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FRANCESCA PAOLINO. ARCHITETTURE RELIGIOSE

FRANCESCA PAOLINO
ARCHITETTURE RELIGIOSE
A MESSINA E NEL SUO TERRITORIO
FRA CONTRORIFORMA E TARDORINASCIMENTO
(da pag.171 a 179 parla della Basilica di Santa Maria  Randazzo)

 

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Stefano Bottari

STEFANO  BOTTARI

           

Nato a Fiumedinisi il 6 marzo 1907 ma fu sempre molto legato al vicino paese di Itala (ME) dove aveva gli affetti ed aveva intrapreso un’importante attività di ricerca e studio.
Iniziò la propria attività di studio con un corso di architettura presso l’
Università degli studi di Messina. Iscrittosi al corso di laurea in presso l’Università degli Studi di Catania conseguì il diploma il 5 novembre del 1931 discutendo una tesi sulle rime di Michelangelo.

Iniziò la docenza nel 1935 quando ottenne l’incarico di professore di Storia dell’arte medioevale e moderna presso l’ateneo messinese.
Nel successivo 
1937 ottenne il medesimo incarico alla facoltà di Lettere dell’Università di Catania e nel 1939 ebbe l’incarico di docente di storia dell’arte medioevale e moderna a Messina.
Dopo un ulteriore periodo di docenza a Catania dal 
1957 ottenne una prestigiosa cattedra all’Università degli studi di Bologna.
Nella sua attività si occupò anche di catalogazione e restauro d’opere d’arte (si ricorda soprattutto la sua consulenza per la 
Pinacoteca Zelantea di Acireale[2]) e di divulgazione con la rivista «Arte critica e Moderna».
Noi  ricordiamo  questo illustre critico d’arte per aver scritto un pregevole libretto: ” LE OREFICERIE DI RANDAZZO “, dove non si limita soltanto a parlare dei tesori delle nostre tre chiese, ma traccia un profilo della Città veramente ragguardevole.
Si spense a 
Bologna l’11 febbraio 1967

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Francesca Paolino

 

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In questo libro da pag. 171 a pag. 179 parla di Randazzo e della Basilica di Santa Maria.

 

 

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Basilica Santa Maria – Dipinti

 

 

 

 

 

 

 

 

La Pentecoste di Ignoto sec. XVI

 

 

Dormizione, Assunzione e Incoronazione di Maria -Giovanni Caniglia 1548

 

 


GIUSEPPE PLUMARI ed EMMANUELE

Uno storico municipalista del XIX secolo

    Giuseppe Plumari, uomo di chiesa e di cultura, era nato a Randazzo il 17 agosto del 1770.
Il padre, don Candeloro, faceva il notaio, e la madre, Paola Emmanuele, discendeva da un’antica famiglia locale. Nonostante appartenesse alla media borghesia, egli dovette sempre fare i conti con le ristrettezze economiche della famiglia, e se già il padre si vedeva costretto, per arrotondare i suoi magri proventi, a far l’organista nelle chiese, lui si trovò sempre a lottare da solo per raggiungere quei risultati che il censo non gli aveva dato già per scontati, e rinunciare nel corso della sua vita, a tante aspirazioni.

Aveva, per esempio, fatta istanza al Re per essere assunto come Cappellano Militare, e, forse dopo un accoglimento sfavorevole, dovette adattarsi all’ambiente del paese.
Ambiente che inevitabilmente doveva andargli piuttosto stretto, sia per le naturali ambizioni dell’uomo, consapevole delle sue doti, sia per le invidie e ostilità in mezzo alle quali si trovò sempre costretto a vivere.
Compì i primi studi presso il Convento dei Basiliani, e in particolare, per la retorica e le lettere, sotto la guida dall’Abate Giovanni Romeo.
Fu proprio un episodio avvenuto in gioventù, un viaggio a Napoli nel corso del quale ebbe modo di visitare palazzi e musei, a risvegliare in lui l’amore per la storia e per le “cose antiquarie”. A 18 anni si recò a frequentare il Seminario di Messina, dove completò gli studi laureandosi in Teologia e Diritto. Fu ordinato sacerdote nel 1795.

Dopo un periodo di tirocinio a Palermo, ritornato nel paese natale, fu associato al clero della chiesa di Santa Maria, in qualità di Canonico della Collegiata.
Nel 1814, alla morte dell’Arciprete Don Alberto Salleo, partecipò al concorso per l’Arcipretura, vincendolo: “questo – dice lo storico don Salvatore Calogero Virzì – fu l’inizio di tutte le traversie della sua vita perché, contestata da uno degli sfortunati concorrenti, Don Antonino Vagliasindi dei baroni del Castello, la sua nomina ad Arciprete, fu tradotto davanti ai Tribunali”.
Ma fu anche la molla che, involontariamente, fece scattare nel Plumari nuovi interessi, dandogli al tempo stesso la possibilità di assecondarli.
Infatti dovette trasferirsi a Palermo per due anni, dal 1815 al 1816, per seguire la causa, che poi avrebbe vinto in pieno, a seguito di tre diverse sentenze successive, ma la permanenza nel capoluogo gli offrì anche l’opportunità ed il tempo di frequentare archivi e biblioteche, di spulciare libri e documenti, scoprendo così la sua vocazione di storico, nonché di avvicinare dotti e studiosi del tempo, quali D. Vincenzo Castelli e D. Giovanni D’Angelo, che lo aiutarono ad affinare ed approfondire la già latente passione per la storiografia.
Da queste frequentazioni, da questi studi, che D. Giuseppe Plumari integrò con la lettura degli storici municipali, quali Pietro Oliveri, Antonino Pollicino, Pietro Di Blasi, Pietro Rotelli, il notaio Prospero Ribizzi e Onorato Colonna, doveva scaturire l’enorme mole degli scritti su Randazzo, la sua storia, i suoi figli più illustri.
Di ritorno in patria, avrebbe potuto finalmente dedicarsi alla vita parrocchiale, preparando i giovani al catechismo, pronunciando orazioni e sermoni, e facendosi così apprezzare per le sue doti di oratore.
Ma per l’Arciprete Plumari la tranquillità era ben lungi dall’arrivare: entrò subito in contrasto con gli Amministratori dell’Opera De Quatris – l’azienda costituita da lasciti e beni immobili assegnati alla chiesa di S. Maria dalla defunta baronessa Giovannella De Quatris – che in seno alla comunità randazzese costituivano una vera e propria potenza economica, e, per di più, dovette vedere sempre minacciata e messa in forse la sua stessa dignità ed autorità di Arciprete.
Infatti, sulla scorta di una certa teoria, ormai da tempo consolidata, stando alla quale le chiese di Randazzo fossero ricettizie, ovvero istituzioni spontanee dove i vari membri godevano di parità assoluta, esercitando a turno, per esempio, le mansioni di parroco, la figura dell’Arciprete sarebbe venuta a ricoprire così un titolo privo di autorità giurisdizionale su tutto il resto del clero, e di conseguenza il Plumari dovette subire non poche angherie ed umiliazioni, specie da chi mal aveva digerito la sua nomina.
Di fatto egli riuscì, soltanto nel 1839, alla morte del Decano D. Antonino Vagliasindi, a sedersi tranquillo sulla sospirata poltrona di Arciprete, e ad assumere i pieni e reali poteri, nonché la dignità, che tale carica comportava: “assommando le due dignità nell’unica sua persona, non ha più da tribolare per il riconoscimento dei suoi diritti e delle sue ambizioni cui tanto sensibile era il suo carattere”’ (Virzì).
Si era anche fatto promotore dell’idea di creare una sede vescovile a Randazzo (la città allora, e fino al 1872, faceva parte della Diocesi di Messina), benché su questa sua proposta sarebbe poi prevalsa quella delle Autorità di Acireale.
Non è da escludere che egli accarezzasse il sogno segreto di poter indossare per primo, e in patria, le insegne di Vescovo…

 

Morì il 1° ottobre 1851. Probabilmente fu seppellito in S. Maria, tuttavia, sicuramente a seguito dei vari rifacimenti della pavimentazione della basilica, e allo smantellamento delle pietre tombali già esistenti, della sua tomba non vi è oggi alcuna traccia. Strano destino, questo, per un uomo che lasciò un’opera immortale, e cui la città deve tanto!
Don Virzì, che è la fonte più dotta, esauriente e attendibile, che ne conobbe e studiò per esteso l’opera, e che a tutt’oggi ne è considerato il più degno erede e successore, così lo descrive:
      “carattere ardente, fattivo, in parte intrigante e ambizioso… Il suo agire in parte ingenuo, fu quello di certi uomini che pensano di essere chiamati a raddrizzare le cose storte… a riformare il mondo con uno spirito di intransigenza che rivela la loro personalità”.
A ciò va aggiunta, da un lato, la perenne condizione di ristrettezza economica in cui il Plumari versò per tutta la vita, e dall’altro la costanza, l’accanimento con cui egli si batté, per tanti anni e con ogni mezzo, per raggiungere il traguardo del pieno riconoscimento di quella dignità dell’Arcipretura che con tanta ostinazione e spirito di ripicca gli fu osteggiata per lunghi anni.

