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Angela Militi – La Chiesa di S. Agata – fra le 99 Chiese di Randazzo.

     La “città delle novantanove chiese”: così è stata definita per tradizione Randazzo, per via dei numerosi edifici ecclesiali, risalenti a varie epoche, eretti sul territorio. Alcuni di essi, nel tempo e/o per opera dell’uomo, sono scomparsi e ne resta solo la memoria storica desunta dai documenti d’archivio o dalle informazioni presenti nei manoscritti del reverendo Giuseppe Plumari.  E’ il caso della chiesa di Sant’Agata.
Fuori dalle antiche mura di Randazzo, a sud della città, si trova Piazza Tutti Santi, la quale porta con sé una storia antica, infatti, in quel luogo, fino a diversi decenni fa, sorgeva la chiesa di Sant’Agata.

Non si conosce con esattezza la data di fondazione dell’edificio ecclesiale, poiché, a oggi, non ci sono pervenute notizie documentarie in merito, tuttavia essa è da collocarsi nella seconda metà del XII secolo, data la somiglianza stilistica con la chiesa di San Vito e quella di Santo Stefano.
Un documento presente presso l’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo, ci consente di stabilire un terminus ante quem sulla data di edificazione dell’edificio sacro. Il primo dicembre del 1345 Raimondo de Pezzolis, arcivescovo di Messina, concede 40 giorni di indulgenza a coloro che si recheranno causa devocionis seu peregrinacionis nella chiesa di Sant’Agata, posta in territorio terre di Randacii  extra menia in contrada detta La Fussaza, nella ricorrenza della festività di sant’Agata.
Questo documento testimonia che a quella data la chiesa era già esistente ed aveva una qualche rilevanza[1].
Si ha notizia che nei primi anni del 400 il giuspatronato della chiesa era esercitato dal notaio Francesco de Mallono, il quale con atto di transazione, datato 25 gennaio 1409[2], cedeva a Tommaso Crisafi, arcivescovo di Messina, la metà dei profitti di un vigneto in vitae subsidium[3].
Altre notizie relative alla chiesa di Sant’Agata provengono da alcuni documenti notarili del notaio Tommaso Andriolo, conservati presso l’Archivio di Stato di Messina, dai quali apprendiamo che:
con un atto notarile datato 4 ottobre 1426 rogato in Messina che vede testimoni, Philippus de AgrigolaIohannes de Alona e Bartuchio Piza, il notaio Franciscus Mallono nomina cappellano dell’ecclesia Sancta Agatha extra mura, di cui ha lo jus patronatus, l’arciprete Geraldus de Henrico, con l’obbligo di curare l’amministrazione di tutti i beni della cappellania; la nomina è confermata, per competenza, dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina che conferisce all’arciprete l’investitura per anulum[4].
L’arciprete Geraldus de Henrico rinuncia all’incarico di cappellano della chiesa di Sant’Agata extra moenia, che da poco gli è stato conferito, con un atto datato 4 ottobre 1426 stipulato in Messina alla presenza di Pino PictellaPhilippus Pictella e Fridericus de Celsa[5].
Il 5 ottobre 1426 con atto rogato in Messina con le testimonianze di Iohannes de SolanoPetrus de Stagnario e Andreas de Paulillo, il presbiter Philippus de Agrigola di Randazzo nomina suo procuratore il notaio Franciscus Mallonu, affinché possa rappresentare davanti al Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina, la sua protesta contro il cappellano Geraldus de Henrico, dal quale chiede la restituzione della domus lasciata in eredità dal defunto Matthei de Leofanto all’ecclesia di Santa Maria di Randazzo e non alla cappellania della chiesa di Sant’Agata[6].
Con atto del 5 ottobre 1426, il notaio Franciscus Mallono nomina suo procuratore il presbiter Philippus de Agrigola di Randazzo, affinché si occupi dei suoi affari ecclesiastici e temporali nella terra di Randazzo, e, principalmente, per visitare l’ecclesia di Sant’Agata e verificare la gestione della stessa da parte del cappellano Geraldus de Henrico[7].
Il 3 settembre 1427 con atto rogato in Messina, testimoni Robertus MirabelloZullo de Leo e Nardo Barralamono, il notaio Franciscus Mallono per diritto di jus patronatus sulla chiesa di Sant’Agata, nomina cappellano della stessa il presbiter Antonius de Bruno, il quale oltre a svolgere le funzioni religiose e amministrare i beni della cappellania che consistono in un vigneto, alcune case, un palmento ed altri beni siti in contrada “de la Fossaza” di Randazzo, dovrà apportare, entro quattro anni, le riparazioni necessarie alla chiesa, alle case e al palmento; se il cappellano adempirà ai suoi doveri la sua nomina sarà riconfermata per altri quattro anni e al settimo anno dovrà, altresì, rinnovare la vigna piantando cinquecento viti.
La nomina del cappellano è convalidata dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Messina[8].
Il documento datato 6 settembre 1427 rogato in Messina alla presenza di Iohannes de AgathaNicolaus Mariconda e Philippus de Lignamine, mette in evidenza che il cappellano Geraldus de Henrico, ora defunto, non ha adeguatamente amministrato la chiesa e i suoi beni, facendoli deteriorare e morendo ha lasciato, in mano ai suoi eredi alcuni beni della cappellania. Per questo motivo il notaio Franciscus Mallono nomina suo procuratore il presbiter Philippus de Agrigola, affinché questi provveda a farsi restituire dagli eredi del presbiter Geraldus i beni della chiesa da loro detenuti[9].
Una prima succinta descrizione della chiesa viene data dal tedesco Walter Leopold che nella sua tesi di laurea in ingegneria “Sizilianische bauten des mittelalters in Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia und Randazzo”, pubblicata a Berlino nel 1917, così descrive la chiesa:

     «Un po’ meno primitiva, ma danneggiata da costruzioni più recenti aggiunte a sud e a nord, è la struttura di Sant’Agata. L’archivolto a sesto acuto dell’ingresso principale è modanato; anche l’esecuzione della cornice al di sopra è più ricca, così come quella della ghiera che incornicia l’oculo.
I prospetti laterali presentano una finestrella ciascuno, quello a sud ha una porta eseguita come quella dell’ingresso principale.
L’abside è illuminata da una piccola finestra con arco a tutto sesto posta in basso. La cappella all’interno è affrescata fino all’altezza di circa due metri.
La superficie della parete è suddivisa da fasce perpendicolari in parecchi stretti campi, che formano una decorazione a pinnacoli e nicchie; negli scomparti intermedi sono dipinte scene bibliche, nei pinnacoli, santi. Sulla parete di fronte a chi entra, a destra e a sinistra del coro, sono rappresentati angeli.
La pittura è di carattere tardo-gotico»[10].

A corredo del suo studio, il Leopold realizzò, altresì, un rilievo architettonico (planimetrico e prospettico) della stessa.

Figura 1: Rilievo architettonico della chiesa di Sant’Agata

La chiesa presentava un impianto planimetrico ad unica aula rettangolare, coperta con tetto ligneo, terminante in una piccola abside semicircolare coronata da semicalotta definita sul fronte da arco a sesto acuto.

     Nel 1932 Enzo Maganuco, professore di Storia dell’Arte e Tradizioni popolari nelle Università di Catania e Messina, giunto a Randazzo con la speranza di rinvenire una qualche traccia della chiesetta di Sancta Maria in Nemore[11], visitò la chiesa di Sant’Agata e nel suo scritto “Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre” riporta:
     «La chiesetta, piccola e di colore ferrigno, col suo rosoncino altissimo sulla porticina, gotica solo nell’arco, chè al posto di colonnine o di pilastri si trovano dei modestissimi conci squadrati, porta agli spigoli della parete frontale conci lavici alternati, legati da malta bianchissima e, più in basso, alla stessa altezza degli stipiti della porta conci angolari più tozzi, più rozzi e meno estesi.

chiesa di Sant'Agata

Figura 2: Chiesa di Sant’Agata, foto di Enzo Maganuco

Nel giardinetto che si apre dietro l’abside, se detto, c’è un pozzetto gotico ottagono, simile in tutto a quello del giardino del Palazzo del Duca di S. Stefano in Taormina.

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Figura 3: Taormina, Palazzo dei Duchi di Santo Stefano, pozzo ottagonale

Si accede al giardino per una porticina posteriore aperta direttamente sull’abside dietro l’altarino […]. Accanto a questa porta arbitraria e tardiva ve n’è un’altra di pura impronta gotica, a sagoma tardo dugentesca ben conservata e che dovette appartenere alla sagrestia che però per certo non comunicava direttamente con la chiesatta […].

Chiesa di Sant'Agata, Portale

Figura 4: Chiesa di Sant’Agata, portale, foto di Enzo Maganuco

Da finestra destra – l’unica sopravvissuta – in pietra bianca di Comiso, a feritoia, ora otturata e ben visibile dall’interno, consta di un archetto a pieno centro strettissimo e di tasselli che fanno da pilastrini laterali, tasselli di varia grandezza in semplice e vago modo distribuiti.
All’interno, […] colpiscono l’occhio gli affreschi sopravvissuti alle ingiurie degli uomini che più del tempo hanno crostato l’intonaco e l’arricciato piantando chiodi e travi.
Gli affreschi ricorrono per tutte le pareti, meno la calotta absidale. Non v’è traccia di affresco solo sulla parete interna corrispondente al muro frontale»[12].

 

 

 

 

Figura 5: Ricostruzione 3d della chiesa di Sant’Agata. Cliccare su ciascun affresco per visualizzare le relative schede

Qualche studioso identifica erroneamente la chiesa di Sant’Agata con quella di Tutti Santi, la quale sorgeva di fronte il convento di San Francesco di Paola, come si evince da una pianta litografica della Città, fatta realizzare dal reverendo Giuseppe Plumari;

 

 

                Figura 6: Particolare della Pianta litografia della città di Randazzo, luogo dove era la chiesa di Tutti  Santi contrassegnato con il numero 21

per di più, lo stesso reverendo nel suo manoscritto Storia di Randazzo, elencando le chiese di Randazzo, scrive: «Chiesa di S. Agata V. e M. esistente nel Piano di Tutti Santi […] Chiesa di Tutti Santi, da pochi anni abbandonata, ed oggi demolita»[13]. Il Sommarione[14] del Catasto provvisorio siciliano del 1852, registra, presso la Porta di San Francesco di Paola, la chiesa di Tutti i Santi e un’altra chiesa senza nome, di proprietà del Comune, come dirute[15].
Nell’area oggi non si distingue alcuna vestigia della chiesa: un contributo decisivo per individuare con esattezza l’ubicazione dell’edificio ecclesiale, viene da una mappa catastale urbana datata 1877[16].
Dalla lettura della mappa si rileva, la presenza, all’estremità sud della città, di un edificio contrassegnato con il numero di particella (o mappale) e una croce, indicativa delle costruzioni destinate ai culti cristiani.

Part. mappa 1877

Figura 7: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877

Agli inizi del 900, come si può leggere da una mappa d’impianto[17] – conservata presso il catasto di Catania –, l’edificio, la cui planimetria è rimasta invariata, non è più contrassegnato dalla croce e risulta suddiviso in tre mappali (3026, 3025, 2194).

Stralcio foglio impianto 103b

Figura 8: Particolare del Foglio d’impianto 103/B di Randazzo

La Tavola Censuaria – redatta dopo la formazione delle mappe d’impianto –, riporta i mappali 3026, 3025 e 2194 come fabbricati urbani rispettivamente di mq 46, 74 e 87[18].
Il Registro partitario del vecchio Catasto Urbano, rileva il mappale 3026, il 10 dicembre 1934, “come area di fabbricato demolito” e l’appartenenza di esso a Genovese Antonino di Carmelo[19]. Il mappale 3025 – subalterno 1, il 22 luglio 1940, risulta appartenere a Genovese Annunziata fu Antonino, la quale dichiarava che veniva in possesso del fabbricato per successione e nuova costruzione[20], mentre il subalterno 2 risultava appartenere a Genovese Francesco fu Antonino[21]. Queste acquisizioni rivestono una grande importanza, poiché da esse si evince che parte della chiesa (mappali 3026 e 3025) era già stata demolita prima dei bombardamenti del 1943.
Il mappale 2194 – subalterno 1, il 21 dicembre 1939, risulta appartenere alla parrocchia di San Nicola di Randazzo, concesso in livello/enfiteusi a Zuccarello Bonaventura Giovanni per un canone annuo di lire 4.20[22], mentre il subalterno 2 risulta essere stato ceduto in compravendita, dallo stesso Zuccarello Bonaventura Giovanni, a Zuccarello Domenico[23].

Attualmente l’area della chiesa di Sant’Agata, è occupata da due edifici attigui che si affacciano sulla piazzetta.

