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Ebrei a Randazzo

 

Il 18 giugno 1492, Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia presero una decisione grave che in seguito ebbe sviluppi tragici nell’economia del regno spagnolo e in Sicilia allora già vicereame: un gesto di fondamentalismo cattolico fu l’editto che impose senza condizioni che gli ebrei dovessero abbandonare per sempre la Sicilia entro tre mesi, pena la morte.
Gli ebrei erano vissuti in Sicilia dai tempi biblici e la Trinacria era stata una delle terre più importanti in cui si erano fermati, una volta partiti dalla Palestina all’inizio della diaspora nel 70 d.e.v.

Ferdinando il Cattolico ed Isabella di Castiglia

La Sicilia era abitata, fino all’anno 1492, da un numero d’ebrei, in percentuale alla popolazione residente, superiore a quelli presenti in qualsiasi altra regione o stato europeo o del bacino del mediterraneo (percentuali di presenza purtroppo incerte nel territorio siciliano, ma oscillanti secondo cifre controverse di stima da un minimo del 5% per città ad un massimo del 50%, che si raggiunse a Marsala).
Nel 1492 Ferdinando il cattolico era entrato vincitore nella città di Granada, vincitore della guerra di riconquista contro i musulmani, liberando così la Spagna definitivamente dal popolo arabo: i piccoli e grandi banchieri ebrei, in quanto da sempre popolo sottomesso, avevano finanziato la guerra di Ferdinando il cattolico contro i mussulmani di Spagna e segretamente aiutato economicamente il governo islamico in Spagna contro lo stesso Ferdinando (perché non a torto riconoscevano ai musulmani una disponibilità ed una tolleranza nei loro confronti certamente più favorevole dei governanti cattolici).
Gli ebrei erano sempre considerati come gli eredi di quel sinedrio che aveva condannato Gesù alla morte (un pregiudizio che costò loro una persecuzione ingiusta e fino ad oggi viva nell’immaginario collettivo), ed in più erano particolarmente mal tollerati in quanto praticavano il prestito di denaro su pegno.
Di fronte all’editto di espulsione, se si decideva di rimanere, bisognava chiedere il battesimo e convertirsi definitivamente al cristianesimo: si doveva accettare il cristianesimo o abbandonare la Sicilia e la Spagna, vendere i beni mobili ed immobili entro tre mesi, oppure rimanere e rinnegare l’antica fede.
In realtà sembrerebbe che per Ferdinando sia stata più una rivalsa post bellica che non una manifestazione di fede cattolica.

Già prima del 1492, operò anche in Sicilia, il tribunale dell’inquisizione, definito “Della Santa Inquisizione”, perché fregiandosi di tale aggettivo, potesse andare assolto da ogni nefandezza e persecuzione illegale, che spesso portava alla condanna a morte delle sue vittime, troppo spesso di religione ebraica.
Così la chiesa di Roma continuava a cavalcare il mito dell’unica confessione religiosa presente nel mondo civile conosciuto a quel tempo.
Tale atteggiamento prevaricatore ed assolutista, continuò nei secoli, anche dopo l’unità d’Italia ove con la costituzione della Repubblica Sabauda si consolidò in Italia l’antico dominio ideologico religioso.

Tale atteggiamento invasivo politico-assolutista, si concretizzava nel disporre costanti e silenziose iniziative quando di distruzione, quando di acquisizione di tutte le testimonianze ebraiche che soprattutto in Sicilia potessero fare ritornare alla memoria la storia di un popolo siciliano, che per molti secoli rese lustro all’arte medica, ai mestieri, alla cultura ed all’economia isolana.
Dopo le ricerche di Giovanni  Di Giovanni e dei Lagumina, per circa un secolo interesse storico per la fede ebraica siciliana fu quasi del tutto sopito.