Troppo complesso sarebbe descrivere le diatribe, i colpi bassi, le battaglie che caratterizzarono la rivalità col Decano Vagliasindi  (si tratta di Paolo Vagliasindi Basiliano che nel “Discussione Storica e Topografica” confuta la tesi del Plumari sulla origine di Randazzo F:R.) e altri esponenti influenti del clero locale, ma la chiave di lettura di questa vicenda si potrebbe trovare forse inquadrandola nello scontro fra due classi sociali, un’aristocrazia titolata, fortemente aggrappata ai propri appannaggi e privilegi, cui era restia a rinunziare, ed una borghesia che, fattasi strada con i soli propri mezzi, vedeva negli studi una sorta di affrancamento e di riscatto sociale: a tal proposito non può sfuggire come Giuseppe Plumari non mancasse mai di aggiungere, al proprio nome, il titolo raggiunto con studio e sacrificio “Dottore in Sacra Teologia“, “Canonico in Sagra Teologia Dottore”, e finalmente “Unico Parroco Arciprete di Randazzo”.
Abbondante la sua bibliografia, almeno a giudicare dai titoli pervenutici, a testimoniare un impegno pastorale e culturale notevole e continuo.
Fu grande oratore, convinto e infiammato, tant’è che pubblicò le sue omelie “animato, per non dire obbligato, dai buoni cittadini, che ascoltate le aveano con tanto piacere, e che avean veduto dalle stesse raccolto un frutto universale” come ebbe ad affermare con un pizzico di vanità, o piuttosto consapevolezza delle proprie capacità e dei propri meriti.

– È del 1821 l’Omelia nel giorno natalizio ed onomastico del Re Ferdinando I,
– del 1822 la Felicità dei popoli sotto la Religione Cristiana e sotto il Governo Monarchico, e la Infelicità dei popoli sotto le segrete società tendenti a distruggere la Religione e il trono,
– una Orazione funebre in morte di Ferdinando I (1825).

Altri scritti ancora furono dettati dall’intendimento di affermare le proprie tesi, come :
Le Ragioni in difesa del diritto dell’Arciprete di Randazzo (1813),
– Sulla elezione dell’Amministrazione dell’Opera De Quatris, fatta dai parrocchiani di S. Maria ai quali s’appartiene (1815),
– una Allocuzione in difesa dei beni ecclesiastici appartenenti alla Collegiata di S. Maria.
Altri gli sono stati attribuiti:

Orazione fatta al consiglio civico di Randazzo al 25 agosto 1813,
Poche idee sopra talune leggi da farsi ai termini dello statuto politico per la Sicilia (1848).

Ma la mole più cospicua è costituita dagli scritti su Randazzo, opera cui Plumari dedicò l’impegno di una vita.

La Storia di Randazzo fu redatta in varie stesure, ne esiste pure un’edizione condensata presso la Biblioteca Zelantea di Acireale, depositatavi dall’Autore nel 1834.

Lionardo Vigo


Come egli stesso afferma, fu incoraggiato nelle stesura dell’opera dall’amico acese Lionardo Vigo:

      “Avendo io nelle ore dell’ozio raccolte alcune memorie relative alla Storia di Randazzo, mia Patria, queste un tempo legger volle il Cavaliere Lionardo Vigo della Città di Acireale, qui venuto per curiosare… mi animò… Egli stesso a scrivere un Sunto della Storia mia municipale, con avermi incaricato di doverlo poi trasmettere ali Accademia de’ Zelanti di Scienze, Lettere ed Arti di essa Città di Aci-Reale. Tanto io praticai nello stesso anno 1834″.

Spiegherà poi che, trattandosi di un sunto, omise per brevità di citare gli autori consultati, offrendo così automaticamente il destro ad altri, in particolare all’altro storico dell’epoca, l’Abate Paolo Vagliasindi, di contestare le sue tesi, in particolare la teoria della pentapoli. Secondo questa teoria, Randazzo sarebbe stata originata, a detta del Plumari, dalla fusione di cinque città, Tiracia, Alesa, Triocala, Tissa e Demena.

 

                  Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia – fine primo volume.

 

Di fatto nella Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia, in 2 volumi, iniziata nel 1847 e conclusa nel 1851, l’anno stesso della morte, egli innesta la storia della Città sul ceppo della storia dei popoli e delle genti che abitarono la Sicilia e il Mediterraneo, fin dai tempi più antichi, attingendo agli autori greci e romani. La sua descrizione si fa via via più serrata e documentata, quanto più lo scrittore si avvicina ai tempi moderni.
L’opera è corredata anche da disegni e schizzi, di mano dello stesso Plumari, d’indubbio valore documentario, per ricostruire monumenti non più esistenti o la topografia della città.
Degno di menzione il Codice diplomatico, la Storia delle famiglie nobili di Randazzo, la Storia dei personaggi illustri di Randazzo che fiorirono per fama dì santità, concepita come un terzo volume della Storia.
Proprio questo volume, per volontà dello stesso autore, non sarebbe stato depositato presso l’Archivio di Palermo, ma lasciato alla città di Randazzo, nel caso si fosse reso necessario attingere notizie utili alla causa di beatificazione o canonizzazione di qualcuno dei suoi figli più meritevoli.
“Gloria primaria ed unica della storiografìa randazzese” definisce l’Arciprete Giuseppe Plumari, in un eccesso di  modestia, don Salvatore Calogero Virzì, e prosegue: “Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo”.
La sua importanza risiede anche, per noi moderni, nel potere attingere a piene mani, attraverso i suoi scritti, a fonti ormai perdute. Gli è stato rimproverato un eccesso di municipalismo, e qualche ingenuità storica.
Ma Plumari è, e si dichiara egli stesso, storico municipale, e, quanto al resto, lo stesso Virzì, pur riconoscendogli una certa ridondanza e qualche carenza di critica storica, giustifica tali pecche spiegando come la sua opera vada comunque valutata all’interno del contesto in cui si è generata, alla luce della storiografia del tempo. A noi non resta che inchinarci di fronte ad un impegno così costante, protrattosi fino alla morte.
Da quelle pagine manoscritte, in una grafia elegante, ordinata, trabocca tutto l’amore per la sua città, “un tempo celeberrima, a nessun ‘altra Città del Regno seconda”, ma anche per la ricerca e per la storia. Come si legge nella dedica della Storia di Randazzo, Diruta dum patriae numeras monumenta vetusta, tum patriae surgit gloria nobilior, c’è un moto di ambizione, naturale in chi si accinge a un’opera grande, ma c’è anche spirito di servizio.
E come sottovalutare tante descrizioni della Randazzo del suo tempo, quelle così puntuali di opere d’arte, edifici, le cronologie, le citazioni d’archivio, gli elenchi di chiese, di porte, beni in massima parte ormai inesistenti, distrutti o smarriti, e riscontrabili solo attraverso la sua testimonianza. 
Maristella Dilettoso

 (Articolo pubblicato su Cultura e Prospettive n. 23, Supplemento a Il Convivio n. 57, Aprile – Giugno 2014)

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                                                              UNA GLORIA DELLA CITTA’:  L’ARCIPRETE D. GIUSEPPE PLUMARI                                                               

 