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Figura 9: Randazzo, Piazza Tutti Santi dove era ubicata la chiesa di Sant’Agata

NOTE

[1] Spinella B. M. R., La Cattedrale di Santa Maria di Messina nei documenti dell’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo (1282-1412), Tesi di dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali (XXVI ciclo), Università degli studi di Catania, Anno Accademico 2012/2013, Reg. 49, p. 181.
[2] 1410.
[3] Starrabba R., I diplomi della cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico, in «Documenti per servire alla Storia di Sicilia», Prima serie-Tabulari, vol. I, fasc. IV, Palermo, 1878, p. 234, doc. CCXVII: «Anno MCCCCIX, XXV Januarii, III Indictionis, Frater Thomas Crisafi Archiepiscopus Messanensis transigit cum Francisco Millono, patrono Ecclesiae Sanctae Agatae Randatii (cujus vineam, veluti suam, nulliter alienaverat) quod donec viveret medietatem fructuum dictae vineae percipere possit in vitae subsidium, post vero mortem ejusdem integri fructus ad Ecclesiam praedictam pertineant».
[4] Archivio di Stato di Messina, Fondo notarile, notaio R. Tommaso Andriolo. Anni 1416-1418, vol. 2.
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Ibidem
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] Leopold W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007, p. 154.
[11] Ovvero la chiesa di Santa Maria del Bosco, menzionata in vari documenti fin dall’XI secolo.
[12] Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956, pp. 12-14.
[13] Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77, vol.I, Libro III, p. 325, nn. 41 e 49.
[14] Registro descrittivo delle proprietà, in cui sono notati i dati relativi al nome del possessore, alla natura, all’ubicazione, alla superficie, alla classe di produttività e alla rendita della proprietà.
[15] Archivio di Stato di Catania, Fondo Catasto provvisorio siciliano, Sommarione di Randazzo, anno 1852, vol. 2229, Sezione I, nn. 189 e 198, p. 289.
[16] Montera C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983, p. 8.
[17] Le mappe d’impianto di Randazzo furono realizzate tra il 1890 e il 1912 (il rilevamento particellare fu eseguito tra il 1908 e il 1911, mentre la rappresentazione in mappa tra il 1908 e il 1912). Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Atlante Comune di Randazzo.
[18] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Tavola Censuaria, Randazzo.
[19] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Registro partitario, Randazzo.
[20] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 1174.
[21] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 1180.
[22] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 3233.
[23] Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Randazzo, Foglio di mappa 103/B, Modello 58, n. 3230.

FONTI ARCHIVISTICHE

Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio
Atlante Comune di Randazzo.
Sezione cartografia, Foglio d’impianto di Randazzo 103/B.
Randazzo, foglio di mappa 103/B, Modello 58, nn. 1174, 1180, 3233, 3230.
Registro partitario, Randazzo.
Tavola Censuaria, Randazzo.

Archivio di Stato di Catania
Fondo Catasto provvisorio siciliano, Sommarione di Randazzo, anno 1852, vol. 2229.

Archivio di Stato di Messina
Fondo notarile, notaio R. Tommaso Andriolo. Anni 1416-1418, vol. 2.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

LEOPOLD W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007.

MAGANUCO E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956.

MONTERA C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983.

PLUMARI G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77.

SPINELLA B. M. R., La Cattedrale di Santa Maria di Messina nei documenti dell’Archivio Ducale Medinaceli di Toledo (1282-1412), Tesi di dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali (XXVI ciclo), Università degli studi di Catania, Anno Accademico 2012/2013.

STARRABBA R., I diplomi della cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico, in «Documenti per servire alla Storia di Sicilia», Prima serie-Tabulari, vol. I, fasc. IV, Palermo, 1878.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Figura 1: Rilievo architettonico della chiesa di Sant’Agata: Leopold W., Architetture del medioevo in Sicilia a Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia e Randazzo, traduzione a cura di Leopold A., contributi di Leopold A., Lombardo R., Prescia R., Scarpignato G., Enna, Il Lunario, 2007, p. 155.
Figura 2: Chiesa di Sant’Agata: Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, in «Esercitazioni sull’arte siciliana», Scuola Salesiana del Libro, Catania-Barriera, 1956.
Figura 4: Chiesa di Sant’Agata, portale: Maganuco E., Cicli di affreschi medievali a Randazzo e a Nunziata di Giarre, op. cit..
Figura 6: Particolare della Pianta litografia della città di Randazzo: Plumari G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, 1847-49, voll. I-II, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77, vol.II.
Figura 7: Particolare della mappa catastale urbana di Randazzo, 1877: Montera C., Una città… e le sue «recenti» vicende urbanistiche, in «Randazzo notizie», Anno II°, n. 4, Gravina di Catania, 1983, p. 8.
Figura 8: Particolare del Foglio d’impianto 103/B di Randazzo: Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Catania – Territorio, Sezione Cartografia. Per gentile concessione.

RINGRAZIAMENTI

Un doveroso ringraziamento è rivolto all’Ufficio Provinciale di Catania – Territorio: in particolare il dottor Luigi Valenti, direttore dell’Ufficio, per la gentilezza e per l’autorizzazione alla pubblicazione della mappa di impianto di Randazzo; il dottor ingegnere Giuseppe Marchetta, responsabile reparto staff, per la disponibilità offertami; il dottor Francesco Cicillini, responsabile cartografia, per il tempo che mi ha dedicato e le preziose delucidazioni.
Un ringraziamento particolare va al dottor Filippo Bertolo per la sua amicizia, per il suo aiuto e la sua disponibilità.
Un sincero ringraziamento va a mio marito Enzo per l’aiuto incondizionato nelle mie ricerche.

Pubblicato il  da angela-militi.  

Il sito di Angela Militi é:  www.randazzosegreta.myblog.it

Chiesa di San Nicola

                   
Così Giuseppe Plumari ed Emmanuele descrive nella:
” STORIA DI RANDAZZO trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia (1847) “, la chiesa di San Nicola.

 

CHIESA DI SAN NICOLO           

            Nel Rione centrale della nostra Città, abitato già dal Popolo TRIOCALINO, e da loro nomato TRIOCLA, vi fù sin dal Primo Secolo eretta la primitiva Cattedrale della Chiesa TRIOCALITANA di Sicilia, dedicata al SS.mo SALVATORE. Correndo poi l’Anno di Nostra Salute 448, nuovo edificio fu eretto, e più rispettabile, di questa Chiesa istessa; quale secondo Tempio fu nuovamente dedicato al Magno S. NICOLO’ Vescovo di Mira. Laterale a detta Chiesa, e contiguo alla vetusta Tribuna, vi fu eretto un grandioso Campanile costruito a tre ordini, oltre del Primo Piano, sotto il disegno della Gotica Architettura; E nella sua Zoccolatura portava la seguente Iscrizione:

  1. O. M.
    TENPLUM.  HOC.   PRIMITUS.

    SANCTISSIMO.  SERVATORI.
    HODIE
    DIVO.  NICOLAO.  MAGNO.
    DICATUM
    E. V.  P.  CCCCXLVIII.           

Ma poiché questa Chiesa era stata decorata dalla Cattedra Vescovile per il Vescovo della Chiesa di TRIOCLA come ciò sarà meglio dimostrato a suo luogo, è stato questo il motivo, per cui per ogni tempo ha ritenuto, come ritiene sin oggi, il Caratteristico Segno della Vescovale Cattedralis qual’è l’Agnello Pasquale di Rilievo, scolpito in Pietra Marmorea, sulla di Lei Porta Maggiore nel suo esteriore Prospetto, oltre di tenerne un altro più antico al di dentro su la Porta Maggiore istessa.


            L’antico e mentovato suo campanile, nell’Anno 153? attesta la sua Vetustà, minacciava rovina; e l’ Imperator CARLO V., che si trovò di passaggio in RANDAZZO non approvando che si demolisse, per non perdervi il pregio dell’antica sua Architettura, stimò piuttosto di farlo fortificare con grosse Catene di Ferro a spese del Regio Imperiale suo Erario; Ma con ???  universale restò poi demolito nel Secolo XVIII, motivo, che il Terremoto del Dì II Gennaio 1693 lo aveva ridotto quasi esquilibrato.

            Fu questa Chiesa, per fine, fabbricata la terza volta, ed ingrandita a tre Navi, come fin oggi esiste,  perfezionata, però, nell’Anno 1582:. Ciò dimostra una Lapidaria Iscrizione posta al Sud nell’esterno di detta chiesa, nel quale si legge quanto segue:

  1. O. M.
    VETUSTAS.  CONFECIT.

    TEMPUS.  DISFECIT.
           POSTERITAS.  SUMPTIBUS.
                 PUBLICIS.  ET.  PRIVATIS. 
                PULCRIUS.  REFECIT. 
            D. LXXXII.           

Fan memoria, il Ragusa in Suis Elogiis, ed il Magnos in suo Novo Laertio, di FIRMIONE Triocolitano celebre tra i Scrittori Ecclesiastici della Chiesa di Sicilia; sebbene il Mongitore nel II Tomo della di lui Biblioteca, atteso che non ebbe Ei sotto l’occhio suo la di costui produzione, non ebbe difficoltà di noverarlo fra gli Apocrifi Scrittori: Eppure FIRMIONE della nostra TRIOCLA, onor della Patria, e decoro della Nazione, fu uno Verace, ed unquemai Apocrifo Scrittore, comparato coll’Illustre Monsignor GIOVANNI DI GIOVANNI, che la Storia Ecclesiastica seppe tessere della propria Patria. Nacque Egli nella nostra novella Città di TRIOCLA, e visse nel Quinto Secolo Cristiano. Il di Lui originale Manoscritto, che della Storia di nostra Chiesa trattava fino al quinto Secolo, fu gelosamente custodito nella Cassa del Tesoro della mentovata Ex-Cattedrale Chiesa di S. Nicolò, ove solito era di custodirsi i Privilegi, e le Carte più preziose della Città.
            Entrato l’Anno 1718, in cui ebbe luogo la sanguinosa Guerra di Francavilla fra Tedeschi e Spagnuoli, vi fu in RANDAZZO un passaggio Straordinario di tanta Truppa Spagnuola, quanta, non bastando a riceverla i Conventi, si bisognò alla rimanente dare alloggio nelle Chiese, la prima delle quali, che venne occupata, come la più grande fra tutte le chiese del Comune, fu la mentovata Ex-Cattedrale di S. NICOLO’.

            Il Capitan d’Arme D. GIORGIO LICARI, allora, Patrizio di questa Città, nella quale occupò Cinque volte la Carica di Capitano Giustiziere, temendo che le Truppe alloggiate in questa Chiesa non avessero dato fuoco a tutti i Privilegi, e Carte preziose, che quivi tenevansi conservate, opinò di allontanarle da quel luogo, e trasportar le medesime nel proprio di lui Palazzo, fra le quali vi fu trasportato il Manoscritto Originale suddetto del nostro FIRMIONE.

            Dalla Famiglia Licari passarono queste Carte in potere dell’Arciprete di questa Città Canonico D. ANTONIO VENTURA, il quale morendo, nel Maggio 1772, le lasciò nelle mani del di Lui Padre Spirituale Canonico D. GIUSEPPE NAPOLITANO, e BRUNO all’oggetto di tenerle ben custodite, come puntualmente praticò per tutta la di Lui Vita.

            Questi a più d’uno disse, ch’era Egli Custode di un Manoscritto antico in Carta Pergamena, che valeva più di tutto RANDAZZO.

            Morte poi di quasi morte repentina esso Canonico NAPOLITANO, il di costui Fratello nomato Mro NICOLO’, di professione falegname, che vive ancora quasi nonagenario, avendo venduto nel 1815 tutti i Libri dell’estinto suo fratello ad un Libraio Viaggiante, per nome D. Gaetano Scordino di Castrogiovanni, ha venduto assieme cogli altri Libri, questo pregevole Manoscritto Originale, che portava per titolo PHIRMION TRIOCOLITANUS , nelle cui mani lo vide il fu altro Canonico D. Antonio Cimino , il quale lo trovò tutto vergato nelle due Lingue Greca e Latina; Ed avendolo premurato di volerlo comprare, il Libraio non volle venderlo, dicendo, che dal medesimo poteva cavar più profitto di quanti Libri tenea; E nel giorno seguente di buon mattino partì, e prese la direzione per Catania, senza che mai più si fosse indi veduto in questa nostra Città. Tale è stata la disgrazia avvenuta alla nostra Patria, colla perdita del più luminoso Monumento, che riguardava il Rione Centrale della Nostra Città di TRIOCLA, e le Memorie della Chiesa nostra TRIOCALITANA, in quelle stagioni dedicata al Taumaturgo S. NICOLO’ Vescovo di Mira.

 

                                                                                                                                             ***

Così Padre Luigi Magro Cappuccino (al secolo Santo Magro (1881-1951)  descrive nel libro: “CENNI STORICI DELLA CITTA’ DI RANDAZZO (1946) “ la Chiesa di San Nicola.

 

CHIESE  CATTOLICHE  –  SAN  NICOLO’

            Nel Rione centrale della nostra Città, abitata dal popolo Triocalino e da questi no­mata Triocla fin dalla metà del primo secolo, venne eretta la prima Cattedrale della Chiesa Triocalitana di Sicilia, col Vescovo Pellegrino mandatovi da S. Pietro, come sarà detto nel capitolo VIII°:
Questa primitiva Chiesa dedicata al SS. Salvatore, venne ingrandita nel 448 e consacrata al grande S. Nicolò di Bari, Vescovo di Mira.
Laterale a questa Chiesa e contiguo all’antica Tribonia vi fu eretto un grandioso campanile a tre ordini, oltre alla base, di gotica architettura con fastigio aguzzo; nello zoccolo portava la seguente iscrizione:

D.O.M.TEMPLUM. HOC. PRIMITUS.

SANCTISSIMO. SERVATORI.HODIE.

DIVO. NICOLAO. MAGNO.DICATUM. A.E.V.P.  
                  CCCCXLVIII.
 

traduzione italiana: A Dio Ottimo Massimo – questo Tempio che in origine – era dedicato – al Santissimo Salvatore – oggi invece – viene dedicato – al grande S. Nicolò – Anno Dal Parto della Vergine  448.
            Il campanile già cadente per la sua antichità, formò oggetto di interesse, nel 1535, da parte dell’Imperatore Carlo V° che si trovava di passaggio in Randazzo.
Conoscendo che le autorità cittadine volevano abbatterlo perché pericolante, non approvò il loro disegno e non permise che si demolisse perché non andasse perduto un monumento così importante dell’antica architettura e ordinò invece che venisse fortificato con grosse catene di ferro, a spese del Regio Imperiale Erario.
Ma questo provvedimento non ebbe effetto duraturo, perché il terremoto dell’11 gen­naio 1693 ridusse il campanile a tale pietoso stato da far prendere la decisione di demolirlo, come poi fu eseguito sul principio del secolo XVIII°.
La Chiesa venne rifatta, per la terza volta ed ingrandita nel 1582, come dimostra una lapi­daria iscrizione che tuttora si legge nell’esterno dell’abside dal lato di mezzogiorno:

D.O.M.VETUSTAS. CONFECIT. TEMPUS. DISFECIT. POSTERITAS.  SUMPTIBUS.