Solo dopo il 15 giugno 1992, a seguito del noto convegno “Italia Giudaica – gli ebrei di Sicilia sino all’espulsione del 1492”, si innescò il grande interesse degli storici verso la storia degli ebrei di Sicilia.
La quantità d’ebrei in uscita dalla Sicilia non è stata mai accertata neanche con una credibile approssimazione, ma probabilmente i poveri preferirono cercare nuove terre, mentre molti ricchi ebrei si convertirono apparentemente al cristianesimo (la vendita con premura non sarebbe mai stata un buon affare, specialmente con compratori consapevoli della grave situazione dei legittimi proprietari diffidati ad andarsene): molti andarono a Napoli, altri certamente in Nord-Africa, nella città di Salonicco, nelle isole del Dodecanneso, altri sparsi per il mondo come vuole una tradizione antica e modernissima che vede questo popolo perseguitato ed errante in tutte le direzioni.
Il sultano ottomano inviò in Spagna e Sicilia, a più riprese, un’intera

Monastero San Giorgio – Randazzo

 flotta per accogliere come profughi in Turchia i giudei cacciati, e questa terra (in particolare Istanbul) è ancora abitata dagli eredi di Spagnoli e Siciliani emigrati: non fu solo un atto d’umanità, poiché le autorità turche si resero conto della grande utilità economica degli ebrei.
Chi rimase in Sicilia e finse d’essere cristiano cercò segretamente di mantenere usi e tradizioni, ma soprattutto di rispettare la religione ebraica e le cerimonie ad essa connesse: essendo questo considerato destabilizzante per il potere spagnolo, non fu tollerato che la finta conversione passasse inosservata e impunita e, temendo il potere economico degli ebrei e la loro capacità di far adepti per la loro religione, essi furono sottoposti sempre ad imposizioni fiscali a volte addirittura umilianti (le richieste di pagamento dei “balzelli” mettevano a dura prova le loro capacità finanziarie).
Per quanto tempo segretamente fu professata la religione ebraica in Sicilia dopo il 1492 non è facile a determinarsi, ma si può tutt’ora certificare l’antica presenza ebraica da molti cognomi rimasti in uso fra i siciliani e nomi di strade e toponimi ancora esistenti che denotano la diffusa presenza di questo popolo.

(Calò, Consolo, Consiglio, Castro, Bonaventura, Levi, Marino, Massa, Manara, Meli, Milano, Pavia, Catania, Palermo, Perugia, Piazza, Porto, Prato, Recanati, Romano, Russo Veneziano, nonché tutti i cognomi provvisti di suffisso – Di Carlo, Di Grazia, D’Agata, Del Vecchio, Greco, Ferro, Fiorentino, Franco, Franchetti, Vita, Vitale, etc).

Molti storici si sono interessati alla storia della cacciata degli ebrei di Sicilia cercando di scoprire perché questa tragedia accadde e quanti furono gli ebrei che abbandonarono realmente l’isola, le loro case, le attività ben avviate e soprattutto i luoghi dove nacquero e avevano vissuto.
Il monaco inquisitore Giovanni di Giovanni nel 1748 e i monaci fratelli Lagumina nel 1885, scriveranno sui giudei di Sicilia con documentata penetrazione.
I loro libri diventeranno gli studi da cui partire per le successive ricerche e in ogni modo due libri che sono fondamentali per affrontare quest’argomento.
Com’è facile considerare, Giovanni Di Giovanni e Giuseppe e Bartolomeo Lagumina appartenevano al clero cattolico; non misero in buona luce la civiltà ebraica di Sicilia.
Le ricerche storiche fino ad oggi continuano ad appassionare e l’argomento non è chiuso, sebbene molti storici, sulle cose e vicende di Sicilia, abbiano approfondito quest’avvenimento.

 


Tutti riconoscono che la perdita dei giudei di Sicilia fu un fatto grave per l’economia dell’isola. (Denis Mack Smith, Lodovico Bianchini), perché gestivano attività importanti in alcuni casi faticose, ma sempre a buon reddito.
Avevano in loro mano buona parte dell’economia commerciale e soprattutto quella bancaria e finanziaria del regno e del vice regno di Sicilia, anche se questo privilegio non era esteso a tutta la comunità giudaica di Sicilia.
Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività commerciali, avevano aziende nell’attività della concia delle pelli (cunziria di Vizzini), lavorazione del ferro, lavorazione della seta, coltivazione della canna da zucchero (Savoca), produzione di maioliche (Naso).
Numerosi gli ebrei di Sicilia nella professione medica con una presenza sorprendente anche di donne (non solo specializzate in ginecologia). 52 erano le giudecche esistenti con 60 sinagoghe ben localizzate: si possono ancora vedere i luoghi che testimoniano la loro presenza per scoprire ciò che è rimasto di questa civiltà attraverso la presenza di numerose testimonianze ancora visibili per considerazioni intuitive o tracce d’attività e di luoghi depositari di memoria.