     Gloria primaria ed unica della storiografia randazzese è il famoso Arciprete Giuseppe Plumari, vissuto a cavallo dei Sec. XVIII e XIX. Ed è giusto che noi, moderni cultori delle glorie patrie, diamo il dovuto tributo di riconoscenza a quest’uomo che, ignorato del tutto nel passato, da studiosi e non studiosi, ci ha lasciato una grande opera, che ci parla di tutte le glorie della nostra cittadina.
    Dico ignorato, perché in verità ben poco la cittadinanza randazzese ha fatto per lui.
Mentre, infatti, si sono giustamente onorati i caduti della grande guerra, intitolando al loro nome un intero viale (Viale dei caduti sulla Via Regina Margherita) e non poche strade del paese, purtroppo, col risultato di cancellare irrimediabilmente nomi tradizionali e popolari, ancora in parte vivi nel gergo popolare, con tanto danno dell’antica toponomastica urbana, che non ha lasciato traccia nemmanco negli Atti Ufficiali del Comune.
Nulla si è fatto in Randazzo per l’Arciprete Plumari, che ha lasciato manoscritta la sua opera, ma solamente intitolando, non so in quale tempo al suo nome un vicoletto ignorato del quartier di S. Martino.
    Cosi per lui, cosi per tanti altri nomi prestigiosi della storia cittadina, facendo eccezione soltanto per il nome del deputato del principio del secolo, on. Paolo Vagliasindi, per cui si affisse al cantonale della casa di famiglia una candida lapide che ebbe la ventura di essere stata dettata dal grande Federico De Roberto ed inaugurata col concorso di tutto il popolo e di tutte le autorità, come ci testimoniano le fotografie del tempo.
    Grande personaggio arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele, uomo di cultura e di abilità.
    Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una Storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo.
Opera enorme in due grossi volumi che fu da lui compilata sulle memorie di cultori di storia patria e di notai che, purtroppo, noi non possediamo più, ma che egli ebbe la fortuna di avere in mano e sfruttare nella sua trattazione.
In tale opera abbiamo un documento del suo impegno indefesso di ricerca che lo ricerca che lo spinse ad una immane fatica che solo chi ne è addestrato può valutare, del suo ardente amore per la patria, della sua gioia nel portare alla luce le sue glorie del passato, unica soddisfazione dello studioso e del compilatore.
    Ce lo riferisce egli stesso rivelandoci che il suo interesse crebbe a dismisura allorquando, nello studio dei documenti, trovava citato continuamente il nome della sua Randazzo e degli avvenimenti che la riguardavano.
    Tutto questo trasparisce da tali pagine. Stato d’animo, purtroppo, questo, che costruisce il punto più debole del suo lavoro, aggravato dalla sua complessità e spesso pletoricità. Mende, queste, di una certa gravità che sminuiscono il valore dell’opera, ma che non sono da imputare del tutto all’autore che, nato nel settecento, il cosiddetto secolo dei lumi, non poteva non risentire di quelle manchevolezze che la storiografia ancora registrava nella sua evoluzione.
   Per tali deficienze, più che personali, dovute al manchevole manchevole sviluppo scientifico del tempo, non seppe valutare con disinteressato discernimento le notizie raccolte e non seppe fare uso di quella storica che fa la vera storia. 

 

Via Plumari – quartiere di San Martino 

    
    Dico ignorato, perché in verità ben poco la cittadinanza randazzese ha fatto per lui.
Mentre, infatti, si sono giustamente onorati i caduti della grande guerra, intitolando al loro nome un intero viale (Viale dei caduti sulla Via Regina Margherita) e non poche strade del paese, purtroppo, col risultato di cancellare irrimediabilmente nomi tradizionali e popolari, ancora in parte vivi nel gergo popolare, con tanto danno dell’antica toponomastica urbana, che non ha lasciato traccia nemmanco negli Atti Ufficiali del Comune.
Nulla si è fatto in Randazzo per l’Arciprete Plumari, che ha lasciato manoscritta la sua opera, ma solamente intitolando, non so in quale tempo al suo nome un vicoletto ignorato del quartier di S. Martino.
    Cosi per lui, cosi per tanti altri nomi prestigiosi della storia cittadina, facendo eccezione soltanto per il nome del deputato del principio del secolo, on. Paolo Vagliasindi, per cui si affisse al cantonale della casa di famiglia una candida lapide che ebbe la ventura di essere stata dettata dal grande Federico De Roberto ed inaugurata col concorso di tutto il popolo e di tutte le autorità, come ci testimoniano le fotografie del tempo.
    Grande personaggio arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele, uomo di cultura e di abilità.
    Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una Storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo.
Opera enorme in due grossi volumi che fu da lui compilata sulle memorie di cultori di storia patria e di notai che, purtroppo, noi non possediamo più, ma che egli ebbe la fortuna di avere in mano e sfruttare nella sua trattazione.
In tale opera abbiamo un documento del suo impegno indefesso di ricerca che lo ricerca che lo spinse ad una immane fatica che solo chi ne è addestrato può valutare, del suo ardente amore per la patria, della sua gioia nel portare alla luce le sue glorie del passato, unica soddisfazione dello studioso e del compilatore.
    Ce lo riferisce egli stesso rivelandoci che il suo interesse crebbe a dismisura allorquando, nello studio dei documenti, trovava citato continuamente il nome della sua Randazzo e degli avvenimenti che la riguardavano.
    Tutto questo trasparisce da tali pagine. Stato d’animo, purtroppo, questo, che costruisce il punto più debole del suo lavoro, aggravato dalla sua complessità e spesso pletoricità. Mende, queste, di una certa gravità che sminuiscono il valore dell’opera, ma che non sono da imputare del tutto all’autore che, nato nel settecento, il cosiddetto secolo dei lumi, non poteva non risentire di quelle manchevolezze che la storiografia ancora registrava nella sua evoluzione.
   Per tali deficienze, più che personali, dovute al manchevole 

sviluppo scientifico del tempo, non seppe valutare con disinteressato discernimento le notizie raccolte e non seppe fare uso di quella storica che fa la vera storia.
    Molte, infatti, delle sue conclusioni storiche non reggono alla critica moderna, avvalorata dai ritrovamenti archeologici e documentari. Ciò non toglie che egli ci ha lasciato una fonte preziosissima di tutto ciò che riguarda la storia della città, elegante, ben leggibile, due copie dell’ultima stesura della “ Storia di Randazzo” e ne depositò una nella Biblioteca Comunale di Palermo, ancora esistente e consultabile e ne regalò una al Comune di Randazzo, purtroppo da tempo scomparsa.

 

Giuseppe Plumari – Primo volume Storia di Randazzo

Giuseppe Plumari – secondo volume Storia di Randazzo

 

   Notizia recentissima di questi giorni è che, nel clima instauratosi da qualche tempo nella nostra città per merito delle Autorità cittadine attuali,, ad ovviare al danno subito dalla comunità tutta con la scomparsa della copia manoscritta originale, il Comune è stato dotato del “Microfilm” dell’opera del Plumari, giacente nella sopradetta Biblioteca di Palermo, a servizio degli studiosi.
   IL PLUMARI, come egli stesso ci rivela in un breve profilo lasciatoci nella sua opera “Uomini Illustri di Randazzo”, nacque il 17 Agosto 1770 dal notaio D. Candeloro e da Paola Emmanuele.
    Giovanetto fu alunno, per i primi elementi di lettere e retorica, del basiliano Don Giovanni Romeo, Abate allora del Monastero di recente costruzione, il cui fabbricato diventò in seguito il “Collegio S. Basilio”.
    A 18 anni fu inviato dal Seminario di Messina dove compi i suoi studi e si addottorò  in Teologia e Diritto, alla scuola di illustri professori che lo informarono all’amore dello studio.

   Ordinato sacerdote nel 1795, fece un breve tirocinio ministeriale a Palermo, dove si distinse per la scienza e la sua abilità di oratore, ritornò, quindi, a Randazzo e fu associato al Clero della Chiesa di Santa Maria.
    Morto il degno arciprete, D. Alberto Salleo (1783-1814), assieme ad altri quattro, fu ammesso al concorso per l’Arcipretura e vinse (1814), ma questa vittoria fu l’inizio di tutte le traversie della sua vita perché, contestata la sua elezione ad Arciprete da uno degli sfortunati concorrenti, fu tradotto davanti ai Tribunali.
Egli per difendere validamente il suo diritto e il beneficio ecclesiastico vinto, dovette trasferirsi per due anni (1815-1816) a Palermo dove ottenne con tre sentenze diverse una piena vittoria e un pieno riconoscimento del diritto.
   Un avvenimento particolare della sua giovinezza apri un nuovo orizzonte alle sue innate disposizioni e lo portò ad una scelta che avrebbe indirizzato il suo giovane animo alla cultura storica.  Ce lo fa sapere egli stesso.
    “All’età di 18 anni, ritrovandosi in Messina in compagnia di alcuni cavalieri randazzesi (…) passa con li medesimi a vedere la capitale di Napoli e tutte le magnificenze della bella Partenope non esclusa la grande gala di corte solita farsi l’8 Settembre nella Festa di S. Maria di Piedigrotta.
    Dalla visita fatta alle antichità di Pozzuoli e al celebre Museo Borbonico, cominciò a prendere gusto allo studio delle cose antiquarie…”.