PUBLICIS. ET. PRIVATIS. PULCHRIUS. REFECIT.

 M.D.LXXXII.

tradotta in italiano:
L’antichità fece – il tempo disfece – la posterità con mezzi – pubblici e pri­vati – più bellamente rifece – 1582.

            Sul posto dove è il nuovo campanile rimasto incompleto, era la Chiesa di Santa  Lu­cia Vergine e Martire.

San Nicola opera di Antonio Gagini – Chiesa di San Nicola Randazzo

Nel 1522 indizione XIª la Chiesa fece l’acquisto di un’Opera monumentale che si può chia­mare il capolavoro dello scultore valentissimo nel secolo XVI, Antonio Gagini  palermi­tano: la Statua di S. Nicola di Bari.
            Il contratto stipulato il 1° ottobre 1522 indizionr XIª, presso il Notar Antonio Giacomo, con l’intervento del Procuratore della Chiesa Sac. Giovan Pietro Santangelo, del Can. Fi­lippo Cammarata e del Presbitero Miano Rizzo, coadiuvati dal Nob. D. Giovan Michele Spadafora Barone della Roccella, stabiliva che la Statua doveva essere di marmo:
     “di tuttu rilevu, as­sectatu chi non tocca li spalli ex parte retro, di quillo lavuri et rilevu prout sunt fi­gure Aposto­lorum Majoris Panormitanae ecclesiae”
tale quale com’erano lavorate le statue degli Apostoli della Cattedrale di Palermo, con la clausola che se il lavoro non fosse pia­ciuto al sopradetto Barone Spatafora che, per l’occasione sarebbe andato a Palermo, questi avrebbe potuto farlo eseguire da altri artisti, a spese del Maestro Gagini.

La somma pattuita fu di Onze sessanta pari a Lire 765, compresa anche la doratura e colo­razione d’oro e d’azzuolo della Statua che il Gagini, il 18 novembre 1523, consegnò in bianco nel suo studio di Palermo e, dopo qualche settimana, egli venne a Randazzo ac­compagnato da un pittore per eseguire, sotto la sua direzione, la doratura.
La statua misura, oltre la base, m.2,05 d’altezza con S. Nicola maestosamente se­duto in abiti pontificali, sopra un seggio artisticamente lavorato, largo m. 1,29 ed alto m. 3; con la sinistra tiene il bacolo episcopale ed ha la destra alzata in atto di benedire.
Si può reputare l’opera più bella che sia uscita dallo scalpello di Antonio Gagini.
            Nella base sono scolpiti due quadri in rilievo che rappresentano due episodi della vita del Santo, suggeriti al Maestro dal Procuratore della Chiesa: uno quello dei tribuni liberati dalla morte alla quale li aveva condannati l’Imperatore Costan­tino e l’altro quello del Van­dalo che aveva lasciato incustodita la casa che aveva affidato alla vigi­lanza del Santo ch’egli venerava molto in un quadro e che poi, avendola trovata saccheg­giata dai ladri, se la prese con lui percotendone l’immagine con un flagello, con il risultato che San Nicola, appa­rendo ai ladri, ottenne che essi restituissero la refurtiva al padrone.
            Nella cappella del SS. Sacramento della stessa Chiesa di S.Nicolò si ammirano, an­che del Gagini, un tabernacolo posto dietro l’altare ed altri bassorilievi eucaristici e qualche scena della Passione, lavori commissionati il 7 dicembre 1523 per Onze 37 pari a Lire 471,75, ma incominciati nel 1535 e rimasti incompleti per la morte dello artista avvenuta nell’aprile dello stesso anno e poi rifiniti dal figlio di lui Giacomo.
            Il 21 dicembre 1746 Mons. Francesco Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina. essendo in Randazzo in occasione della Sacra Visita, consacrò la Chiesa e nel 1751, in qualità di Delegato Apostolico, la eresse, insieme alle altre due S. Martino e S. Maria, alla dignità di Collegiata, con le relative Dignità ed Insegne Canonicali di cui la Cappa corale e l’Ermellino vennero confermati dalla S. Sede nel 1785.
            Nel 1763 fu scolpito il Coro in legno, sotto la procura del Sac. D. Paulino Tettu e, come si trova scolpito nel coro fu “opera fatta di Tommaso Spitaleri di Traina”.
            Nel 1904 venne innalzata sulla Chiesa una grandiosa Cupola dall’Arciprete Mons. D. Francesco Fisauli Piccione dei Baroni di Flascio e Brieni, con personali contribuzioni e con l’obolo di tutti i Cittadini di Randazzo, sotto la direzione dell’Ingegnere Salvatore Priolo il quale, generosamente rinunziando alle sue competenze vi aggiunse anzi il suo obolo per­sonale.
L’opera fu inaugurata al canto di un solennissimo Te Deum con l’intervento dei Capi­toli delle tre Collegiate, degli Ordini religiosi, delle autorità civili e militari e col concorso di una folla immensa che stipava tutta intera la Chiesa.
Ai 5 dicembre 1906 Mons. Emilio Ferrais allora Vescovo Coadiutore e Vicario Gene­rale di S. Eminenza il Cardinale Nava Arcivescovo di Catania, consacrò l’Altare Maggiore al Titolo di S. Nicolò e consacrò anche l’altare del Sacramento.
            Nel 1936, essendo Arciprete il Can. D. Giovanni Birelli, dopo la rinunzia dell’Arc. Mons. D. Francesco Paolo Germanà, col contributo di tutti i Cittadini, venne rifatto, in lastre di marmo, tutto il pavimento antico della Chiesa che era in mattonelle di terracotta e già malandato ed avvallato in molti punti per le sepolture sottostanti.
La spesa complessiva fu di circa sessant’otto mila lire delle quali i maggiori offerenti furono:
Il Governo Fascista con lire 18.000 e la Signora Baronessa Giuseppina Fisauli Va­gliasindi che contribuì con lire ventimila di cartelle di valore nominale che realizzarono lire quindici­mila quattrocento dieci.
Il comitato era formato dall’Arciprete, dal Can. D. Giuseppe Finocchiaro, dal Comm. Avv. Gualtiero Fisauli e dal Cav. Giovanni Vagliasindi.
Nello stesso anno fu rifatto il Battistero in pietra lavica in sostituzione dell’antico mo­numen­tale, un pò sciupato perché di pietra arenaria, con colonnine, capitelli ed archetti di stile te­desco, con figure, simboli ed emblemi di stile bizantino, portante la data 1506, opera di Cri­stofiro Familiti e che ora si conserva all’ammirazione, nella navata laterale.
            Nel Tesoro si conserva un Ostensorio di argento dorato, in stile gotico del secolo XV°, una Pisside d’argento del 1461 con le armi aragonesi, due calici d’argento con smalti del secolo XV°, la Croce processionale d’Argento con simboli e figure dei quattro evangeli­sti, lavoro cesellato da Michele Gambino nel 1498, una Mazza Capitolare d’argento, copia delle altre possedute da S.Martino e S.Maria.
All’Altare del Purgatorio si conserva un’antico Crocifisso dipinto su tavola, d’ignoto autore; questo prezioso trittico aveva ai quattro lati quattro quadri su tela di altre mani e di date più recenti.
Nell’Oratorio dell’Arciconfraternita del Purgatorio, si conserva un S. Lorenzo con la Reden­zione delle Anime del Purgatorio di Gabriele Onofrio nostro Concittadino.

 

Scuola antonelliana, Madonna col Bambino tra Sant’Agata e Santa Lucia, polittico, sec. XV. Randazzo, basilica di San Nicolò da Bari.

 

Nella Cappella del SS.Sacramento si conservava una stupenda tavola rovinata, della scuola di Antonello, raffigurante nel centro la Madonna col Bambino in braccio ed ai lati S. Lucia e S. Agata, con un bel paesaggio in fondo e la seguente iscrizione:
                                                           Hoc opus fieri fecit M° Joanni de Traina e M° Antonino P….O. 
É stato qui trasportato dalla Chiesa di S. Francesco di Paola per meglio conservarsi.
Per la stessa migliore conservazione delle opere d’arte esistenti nella Chiesa di S. Dome­nico che mancava della necessaria manutenzione, furono dal Parroco Can. D. Giuseppe Finocchiaro, trasportati diversi pregevoli quadri nella Chiesa Madre di S.Nicolò.
            Della storia della Chiesa di S. Nicolò, sede della Cattedrale Triocalitana nei primi se­coli dell’Era Cristiana, trattava un manoscritto che, vergato nel V° secolo, si conservò gelo­samente fino al principio del secolo XIX°.
L’autore era un certo Firmione Triocolitano, celebre tra gli scrittori ecclesiastici della chiesa di Sicilia.
Di lui ne parla il Ragusa nei suoi Elogi e il Mugnos nel suo Novo Laertio.
Anche il Mongitore ne tratta nel 2° volume della sua Biblioteca, sebbene attesti che mai ebbe sott’occhio la produzione di Firmione e, senza alcuna difficoltà lo annovera tra gli apo­crifi, mentre questo scrittore della nostra Triocla, onore della Patria e decoro della Na­zione, venne comparato con l’illustre Mons. Giovanni Di Giovanni da Taormina che seppe così bene tessere la storia della propria Città natale.
            Nacque Firmino e visse nel V° secolo cristiano  ed il suo manoscritto originale era conservato religiosamente nella Cassa del Tesoro della Chiesa di S. Nicolò ove si sollevano custodire i Privilegi e le carte più preziose della Città.
Nell’anno 1718 quando ebbe luogo la sanguinosa battaglia di Francavilla fra tedeschi e spagnuoli, passarono da Randazzo tante truppe spagnuole da non poter essere ospitate nei vari conventi locali, per cui si dovette ricorrere alle Chiese per alloggiare i soldati.
La prima che fu adibita a Caserma, come la più grande, fu quella di S. Nicolò.
            Il Capitano d’Armi D. Giorgio Licari, allora Patrizio di questa Città nella quale, per ben cinque volte occupò la carica di Capitano Giustiziere, temendo che le truppe alloggiate nella chiesa non avessero a manomettere o dar fuoco a tutti i Documenti preziosi ivi conservati, pensò porli al sicuro trasportandoli nel proprio Palazzo: fra questi documenti era il mano­scritto di Firmione.
Dalla famiglia Licari queste carte passarono in potere dell’Arciprete di Randazzo Can. D. Antonino Ventura il quale morendo, nel 1772, lasciò nelle mani del suo padre spiri­tuale Can. D. Giuseppe Napolitano Bruno questo gran tesoro per custodirlo, ciò che co­scienzio­samente eseguì durante la sua vita.
Egli soleva dire ch’era custode di un manoscritto antico su carta pergamena e che valeva, per il suo contenuto, più di tutto Randazzo.
            Questo pregevole manoscritto portava per titolo: PHIRAMION TRIOCALITANUS  ed era scritto nelle due lingue greca e latina.
Morto quasi improvvisamente il Can. Napolitano, il fratello di lui Mastro Nicolò falle­gname, quasi nonagenario, vendette, nel 1815, i libri del defunto, tra cui anche il mano­scritto in pa­rola, ad un forestiero, certo Gaetano Scardino di Castrogiovanni (Enna), 

Saputo ciò il Can. D. Antonio Cimino corse per riscattarlo, ma quel forestiere tenne duro di­cendo che da quel manoscritto poteva ricavar più di quello che avrebbe preso da tutti i libri da lui posseduti.
L’indomani mattina di buon ora, ad insaputa di tutti se ne partì alla volta di Catania senza che nessuno abbia potuto aver mai più notizie di lui.
Questa perdita è stata più che una disgrazia per la nostra Cittadina, perché venne meno uno dei più luminosi monumenti della nostra Triocla e della Chiesa Triocolitana che avrebbe potuto chiudere la bocca a tutti i negatori di questa patria gloria.

            Dei Vescovi della Chiesa Triocolitana, oltre  al primo di nome Pellegrino mandato da S. Pietro, nel 600 si ha notizia del Vescovo Pietro, del Ve­scovo Massimo nel 649 che fu presente al Concilio Lateranense, di Giorgio nel 680 pre­sente al Concilio Costantinopolitano, di Giovanni presente al Concilio Niceno e di Costan­tino presente allo stesso Concilio, però può darsi che uno dei due fosse Vescovo di Alesa pur essendo ambidue nominati Triocolitani.           