Nel libro di Nicolò Bucaria “Sicilia judaica, sono indicati reperti e oggetti di tradizione ebraica in parte ancora rintracciabili e che si riferiscono ai seguenti comuni siciliani:
Acireale, Agira, Agrigento, Akrai, Alcamo, Bivona, Caccamo, Calascibetta, Caltabellotta, Caltanissetta, Cammarata, Castelbuono, Castiglione, Castronovo, Castroreale, Catania, Caucana(Rg), Cittadella Maccari(Sr), Comiso, Enna, Erice, Gela, Lentini, Lipari, Marsala, Mazara del vallo, Messina, Monreale, Mozia, Noto, Palermo, Polizzi Generosa, Ragusa Randazzo, Rosolini, Salemi, San Fratello, San Marco d’Alunzio, Santa Croce Camerina, Sciacca, Scicli, Siculiana, Siracusa, Sofiana(Cl), Taormina; Termini Imerese, Trapani.

Ma per quel che più ci interessa nel contesto di queste pagine è sottolineare come le prime grandi comunità ebraiche dell’isola, coincidono con le conquiste arabe di Mazara, Agrigento, Mineo, Caltabellotta, Sciacca e Siracusa, comprovando, così, che il grosso insediamento ebraico siciliano, si cominciò a delineare proprio con tale conquista dei nostri territori, laddove i conquistatori disponevano di una grossa componente ebraica cui affidare poi, l’amministrazione dei territori conquistati e la gestione dei tributi.
Tale componente, mantenne nel tempo i contatti sia economici che culturali con i paesi di provenienza, sviluppando, così in favore delle loro comunità e della Sicilia tutta una notevole economia. Agli inizi di tale conquista, in Sicilia si parlava il greco, mentre si faceva strada il volgare siciliano che in seguito divenne la lingua ufficiale del Regno di Sicilia e che gli ebrei presto impararono a parlare meglio degli altri.
Forme più o meno virulente di antisemitismo sono ancora presenti in tutto il mondo, eppure bisogna prendere atto che vi è un’ondata di rinnovato interesse per la cultura ebraica.

 

       

Questo nuovo e diffuso interesse per gli ebrei, fa leva sulla circostanza egoistica che li vede come lievito per lo sviluppo economico di un territorio. Tale interesse, misto al desiderio di conoscenza di un popolo diverso e molto attivo, fanno sentire oggi, in moltissimi siciliani il desiderio di riallacciare gli antichi legami con la cultura ebraica che tanta parte ha avuto nella formazione e nella storia siciliana.
Tale interesse per una storia poco nota o del tutto dimenticata di un grande popolo siciliano; per la sua religione, per il suo moderno stato, fornisce un impulso fondamentale sia all’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica, che alla Charta delle Judeche di Sicilia, dallo stesso promossa, che li spinge a trasformare questo affascinante aspetto culturale in un vero e proprio motore di sviluppo economico sociale e culturale per la Sicilia ebraica dei giorni nostri.

 

 

Padre Luigi Magro  così scrive degli ebrei che si trovavano nella nostra Città nel suo famoso libro:

CENNI STORICI DELLA CITTA’ DI RANDAZZO” 

EBREI IN RANDAZZO (PAG. 219)

Nella nostra Città vi fu anche una numerosa Comunità ebraica. Nulla sappiamo delle sue origini, ma da quanto ci è dato conoscere si può arguire essere stata una delle più importanti dell’Isola. Ciò dicono i vari Diplomi Reali emanati a loro riguardo.

Narra  Mons. Giovanni Di Giovanni, nel suo Ebraismo in Sicilia:

                      “Perchè gli Ebrei di Randazzo, in tempo del Re Ferdinando I° mostrarono risiedere in loro uguale attenzione ed ubbidienza verso i cenni del Monarca che in alcuni altri fratelli loro della Sicilia, per mezzo di un prestito della somma di Onze venticinque che fecero alla Regia Corte allora bisognevole di denaro: perciò l’Infante D. Giovanni, figliuolo secondogenito del medesimo Sovrano e suo Vicegerente nella Sicilia ordinò che la stessa Regia Corte, già sollevata dalle strettezze passate, restituisse secondo il dovere agli accennati Ebrei la somma suddetta”. (vedi Regio Cancellario libro anno 1415 pag. 237).