    Questa passione si sviluppo negli anni e raggiunse la massima efficacia nel periodo, non poco lungo, che egli passò a Palermo dove frequentò archivi, biblioteche, persone della cultura, come un D. Vincenzo Caselli, principe di Torremuzza, grande studioso delle antichità della Sicilia, ed il can. D. Giovanni d’Angelo, che lo avviarono agli studi storici ed alla ricerca di documenti nella celebre Biblioteca del Senato ed in vari Archivi della Capitale.
    Di tutto questo materiale che, man mano, andò raccogliendo, integrato dalle memorie scritte dei randazzesi Pietro Oliveri, Antonio Pollicino, Pietro di Blasi, Pietro Rotelli, notaio Prospero Ribizzi e del benedettino Onorato Colonna, egli compilò una serie di volumi riguardanti la storia della città delle sue famiglie e delle persone illustri di essa, come si può vedere dal lungo elenco delle sue opere, che segue:

  • Storia di Randazzo, trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale della Sicilia – Ms. in 2 voll. 1849, presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
  • Storia di Randazzo – Ms. in un Vol. presso la Biblioteca Zelantea di Acireale, depositata dallo stesso autore l’8-1-1834.
  • Storia di Randazzo, prima stesura manoscritta, appartenente al compianto can. D. Giuseppe Finocchiaro, ora in possesso della famiglia Virgilio Pietro di Catania.
  • Codice Diplomatico – Ms. in un Vol. presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
  • Storia delle Famiglie Nobili di Randazzo – Ms. in un Vol. in possesso della Famiglia Scala, Giarre.
  • Storia dei personaggi illustri di Randazzo – Ms. in un Volume.
  • Allocuzione in difesa dei beni ecclesiastici appartenenti alla Collegiata di S. Maria – Palermo 1813.
  • Ragioni in difesa del diritto dell’Arciprete di Randazzo – Messina 1813.
  • Sulla elezione dell’Amministrazione dell’Opera de Quatris fatta dai parrocchiani di S. Maria ai quali s’appartiene – Catania 1815.
  • Omelia nel giorno natalizio ed onomastico del Re Ferdinando I – Catania 1821.
  • Felicità dei popoli sotto la Religione Cristiana e sotto il Governo Borbonico – Messina 1822.
  • Infelicità dei popoli sotto le segrete società tendenti a distruggere la Religione e il Trono – Messina 1822.
  • Orazione funebre in morte di Ferdinando I – Messina 1825.

    Carattere ardente e fattivo si rivelò il Plumari fin dal primo momento in cui egli fece parte della “comunità” della Chiesa di S. Maria, cui si aggregò non appena fu ordinato sacerdote (1795).
    Ritiratosi da Palermo ove, come si è detto, passò i primi anni del suo sacerdozio aggiudicandosi tanta stima, si immise in pieno nella vita parrocchiale della Chiesa con una grande dose di entusiasmo ad impartire lezioni di catechismo ai giovanetti, a pronunziare discorsi di circostanza e orazioni sacre che furono tanti apprezzati dai fedeli e dalla comunità ecclesiastica che, nello stesso 1795, dal  R. Amministratore dell’Opera de Quatris, cui competeva il diritto, D. Giacinto Dragonetti, fu eletto canonico della Collegiata al diciottesimo stallo e scelto come curatore della “Festa della Vara”.
    Problema gravissimo che angustiò tutta la sua vita, furono le ristrettezze economiche della famiglia (il padre, notaio, per arrotondare le entrate faceva l’organista nelle Chiese) e perciò domanda al Re per essere assunto come Cappellano Militare e, forse in seguito ad una risposta negativa, si decise di adattarsi alla vita del paese anche in mezzo alle difficoltà che gli derivarono dalla famiglia e dall’ambiente.     Non pochi, infatti, furono gli invidiosi ed i nemici dichiarati intorno a lui, suscitati dalle sue buone doti che lo facevano spiccare su tutti e, purtroppo, anche dal suo carattere deciso e non facilmente malleabile, quando si trattava della difesa dei diritti suoi e della Chiesa o di opporvi alle prepotenze, da qualunque parte venissero specialmente da parte degli Amministratori dell’Opera de Quatris che, essendo a capo di questa grande e ricca azienda, la più grande del paese, si sentivano investiti di autorità e strapotere cui tutto  e tutti dovevano piegarsi.
Anche in seno al Clero, in questo periodo torbido della storia della nazione, egli ebbe a soffrire ed a combattere le sue battaglie alla difesa dell’Autorità di Arciprete.
Le teorie sovversive del tempo, il fermento politico che aveva portato in Randazzo l’istituzione di alcune vendite della carboneria, l’inquietitudine rivoluzionaria lasciata dalla invasione francese nel napoletano e dal regno murattiano, avevano disposto gli spiriti al sovvertimento delle vecchie istituzioni ed alla scelta delle novità più singolari.
    Tra queste una estrosa teoria che toccava direttamente il Plumari nella sua qualità di Arciprete, sostenuta da gente malevola ed illusa, proprio in questo scorcio di secolo, imperversò per tutto il periodo successivo facendo maturare, negli anni ’50 del secolo passato ed oltre, risultati distruttivi.
    Intendo accennare alla teoria pseudo-storica che sosteneva, senza documenti di appoggio valevoli, che le chiese di Randazzo erano “chiese ricetti zie”, cioè chiese formatesi nei secoli come istituzione spontanea il cui clero si era in esse raccolto senza istituzione canonica, per cui i membri godevano di una parità assoluta e di diritti uguali, esercitando il ministero sacramentale a turno con le specifiche mansioni, volta per volta, il parroco “ad tempus”.
    Ciò colpiva direttamente la posizione dell’Arciprete che, in conseguenza di ciò non godeva di beneficio ecclesiastico istituito dall’Autorità canonica, ma soltanto di un titolo spoglio di autorità giurisdizionale sugli altri preti, per cui il detentore del titolo di Arciprete, secondo tale teoria, era un semplice sacerdote come tutti gli altri, un “unus inter pares” senza diritti giurisdizionali di sorta.

    Conseguenza di tale teoria, che ebbe gli assertori più accaniti tra il clero di Randazzo, fu la contestazione dell’Autorità arcipretale del Plumari che, nonostante la sua difesa a base di documenti, dovette subire affronti e clamorose ripulse che arrivarono a formali disubbidienze ed opposizioni.
    Eppure, a leggere anche ora i documenti della fondazione della Collegiata, diventata con gli anni l’arbitra della Chiesa di S. Maria ed in seno alla quale si trovavano i più accaniti suoi oppositori, ben altre erano le disposizioni arcivescovili emanate nell’atto della fondazione, concedeva tutto ai Cappellani, ma chiaramente ribadiva la intoccabilità dei diritti dell’Arciprete sia nel Coro, sia nelle processioni, sia in tutte le azioni liturgiche e di rappresentanza, sia ancora nelle sue facoltà giurisdizionali.
    Grosso imbroglio, dunque, questo, che condizionò e tormentò la vita del Plumari che potè avere un po’ di pace soltanto quando egli fu eletto, nel 1840, Decano della Collegiata e che fu risolto soltanto alla sua morte dai Tribunali ecclesiastici ad opera del suo successore, il battagliero ed energico Arciprete D. Vincenzo Cavallaro, proprio nel decennio degli anni cinquanta dell’Ottocento.
    Nonostante gli assilli derivategli da ciò, che fu il cruccio della sua vita, il problema economico, cioè, ed ancora dalla difesa strenua dei suoi diritti di Arciprete, egli continuò ad esercitare il suo ministero di buon sacerdote e zelante Arciprete; non solo, ma anche a coltivare la sua occupazione preferita di indefesso studioso e, perciò, è opera dell’ultimo decennio della sua vita, anzi addirittura degli ultimi anni, la definitiva stesura dell’Opera sulla storia di Randazzo, come ci rivela la data segnata nella copia ancora esistente (1849), tempo in cui erano già sedate tutte le diatribe e le opposizioni alla sua persona e alla sua giurisdizione, perché erano venuti meno i suoi più acerrimi oppositori e si erano assommate nell’unica sua persona le due dignità del Clero di Arciprete e di Decano della Collegiata (1840).

    Moriva nell’ottobre del 1851 e probabilmente fu seppellito nella Chiesa di S. Maria, ma della sua tomba si è perduto ogni ricordo.

    Commossi, pertanto, e riconoscenti, rendiamo omaggio a questo degno figlio della nostra città, il quale nella sua opera ci ha lasciato la testimonianza più viva e veritiera di ciò che significa amore della patria e della scienza congiunti in un unico nobile scopo.

    Quali ricordi di questo grande personaggio ci restano a Randazzo?

 

                        La casa del Plumari – corso Umberto 233/235 – Randazzo

    In verità ben pochi: un vicolo – come abbiamo già detto – vicino alla sua casa di abitazione, nel quartiere di S. Martino, intitolato al suo nome; un libro che porta di suo pugno il nome; una qualche lettera nell’archivio della Chiesa, con intestazione a stampa dei suoi titoli e col bollo personale con il suo stemma; ed ancora, forse una statuetta della Madonna Addolorata, che apparteneva al clan. Caldiero, che l’avrà potuta ereditare da lui.
    Non un ritratto, non alcuna carta dei suoi numerosissimi appunti; non memorie dei contemporanei che ci facessero conoscere la personalità di quest’uomo tanto benemerito della sua patria.
    A lui, vada, pertanto, il nostro tardivo ricordo riconoscente; e questo profilo, da questa rivista, espressione divulgativa dei problemi e delle glorie della città, nel mio intento è l’omaggio di uno studioso che tanto gli deve ed una spinta a che i cittadini tutti, con a capo le autorità civili e religiose, rendano il dovuto tributo di riconoscenza con iniziative che possano far conoscere i grandi meriti di chi ha innalzato alla sua città con monumento “più duraturo del bronzo” (aere perennius).