            Nei terribili bombardamenti angloamericani del luglio 1943 la Chiesa di S.Nicolò subì danni gravissimi: fu colpita più volte la cupola cadendone in rovina la maggior parte; furono completamente rase al suolo la sacrestia, la casa canonica e tutta la navata corri­spondente; venne distrutto in parte il bel Trittico del SS. Crocifisso delle Anime del Purgatorio con tutto l’Altare; rovinò più della metà della tettoia e della volta della navata centrale e fu colpita e in parec­chi punti frantumata la costruzione in pietra lavica della porta maggiore, restando in­tatto l’antico Agnello Pasquale scolpito, segno della Sede Vescovile della Chiesa Triocoli­tana nei primi secoli.
Per miracolo rimase incolume la pregevole statua di S. Nicolò con tutto l’Altare e l’altro del SS. Sacramento, benché manchi qualche bassorilievo. Anche il Coro bisognevole di tanti rifacimenti, si è salvato. 
            Il Tesoro della Chiesa è anche salvo, ma andarono distrutti parecchi libri Parrocchiali antichi.
Anche i quadri di S. Domenico qui trasportati per maggior manutenzione andarono perduti.
L’Organo non esiste più: era veramente pregevole per le cornici di legno scolpite e per la magnifica balaustrata che lo attorniava.
            Non essendovi altre Chiese le opere e le funzioni parrocchiali di S. Nicolò si sono trasferite temporaneamente nella chiesa di S. Domenico, rimasta in mediocre condizione.
            Nella Parrocchiale chiesa di S. Nicolò esiste l’Arciconfraternita dell’Opera della Mise­ricordia fondata sotto il Titolo del “SS. Crocifisso in suffragio delle Anime del Purgatorio” il 1° luglio 1632 dall’Arciprete di Randazzo Dott. D. Ettore Prescimone approvata dalla Curia Arcivescovile di Messina per mezzo del Vicario Generale D. Mario Guzzaniti ed esecutoriata nella Curia di Randazzo il 10 luglio 1632.
Essa è stata aggregata all’Arciconfraternita del Suffragio delle Anime del Purgatorio della Città di Roma nella Chiesa di S. Biagio con privilegio del 5 dicembre 1632 esecuto­riato nel Regno a 5 novembre 1632, godendo tutti i privilegi ed indulgenze che si hanno tutti i fratelli e sorelle di quella Arciconfraternita.
I confrati si riunivano ogni mercoledì di dopopranzo per gli esercizi di pietà e seppellivano per carità i cadaveri dei poveri di tutta la Città.
Con i bombardamenti la Cappella propria dell’Arciconfraternita fu molto danneggiata, ma non distrutta e si potè salvare l’opera del nostro Gabriele Onofrio: la Redenzione del Cristo per le Anime del Purgatorio per le preghiere di S. Lorenzo.
            Esiste anche nella stessa parrocchia una Confraternita del SS. Sacramento che, sorta modestamente fra alcuni parrocchiani, per opera del valente oratore Can. D. Vincenzo Panissidi, andò vie più accrescendosi col titolo di Pia Società del SS. Sacramento che venne canonicamente fondata dopo un decennio di esistenza, nel 1896.
Venne poi elevata al rango di Confraternita l’anno 1925 ed aggregata alla Primaria Arciconfraternita di Roma.
            Non mancano altre piccole associazioni di cristiana pietà. Fiorenti i vari rami maschili e femminili dell’Azione Cattolica, secondo gli intendimenti dei Sommi Pontefici.
Si è affermata la sezione delle Conferenze di S. Vincenzo dei Paoli.
            Con la creazione dei Parroci indipendenti nelle tre Parrocchie che prima erano tutte e tre sotto un solo Parroco, il primo titolare della Parrocchia di San Nicolò è il Can. D. Giu­seppe Finocchiaro.

            La Parrocchia di S. Nicolò è la sola che non ha chiese filiali secolari.

 

                                                                           SAN GIACOMO E LA MADONNA CHIESA SAN NICOLO’ – RANDAZZO

 

San Giacomo

San Giacomo e la Madonna. Chiesa di San Nicolò – Randazzo

Di Gaetano Consalvo

La Sicilia è sempre stata  una fonte inesauribile di ricchezze naturali e, soprattutto, di opere d’arte che durante il corso dei secoli, sistematicamente sono state depredate e trafugate dagli invasori barbari di turno. Saccheggi sin dall’epoca greca, con la caduta di Siracusa che lo stesso Cicerone definiva “La più grande e la più bella delle città greche“ (maxima et pulcherrima). Il generale Marco Claudio Marcello nel 212 A. C. impressionava tutti facendo un trionfale rientro a Roma , preceduto da un corteo cerimoniale di 250 carri colmi di preziose statue, vasi traboccanti oro ed argento, armi pregiatissime di magistrale fattura, oltre ad un seguito interminabile di animali, schiavi e dignitari in catene. Ma Siracusa, da città sconfitta, alla fine conquistò il barbaro ed agreste popolo laziale, introducendo la sua impareggiabile arte a Roma.
Recentemente, durante una visita di alcuni giorni nella cittadina medievale di Randazzo, siamo rimasti sbalorditi dall’innumerevole quantità di opere d’arte di altissimo valore, custodite in diverse straordinarie chiese. In particolar modo siamo rimasti affascinati da un’opera  interessantissima, collocata di recente in una parete della navata centrale della chiesa di San Nicola: il polittico di San  Giacomo dipinto  su tavola risalente al15° secolo di autore ignoto ma, a nostro modesto avviso, di scuola Antonelliana.
L’opera si presenta in condizioni piuttosto critiche, ma nonostante ciò rimane forte la bellezza e la liricità dei volti e delle scene dipinte. Il polittico rappresenta la figura di San  Giacomo apostolo, riconoscibile dalla conchiglia e dal bordone del pellegrino e accanto troneggia l’immagine, dall’estrema dolcezza dei tratti, della Vergine col bambino, attorniata  da sei cherubini. Ai due lati si affiancano dieci pannelli raffiguranti le scene dei miracoli del Santo, ricomposti in una maldestra sequenza dopo un vandaloso smembramento effettuato segando la tavola per ricavarne altrettante singole opere  più facilmente camuffabili qualora immesse nel mercato antiquario illegale.
Il polittico, unica opera pittorica in Sicilia con le scene della vita di San Giacomo,  ha fatto rientro a Randazzo  grazie all’intelligenza ed alla tenacia dell’allora parroco di San Nicola, Don Egidio Galati. Scampò miracolosamente, nell’ultimo conflitto, alle razzie naziste che durante la ritirata avevano installato a Randazzo il loro quartiere generale, ed alle devastazioni provocate dalle incursioni aeree alleate.
La presenza di questa straordinaria opera a Randazzo è la diretta testimonianza dello stretto rapporto tra la Spagna e la Sicilia, sin dal 1282 quando con i Vespri Siciliani e la cacciata degli Angioini, i Siciliani offrirono la corona del regno a Pietro 3° d’Aragona. Da quel momento la Sicilia entrò nella sfera ispanica rimanendovi quasi ininterrottamente per ben  sei secoli, assorbendone  usanze ed espressioni culturali.
Da ciò ne deriva la presenza e la diffusione del culto di San  Giacomo in Sicilia, Patrono di Spagna, apostolo ed evangelizzatore della fede e della spada, pellegrino accanto ai bisognosi, “Matamoros” contro i nemici della cristianità.
Notevole anche la diffusione nell’isola di confraternite e di ordini cavallereschi come l’Ordine di Malta, di San Giacomo della spada ecc. che fanno ancora bella mostra nelle sfilate e nelle parate religiose.
Purtroppo ormai da tempo i Siciliani hanno perduto consapevolezza del patrimonio che posseggono, grazie anche a una classe politica che ben poco ha fatto e fa per mantenere viva la memoria.
A Randazzo qualcosa si muove, due sodalizi – l’Istituto per la Cultura Siciliana in stretta sinergia con l’Associazione Artemide – hanno in programma con iniziative ad hoc di valorizzare ciò che questa cittadina pedemontana custodisce. Storia, cultura e arte sono andati di pari passo nel corso dei millenni, ed ciò che caratterizzano una collettività. 
Gaetano Consalvo

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Cosi descrive alcuni aspetti della Chiesa di San Nicola Angela Militi
 

                  Madonna con il Bambino e san Giacomo Maggiore: oltre il visibile

La navata centrale della chiesa di San Nicola di Randazzo ospita un’interessante tavola che raffigura la Madonna con il Bambino e san Giacomo Apostolo detto il Maggiore.

DSC05130Figura 1: Randazzo, Chiesa di San Nicola, Autore ignoto, Madonna con il Bambino e san Giacomo Maggiore, dipinto a tempera su tavola

Si tratta di un pregevole dipinto a tempera su tavola, di autore ignoto, riferibile, sulla base dell’analisi stilistica e dell’esame di particolari dell’abbigliamento dei personaggi presenti, alla seconda metà del XV secolo. Esso si presenta in mediocre stato di conservazione, con estese perdite di colore soprattutto nella parte inferiore della zona centrale; altre perdite di colore interessano i riquadri narrativi senza tuttavia comprometterne la leggibilità.
La tavola proviene dalla scomparsa chiesa di San Giuseppe.

IMG_0567 foto di Giuseppe manitta Figura 2: La chiesa di San Giuseppe, in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto
Figura 3: La chiesa di San Giuseppe in una foto degli anni 30

La chiesa sorgeva fuori le mura cittadine nei pressi dell’omonima porta. Fu edificata intorno al XIV secolo e inizialmente era dedicata a sant’Anna, cambiò titolazione nel XVII secolo, quando venne unita alla chiesa di San Giuseppe[1].
Secondo quando scrive il don Virzì, fu in questa occasione che la chiesa, nel 1631, venne abbattuta e ricostruita ex novo, cosa, a nostro avviso, poco probabile in quanto più avanti lo stesso storico riporta che «durante lo sgombero delle rovine inaspettatamente vennero fuori sotto l’intonaco, pezzi di affreschi appartenuti alla vecchia chiesa trecentesca di S. Anna»[2].
Pertanto si è propensi a credere che la chiesa, in quell’anno, non venne ricostruita ex novo, bensì subì importanti interventi di restauri voluti dal rettore Antonio Cariola, come attestava l’iscrizione incisa sull’architrave del portale riportata dal don Virzì[3].
A causa dei danni riportati durante i bombardamenti del 1943, la chiesa fu chiusa al culto e lasciata per anni in stato di abbandono finché venne demolita per far posto ai locali dell’oratorio salesiano.

Della tavola, allo stato attuale della ricerca, non possediamo nessuna documentazione, pertanto non è stato possibile reperire notizie circa il pittore, il committente o altre informazioni relative alla collocazione della tavola all’interno della chiesa.
Il tema della tavola lascia facilmente ipotizzare la presenza, nell’edificio sacro, d’un altare dedicato a san Giacomo, legato non soltanto al culto del santo[4] ma anche allo speciale legame che esiste tra san Giacomo e la madre della Madonna, determinato dalla vicinanza della loro festa liturgica, 25 e 26 luglio e da un episodio miracoloso accaduto al tempo di santo Stefano (ca 969/975-1038), primo re d’Ungheria.
Racconta, infatti, la leggenda che un giovane di nome Emerico, figlio di un console d’Ungheria, caduto in miseria, dopo aver sperperato la cospicua eredità lasciata dal padre, decise di partire in pellegrinaggio a San Giacomo di Galizia per raccomandarsi al santo.
Durante il viaggio affranto scoppiò in lacrime e prostrato a terra chiese perdono a Dio per i suoi gravi peccati e lo pregò di dirgli a quale santo doveva rivolgersi per essere soccorso; allora gli apparve san Giacomo che lo esortò a chiedere aiuto a sant’Anna[5].

La prima menzione della tavola risale al 1906, quando viene ricordata ne Cenni storici. Chiese Monumenti antichità della Città di Randazzo tra le opere presenti nella chiesa di San Giuseppe, come un «trittico con la Madonna sedente col Bambino, e S. Giacomo Apostolo, con quadretti di storia ai lati, dipinti su tavola verso la prima metà del secolo XV»[6].
Successivamente essa descritta come «un trittico della prima metà del secolo XV, rappresenta la Madonna col Bambino e San Giacomo Apostolo, con quadretti di storia ai lati, è nella chiesetta di San Giuseppe»[7] viene menzionata dal De Roberto nella sua monografia Randazzo e la Valle dell’Alcantara, pubblicata nel 1909.
Ed ancora citata dal canonico Vincenzo Raciti Romeo in Randazzo. Origine e monumenti «in S. Giuseppe si ammira un altro trittico della prima metà del quattrocento con la Madonna seduta in trono, S. Giacomo apostolo nel centro, e quadretti storici ai due lati»[8].
Nel 1942 la tavola fu trasferita ad Acireale e collocata nel salone vescovile, in attesa che fosse realizzato il museo diocesano cui era destinata; in questa occasione fu consolidato il supporto ligneo e, molto probabilmente, venne aggiunta anche la cornice a listello inchiodata e incollata sulla superficie pittorica, che andò a nascondere i bordi dei riquadri, dividendo altresì il campo centrale in due zone, separando pertanto la Madonna e san Giacomo.
La tavola rimase in tale ubicazione per vari decenni, finché nel 1990 ritornò a Randazzo e venne collocata nella chiesa di San Nicola.

Essa è apparsa per la prima volta nella rivista del Centro Italiano di Studi Compostelliani “Compostella” nel 2009, dove figurava in copertina e corredata da due brevi articoli: uno a cura di Paolo Giansiracusa “San Giacomo di Randazzo: struttura e analisi”[9], l’altro a cura di Giuseppe Arlotta “San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudini”[10].
Il dipinto è eseguito su un supporto ligneo realizzato con tre assi di legno disposte verticalmente, misura all’incirca 257 centimetri in altezza e 227 centimetri di larghezza. Le due tavole laterali, rispettivamente larghe centimetri 90, sono unite alla tavola centrale, larga centimetri 47, da 18 inserti a doppia coda di rondine.

supporto dipinto San GiacomoFigura 4: Il supporto pittorico

Esso, a guisa di trittico, presenta al centro, su fondo oro, la Madonna con il Bambino, angeli e san Giacomo Maggiore (attualmente separati da un listello) mentre ai due lati si dispongono rispettivamente cinque riquadri narrativi.
L’esistenza in origine di un terzo sportello andato perduto, simmetrico a quello di san Giacomo ove vi fosse raffigurato santo Stefano, suggerita da Paolo Giansiracusa[11] è improbabile in quanto la struttura del supporto pittorico suffraga l’unitarietà dell’opera.
Alla luce di quanto appena detto, risulta improbabile anche l’ipotesi avanzata da Giuseppe Arlotta, secondo il quale «i dieci quadretti con le scene della Vita del Santo sono stati montati nella nuova cornice alla rinfusa, senza cioè rispettare la sequenza narrativa»[12]; le storie sono state semplicemente raffigurate, dall’ignoto pittore, senza seguire alcun ordine nella disposizione degli episodi. Bisogna tenere presente che non sempre la successione degli episodi segue la sequenza narrativa.
I personaggi del riquadro centrale, sono ritratti esili, delicati e indossano vesti raffinate, rese con enorme cura del dettaglio.
La Madonna, seduta su un trono di forme gotiche, è presentata secondo lo schema tipico della Madre di Dio della Consolazione, ma non rappresentata come al solito a mezzo busto, bensì a figura intera.