Questo prestito, ci dice lo stesso autore Mons. Giovanni Di Giovanni, fu fatto alla Regia Corte da tutti gli Ebrei di Sicilia, ma nessuna comunità ha concorso tanto quanto quella di Randazzo tranne che tre, segno questo che essa era più numerosa delle altre.
Troviamo difatti che Caltagirone ha dato la somma di Onze dodici; Noto  Onze 22; Licata  Onze 10; S.Lucia di Milazzo Onze 15; ecc.
Ancora della maggior popolazione ebrea della nostra città, abbiamo che la cosi detta  Gabella della Gisìa si pagava da tutti gli ebrei della Sicilia nella seguente somma: Randazzo pagava Onze cinque all’anno; Castrogiovanni che aveva ottanta famiglie ne pagava 4; Noto Onze 3; Castroreale Onze una; Piazza Onze tre; Calascibetta unza una tarì sei e grana dieci ogni anno, ecc.
Nel 1477, questa comunità ebraica era talmente importante da essere retta da un Giudice particolare, come si può vedere da un Diploma del 3 giugno 1477 in cui il Conte Sigismondo de Luna, Maestro Segreto di Sicilia, indirizzando una lettera al Governatore ed al Giudice di Randazzo dava loro disposizioni tassative in una controversia tra gli ebrei e le Monache di S. Giorgio per la chiusura di una finestra di una casa prospiciente sul Monastero.
Riportiamo il documento che trovasi in copia nell’Archivio di S. Giorgio in Randazzo, col seguente indirizzo:

Dirigitur Spectabilibus Gubernatori et Judici Judeorum in Terra Randatii.
Nos D. Sigismundus De Luna Comes, Siciliae Magister Secretus et Magister Portulanus.
Spectabilibus Gubernatori et Judici Judeorum Terrae Randatii Amicis nostris Salutem.
Perocché, ut informamur in frontem hospitiu di la Ecclesia di S. Giorgi monasteriu di donni, vi è una casa di la Muschita et quilla li judei locanu a multi et diversi persuni cristiani la quali teni li finestri che scoprinu intra lu Bagliu di dictu monasteriu ac ortu adeo chi nixuna monaca po’ andari intra li Bagliu di dictu monasteriu né ortu che non sia vista da li finestri di la dicta casa, essendumi propterea supplicatu chi li vulissimu supra zò provvidiri havimu provistu, et cusì, per la presenti, vi dicimu, commettimu et comandamu che a petizioni di lu dicto monasteriu, pro ejus honestate, faczati riqueriri li Prothi di la dicta judea oy a cui specta chi digianu oy vindiri la dicta casa a lo dicto Monasteriu oy murinu li finestri per modu chi di quilla non si pocza scopriri intra lu dictu manasteriu, oy quilla alloghinu a persuni cum voluntate Abbatissae oy si paghino dallu dictu Monasteriu lu lueri chi è statu solitu allugarisi.
Et si la vurrannu vindiri, ci fariti pagari lu pretiu chi fu per loru cumprata, costringanduli chi omnino hagianu a fari una di li dicti electioni, cohertionibus vobis benevisis, et quillu chi elegirannu, faczati pro honestate et beneficio dicti Monasterii exequiri cum effectu.
Sic vos in praemissis gerentes per modum, chi non sia bisognu recurriri a Noi, sub poena unciarum quinquaginta.
Datum Panhormi die III junii Xª indictionis MCCCCLXXVII. Sigismundus De Luna etc.