Sac. Salvatore Calogero Virzì.  Articolo pubblicato su “Randazzo Notizie” n.9  maggio 1984 

    (Forse non è inutile ricordare a noi tutti che, ahimè, l’esortazione di Don Virzì  di rendergli i dovuti onori all’Arciprete Giuseppe Plumari, è rimasta fino ad ora totalmente inascoltata).  Francesco Rubbino

                                                                              

Qui di seguito riportiamo le copertine ed alcuni dipinti e disegni dei tre volumi della  “STORIA DI RANDAZZO ”  :

 

 

 

Di seguito alcune pubblicazioni del Plumari. Li puoi trovare anche nella sezione LIBRERIA.
 
  Storia di Randazzo:  Primo Volume diviso in tre libri.           

  Lettere Autografe – 1822 

  Codice Diplomatico della Città di Randazzo  .                       

  Orazione Funebre per Ferdinando I Re del Regno delle Due Sicilie.

 

  La Felicità Politca-Cristiana

                           

                                     

                                 

                                      

                                        

Jan Van Houbracken

 

Jan Van Houbraken o Giovanni van Houbraken  (Fiandre1612 – 23 maggio 1676 pittore italiano di origini fiamminghe, fu padre di Ettore van Houbraken e nonno di Nicola van Houbraken e discepolo di Pietro Paolo Rubens e di Matthias Stomer .
 Non si hanno molte notizie della sua vita privata e artistica e certo  comunque  che dal 1636 al 1665 risiede nella città di Messina in stretto rapporto con la confraternita dei mercanti. 
Secondo Negri Arnoldi (1984) van Houbracken sarebbe giunto in Sicilia assieme a Van Dyck, suo condiscepolo nella bottega di Rubens.
Nato ad Anversa attorno il 1612  il pittore fiammingo non è documentato nell’isola prima del 1636, data del Martirio di S.Placido e compagni del museo di Messina, che è anche una delle rare opere autografe del pittore.
Il martirio dei santi messinesi trucidati dai saraceni nel 541, i cui resti vennero ritrovati nel 1588 e nel 1608, è reso con macabra crudezza mentre si intravede l’accezione di soluzioni coloristiche  vandickiane. Fra le sue opere più significative alcune tele di scuola fiamminga che rappresentano allegoricamente i cinque sensi: 

 

La locandina riproduce le opere dei “cinque sensi” di J.van Houbracken

 

  1. ) La Vista  è raffigurata da una giovane donna che s’imbelletta di fronte ad uno specchio, mentre un giovane nella penombra le porge dei profumi;
  2. ) L’Udito è simboleggiato da una giovane suonatrice di spinetta accompagnata da un flautista;
  3. ) Il Gusto  è rappresentato da un oste che mesce il vino ad un giovane cavaliere:
  4. ) L’Olfatto  è simboleggiato da un giovane che annusa un melone mentre il venditore, con un coltello in mano, attende il giudizio sulla merce;
  5. ) Il Tatto è realizzato con una scena popolare: un cieco nell’incertezza dei passi stringe nervoso un ragazzo vestito di cenci, che atterrito cerca di sfuggirgli 
      

    Nel 1657  dipinge su tela “il Compianto del Cristo sulla Croce” .  L’ opera è  custodita nella basilica di Santa Maria Assunta di Randazzo  (entrando dalla Porta di Mezzogiorno, subito a sinistra), e rappresenta sicuramente il capolavoro artistico di J.Van Houbracken.
    In questa opera l’Artista dimostra una monumentalità dispiegata al massimo grado ed è anche l’ultima sua opera datata.

    “L’arte non è qualcosa di superfluo, inutile. L’arte è la vista sulla vita. E’ ciò che consideriamo tale”. (Andrea Italiano).

     

    ” Compianto del Cristo sulla Croce” di J.Van Houbracken – Basilica Santa Maria – Randazzo

     

    L’arte è come una religione, una filosofia che sta dentro e prima dell’essere in quella “tortuosa salita verso la Salvezza, fatta
    d’incontaminata bellezza, di colori, spirito, grazia e cortesia” e solo chi vi approccia con nuovo interesse,
    può carpirla in tutta la propria interezza.(Andrea Italiano).

     

    ” Il Tatto “

    Martirio di S.Placido e compagni

    ” Il Gusto “

     

    Alcuni sostengono che a seguito della rivolta anti spagnola di Messina del 1674 fugge con la sua famiglia a Livorno dove  muore il 23 maggio 1676,  per Negri  Arnoldi invece  muore a Messina nel 1665.

    a cura di Francesco Rubbino

     

Mons. Vincenzo Mancini

 

Una delle personalità più illustri che la Città di Randazzo abbia avuto nel secolo appena scorso è certamente quella di mons. Vincenzo Mancini, per tanti anni Arciprete-Parroco della Basilca di Santa Maria di questa Città, nonché Vicario Foraneo della Diocesi di Acireale e Prelato domestico di Sua Santità il Papa .

Arciprete Don Vincenzo Mancini – Basilica Santa Maria, Randazzo

Nato a Randazzo il 26 agosto del 1921, da Biagio e da Anna Lo Giudice, stimati  commercianti randazzesi, il giovane Vincenzo, ultimo  di quattro figli (gli altri tre fratelli erano Giuseppina,  Angela  ed Alessandro) sentì molto presto la vocazione sacerdotale ed entrò giovanissimo, per intraprenderne gli studi, al Seminario vescovile di Acireale.
Era stato battezzato il 17 settembre 1921 e – come si diceva prima – dopo essere entrato nel Seminario di Acireale, poco prima della Prima Tonsura, avvenuta il 23 dicembre 1929, il 6 dicembre riceveva il sacramento della Cresima nella chiesa di San Nicola, in Randazzo.
Superati brillantemente i primi studi ecclesiastici, il 16 giugno 1940 riceveva in Seminario gli Ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato, mentre l’anno successivo, il 13 luglio 1941, riceveva quelli dell’Esorcistato e dell’Accolitato.
Il 22 novembre 1942, dopo averne fatto richiesta scritta rigorosamente in latino – com’era uso del tempo –, riceveva l’Ordine del Suddiaconato.
Il 31 ottobre 1943 veniva ordinato Diacono.