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Figura 5: Particolare della Madonna con il Bambino
Figura 6: Madre di Dio della consolatrice

È raffigurata, con il capo lievemente reclinato verso il Bambino che sorregge dolcemente e regale compostezza, con il braccio sinistro, mentre con la punta delle dita della mano destra gli tocca teneramente i piedini. Indossa un sontuoso maphorion blu scuro di velluto auroserico orlato da un bordo rifinito con filettature e girari dorati, e una veste rossa[13], con un raffinato colletto bianco, trattenuta sotto il seno da un cordoncino dorato. Il maphorion, che è chiuso sul petto da un prezioso fermaglio rotondo, le copre anche il capo.

DSC05083 particolareFigura 7: Particolare degli abiti indossati dalla Vergine

Il Bambino, raffigurato nudo, è colto nell’attimo di mettere le dita della mano destra in bocca mentre con l’altra manina regge un oggetto ludico d’oro. É ornato da una collanina, che ha come pendaglio un rametto biforcuto di corallo e da braccialetti di corallo su entrambi i polsi[14].

DSC05083 bambinoFigura 8: Particolare del Bambino

La Vergine è affiancata da tre coppie di angeli: la prima offre una coppa d’oro, la seconda è colta in adorazione con le mani giunte e la terza offre un vaso degli unguenti.

DSC05084 angeliFigura 9: Le tre coppie di angeli che affiancano la Vergine

Gli angeli, che indossano raffinate vesti diaconali – di foggia simile – cinte in vita e fregiate d’oro allo scollo, differiscono nei diversi colori delle tuniche (terra cotta scuro, rosso-arancio, blu, rosso), dei nastri (rosso, nero, oro) e delle maniche delle sottovesti (rosso, blu scuro).
Alla sinistra della Vergine è raffigurato san Giacomo, in piedi.

DSC05088Figura 10: San Giacomo

L’Apostolo è rappresentato come un uomo di media età. I capelli lunghi castani, divisi da una riga centrale e intrecciati alla fine e la barba biforcuta non molto lunga anch’essa castana, lo rendono intenzionalmente simile a Cristo. Indossa una tunica blu scuro guarnita con un bordo dorato sul collo decorato con motivi geometrici, mentre il bordo inferiore è rifinito con filettature e girari dorati[15], così come il bordo dell’ampio manto morbido e ondeggiante color rosso che lo avvolge[16].

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Figura 11: Particolare del bordo del collo della tunica di san Giacomo
Figura 12: Particolare del bordo del mantello

Ai piedi porta un tipo di calzare simile ad un sandalo, con copertura del calcagno e strisce di cuoio laterali raccolte da un nastro di pelle posto lungo il dorso in modo da lasciar libere le dita.

DSC05086Figura 13: Particolare dei calzari indossati dal santo

Il santo regge con la mano sinistra il bordone del pellegrino e con la destra un libro, aperto – verso chi guarda –, in cui si legge l’iscrizione, in lettere gotiche[17]:

San/cte / Ia[c]o/be i/nte//rce/de p/ro n/obis / om(n)ib(us)

DSC05074Figura 14: Particolare del libro

Pertanto san Giacomo appare qui come intercessore presso la Vergine e il Bambino. Il forte legame che unisce la Vergine Maria e san Giacomo è remoto. Stando alla tradizione, attestata a partire dal XIII secolo, la Vergine del Pilar appare all’Apostolo, a Saragozza, e lo conforta durante la sua difficile opera di evangelizzazione della Spagna; altre apparizioni avvengono a Iria Flavia e Muxia[18]. Una testimonianza rilevante del ruolo della Vergine si trova nel II libro del Liber Sancti Jacobi[19], che racconta, con dovizia di dettagli, ventidue miracoli operati da san Giacomo: il capitolo XVII narra del pellegrino che, istigato dal diavolo, si evirò e si uccise e fu poi riportato in vita dal santo con l’aiuto della Vergine Maria[20]. Questo miracolo fu in seguito ripreso e ampliato da Iacopo da Varazze, frate domenicano e vescovo di Genova, nella Legenda aurea[21].
I capi della Vergine, del Bambino, degli angeli e di san Giacomo sono circondati da aureole. L’aureola della Madre di Dio e quella dell’Apostolo sono decorate con foglie di quercia e fiori, incorniciate da doppie linee circolari, quella del Bambino porta inscritta nel cerchio dorato una croce rossa, invece quelle degli angeli sono decorati a motivi floreali tranne quella del secondo angelo a destra che è decorata con raggi.

DSC05083 aureola    DSC05082 aureola DSC05083 aureola b.      DSC05075 aureola

  Figure 15-18: L’aureola della Madonna, quella di san Giacomo, del Bambino e degli angeli

DSC05084 aureolaFigura 19: L’aureola raggiata del secondo angelo a destra

L’aureola del primo angelo a destra, invece, presenta in alto dei raggi, è possibile che si tratti di una correzione operata dal pittore in corso d’opera per coprire la precedente aureola decorata con raggi.
Un’altra correzione, apportata dal pittore in corso d’opera, riguarda la posizione di una delle due mani dello stesso angelo, testimoniata dalle quattro dita in più, presenti sulla coppa che, molto probabilmente, l’artista dimenticò di coprire.

DSC05083Figura 20: Particolare del primo angelo a destra

I dieci riquadri che affiancano, l’immagine centrale[22], cinque per parte, rappresentano gli episodi più importanti della vita di san Giacomo e alcuni miracoli post-mortem operati dal santo.
Le scene, come abbiamo già accennato, non seguono un ordine preciso.
Il primo riquadro, in alto a sinistra, seppur molto rovinato, conserva la raffigurazione di san Giacomo in piedi su di una barca, che con la mano sinistra regge il bordone e con la destra, dispensa la sua benedizione, ad un uomo caduto in mare con il suo cavallo. Sulla riva s’intravedono due uomini, in piedi, oranti, di cui quello a destra più alto rispetto all’altro. A destra altri uomini con i loro cavalli sorpresi dal crollo del ponte che stanno attraversando. Sulla sfondo, a destra, una rupe sulla quale si erge una città cinta da mura.

DSC05076Figura 21: La prima scena narrativa

Gli elementi a disposizione non consentono un’identificazione sicura dell’episodio raffigurato.
Secondo Giuseppe Arlotta la scena è identificabile con l’episodio narrato da Iacopo da Varazze, che cita quale fonte Giovanni Beleth[23], in cui i discepoli di san Giacomo, alla ricerca di un terreno dove seppellire il loro maestro, dopo averne trafugato il corpo e averlo traslato nella penisola iberica, vengono inviati da Lupa da un uomo noto per la sua crudeltà, per alcuni il re di Spagna, questi, però, li fece incarcerare[24]; liberati da un angelo del Signore, mentre l’uomo dormiva, i discepoli si diedero alla fuga inseguiti da alcuni uomini del re a cavallo, che però annegarono in un fiume della Galizia a seguito del crollo del ponte che stavano attraversando[25].
Questa interpretazione tuttavia non è del tutto convincente, poiché la scena raffigurata non trova un preciso riscontro nelle fonti; infatti sia nella Legenda aurea che nel Liber Sancti Jacobi si fa riferimento ad un intervento di Dio e non del santo come raffigurato. La versione dei fatti, fornita dal Liber Sancti Jacobi, molto più particolareggiata rispetto al testo di Iacopo da Varazze, è la seguente:

«I discepoli seguirono il suo consiglio [di Lupa]: alcuni rimasero lì a vegliare il corpo dell’apostolo con il rito funebre, mentre altri si avviarono il più velocemente possibile verso il palazzo reale indicatogli.
Appena si trovarono alla presenza del re, lo salutarono rispettando il prescritto cerimoniale e diedero inizio all’incontro spiegandogli chi fossero e perché si fossero presentati al suo cospetto.
Il re sembrò inizialmente disposto ad ascoltarli attentamente, con atteggiamento benevolo; poco dopo, però, colto da una singolare inquietudine, iniziò a dubitare sul da farsi e poi, ispirato da diabolica suggestione, si inferocì; ordinò dunque in segreto ai suoi uomini di tendere una trappola ai Cristiani e di ucciderli.
I discepoli, però, scoperte le sue intenzioni per volere di Dio, si diedero prontamente alla fuga, il re, informato dell’accaduto, fu colto da un violentissimo accesso d’ira e, furente come un leone rabbioso, iniziò a seguire caparbiamente le tracce dei discepoli di Dio, accompagnato da tutti gli uomini della sua corte.
Ma proprio nel momento in cui gli smaniosi persecutori ebbero raggiunto i discepoli, tanto da averli ormai quasi nelle loro mani, questi, confidando in Dio, attraversarono tutti in gruppo un ponte posto su un fiume. In quel preciso momento, per volere di Dio onnipotente, i pilastri del ponte che stavano percorrendo si sgretolarono e la struttura precipitò dall’alto fin nel letto del fiume. E così il verdetto deciso dal giudice, l’Eterno Re, decretò che neppure uno degli uomini che erano nel gruppo degli inseguitori sopravvivesse per poter riferire l’accaduto alla corte reale. I santi discepoli, invece, sentendo il fragore delle armi e delle pietre che precipitavano, girarono indietro la testa, così da poter vedere i grandi progetti compiuti da Dio e poterli in seguito proclamare»[26].

Dunque o la scena raffigurata è frutto di una reinterpretazione più libera del racconto da parte del pittore o del committente oppure è più probabile che essa in realtà rappresenti un intervento miracoloso di san Giacomo non riportato dalle fonti ufficiali, ma sia una leggenda alternativa diffusa oralmente.
Nel secondo riquadro si trova il noto Miracolo dell’impiccato con san Giacomo in piedi, con il bordone e in testa un cappello a falde larghe, che con le mani sostiene i piedi del giovane impiccato, accusato ingiustamente, che pende dalla forca; accanto vi sono i due genitori pellegrini increduli. La scena raffigurata mostra il momento in cui i genitori di ritorno, dopo trentasei giorni, dalla tomba di san Giacomo, sul luogo dell’impiccagione del figlio, trovano questi ancora in vita, perché sostenuto da san Giacomo.

DSC05077Figura 22: Il Miracolo dell’impiccato

Essa, però, è una versione più tarda del miracolo iacopeo raccontata nel II libro del Liber Sancti Jacopi[27]: infatti, in esso il miracolo, narrato nel V capitolo da papa Callisto è così esposto:

«È opportuno affidare ai posteri il ricordo di alcuni Alemanni che, nell’anno 1090 dall’incarnazione di nostro Signore, si recarono in pellegrinaggio al sepolcro di san Giacomo portando con sé considerevoli ricchezze e, giunti nella città di Tolosa, trovarono ospitalità in casa di un facoltoso albergatore.
Tale malvagio individuo, celandosi sotto l’esteriore mansuetudine di un agnello, li accolse con sollecitudine e, offrendogli varie bevande in segno di ospitalità, con l’inganno li indusse ad ubriacarsi. Oh, cieca avarizia! Oh, perverso spirito umano, così incline al male! Poco dopo, quando i pellegrini furono sprofondati in un sonno molto più profondo del solito a causa dell’ubriachezza, l’oste disonesto, spinto dalla cupidigia, nascose furtivamente una coppa d’argento nei bagagli di uno di loro per poterli successivamente accusare di furto e appropriarsi in tal modo del loro denaro. L’indomani, dopo che i pellegrini si furono rimessi in cammino al canto del gallo, quest’oste malvagio li raggiunse con un gruppo di uomini armati, gridando: “Restituitemi, restituitemi l’argento che mi avete sottratto!”. Quelli risposero: “Se troverai qualcosa di tuo in possesso di uno di noi, non avrai che da farlo condannare!”.

Dopo averli perquisiti, l’oste trovò la coppa nei bagagli di due pellegrini, padre e figlio; confiscati ingiustamente i loro beni, li portò dunque in giudizio. Il giudice, mosso da pietà, ordinò però di liberarne uno e condannò l’altro alla pena di morte. Oh, profondità della misericordia! Il padre, volendo liberare suo figlio, si offrì per il supplizio. Il figlio, però, disse: “Non è giusto che un padre perda in malo modo la vita per suo figlio; subisca piuttosto il figlio, al posto del padre, la pena stabilita!”. Oh, santa lotta d’amore! Il figlio fu infine impiccato in cambio della libertà del suo amato padre, così come egli stesso aveva preteso. Questi, invece, riprese il suo cammino verso San Giacomo tra singhiozzi e lacrime. Visitato dunque il venerabile altare dell’apostolo, riprese la via del ritorno e, trascorsi trentasei giorni, si ritrovò ad un crocevia dove ancora era appeso il corpo del figlio. Piangendo e gemendo, gridò con voce degna di compassione: “Sventurato me, figlio mio, per averti generato! Come posso ancora continuare a vivere vedendoti così sospeso?”.
Come sono magnifiche le tue opere, Signore! Il figlio impiccato consolò il padre dicendo: “Non ti affliggere più, amatissimo padre, non c’è motivo. Rallegrati per me, piuttosto, perché adesso sono felice, più di quanto non lo sia mai stato nell’esistenza passata! Mi sostiene san Giacomo tra le sue braccia, infatti, e mi conforta con la pienezza della dolcezza”. Il padre, udito ciò, corse in città e chiamò il popolo perché fosse testimone di un tale miracolo di Dio. Coloro che accorsero, vedendo ora che era ancora vivo colui che da tanto tempo era stato impiccato, compresero che la misericordia di Dio aveva salvato l’uomo ingiustamente condannato a causa dell’insaziabile avidità dell’oste.
Lo deposero dunque con grandi onori dal patibolo. Quanto all’albergatore, invece, egli fu condannato a morte con giudizio unanime, come aveva meritato che accadesse, e fu successivamente impiccato.»[28].

