del bicentenario della erezione della Diocesi di Nicosia, ha collaborato alla stesura del volume “Superaddita diei” di Gaetano Zito.
Ha in corso di pubblicazione il testo stampato e riadattato del trattato “ De Morbi Pandemici causis, symptomatibus et curatione” del famoso medico e filosofo nicosiano Marcello Capra.
Spera di poter pubblicare i frutti delle ricerche effettuate sull’opera e gli scritti dell’arcivescovo di Monreale Francesco Testa e del fratello Alessandro Testa, opere concernenti la storia e la cultura siciliana del 1700.
Altri lavori sono già pronti per la pubblicazione riguardano il papa nicosiano Leone II; le vicende delle chiese di Calascibetta contese, fino a qualche secolo fa tra il potere politico e la Chiesa; e la biografia di frate Vitale ,uno dei più importanti frati cappuccini inserito dal Boverio e dall’ Aremberg tra i “Fiori Serafici”.
Nella sua ricerca nel territorio ha riscoperto e rivalutato la statua della ridenominata “Madonna del cammino”, ora posta in un altare della Chiesa di S. Francesco di Paola; la statua e la chiesa di S. Ubaldo; la statua del Gagini della “Madonna del Soccorso”.
Propone di recuperare e valorizzare le statue della “Madonna dei pescetti” e di Santo Stefano vescovo, attualmente trascurate ed emarginate in angoli di sacrestie e in umide, buie e “sepolte” cripte.
La Chiesa di Santa Maria di Randazzo di Francesca Passalacqua
Randazzo è l’ultima tappa dell’itinerario di Walter Leopold: lo studioso ne apprezzava immediatamente le caratteristiche paesaggistiche particolari di un centro storico incastonato sui declivi dell’imponente vulcano, in cui individuava una grande quantità di edifici civili di epoca medievale, ma affermando che «il massimo interesse lo destano la Chiesa di Santa Maria e la torre di San Martino» [Leopold 2007, 146].
La cittadina etnea deve il suo sviluppo all’amministrazione normanna, che ne aveva fatto lo snodo territoriale tra la costa ica siciliana e l’interno del territorio [Natoli Di Cristina 1965,; Basile 1984,; Terranova 1985, ].
Sito alle falde del vulcano, sull’estremo lembo di un’antica colata lavica, l’abitato cresceva entro le mura con un andamento fusiforme e si sviluppava per effetto di un «singolare sinecismo di tre gruppi etnici distinti, derivanti dal ceppo latino-arabo, da quello lombardo e da quello greco» [Natoli Di Cristina 1965, 69].
Tre nuclei, pertanto: ciascuno cresciuto intorno alla propria chiesa, così da simboleggiarne i rispettivi valori e le rispettive tradizioni.
Fin dall’età medievale, le tre chiese di San Martino, di San Nicola e di Santa Maria, schierate lungo l’asse centrale dell’impianto urbano, erano i cardini di una forma urbis scandita da tre quartieri attraversati da un reticolo di viabilità variamente intersecato.
Era stato proprio l’assetto medievale della cittadina etnea ad attirare, come s’è detto, Walther Leopold a Randazzo, e a consentirgli di riconoscerne l’appartenenza agli oppida lombardorum di Sicilia.
Non a caso egli scelse di disegnare, insieme agli edifici e alle chiese, anche particolari costruttivi e decorativi che accomunassero i centri urbani attraverso le architetture risalenti a quell’aulica esperienza formale.
Per le architetture randazzesi Walter Leopold concepì dieci tavole.
La chiesa di Santa Maria, il campanile della chiesa di San Martino e le due piccole chiese di San Vito e Sant’Anna venivano rappresentati in sei tavole, mentre le restanti quattro si occupavano di alcuni edifici civili: i palazzi Lanza e Clarentano e le case La Macchia e Spitalieri.
Interessato esclusivamente ai caratteri originari delle fabbriche, Leopold riportava nelle tavole le piante, alcune sezioni, i prospetti principali e, come sappiamo, ometteva volutamente gli interventi incongrui con il periodo esaminato, arricchendo altresì il disegno di un gran numero di particolari costruttivi che esaltavano la fondazione medievale degli edifici selezionati.
Alla chiesa di Santa Maria egli dedicò ben tre tavole, ricostruendone l’ipotetico assetto primitivo, eliminando quelle trasformazioni considerate posticce.
Disegnando il tempio maggiore, rappresentava un edificio interamente marcato dai soli caratteri medievali. Interessato soprattutto all’assetto esteriore e ai caratteri originari, Leopold tralasciava le modifiche che sarebbero intervenute successivamente all’interno e all’esterno della chiesa, trasformandone radicalmente l’impianto originario.