Come si ricorderà, erano, quelli, gli anni tristi della Seconda Guerra Mondiale,  e  solo un mese prima la famiglia Mancini era stata colpita da un gravissimo lutto per la  scomparsa  dell’amato figlio Alessandro, perito in mare i1 9 settembre 1943 (appena un giorno dopo la promulgazione dell’armistizio fra l’esercito italiano e quello alleato), al largo dell’isola della Maddalena, nell’affondamento della corazzata Roma causato da parte  dei Tedeschi.
Il 4 marzo 1944, il giovane diacono Vincenzo Mancini veniva consacrato sacerdote.
La città di Randazzo, in verità, non si era ancora completamente destata dall’incubo  dei bombardamenti angloamericani, e dovunque non vi erano altro che macerie, lutti,  fame e distruzione. Persino il clero, in quei tristi momenti, dovette impegnarsi per   offrire  assistenza  e sostegno alla popolazione così duramente colpita. 
Inviato dall’obbedienza vescovile a svolgere il proprio ministero sacerdotale quale vicario cooperatore presso la Basilica di Santa Maria Assunta in Randazzo, da allora  in poi, sino alla morte, la sua vita rimase legata strettamente ed inscindibilmente a  quella  della sua  Basilica e della sua Parrocchia. 
Cooperò per tanti anni con l’indimenticabile arciprete mons. Giovanni Birelli a cui succedette nella carica a partire dal 1° novembre 1966.
La signorilità del tratto e la profonda vita di pietà rendevano mons. Vincenzo Mancini una persona amabile.
Facile al sorriso che sgorgava dal suo viso illuminato dagli occhi verdi-azzurri, egli dimostrava sempre, e con tutti, grande senso di accoglienza e massima disponibilità.
Per tanti anni svolse anche la funzione di Vicario Foraneo del VI Vicariato di Acireale, il cui comprensorio giuridico ed amministrativo, oltre a Randazzo, si estendeva anche ai vicini centri di Linguaglossa e Castiglione di Sicilia. Ruolo, questo di Vicario Foraneo, che Mons. Mancini  svolse sempre con grande dignità e  competenza, grazie anche a quella scienza, umiltà, prudenza, saggezza, capacità di mediazione ed autorevolezza che  sempre lo contraddistinsero.
Una nomina ancora, questa di mons. Mancini a Vicario Foraneo, condivisa – e quindi apprezzata –  da più Vescovi succedutisi nel tempo.
Veramente tanto il lavoro da lui svolto in moltissimi anni di sacerdozio, così come, del resto, in tutta la sua vita: dal campo apostolico e pastorale a quello educativo e sociale.
Di lui si ricorda, infatti, non solo la sua attività di pastore e curatore di anime, ma anche quella di insegnante e di educatore nelle varie scuole. Piace ricordare, solo per fare un esempio, il grande formatore quale egli fu, soprattutto al Liceo Classico “Don Cavina” di Randazzo, amatissimo dai giovani, dove si distinse per grande serenità, compostezza ed equilibrio, soprattutto nei tormentati anni delle contestazioni giovanili, lasciando anche là un ottimo ricordo di sé e del suo apprezzato dialogo sia con i giovani sia con i colleghi insegnanti e dirigenti scolastici.
Nonché – si ricorda ancora – la sua figura di fondatore, curatore ed amministratore oculato e sempre attento, della Casa di Riposo “Paolo Vagliasindi del Castello”, sempre qui, nella nostra Città: una istituzione, questa della Casa di Riposo, senza la quale Randazzo sarebbe stata oggi certamente più povera; e non solo Randazzo, visto che ancora oggi la stessa Casa di Riposo è diventata confortevole residenza anche di parecchi ospiti anziani provenienti da diverse città limitrofe.
Oltre alla Casa di Riposo, ricordiamo pure che altre istituzioni benefiche videro  mons. Vincenzo Mancini sempre lavoratore instancabile, attento, scrupoloso.
Ed in tutte queste sue attività, nei loro molteplici aspetti, egli fu per tutti padre, fratello, amico e sicura guida. Sempre e dovunque, soprattutto, sacerdote.
Un sacerdote – come voluto dal Vangelo – che da Buon Pastore seppe, in ogni circostanza, aver cura del “gregge” affidatogli da Dio attraverso la sua Chiesa, servendolo con amore in ogni circostanza, lieta o triste che fosse.
Un sacerdote che con la sua condotta quotidiana, e con la sua premurosa sollecitudine  nei confronti di tutti, seppe presentare sempre, a credenti e non credenti, il volto di un ministero pastorale veramente paterno, rendendo a tutti piena testimonianza della Verità evangelica: come un Buon Pastore, andando non poche volte, con discrezione e garbo, alla ricerca del dialogo pure con chi aveva da molto tempo abbandonato la pratica religiosa o, peggio ancora, si era trasformato in acerrimo nemico della Chiesa.
E monsignor Mancini, con il suo instancabile lavoro pastorale, paziente e costante, seppe riuscire ad ammorbidire persino i cuori più duri. Per dirla con San Paolo, ha “sperato contro ogni speranza” e seppe riuscire ad ottenere i risultati prefissati, riportando all’ovile, seppure talvolta in extremis, diverse pecorelle che, purtroppo, si erano smarrite nell’intricato labirinto della vita.
Venerdì 4 marzo 1994 – in occasione del Giubileo sacerdotale dell’indimenticabile monsignor Vincenzo Mancini, celebrato nella Basilica di Santa Maria, a Randazzo –, il Vescovo di Acireale del tempo, mons. Giuseppe Malandrino, richiamava alla mente dei numerosi fedeli accorsi che il sacerdote, come mons. Mancini, è un uomo scelto da Dio fra gli altri uomini e posto al loro servizio per essere segno della sua presenza e del suo amore di Padre, fratello ed amico.
Ma “Padre Mancini” –  come veniva  familiarmente chiamato da tutti – a Randazzo non fu solo il curatore delle anime, premurandosi per le loro condizioni spirituali e intellettuali, bensì anche dei corpi, dei bisogni dei più umili, dei più poveri e dei più emarginati. Egli si mostrò sempre premuroso verso tutti, di qualsiasi età, condizione o stato sociale essi fossero: fossero  stati concittadini oppure ospiti di passaggio, oppure ancora stranieri, trattando tutti con grande cortesia e carità.

Chiunque abbia fatto ricorso al suo aiuto non è mai rimasto deluso.

Tre altri aspetti, di Monsignor Vincenzo Mancini, piace ancora brevemente qui ricordare:

Il primo : in perfetta sintonia ed in linea con i suoi predecessori, egli seppe sempre curare, ed in ogni aspetto, la splendida Basilica di Santa Maria, come se fosse la propria casa, rendendola sempre più bella e sempre più accogliente, con sapienti ed oculati lavori di restauro, facendo sì che la Casa del Signore fosse davvero quella di tutta la comunità cristiana.
Il secondo : la sua costante presenza negli avvenimenti, lieti o tristi che fossero, che riguardassero non solo la sua Parrocchia, ma anche tutta la Città di Randazzo.
Un uomo ed un sacerdote veramente ammirevole, Mons. Vincenzo Mancini, che nonostante l’incedere degli anni e dell’età, riuscì a conservare sempre, sino ai suoi ultimi giorni, uno spirito davvero giovanile, lavorando instancabilmente – per dirla col Papa emerito Benedetto XVI – nella Vigna del Signore. In tutte le occasioni – dicevamo –, liete o tristi che fossero: dagli avvenimenti personali e familiari (nascite, battesimi, cresime, prime comunioni, matrimoni o lutti), a quelli comunitari, come le varie Processioni religiose cittadine. Sempre presente, nonostante tutto. Nonostante persino le difficoltà che un simile servizio spesso comportava, soprattutto con l’implacabile incedere degli anni.
Un uomo e un sacerdote ancora, Padre Mancini – ed ecco il terzo aspetto – che si sentì sempre responsabile del bene spirituale e materiale di tutta la Città di Randazzo, divenendone un sicuro e certo punto di riferimento per tutti, essendo stato egli sempre super partes e prodigo a dare gli opportuni suggerimenti e più che preziosi consigli ogniqualvolta a lui da chiunque richiesti.
Un uomo veramente disponibile ed amato da tutti, Mons. Vincenzo Mancini, come peraltro stette a dimostrare il grande affetto dimostratogli dalla nostra città, e non solo, con la continua processione di persone di ogni ceto sociale, provenienti da ogni dove, che nella Basilica di Santa Maria ebbe luogo nei tre giorni in cui riposò la sua salma – con la cassa appoggiata per terra nello stesso identico posto dove 62 anni prima egli si era prostrato in occasione della sua ordinazione sacerdotale – per dargli ancora una volta l’ultimo affettuoso saluto prima dei funerali avvenuti nel pomeriggio di lunedì 1° maggio 2006.
Ed è per tutti questi motivi che l’Amministrazione Comunale di Randazzo, nel decimo anniversario della scomparsa terrena del suo Arciprete Mons. Vincenzo Mancini – avvenuta il 29 aprile del 2006 –, con delibera di Giunta Municipale n. 19 del 19 febbraio 2016, ha deciso di intitolargli il Largo antistante al lato nord della Basilica di Santa Maria, chiesa dove il Prelato domestico di sua santità il Papa, per oltre 62 anni, dal 4 marzo 1944 sino al giorno della sua morte, ebbe ad esercitare il proprio ministero sacerdotale e pastorale.

      Giuseppe Portale

 

Randazzo / Riconoscimento filiale per mons. Mancini. A dieci anni dalla morte, il Comune gli dedica una piazza.

Lo scorso 29 aprile, giorno del 10° anniversario della scomparsa di mons. Vincenzo Mancini,  la città di Randazzo ha voluto dedicargli una piazza con una cerimonia che ha visto la partecipazione di autorità religiose, civili, militari, parrocchiani e numerosi altri cittadini.

Maristella Dilettoso

Mons. Vincenzo Mancini era nato a Randazzo il 26 agosto 1921.
Seguendo una vocazione manifestatasi fin dall’infanzia, ricevette l’Ordine Sacro il 4 marzo 1944, dopo gli studi compiuti presso il Seminario vescovile di Acireale.
Erano gli anni tristi della guerra (solo pochi mesi prima il fratello maggiore, Alessandro, era perito in mare durante l’affondamento della corazzata Roma), Randazzo non si era ancora completamente destata dall’incubo dei bombardamenti e dell’invasione, dovunque vi erano macerie, lutti, fame e distruzione, e il clero dovette molto impegnarsi a dare assistenza e sostegno.
Fin dall’inizio del suo ministero, il neo sacerdote fu assegnato alla Basilica di S. Maria, e da allora la sua vita è rimasta legata strettamente, inscindibilmente, a questa chiesa, uno splendido tempio che affonda le sue origini nella leggenda, che si è arricchito nei secoli di tante opere d’arte, grazie anche al mecenatismo degli arcipreti che vi si sono succeduti, che ha accolto la comunità randazzese nei momenti più luminosi come in quelli più bui, superando, magnifica e indenne, terremoti, eruzioni e guerre.
Di questa chiesa mons. Vincenzo Mancini è stato, per ben 62 anni, custode e guida, dal 1° dicembre 1966, quando ne divenne arciprete e parroco, succedendo a mons. Giovanni Birelli.
La successiva nomina di vicario foraneo, da parte del vescovo di Acireale, gli conferiva un ruolo pastorale, oltre che giuridico e amministrativo, che si estendeva ben oltre i confini della parrocchia e della città di Randazzo, comprendendo anche Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, ruolo di grande importanza, che lo promuoveva tra i più vicini collaboratori del vescovo, e che mons. Mancini ha svolto sempre con grande dignità e competenza, grazie a quella prudenza e innata saggezza, diplomazia, capacità di mediazione e autorevolezza, che lo hanno sempre contraddistinto.
Il suo impegno non restò circoscritto all’attività parrocchiale, ma si era esteso anche al mondo della scuola, con l’insegnamento presso il liceo classico “Don Cavina”, e all’assistenza agli anziani, perseguita e realizzata particolarmente attraverso la casa di riposo “Paolo Vagliasindi del Castello”.
L’istituzione, fondata nel 1929, e in un primo tempo aggregata all’ospedale civile, dal 1964 collocata in una struttura autonoma e dignitosa, lo ebbe nel 1956 commissario prefettizio, e dopo alcuni mesi presidente, carica, questa, che padre Mancini ricoprì, salvo brevi interruzioni, fino alla fine, e nella quale investì energie e impegno, promuovendo ampliamenti e ristrutturazioni dell’edificio, al fine di assicurare una vecchiaia e un’assistenza dignitosa e adeguata a tanti anziani di Randazzo e del circondario.
Rimase attivo e presente nella vita parrocchiale, anche quando il fardello dell’età e degli acciacchi aveva cominciato a rallentare il suo passo, e nonostante il peso dei gravi lutti familiari che gli era toccato di affrontare negli ultimi anni.
Si spense a 84 anni, il 29 aprile 2006.