Questo nucleo narrativo si arricchì, a partire dagli inizi del XV secolo, di nuovi particolari: il luogo del miracolo non è più la città di Tolosa ma quella di Santo Domingo de la Calzada, lungo il cammino; il giovane viaggia con il padre e la madre; viene accusato di furto dalla serva della locanda, da lui rifiutata[29].
Nompar Signore di Caumont, durante un viaggio a Compostela nel 1417, riporta, con molti dettagli, la leggenda dell’impiccato, che ha sentito raccontare a Santo Domingo de la Calzada, nel suo diario di viaggio. Il miracolo, raccontato in una forma più drammatica e popolare, e completato con un nuovo prodigio che mostra l’innocenza del colpevole: infatti, il Signore di Caumont racconta che i due genitori, dopo che ritrovarono vivo il figlio impiccato, si recarono dal giudice per raccontargli il fatto e chiedergli di tirare giù dalla forca il figlio perché era ancora vivo; ma il giudice, intento a consumare un banchetto, incredulo, li derise affermando che avrebbe creduto che il loro figlio era vivo solo se il gallo e la gallina, ben arrostiti, che stava per mangiare si fossero messi a cantare. In quel preciso istante, i due volatili arrostiti, resuscitarono e cominciarono a cantare, dimostrando così che i due pellegrini avevano detto la verità[30].
L’episodio del Miracolo del gallo e della gallina risorti[31], è illustrato nel terzo riquadro.

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Figura 23: Il Miracolo del gallo e della gallina risorti

La raffigurazione della versione aggiornata del miracolo dell’impiccato contribuisce a confermare la datazione dell’opera alla metà del XV secolo.
Il quarto riquadro mostra il Martirio di san Giacomo per decapitazione. La scena è ambientata fuori le mura della città di Gerusalemme, e mostra a sinistra il corpo del santo decapitato che giace prono sulle ginocchia con le mani giunte, con la testa recisa a terra; sopra di esso il boia con la sciabola levata sporca del sangue di san Giacomo, accanto ad esso il sommo sacerdote Abiathar e Erode Agrippa, assiso su di un trono dall’alto schienale decorato con motivi a scacchiera, che assistono alla scena.

DSC05079Figura 24: Il Martirio di san Giacomo

Alquanto singolare e curioso è la presenza di una misteriosa regina affacciata alla finestra della torre, che guarda l’osservatore, la quale non trova riscontro nelle fonti agiografiche e non consente quindi la sua identificazione.
Nella parte inferiore, al di sotto della pittura nera, s’intravedono tracce di lettere, questo lascia supporre la presenza di un’iscrizione.

DSC05079 tracce iscrizioneFigura 25: Tracce di un’iscrizione

Le scene narrative spesso erano corredate da iscrizioni esplicative, in latino o in lingua volgare, dell’episodio raffigurato. Ma se si trattava di un’iscrizione esplicativa per quali oscure ragioni venne nascosta? Il suo occultamento è da ascrivere all’identità della misteriosa regina ritratta? Tuttavia, come vedremo, questa non è la sola iscrizione esplicativa che accompagnava le scene narrative ad essere stata occultata.
La scena successiva mostra in primo piano san Giacomo che impone le mani su un uomo orante, genuflesso con le mani giunti e il viso rivolto verso il santo, con accanto altri due uomini, uno seduto e l’altro carponi; dietro, in secondo piano, campeggia, sullo sfondo di un paesaggio caratterizzato da promontori rocciosi e una città fortificata – in alto a destra–, una torre sorvegliata da quattro soldati, uno da un lato e tre d’altro, che giacciono addormentati.

DSC05133Figura 26: La quinta scena narrativa

A destra, accanto a san Giacomo si intravedono debolissime tracce di un’iscrizione di cui attualmente è possibile individuare solo alcuni caratteri:

– – – – – – IA[- – -] – – – – – –[32]

scena 5 iscrizioneFigura 27: Tracce di un’iscrizione(per mettere in evidenza i caratteri, l’immagine è stata elaborata utilizzando tecniche di’image processing)

La scena, per chi scrive, è di difficile interpretazione: si tratta di un episodio che non ha riscontro né nel racconto del Liber Sancti Jacobi né nella Legenda Aurea, probabilmente fu realizzata ispirandosi a un miracolo compiuto da san Giacomo narrato da qualche altra fonte testuale.
Secondo Giuseppe Arlotta la scena rimanda al momento in cui i discepoli di san Giacomo vengono incarcerati da uomo noto per la sua crudeltà[33] e miracolosamente liberati da un angelo mentre l’uomo dormiva[34]. La proposta dello studioso, tuttavia, non sembra in ogni caso plausibile perché di fatto l’episodio da lui suggerito non trova riscontro nella narrazione figurata.

Nel primo riquadro in alto a destra, viene mostrato l’arrivo del corpo di san Giacomo al palazzo di Lupa. La scena mostra in basso a sinistra un carro, trainato dai due buoi sul quale è adagiato il corpo di san Giacomo, che con la mano destra, dispensa la sua benedizione a Lupa, incredula, sul terrazzo del suo palazzo, mentre, all’estrema sinistra, in cima ad una torre vi è una fanciulla dai capelli biondi in veste rossa, che sembra slanciarsi verso il corpo del santo.
Sullo sfondo, al centro, si trova una città fortificata su di una rupe.

DSC05073Figura 28: L’arrivo del corpo di san Giacomo al palazzo di Lupa

Iacopo da Varazze racconta, in modo succinto rispetto al Liber Sancti Jacobi[35], che i discepoli tornati da Lupa le riferirono quanto accaduto agli uomini del re di Dugio e che la stessa disse loro:

«“Prendete i buoi che tengo in quel luogo, – o in quel monte, – appaiateli e legateli a un carro, e poi portate il corpo del vostro maestro, e costruite il sepolcro come vi parrà”.
Diceva questo, ma il suo pensiero era quello di una vera lupa: sapeva benissimo che i suoi buoi erano in realtà tori selvaggi mai domati, e riteneva perciò che non avrebbero mai potuto essere aggiogati né legati al carro, e quand’anche fossero stati legati al carro, si sarebbero messi a scorrazzare in tutte le direzioni, sfasciando il carro, facendo cadere il corpo e uccidendo i discepoli. Ma nessuna astuzia può andar contro la volontà di Dio: i discepoli infatti, neppur sospettando la malizia di Lupa, si incamminarono su per il monte, ove incontrarono un drago che vomitava fuoco contro di loro: ma gli opposero il segno della croce, e il ventre del drago si squarciò. Fatto il segno di croce sui tori, questi divennero mansueti come agnelli; li aggiogarono, caricarono sul carro il corpo di san Giacomo con la pietra sulla quale era stato adagiato. Senza che nessuno li guidasse i buoi portarono il corpo fin in mezzo al palazzo di Lupa: quando vide questo prodigio, piena di meraviglia, credette e divenne cristiana concedendo poi ai discepoli tutto ciò che chiedevano»[36].

Alquanto singolare è la presenza di uno scudo crociato accanto alla porta d’ingresso del palazzo e una croce potenziata sulla torre a destra. Simboli questi che rimandano all’ordine dei Templari.

DSC05073 scudo e croceFigura 29: Lo scudo crociato e la croce potenziata

Iacopo da Varazze riferisce che Lupa trasformò il suo palazzo in una chiesa che dedicò a san Giacomo. È possibile che il pittore o il committente fosse a conoscenza del fatto che la chiesa, in seguito, fosse appartenuta ai Templari e volle celarlo all’interno della scena in modo da trasmetterlo ai posteri?
A differenza degli altri riquadri, le quattro scene successive seguono un ordine narrativo.
La scena raffigurata nel secondo riquadro, ambientata in un paesaggio roccioso presso la città di Gerusalemme, in alto a destra, rappresenta la disputa tra san Giacomo e Fileto: sulla destra vediamo Fileto, discepolo del mago Ermogene, colto nella discussione con san Giacomo, a sinistra, in piedi su di una roccia, che benedice alcuni uomini imploranti, tra cui un cieco e uno storpio con le stampelle.

DSC05068Figura 30: La disputa tra san Giacomo e Fileto

Il Liber Sancti Jacopi racconta che:

«[…] Accadde poi che un certo mago, chiamato Ermogene, gli inviasse un suo discepolo, Fileto. Recatosi da Giacomo con alcuni farisei, Fileto tentò di sostenere che Gesù Cristo di Nazareth, di cui Giacomo si dichiarava apostolo, non era il vero figlio di Dio. Ma Giacomo, parlando senza timore grazie allo Spirito Santo, distrusse ogni suo argomento mostrandogli, con la testimonianza delle Sacre Scritture, che Gesù era il vero figlio di Dio. Ritornato da Ermogene, Fileto gli disse: “So che Giacomo, il quale si dichiara servitore ed apostolo di Gesù Cristo di Nazareth, non può essere vinto. Infatti nel suo nome l’ho visto scacciare i demoni dai corpi degli ossessi, restituire la vista ai ciechi, guarire i lebbrosi. Accetta il mio consiglio, dunque, andiamo da lui e chiediamogli perdono. E se non vuoi farlo, sappi che la tua arte magica non ti servirà a nulla e che io tornerò da lui e lo pregherò di accettarmi come suo discepolo.”»[37].

L’Arlotta non riconosce l’episodio è suggerisce erroneamente che la scena «raffigura un gruppo di pellegrini oranti ai piedi di san Giacomo»[38].
La scena nella parte inferiore, a sinistra, ospitava un’iscrizione, che fu quasi del tutto occultata, di cui è possibile individuare solo alcuni caratteri e parole:

C[- – -] – – – – – – [civ]itati liberava

scena 7 iscrizioneFigura 31: Particolare

La scritta civitati liberava è da ritenersi, quasi senza dubbio, un’aggiunta posteriore, probabilmente, un ex-voto per una grazia ricevuta in occasione di un’epidemia[39], o una prolungata carestia[40], o una grave calamità naturale[41], di cui san Giacomo era stato intercessore.
Il racconto del Liber Sancti Jacopi prosegue:

«Sentendo parlare così, Ermogene, pervaso dalla collera, legò Fileto con le catene in modo che non potesse più muoversi, e gli disse: “Vedremo se il tuo Giacomo ti libererà da queste catene!”. Allora Fileto inviò immediatamente un suo servo da Giacomo. Quando questi fu giunto e gli ebbe raccontato l’accaduto, l’apostolo gli consegnò immediatamente un sudario per Fileto dicendo: “Riceva questo sudario e dica: il Signore solleva gli oppressi e libera coloro che sono incatenati”»[42].

Il terzo riquadro raffigura, il momento in cui a Fileto imprigionato viene mostrato il sudario mandatogli da Giacomo: la scena mostra il mago Ermogene, seduto su di un trono decorato con lo stemma dello scorpione[43], Fileto, paralizzato dal sortilegio del mago, con le mani legate che guarda verso il suo servo che gli mostra il sudario con il volto di Cristo mandatogli da Giacomo per liberarlo.

DSC05069Figura 32A Fileto imprigionato viene mostrato il sudario mandatogli da Giacomo

La narrazione continua raccontando che Fileto, liberato dal sortilegio, si recò correndo da Giacomo burlandosi delle arti magiche di Ermogene. Il mago arrabbiato per essere stato deriso, evocò dei demoni ordinando loro di portargli in catene Giacomo e Fileto per potersi prendere la sua vendetta contro di loro: tutto inutile perché i demoni mentre si avvicinarono al luogo in cui si trovava san Giacomo furono legati con catene infuocate da un angelo di Dio e vennero liberati solo dopo l’intervento dell’apostolo, che ordinò loro di condurre a lui lo stesso Ermogene[44].
Il riquadro successivo illustra il mago Ermogene che viene portato dai demoni dinnanzi san Giacomo: la scena mostra san Giacomo con il bordone, Fileto con le mani giunti che guarda in basso e il mago Ermogene inginocchiato tenuto legato per le mani da un demone mentre altri tre demoni stanno dietro di lui.

DSC05070Figura 33Il mago Ermogene che viene portato dai demoni dinnanzi san Giacomo

L’ultima scena, mostra, infine, la conversione e il battesimo di Ermogene: san Giacomo, tende nella mano sinistra l’ampolla con l’acqua lustrale sul capo di Ermogene che, inginocchiato con le mani giunti riceve il battesimo, accanto a questi Fileto, anch’esso inginocchiato con le mani giunte.

DSC05072Figura 34La conversione e il battesimo di Ermogene

Anche nella parte inferiore di questi ultimi tre riquadri, seppur molto rovinati, sotto lo strato di pittura nera, s’intravedono tracce di caratteri, che indicano la presenza di un’iscrizione occultata.

DSC05069 tracce iscrizione riquadro DSC05070 tracce iscrizioni DSC05072 tracce iscrizioni

Figura 35: Tracce iscrizione terzo riquadro narrativo
Figura 36: Tracce iscrizione quarto riquadro narrativo
Figura 37: Tracce iscrizione quinto riquadro narrativo

Per mettere in evidenza le iscrizioni che si celano sotto lo stato di pittura nera, i riquadri narrativi sono stati, da chi scrive, ispezionati in via preliminare con una lampada portatile UV corredata di un tubo fluorescente in luce UV (lampada di Wood) e esaminati a luce radente, quest’ultima ha messo in evidenza solo alcune lettere delle iscrizioni occultate.