Essendo la dicitura di tale documento abbastanza chiara, ci asteniamo dal tradurlo.
Nel 1492 gli ebrei furono espulsi da tutti i vasti domini dei Re Ferdinando II° e quindi anche dalla Sicilia.
Costretti gli ebrei di Randazzo a lasciare la Città, hanno venduto alle Monache di S. Giorgio la sopraddetta casa con l’attigua Moschea e due altri casaleni con degli annessi e Cimitero confinanti con il Monastero, con il patto di ritorno nel caso che fossero richiamati dall’esilio.
L’atto fu redatto presso il Notaro Staiti il 26 novembre IIª Indiz. 1492, nei termini seguenti:

Manueli Servidei Medico e Benedetto suo figlio, Mastro José Paneri e Rasè Rabi Medico, Mardacchi De Panormo, Abraam Russo, Gidilu Calabrisi, Gidilu Rabi, Jacob Guadagnu e Xibiti Miseria, come Majorenti Actori e Factori di tutta la Giudaica di questa Terra di Randazzo, congregati entro il loro tempio, vendono alla Reverenda Soro Maria De Pidono, Abbadessa del Venerabile Monastero di S. Giorgio il riferito loro tempio o mischitta, o moschea, nec non la casa collaterale solerata et altri due casaleni confinanti con detto tempio o mischitta e con la casa di detto Monisterio, esistenti nel Quartiere di S. Maria confinanti dalla parte di settentrione con le mura di detta Terra e Via pubblica; et ancora numero sei giarre ad uso di oglio, venti lampe, una scala, et un banco esistente nell’Oratorio, dove commoravano le donne di essi giudei.
Ac etiam il riposto delle predette cose; il secchio di rame ad uso di tirare acqua dalla cisterna e la stessa cisterna; e questo per mezzo di Onze ventiquattro, con patto e condizione, che ritornando detti giudei dall’esilio di questo Regno per stare ad abitare in questa Terra, sia obbligato il monastero revendere le sopradette cose vendute, e ciò per lo stesso prezzo, pagate le spese ecc.
Promise la stessa reverenda Abbadessa detto tempio tenerlo ed averlo solamente per dormitorio di detto suo monasterio.
Similmente venderono il luogo sacro e religioso per riposo dei cadaveri dei giudei, dummodo non inferant injuriam ossibus judeorum.”

Questa copia di contratto ce l’ha tramandato il Plumari che l’ha copiata dall’originale che si conservava nel monastero di S. Giorgio ed ha aggiunto come nota bene: il luogo del sepolcro dei giudei venne poi incluso dentro la clausura di detto monastero, nel punto del giardino che guarda l’occidente.
Le Monache del Monastero non si sono mai serviti della cisterna loro venduta dagli ebrei, avendone altre due.
Dopo la partenza degli ebrei da Randazzo fu abbatuta una lapide di pietra lavica portante una iscrizione in ebraico di cui il Colonna, nel suo manoscritto Idea dell’Antichità della Città di Randazzo, ne riporta un frammento rilevato da un pezzo trovato da lui sulla riva del fiume Alcantara il 18 settembre 1723 e che non potè decifrare perchè ignaro della lingua; l’abbiamo riportato nel capitolo VI° della prima parte, quando si parlò della Porta Orientale della Città di Randazzo.
Delle altre numerose case che formavano il ghetto non si ha notizia, probabilmente saranno state distrutte al tempo della peste che infierì a Randazzo dal 1775 al 1780, quando i sanitari venuti da Messina per incarico del Governo, con il Capitano d’Arme per la peste, ordinarono che fossero incendiate tutte le case, a partire dal punto del cordone sanitario che era nel piano di S. Maria fino a S. Giorgio e di là anche tutte le case fuori le mura, senza eccettuarne una sola; questo incendio durò per sei giorni continui.
Rimase solo salvo il Monastero di S.Giorgio perché non poteva essere infetto, essendo le Monache andate, sin dal principio del pestifero morbo, nel Monastero di S. Bartolomeo. (vedi il capitolo della peste).

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Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero
 

Ashkenaziti, Sefarditi, Mizrahim, ma anche Bukhari, Falashà e Romanioti. Sono numerosissimi i gruppi che compongono la Diaspora ebraica. Tuttavia gli Ebrei italiani, gli Italkim, rappresentano un’eccezione unica e con una grande storia.
Spesso si sente parlare di due categorie di Ebrei: Ashkenaziti e Sefarditi. Alcuni alludono anche a un terzo gruppo, i Mizrahim, per indicare gli Ebrei che vivevano in quei territori che oggi sono Iraq, Siria, Yemen, Iran, Georgia e Uzbekistan. Ma questa divisione in gruppi può risultare molto più complessa di quello che può sembrare a un primo sguardo.
Ci sono tre modi di intendere la classificazione degli Ebrei; uno di questi si basa sulla geografia.
Questo approccio applica l’etichetta “
Ashkenazita” agli Ebrei che hanno gli antenati che provengono dal territorio che nella letteratura rabbinica medievale era chiamato Ashkenaz.