L’Amministrazione comunale di Randazzo, considerato lo spessore del sacerdote e dell’uomo, e quanto mons. Vincenzo Mancini sia stato, nel corso del suo lungo mandato, un punto di riferimento, per tanti giovani, adesso cresciuti, per tanti anziani, per il clero locale, per la comunità parrocchiale e per la città tutta di Randazzo, con deliberazione di Giunta. n. 19 del 19.02.2016, stabiliva di dedicargli un’area cittadina.

Largo Mons. Vincenzo Mancini

La manifestazione del 29 aprile scorso, iniziata con una concelebrazione nella Basilica di S. Maria, presieduta dal vescovo della Diocesi di Acireale, mons. Antonino Raspanti, con la partecipazione dell’arciprete don Domenico Massimino e degli esponenti del clero di Randazzo, è proseguita con l’intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia), che si affaccia sul fiume Alcantara, e che da oggi, a ricordo di chi in quei luoghi ha operato per lunghi anni, si chiamerà “Largo mons. Vincenzo Mancini”.

Prima della scopertura della targa il sindaco di Randazzo, prof. Michele Mangione, ha sottolineato la presenza costante nella comunità cittadina di mons. Mancini, figura sempre “super partes”, il suo impegno religioso e sociale, mentre il vescovo ha voluto ricordare il ruolo di sacerdote, assolto con puntualità e zelo.

Maristella Dilettoso

 

EMANUELE MOLLICA

Emanuele Mollica, nasce a Bronte il 16 giugno del 1990.
Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, conseguendo il titolo di Diploma Accademico di I livello in Pittura dedicando la tesi dal titolo “Librettum unum di avoliu” alla miniatura, facendo esplicito riferimento al libretto attribuito alla baronessa De Quatris di Randazzo.
Nel 2014 presso la stessa Istituzione consegue il Diploma Accademico di II livello in Fotografia, con voto 110 e lode, dopo aver discusso la tesi specialistica sperimentale “The International Observatory in the meantime” in cui confrontò l’arte di 169 Nazioni partecipanti dai 5 continenti su diverse tematiche proposte.
Nello stesso anno viene invitato a presentare la sua tesi ad un Convegno presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania.

Viene successivamente nominato “Cultore della Materia” in “Storia del Disegno e della Grafica” presso la Cattedra di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Catania.
Il 10 agosto 2015, pubblica il suo primo libro dal titolo “De Quadro – Una storia prende vita”, in cui risolve e chiarisce alcune dinamiche storiche legate a personaggi importanti della sua città. In questa circostanza scriverà di lui “La voce dell’Isola”.
Successivamente intraprende altri studi presso l’Università degli Studi di Catania all’interno del Dipartimento di Scienze Umanistiche, di cui ottiene diversi Certificati di corsi singoli universitari in materie umanistiche, alcune delle quali presso il Corso di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte e Beni Culturali.
Ha scritto per il libro di Giuseppina Radice “Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano” editore Lupetti, la prefazione insieme alla pubblicazione di alcune sue opere fotografiche.
Ha curato diverse mostre tra cui “AccademiaxAccademia” nel 2012 e “Arte Unita” nel 2017, presso il Museo Emilio Greco di Catania.
Ha inoltre collaborato con diversi Enti e Istituzioni, tra cui in qualità di Esperto esterno presso il Circolo Didattico “Don Lorenzo Milani” di Randazzo.
Attualmente dedica i suoi interessi alla scrittura di vari elaborati e all’approffondimento di diverse tematiche culturali e formative.

 

Emanuele Mollica

De Quadro – Una storia prende vita, è un testo pubblicato nel 2015 dall’autore Emanuele Mollica.
Il titolo centra a pieno una delle tante questioni affrontate al suo interno e cioè, il cognome della famiglia conosciuta dai più come De Quatris.
L’autore riesce a documentare e dimostrare quali siano le antiche origini di questa famiglia e alcuni avvenimenti importanti che la riguardano, soprattutto in riferimento alla baronessa Giovannella De Quatris, rifacendosi sia alle diverse interpretazioni storiche e sia alle nuove fonti scoperte.
Questo saggio storico nasce da una ricerca svolta dall’autore inizialmente per la sua tesi di laurea, che lo ha poi coinvolto in continui approfondimenti su nuove questioni che man mano emergevano.
Il libro è dedicato alla città di Randazzo, a cui fanno riferimento fatti e persone che qui hanno lasciato un’impronta, in vicende connesse alla famiglia De Quadro.
Tuttavia sebbene il testo aiuta a comprendere meglio fatti e vicende, rimettendo tutto in discussione, permangano ancora alcuni misteri, che forse rendono questa incredibile storia così affascinante.

 

 

RANDAZZO – LA BARONESSA GIOVANNELLA DE QUATRIS

Un giovane scrittore di Randazzo, Emanuele Mollica, appassionato studioso di storia, ha voluto pubblicare un suo importante e documentato saggio sulla vita della baronessa Giovannella De Quatris, nobildonna e generosa filantropa di Randazzo vissuta tra il 1440 ed il 1529: la nobile Giovannella lasciò tutti i suoi beni alla Chiesa di Santa Maria (a fin di bene), e nella stessa chiesa (basilica) è stata sepolta ed è custodito il libretto, conosciuto con il suo nome e composto di 4 tavolette di avorio e copertina.
Sulla copertina sono intagliate la Crocifissione, la Resurrezione, l’Incoronazione della Vergine e la sua morte; nelle tavolette (interne) sono 6 splendide miniature su pergamena, sei inni ai temi sacri di Annunciazione , Visitazione, Adorazione di Gesù Bambino , martirio di San Sebastiano, Presentazione al Tempio e Crocifissione.

Lo scrittore ha avuto l’occasione di osservare attentamente il libretto eburneo della Baronessa, da lei utilizzato per le quotidiane preghiere.
Il libretto, che è una rara e pregiata opera impreziosita da intarsi e miniature di squisita fattura e di rara bellezza , catturò l’attenzione dello scrittore, il quale dopo lunghe ed accurate ricerche storiche ne ha maturato la sua tesi di laurea e ha presentato il volume dal titolo “De Quadro ,una storia prende vita”.

Il volume di 146 pagine è stato presentato al pubblico in data 10 Agosto 2015 alle ore 19:00 nell’Aula del Consiglio Comunale di Randazzo ove oltre all’Autore erano presenti autorità, tra le quali il Sindaco della Città di Randazzo Prof. Michele Mangione e il Presidente del Consiglio Comunale di Randazzo Nino Grillo , numerosi studiosi e molti cittadini.
Al tavolo della Presidenza era, in primis, la Prof.ssa Giuseppina Radice, Docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle arti di Catania, che ha seguito con molta passione e attenzione le importanti ricerche e il lavoro del giovane scrittore, apportatore così di un contributo significativo alla conoscenza della storia e dei grandi personaggi della città di Randazzo.
Il libro è composto da 7 capitoli dove vengono approfonditi: il cognome della De Quatris, i mariti , la sepoltura , il testamento , l’Opera De Quatris, il libretto eburneo e lo stemma.
L’autore scopre molti particolari finora sconosciuti e mette in evidenza , soprattutto , una importante scoperta: infatti dimostra che il vero cognome della baronessa è De Quadro e non De Quatris e ciò ha incuriosito il pubblico presente alla manifestazione e certamente nei giorni che seguiranno sarà argomento di conversazione negli ambienti culturali di Randazzo.
Emanuele Mollica è nato il 16 Giugno 1990 ed ha conseguito la Laurea Magistrale presso l’Accademia delle Belle Arti di Catania.
Ovviamente da ora in poi lo scrittore sarà inserito a pieno titolo nell’elenco degli studiosi della città di Randazzo.
Tutta la manifestazione è stata ripresa e trasmessa dall’emittente televisiva TGR che segue sempre tutte le manifestazioni organizzate dalle due Associazioni culturali: l’Istituto per la Cultura Siciliana e l’Associazione Artemide con sede in Randazzo.