20160820_235848 scena 4     20160821_000946 luce radente scena 8

Figura 38: Particolare a luce radente della parte inferiore del quarto riquadro narrativo, a sinistra
Figura 39: Particolare a luce radente della parte inferiore del terzo riquadro narrativo, a destra

Pertanto è chiara la necessità di affiancare a questi limitati e parziali esami anche altre indagini diagnostiche non invasive, quali ad esempio la radiografica ai raggi X e la riflettografica infrarossi (IR), che consentono di visualizzare elementi in genere celati alla vista. A tal fine chi scrive sta cercando di avviare un progetto di indagini diagnostiche.

NOTE

[1] Plumari G., Ricerche storiche della città di Randazzo, ms. del 1819 (alcuni fogli del manoscritto presentano una doppia numerazione), Archivio Privato, f. 173, n. 16; Idem, Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, voll. I-II, ms. del 1847-9, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77, vol. I, Libro III, p. 324, n. 40; IdemCodice diplomatico della fedelissima e piena città di Randazzo, ms. del XIX secolo, in ff., Biblioteca Comunale di Palermo, Qq H 116, nota C, f. 7r.
[2] Virzì S. C., Randazzo e le sue opere d’arte. Atlante foto-topografico e storico, Randazzo, 1956, vol. 2, p. 123.
[3] Ibidem.
[4] In Sicilia il culto di san Giacomo iniziò a diffondersi a partire dal XII secolo, dopo la conquista normanna, tuttavia, ebbe una maggiore espansione dopo l’arrivo degli Aragonesi nel 1282. A Randazzo la chiesa di San Giacomo fu, per molti secoli, la sede dell’omonima confraternita, una tra le più antiche domus disciplinae jacopee di Sicilia, già esistente prima del 1459, anno in cui risulta pagasse le decime alla Santa Sede. (Arlotta G., Confraternite di San Giacomo in Sicilia, in «Santiago e la Sicilia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Messina, 2-4 Maggio 2003», a cura di Giuseppe Arlotta, Perugia, Edizioni Compostellane, 2008, p. 343).
[5] Gambarini R., Riverente tributo d’ossequj alla gloriosa sant’Anna madre della Gran Madre di Dio, Venezia, 1708, pp. 10-12.
[6] Cenni storici. Chiese Monumenti antichità della Città di Randazzo, Adernò, 1906, Biblioteca Comunale di Randazzo riproduzione in fotocopia, 7.H.146, p. 56.
[7] De Roberto F., Randazzo e la Valle dell’Alcantara, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche Editore, 1909, p. 59.
[8] Raciti Romeo V., Randazzo. Origine e monumenti, s.d., p. 25.
[9] Giansiracusa P., San Giacomo di Randazzo: struttura e analisi, in «Compostella. Rivista del Centro Italiano di Studi Compostellani», n. 30, 2009, pp. 4-5.
[10] Arlotta G., San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudiniIdem, p. 6. Una copia dell’articolo si trova affissa, in calce, alla tavola.
[11] Giansiracusa P., San Giacomo di Randazzo: struttura e analisi, op. cit., p. 4.
[12] Arlotta G., San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudini, op. cit., p. 6.
[13] Simbolo della regalità acquisita attraverso l’incarnazione di Cristo.
[14] La collana e i braccialetti di corallo indossati dal Bambino hanno un doppio valore: ornamentale e protettivo. Sono degli amuleti, ovvero oggetti ai quali veniva riconosciuta una potenza magica di tipo protettivo. Per gli arabi il corallo era un lasciapassare per l’aldilà, sacro alla dea Iside.
[15] Simili a quelli del maphorion della Madonna.
[16] San Giacomo è vestito a colori invertiti rispetto la Madonna.
[17] La trascrizione è data in minuscolo, utilizzando le maiuscole secondo gli usi comuni. L’integrazione di lacuna è stata posta tra parentesi quadre [ ]; con le parentesi tonde ( ) sono state sciolte le abbreviazioni. Si è inserita una barra obliqua / per segnalare la fine di ogni riga e una doppia barra obliqua // per segnalare la fine della sezione.
[18] Bianco R., Culto iacobeo in Puglia tra Medioevo ed Età Moderna. La Madonna, l’intercessione, la morte, in «Santiago e l’Italia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Perugia, 23-26 Maggio 2002», a cura di Paolo Caucci von Saucken, Perugia, Edizioni Compostellane, 2005, p. 136.
[19] Conosciuto come Codex calixtinus, è un’opera elaborata in un periodo compreso tra il 1139 e il 1173. Per l’autore-compilatore del Codex calixtinus si veda: Il Codice callistino. Prima edizione italiana integrale del Liber Sancti Jacobi – Codex calixtinus (sec. XII), traduzione e introduzione di Vincenza Maria Berardi, presentazione di Paolo Caucci von Saucken, Perugia, Edizioni Compostellane, 2008, pp. 21-24.
[20] Ivi, Libro II, Cap. XVII, pp. 365-370.
[21] Trattasi di un’ampia raccolta di vite sante e leggende agiografiche, redatta a partire circa dall’anno 1260 fino alla morte dell’autore, avvenuta nel 1298.
[22] È probabile che sia l’immagine centrale che i riquadri siano profilati da un bordino marrone nascosto attualmente dalla cornice lignea, la cui presenza è intuibile nel terzo riquadro narrativo a destra.
[23] Teologo del XII secolo, profondo conoscitore di tradizioni ecclesiastiche e agiografiche.
[24] L’Arlotta riporta erroneamente che i discepoli furono incarcerati da Lupa.
[25] Iacopo da Varazze, Legenda aurea, edizione critica a cura di Giovanni Paolo Maggioni, Tavarnuzze-Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 1998, p. 654.
[26] Il Codice callistino, op. cit., Libro III, Cap. I, p. 385.
[27] La versione del miracolo dell’impiccato riportata nella Legenda aurea è un fedele riassunto del miracolo V, contenuto nel II libro del Liber Sancti Jacobi; Iacopo da Varazze, Legenda aurea, edizione critica, op. cit., pp. 656-657.
[28] Il Codice callistino, op. cit., Libro II, Cap. V, pp. 351-352.
[29] Vázquez De Parga L., Lacarra J. M., Uría Ríu J, Las Peregrinaciones a Santiago de Compostela, Madrid, 1948, Tomo I, Parte Tercera: Las consecuencias sociales y culturales de la peregrinacion, pp. 578-579.
[30] Ibidem.
[31] Un primo accenno al miracolo dell’impiccato e al gallo e la gallina si trova nell’Itinerario Marciano (Da Veniexia per andar a mese San Zacomo de Galizia), datato dalla dottoressa Angela Mariutti alla prima metà del XIV secolo. Paolo G. Caucci von Saucken, Relazioni italiane di pellegrinaggio a Compostella del Quattrocento, in «Actas del I Congreso de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval, Santiago de Compostela, 2-6 Diciembre 1985», Edición a cargo de Vicente Beltrán, Barcelona, PPU, 1988, p. 240.
[32] I sei trattini indicano una lacuna la cui entità non è precisabile (corrispondente ad un numero indefinito di righe). I tre trattini tra parentesi quadre indicano la presenza di lettere o parole incomprensibili o illeggibili non quantificabili.
[33] Vedi nota 24.
[34] Arlotta G., San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudini, op. cit., p. 6.
[35] «[…] I discepoli, risoluti e illuminati dall’accaduto, ripresero il proficuo cammino verso la dimora della citata matrona [Lupa], alla quale riferirono come il re [di Dugio], furioso per la rabbia, avesse voluto dar loro una morte infelice e come Dio avesse agito contro di lui per punirlo.
Le chiesero insistentemente, inoltre, di concedere loro, consacrandolo a Dio, il tempietto in passato dedicato agli idoli e la esortarono fermamente a rinnegare quei simulacri foggiati da mani umane, che non potevano essere utili a lei né d’aiuto al altri; i lori occhi, infatti, non potevano vedere, né le orecchie ascoltare o le narici percepire odori, e dunque essi non potevano giovare in alcun modo a nessuno della sua gente.
Ma la mente della matrona, fuori di sé anche per il timore che alcuni suoi parenti o affini avessero potuto trovare la morte nell’annegamento delle truppe reali, e perciò incapace – come accade spesso nelle questioni umane –, di pervenire ad una giusta decisione, iniziò a concepire una vana e bizzarra macchinazione, continuando a reputare falso quanto le era stato riferito.
E così, mentre i discepoli ancor più fermamente la sollecitavano con le loro umili richieste affinché concedesse loro una piccola parte della sua terra per seppellirvi le spoglie del santissimo apostolo, la matrona architettò un nuovo e maligno stratagemma. Convinta di poterli assassinare con l’astuzia, dunque, si rivolse loro dicendo:
 “Poiché mi sembra che sia vostra ferma intenzione ottenere ciò, e che non intendete in alcun modo rinunciarvi, ecco: io possiedo alcuni buoi addomesticati su un monte; servitevi di loro per procedere nel vostro intento e per trasportare tutto quanto vi sembri indispensabile per l’edificazione del tempio. Se vi dovesse mancare il cibo, mi occuperò volentieri di fornirlo a voi e a loro”.
Avendo ascoltato tali parole, e non essendosi accorti della falsità della donna, i discepoli dell’apostolo la ringraziarono e si misero in cammino. Giunti sul monte, però, videro qualcosa di inaspettato: nel momento in cui ebbero oltrepassato i valichi di quel rilievo, infatti, un immenso drago, che aveva reso deserte le abitazioni vicine a causa delle sue frequenti incursioni, uscì all’improvviso dalla propria grotta e si lanciò sui santi uomini di Dio vomitando fiamme, pronto ad attaccarli e a minacciarli di morte.
Quelli, però, lo sfidarono intrepidi ripensando ai dogmi della fede; rimanendo immobili, infatti, lo allontanarono mostrandogli il baluardo della croce.
Il drago, incapace di sopportare la vista della croce del Signore, si squarciò nella parte inferiore del ventre. Terminato lo scontro, i discepoli levarono gli occhi al cielo e resero grazie al Re Supremo dal profondo del cuore. Poi, per scacciare definitivamente da quel luogo la moltitudine dei demoni, benedissero l’acqua e la aspersero ovunque, su tutto il monte.

Dopo tale evento quel luogo, un tempo chiamato monte Ilicino, che sta a significare “seducente” perché prima di quell’epoca molti uomini, adescati dal demonio, svolgevano proprio lì i loro riti diabolici, fu da loro denominato Monte Sacro, che significa monte consacrato a Dio.
Poco dopo, però, i discepoli videro correre verso di loro i buoi che gli erano stati malignamente promessi: li osservarono in lontananza mentre, selvaggi e muggenti, squassavano barriere con le corna poste sulla sommità del capo e facevano tremare la terra con gli zoccoli.
E quando ormai questi sembravano sul punto di attaccarli lungo i pendii montuosi, minacciandoli di una morte crudele con la loro carica ostile, all’improvviso una grande calma e mansuetudine si impadronì dei buoi, tanto che quegli stessi animali, poco prima in procinto di assalire i discepoli per ucciderli efferatamente, adesso, abbassando il capo, appoggiarono invece spontaneamente le loro corna sulle mani dei santi uomini.

I portatori del santo corpo, accarezzando gli animali selvaggi ora divenuti docili, misero loro immediatamente il giogo e, percorsa una scorciatoia, fecero il loro ingresso nel palazzo della donna al seguito dei buoi ridotti all’ubbidienza.
Colta da stupore, quella riconobbe i miracoli che si erano verificati e, spinta da quei tre evidenti e incontestabili segni, acconsentì alla loro richiesta.». Il Codice callistino, op. cit., Libro I, Cap. I, pp. 386-387.

[36] Iacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone, Torino, Giulio Einaudi editore, 1995, p. 537.
[37] Il Codice callistino, op. cit., Libro I, Cap. IX, p. 149.
[38] Arlotta G., San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudini, op. cit., p. 6.
[39] Nel corso del XVI secolo, la Sicilia fu colpita per ben tre volte da un ondata di epidemia di peste: 1500, 1522-23 e 1575.
[40] «Le pestilenze erano capaci di indurre uno stato di carestia per effetto delle misure di controllo della circolazione d’uomini e merci per prevenire il diffondersi dell’epidemia. Sarebbe il caso della carestia del 1528-29, quando un’annata penuriosa ma non eccezionalmente negativa si trasformò in una grave carestia». Alfani G., Pestilenze e ‘crisi di sistema’ in Italia tra XVI e XVII secolo. Perturbazioni di breve periodo o cause di declino economico?, in «Le interazioni fra economia e ambiente biologico nell’Europa preindustriale secc. XIII-XVIII, Atti della “Quarantunesima Settimana di Studi”, 26-30 aprile 2009», , a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, University Press, 2010, nota 7, p. 221.
[41] Nel marzo 1536 vi verificò una violenta eruzione dell’Etna. Lo storico Tommaso Fazello (1498-1570), testimone oculare della spaventosa eruzione, così descrisse l’inizio dell’evento eruttivo: «il 23 di marzo del 1536, verso il tramontare del Sole, una nube di fumo nero al di dentro rosseggiante coprì la cima dell’Etna, e poco dopo dal cratere, e da nuove aperture fattesi nel contorno, uscì un gran fiume di lava che verso oriente andò a coprire un lago, dove liquefacendosi le nevi che vi erano si formò un grosso torrente che furioso scese con corso arcuto verso Randazzo sommergendo greggi di pecore, animali e tutto ciò che incontrò». Fazelli T., De rebus Siculis decades duae, 1558, pp. 60-62.
[42] Il Codice callistino, op. cit., Libro I, Cap. IX, p. 149.
[43] In araldica immaginaria questo stemma viene attribuito ai Giudei.
[44] Ibidem.