Dalle epigrafi di fondazione deduceva l’esemplarità federiciana della chiesa e, nel ridisegnare la pianta e il prospetto laterale, secondo i procedimenti costruttivi dell’epoca di fondazione, Leopold sostituiva persino il portale meridionale – più tardo – con il disegno di un portale preesistente.
La rappresentazione restava anche mutila del prospetto principale e della cupola, che avevano completato il cantiere tra il XVIII e XIX secolo.
L’analisi dell’edificio è introdotta (senza alcun commento) dalla rappresentazione del calco delle due epigrafi, che gli permettono di confermare l’impostazione planimetrica del tempio, composto da tre navate separate da due file di sei colonne a sostegno di archi e concluso dalla vasta area del transetto triabsidato [Leopold 2007, 148].
La prima tavola riproduce l’area absidale della chiesa. Divisa in due parti, nella superiore rappresenta (a scala maggiore rispetto ai restanti disegni) il prospetto delle absidi e del transetto affiancato dalle relative sezioni delle cornici di coronamento.
Nell’ inferiore, invece, pone al centro la pianta dell’intero edificio, riportandone fedelmente soltanto i caratteri presumibilmente originari e inserendo lateralmente il disegno della cripta e la relativa sezione trasversale sormontata dalle absidi; completano la tavola i disegni dei particolari delle bifore del transetto, delle finestre absidali e delle sculture leonine, che Leopold ritrova incastonate nella muratura della cripta e che ritiene di epoca romanica [Virzì 1984, 243].
Nella seconda tavola , dedicata principalmente al prospetto meridionale dell’edificio, risaltano le omissioni.
Leopold infatti non disegnava il campanile del prospetto principale, tralasciava integralmente la cupola e sostituiva il portale laterale con un portale coevo alla costruzione della fabbrica, «conservato», a suo dire, «in un ripostiglio». Dovrebbe trattarsi del portale laterale, originariamente sul prospetto settentrionale, poi rimosso per dar posto all’attuale porta d’ingresso, che invece proviene dal prospetto principale. [Leopold 2007, 148].
Grande risalto ricevono invece i particolari costruttivi del doccione, della cornice di coronamento e delle diverse aperture (le bifore e la trifora) dell’area del transetto, che occupano la parte sottostante della tavola.
Il suo rigoroso senso del restauro dell’architettura medievale induceva, per contro, lo studioso a rappresentare, nella terza tavola concernente il tempio di Santa Maria , i portali laterali rimossi dal disegno dei prospetti.
Databili non prima del XVI secolo – proprio in ossequio al Cinquecento – potevano meritare di essere rappresentati: un privilegio negato alle successive opere (quali le modifiche della zona absidale finalizzate alla copertura del transetto con cupola e la torre campanaria, ricostruita nel secondo Ottocento), che restavano del tutto ignorate [Mothes 1882, 576-577; Bottari 1950, 41-42].
Leopold attribuendo la costruzione della chiesa di Santa Maria al tempo di Federico II di Svevia, come attesta l’epigrafe ancora conservata nel portico sottostante la sacrestia, la riteneva, nel suo aspetto esterno «uno splendido esempio di architettura» di quel tempo.
Conclusioni
Alla fine degli anni Novanta, Mario Manganaro, docente di disegno all’Università di Messina, recentemente scomparso, celebrava il viaggio-studio di Leopold con una raccolta di disegni dal titolo: Isole nell’isola. Ripercorrendo l’itinerario dello studioso tedesco realizzava raffinate vedute dei centri siciliani «con lo spirito del diario grafico di un viaggiatore» e un animo attento e delicato come la sua mano di esperto disegnatore. Rappresentando, ottant’anni dopo il viaggio-studio di Leopold, gli stessi luoghi, rilevati e disegnati dallo studioso tedesco, Manganaro riproponeva scorci e vedute delle isole, prescelte all’interno della nostra Isola,
scoprendo, ancora una volta, un panorama tanto variegato dei centri storici, quanto è varia la storia della Sicilia.
Alla ricerca del medioevo lombardo, Manganaro come Leopold, aveva individuato quei monumenti che mantenevano salda l’origine della costruzione, malgrado le modifiche e le sovrapposizioni successive.
Era rimasto particolarmente affascinato dal campanile della cattedrale di Piazza Armerina, che, «serrato dalla poderosa fabbrica barocca, mostra sul fianco laterale
la sua candida architettura originaria». [Manganaro 1998, 1], rappresentandolo con dovizia di particolari per esaltarne le forme gotiche.
L’autore, come tanti studiosi, confermava la validità dell’opera di Leopold che, con un approccio curioso ha contribuito a diffondere un patrimonio artistico che è testimone, tra i tanti popoli che si sono avvicendati nel corso dei secoli, della cultura lombarda in Sicilia.
Francesca Passalacqua
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a cura di Francesco Rubbino