 – Gabriella Magro  ” La voce dell’Isola ”    -18-08-2015 –

CORALE POLIFONICA S.MARIA

Cantare è quasi un volare, un sollevarsi verso Dio, un anticipare in qualche modo il canto dell’eternità.
(Frase pronunciata da Papa Benedetto XVI in occasione di un concerto dei Domspatzen, i piccoli cantori di Ratisbona).

 

                                                      CORALE POLIFONICA S. MARIA DI RANDAZZO

 

Alfredo Guidotto

          La Corale Polifonica S. Maria è formata da circa trenta elementi, giovani e adulti, che si incontrano settimanalmente per conoscere ed apprendere il repertorio sacro, e talvolta anche quello profano, della polifonia antica, moderna e contemporanea. È presente nella Basilica di S. Maria Assunta in Randazzo per animare la celebrazione liturgica domenicale delle ore 11:30, le liturgie solenni e le principali festività di carattere religioso a livello cittadino.

           Le sue origini risalgono alla metà degli anni ’70, quando un gruppo di giovani inizia a riunirsi nella Basilica per intraprendere un cammino di fede. Può considerarsi uno dei frutti della Missione popolare che il Clero locale ha affidato, agli inizi del 1974, ai Padri Missionari Oblati di Maria Immacolata. La Missione ha coinvolto tutte le parrocchie della città, dando un notevole impulso e vigore alle attività pastorali delle comunità parrocchiali e in particolar modo al settore giovanile. Da quella bellissima esperienza, alcuni giovani sentirono l’esigenza di curare l’animazione liturgica, iniziando a coltivare la passione per il canto. Nella prima fase, anche se non mancavano impegno e passione nel preparare i canti, le competenze musicali erano molto semplici e ruotavano intorno al suono di una chitarra ed alle voci “pioneristiche” di un piccolo gruppo di giovani che seguivano le mode e le tendenze musicali di quegli anni. Di quel primo gruppo faceva parte anche Maria Ausilia Rasano, che, dopo aver conseguito il diploma di pianoforte, diventa l’anima e l’insostituibile guida dell’intero gruppo.

          Negli anni ’80, Maria Ausilia Rasano coinvolge il M° Nino Scalisi che, per oltre un decennio, sarà l’organista ufficiale della Basilica e il condirettore della stessa Corale, alla cui crescita artistica e musicale contribuisce con molta dedizione e competenza. In occasione dell’ordinazione sacerdotale di p. Nino Sangani OMI, avvenuta l’8 aprile del 1988 nella Chiesa di S. Martino di Randazzo, la Corale cura l’animazione liturgica della solenne celebrazione eucaristica. In quella circostanza, il Coro amplia il proprio organico, arricchendosi di nuovi elementi, soprattutto giovani, che danno la possibilità di elaborare i canti a più voci e di riunirsi in forma stabile.

La Corale Polifonica di S.Maria – Randazzo

         Negli anni successivi, intensifica l’attività partecipando ad alcune edizioni del Raduno Diocesano di Musica Sacra e a varie rassegne di musica corale organizzate nell’ambito della provincia di Catania. Spesso, nel periodo natalizio, nella Basilica di S. Maria Assunta e in alcuni paesi vicini, la Corale ha presentato dei concerti di musica sacra per sostenere attività di beneficenza (adozioni a distanza, sostegno ai bisognosi, altri progetti missionari).
La storia della Corale è stata segnata da un’esperienza significativa vissuta nell’ottobre del 1994 quando ha eseguito i canti per la celebrazione eucaristica domenicale che la RAI ha trasmesso dalla Basilica di Randazzo, suscitando grande apprezzamento e attestati di stima da varie parti d’Italia.
          

          Nel 1998 si inserisce il M° Francesco Lo Presti, musicista di grande talento, che diventa il nuovo organista ed affianca il M° Maria Ausilia Rasano nella direzione musicale. I suoi arrangiamenti musicali di grande impatto sonoro e dalle varie colorature, creati con l’organo o con una semplice tastiera elettronica, s’intersecano con l’armonia e la bellezza del canto polifonico e suscitano in chi ascolta un senso di ammirazione, d’incanto e di pace interiore.

          Tra i principali impegni degli ultimi anni si annoverano:l’esecuzione dal sagrato della Basilica di S. Maria Assunta di alcuni canti sacri durante la tradizionale e suggestiva processione del Venerdì Santo; il concerto natalizio eseguito alla fine di dicembre 2007 insieme al Coro della Parrocchia S. Maria del Galeso di Taranto presso la medesima Parrocchia situata nel quartiere Paolo VI. La stima da sempre manifestata da p. Nino Sangani per la Corale e il suo invito a realizzare una iniziativa comune sono stati l’occasione di varcare, per la prima volta, i confini della Sicilia e l’opportunità di un proficuo confronto con una realtà musicale diversa, oltre che un bellissimo momento di condivisione e di amicizia; i concerti del Natale 2008, eseguiti nella Cripta della Basilica e nelle viuzze di S. Martino, il più antico quartiere di Randazzo; ed infine, il concerto natalizio eseguito nel Palazzo Municipale di Randazzo.
         In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Corale ha partecipato al tradizionale Concerto di Ferragosto eseguito in piazza Municipio il 14 agosto 2011 dal Complesso Bandistico “E. Marotta”.
          Il 14 dicembre dello stesso anno ha ricevuto, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l’Attestato di Riconoscimento quale gruppo di Musica Popolare e Amatoriale di interesse nazionale.

       Oltre ai maestri Maria Ausilia Rasano e Francesco Marco Lo Presti, il Coro si avvale della collaborazione del mezzosoprano Mamiko Yamamoto, il cui apporto è importante sia durante le prove, dove mette a disposizione grandi competenze didattico-musicali, sia nei concerti e in altre manifestazioni che sono impreziositi dalle sue intense interpretazioni canore.

          La Corale Polifonica S. Maria mette al servizio della Chiesa la disponibilità dei singoli coristi e dei maestri nell’elaborare i propri canti, da quelli più semplici a quelli più complessi, e condivide, in pieno, quanto affermato in una delle appendici al repertorio nazionale di canti per la liturgia della Conferenza Episcopale Italiana: “Il canto ha capacità di penetrare, di commuovere e di convertire i cuori; favorisce l’unione dell’assemblea e ne permette la partecipazione unanime all’azione liturgica; adempie al duplice scopo che, come arte sacra e azione liturgica, gli è consono, la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli”.     
    Randazzo, 05/12/2017                                                           Alfredo Guidotto

 

Le foto sono state gentilmente concesse da Rosario Foti.

Don Giovanni Birelli

 

1928  27°  Mons. Arciprete  Don Giovanni Birelli  Canonico della collegiata di S. Nicolò.

           Con la rinunzia dell’Arciprete Germanà, dopo regolare concorso presso la Curia Diocesana e con l’approvazione della S. Sede, ebbe la Bolla che lo nominava Arciprete di Randazzo.
Venne contemporaneamente [nominato] dal Vescovo quale suo Vicario Foraneo. 
Per sua cooperazione fu rifatto in marmo il pavimento della Chiesa di S. Nicolò. É stato promotore di speciali Funzioni Sacre anche con l’intervento del Vescovo.  Con la divisione delle Parrocchie rimase Parroco della Parrocchia di S. Maria e si cooperò per l’erezione della nuova Parrocchia del S. Cuore, dopo di aver consolidata la fabbrica della Chiesa che, per difetto di costruzione, si era menomata nella consistenza.
Ha pensato anche a render autonoma la Chiesa di Cristo Re di Montelaguardia.
Promotore delle Vocazioni ecclesiastiche ha fatto entrare parecchi giovani in Seminario, avendo la consolazione di vederne alcuni già Sacerdoti.
  Fece rifare l’Organo di S. Maria rendendolo completamente liturgico mercè l’opera di Padre david dei Frati Minori Osservanti. 
Dopo i bombardamenti del 1943, rifece subito la tettoia della Chiesa di S. Maria che era stata distrutta dall’incendio; rifece l’aside centrale caduta per le bombe che la colpirono in pieno; spostò, arretrandolo, l’Altare Maggiore; dotò la Chiesa di un’artistica Via Crucis ed ha la buona volontà e l’intenzione di rifare l’Organo distrutto, rifondere le campane e rifare l’orologio. 
Noi gli auguriamo vita, energia e facilitazione nei suoi desideri con la benedizione di Dio.  Nel 25° di suo Sacerdozio fu insignito della Onorificenza di Cameriere di Onore di S. Santità. 
Arciprete Giuseppe Plumari ed Emanuele (Cenni Storia di Randazzo)

      Monsignore Arciprete Don Giovanni Birelli morì il 9 gennaio 1972 

                                                                                                                  

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