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio padre Josè Enrique Rodriguez Sainz, parroco della chiesa di San Nicola, per avermi permesso di esaminare la tavola.
Ringrazio sentitamente Emanuele Pitinzano per la grande disponibilità, pazienza e cortesia dimostratami. Senza di lui l’esame della tavola con la lampada di Wood non sarebbe stata possibile.
Ringrazio con affetto mia sorella Monia e i miei cari amici, Beppe, Silvana, Salvatore, Maria, Tina e Vincenzo, per aver condiviso con me l’indagine notturna.
Il mio più profondo ringraziamento va a Enzo, mio marito, per la sua presenza e l’impareggiabile supporto.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

ALFANI G., Pestilenze e ‘crisi di sistema’ in Italia tra XVI e XVII secolo. Perturbazioni di breve periodo o cause di declino economico?, in «Le interazioni fra economia e ambiente biologico nell’Europa preindustriale secc. XIII-XVIII, Atti della “Quarantunesima Settimana di Studi”, 26-30 aprile 2009», a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, University Press, 2010.

ARLOTTA G., Confraternite di San Giacomo in Sicilia, in «Santiago e la Sicilia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Messina, 2-4 Maggio 2003», a cura di Giuseppe Arlotta, Perugia, Edizioni Compostellane, 2008.

ARLOTTA G., San Giacomo di Randazzo: iconografia e vicissitudini, in «Compostella. Rivista del Centro Italiano di Studi Compostellani», n. 30, 2009.

BIANCO R., Culto iacobeo in Puglia tra Medioevo ed Età Moderna. La Madonna, l’intercessione, la morte, in «Santiago e l’Italia. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Perugia, 23-26 Maggio 2002», a cura di Paolo Caucci von Saucken, Perugia, Edizioni Compostellane, 2005.

Cenni storici. Chiese Monumenti antichità della Città di Randazzo, Adernò, 1906, Biblioteca Comunale di Randazzo riproduzione in fotocopia, 7.H.146.

DE ROBERTO F., Randazzo e la Valle dell’Alcantara, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche Editore, 1909.

FAZELLI T., De rebus Siculis decades duae, 1558.

GAMBARINI R., Riverente tributo d’ossequj alla gloriosa sant’Anna madre della Gran Madre di Dio, Venezia, 1708.

GIANSIRACUSA P., San Giacomo di Randazzo: struttura e analisi, in «Compostella. Rivista del Centro Italiano di Studi Compostellani», n. 30, 2009.

IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone, Torino, Giulio Einaudi editore, 1995.

IACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, edizione critica a cura di Giovanni Paolo Maggioni, Tavarnuzze-Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 1998.

Il Codice callistino. Prima edizione italiana integrale del Liber Sancti Jacobi – Codex calixtinus (sec. XII), traduzione e introduzione di Vincenza Maria Berardi, presentazione di Paolo Caucci von Saucken, Perugia, Edizioni Compostellane, 2008.

PAOLO G. CAUCCI VON SAUCKEN, Relazioni italiane di pellegrinaggio a Compostella del Quattrocento, in «Actas del I Congreso de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval, Santiago de Compostela, 2-6 Diciembre 1985», Edición a cargo de Vicente Beltrán, Barcelona, PPU, 1988.

PLUMARI G., Codice diplomatico della fedelissima e piena città di Randazzo, ms. del XIX secolo, in ff., Biblioteca Comunale di Palermo, Qq H 116.

PLUMARI G., Ricerche storiche della città di Randazzo, ms. del 1819 (alcuni fogli del manoscritto presentano una doppia numerazione), Archivio Privato.

PLUMARI G., Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia generale di Sicilia, voll. I-II, ms. del 1847-9, Biblioteca Comunale di Palermo, Qq G76-77.

RACITI ROMEO V., Randazzo. Origine e monumenti, s.d..

VÁZQUEZ DE PARGA L., LACARRA J. M., URÍA RÍU J, Las Peregrinaciones a Santiago de Compostela, Madrid, 1948, Tomo I.

VIRZÌ S. C., Randazzo e le sue opere d’arte. Atlante foto-topografico e storico, Randazzo, 1956, vol. 2.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Le fotografie e le illustrazioni riprodotte nell’articolo, quando non specificato diversamente, sono state eseguite dall’autrice.

Figura 2: La chiesa di San Giuseppe, in una foto, degli inizi del Novecento, del De Roberto, tratta da: De Roberto F., Randazzo e la Valle dell’Alcantara, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche Editore, 1909, p.86.

Figura 3: La chiesa di San Giuseppe in una foto degli anni 30, immagine gentilmente postata dall’avvocato Salvatore Manitta, sul gruppo Facebook “Randazzo Tutti in un Gruppo”, <https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10206568113783338&set=gm.101 53975714020883&type=3&theater>, agg. 2016.

Figura 6: Madre di Dio della consolatrice tratta da: La ricostruzione dell’icona costantinopolitana, in «L’immagine sacra nella Chiesa», <http://www.iconografi.it/?p=304>, agg. 2016

 Ancora Angela Militi su un “VOLTO MISTERIOSO”

 

                                    Un volto misterioso

Spesso gli artisti, di ogni tempo, hanno celato figure, scritte, simboli e messaggi in codici, all’interno delle loro opere.

Ne è un esempio il famoso affresco di Giotto “Morte e Ascensione di San Francesco”, nella Basilica di San Francesco in Assisi, dove, nella ventesima scena della vita del Santo – raffigurante la morte di San Francesco –, Giotto, celò, nella parte alta di destra della nuvola, un volto satanico.

San Michele, Arcangelo, Misteri, Volti Misteriosi, Arte

Mentre, il Mantegna, nel suo “San Sebastiano” – conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna – inserì, sullo sfondo del cielo, una nuvola a forma di cavaliere su di un cavallo.

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All’interno della chiesa di San Nicola di Randazzo, è custodito un bel quadro raffigurante San Michele Arcangelo, di autore ignoto.

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L’Arcangelo è ritratto come un giovane guerriero alato (Archistratega, principe delle milizie celesti), sospeso su un cumolo di nuvole, con il corpo leggermente proteso in avanti, scruta le profondità infere che eruttano lingue di fuoco e getti di fumo. Esso, indossa una veste bianca – simbolo di purezza – con maniche corte ricamate su cui è posta la raffinata lorica, con accollatura quadrata, di colore blu cobalto – simbolo di giustizia –, con pteruges – su cosce e braccia –, contornata d’oro e decorata con phalerae. Il mantello color rosso – simbolo di nobiltà e coraggio –, fermato alle spalle con due fibule, scende lungo la schiena, si avvolge intorno ai fianchi e poi ricade lungo la gamba sinistra. Ai piedi reca eleganti calzari a mezza gamba; il capo è scoperto, i capelli biondi e fluenti. Nella mano destra impugna la spada, mentre con la sinistra sorregge una bilancia, con cui pesa le anime dei defunti (psicostasia o psicostasi).

Accanto la gamba sinistra di San Michele, parzialmente coperta dalle nuvole, s’intravede la figura a mezzo busto di una monaca, con velo e soggolo – che le cinge il collo – bianchi, mentre sotto la nuvola, su cui l’Arcangelo, poggia la punta del piede, si distingue la mano sinistra della religiosa, al cui dito indice porta un anello d’oro.

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Ma chi è la monaca ritratta nel dipinto dall’ignoto pittore. Si tratta forse di una santa,  oppure essa allude a una committenza femminile?

Certo, una cosa non esclude l’altra, in quanto spesso alcune sante, come Santa Caterina, venivano effigiate dai pittori, per rendere omaggio a committenti donne.

Tuttavia non si sa se il pittore abbia voluto alludere a una committenza femminile o abbia voluto effigiare una santa, ma a ben guardare quel volto – parziale – tra le nuvole, sembrano due scelte da escludere,  in quanto osservando con più attenzione la scena del dipinto, appare evidente che, il pittore abbia ritratto, in realtà, l’anima di una monaca (o badessa) che, sottoposta a giudizio al momento della morte, osserva il verdetto della sua pesatura; il piatto della bilancia, pende verso destra, pertanto l’anima della monaca è stata salvata, perché meritevole del perdono divino.

Lionardo Vigo, in occasione di un suo soggiorno in città, nel luglio del 1833, visitò il carcere della stessa e, in una missiva all’amico Ferdinando Malvica, raccontò: «E’ poco che si aperse una di quelle buche; vi si rinvenne incadaverita una monaca……forse imputata di sortilegio……Ma come morì? chiedeva nel mio raccapriccio al custode – se la scordarono forse;– forse! E si scorda vivo sepolto un’essere, il quale ha diritto alla vita quanto i malvagi stessi, che ivi lo chiusero…… ed ha grandi diritti alla pubblica compassione, perché era infelice!».

Si trattava, forse, della monaca del dipinto? La nostra badessa era una strega, per questo motivo fu giudicata da San Michele Arcangelo, dopo la sua morte?

Chi è la misteriosa badessa….qual’è la Vostra ipotesi?

FONTI BIBLIOGRAFICHE

GUIDI F., Il mestiere delle armi. Le forze armate dell’antica Roma, Milano, Oscar Mondadori, 2011.

VIGO L., Lettere di Lionardo Vigo a Ferdinando Malvica sopra una gita da Catania a Randazzo, in «Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia», Tomo X, Palermo 1834, p. 209.

FONTI INTERNET

Laboratorio d’Arte Cultor, Le immagini nascoste nei dipinti di Andrea Mantegna e di Giotto, <http://www.cultor.org/Mantegna/s.html >, agg. 2013.

Opere d’arti insolite. Opere misteriose, < https://antveral.wordpress. com/2012/06/10/3143/ >, agg. 2013.

Barletta D., Michele, un antico guerriero e santo, <http://www.clinicasanmichele.com/public/San%20Michele-dora%20barletta.pdf>, agg. 2013.

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Mantegna Andrea, San Sebastiano, Kunsthistorisches Museum di Vienna, tratto da: <http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ac/MantegnaSebastian.jpg>, agg. 2013.

Giotto, Morte di San Francesco, Basilica Superiore di Assisi, tratto da: <http://it.wikipedia.org/wiki/File:Giotto_di_Bondone_-_Legend_of_St_Francis_-_20.
_Death_and_Ascension_of_St_Francis_-_WGA09146.jpg>, agg. 2013.

Ingrandimento volto satanico, tratto da: <http://www.cultor.org/Mantegna/s.html>, agg. 2013, riprodotta per gentile concessione della Cultor Comunicazione.

Randazzo Segreta di Angela Militi .

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Cosi  descrive la chiesa di San Nicola il salesiano  Don Calogero Salvatore Virzì.

 

 

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LA CHIESA DI SAN NICOLA si trova al centro della cittadina e dell’originario quartiere greco, dove verosimilmente si sarebbero insediati gli antichi cittadini di Trincala, antica e leggendaria città greca.
San Nicola è la più grande chiesa di Randazzo e della Diocesi, tanto da essere elevata anticamente a sede vescovile, caratteristica questa per la quale Re Federico II di Svevia le elargì il privilegio di fare da sede ai raduni delle Civiche Assemblee Generali.
Le parti più antiche risalgono al sec. XIII e la sua struttura originaria era in stile normanno-svevo. Come ci ricorda la lapide infissa sul lato sud della chiesa, venne ristrutturata una prima volta nel 1589 e, successivamente nel 1605.
Il Campanile ricostruito nell’anno 1783 e tuttora incompleto, sostituì l’incantevole torre campanaria 1300 distrutta dal grande terremoto del 1693.
Le robuste absidi poligonali del XIII sec. e il sistema di merlatura, fanno pensare ad un’organismo fortificato, più che a una costruzione religiosa. Gravemente danneggiata strutturalmente nel corso dei bombardamenti anglo-americani del luglio-agosto 1943, la chiesa di San Nicola fu privata di tantissimi tesori d’arte in essa custoditi, andati distrutti.
La chiesa si presenta oggi come un complesso architettonico imponente con soprastrutture di epoche e stili diversi che le danno un tono davvero variegato.

Al suo interno conserva preziosi ori quadri e argenti di arte religiosa, straordinari reperti scampati ai bombardamenti.
Oltre a questi numerosi beni artistici e religiosi, la chiesa conserva anche un mistero mai svelato vecchio di tanti secoli: la leggendaria costola del saraceno.
Davanti alla parrocchia di San Nicolò, si apre la sua armoniosa piazza dove spicca la poderosa statua in marmo del gigante Piracmone, conosciuto con il nome di “Ranazzu Vecchiu”.
Alla statua, che raffigura un nudo maschile circondato da un’aquila, un leone e due serpenti, sono stati attribuiti diversi significati più o meno verosimili; in particolare, come accennavamo sopra, il simbolo di un’improbabile unione delle tre antiche etnie presenti a Randazzo: i latini, i greci e i lombardi.
Si affaccia sulla piazza il sobrio palazzo Russo, un’antico edificio nobiliare del XIV sec., la Via degli Archi o Uffizi e la deliziosa chiesetta di Santa Maria della Volta, risalente al sec. XIV e restaurata verso la metà degli anni 80, verosimilmente apparteneva ad una famiglia nobiliare di quei tempi, e trasferita in seguito ad una comunità di suore e ancora dopo ad una Confraternita che ne portava il nome.
Enzo Crimi

 Galleria Fotografica:

 

Giuseppe De Thomasio, La Santissima Trinità – Chiesa di S. Nicola – Randazzo

I discepoli di Emmaus, (paliotto), secolo XIX, marmo scolpito. Randazzo, Basilica San Nicolò di Bari

Vittorio Sgarbi ammira i due episodi di San Nicola scolpiti da Antonello Gagini sotto la statua del Santo .

Chiesa di San Nicola. Opera di Salvatore Grasso

   

Antonio Gagini

 

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