Alexander Beider

 Questa zona corrisponde alle regioni dove la maggioranza cristiana parlava dialetti germanici.
Gli Ebrei Sefarditi invece, sono quelli i cui antenati vivevano nella 
Sfarad medievale: la Spagna o, più in generale, tutta la penisola iberica.
Un secondo approccio si basa  sulla lingua più che sul territorio. Secondo questa strategia, gli Ashkenaziti moderni discendono dagli Ebrei che parlavano lo Yiddish, mentre i Sefarditi da coloro che parlavano lo spagnolo o il judezmo (in spagnolo ladino, da non confondersi però con il ladino dolomitico).
Seguendo questo metodo di giudizio, viene usato il termine “Mizrahi” per riferirsi agli Ebrei che durante la prima metà del 1900 parlavano (Giudeo-)Arabo. Quindi tutti gli Ebrei nordafricani, a prescindere dai loro antenati, sarebbero considerati 
Mizrahim.
Un terzo modello classifica gli Ebrei in base ai riti religiosi usati nelle proprie comunità. Questo criterio fa risultare i Sefarditi il più grande gruppo, considerato che sin dall’inizio del XX° secolo erano tante le comunità nel mondo senza membri di origine spagnola che seguivano i rituali ebraici secondo la tradizione sefardita.
Nessuno di questi approcci diversi riesce a rispondere alla domanda: a quale categoria appartengono gli Ebrei italiani?

Ebrei italiani, questi sconosciuti
L’opinione più diffusa è che gli Ebrei italiani siano legati ai Sefarditi. Implicitamente, questo pensiero segue l’ultima delle tre definizioni elencate sopra. È senz’altro vero che negli ultimi secoli, sia stato il rito sefardita quello più usato nei territori appartenenti ai vari Stati, che nella seconda metà del XIX° secolo si sono uniti per formare l’Italia.
Tuttavia, secondo il criterio linguistico, l’Ebraismo italiano dovrebbe essere visto come un gruppo culturale separato dagli altri Ebrei, dato che gli Ebrei che vivono in Italia parlano da secoli l’italiano.
In questo articolo applicherò il primo metodo di classificazione per rivelare le radici geografiche di diversi gruppi di Ebrei italiani, usando i cognomi delle famiglie ebraiche italiane per fornire buoni esempi. Questo approccio rivela come il nocciolo degli Ebrei italiani non sia né sefardita, né ashkenazita, ma un gruppo completamente a parte.

Lo Stivale e la Stella di Davide
Gli antenati degli Ebrei italiani erano presenti nello Stivale già molti secoli fa, alcuni sin dai tempi dei Romani. Nella letteratura ebraica non esiste un termine largamente accettato per indicare questi Ebrei “indigeni”, e sono spesso chiamati semplicemente Italiani. Roma, che già nell’antichità aveva una grande popolazione ebraica, ha ospitato per secoli la comunità con più Italiani.
La leggenda vuole che gli antenati di quattro famiglie ebraiche furono portati a Roma dall’imperatore Tito come prigionieri dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 e.v. Tra le fonti ebraiche, queste famiglie appaiono come i min ha-tappucḥim (delle mele), min ha-adumim (dei [capelli] rossi]), min ha-anavim (dell’umile) and min ha-ne‘arim (dei giovani).
La più vecchia fonte scritta di questa leggenda è relativamente recente.
Appare in un libro pubblicato alla fine del XVI° secolo da un membro della prima famiglia, Rabbi David de Pomis (delle mele, in latino) di Venezia.

 


Dello stesso secolo troviamo anche la più antica menzione della seconda famiglia in un documento cristiano, che fa riferimento al nome italiano della famiglia, de Rossi.
I membri della terza famiglia appaiono in documenti italiani del 1600, con la strana forma ebraica di anaw (Anau).
Tra le fonti ebraiche, i riferimenti più antichi sono i seguenti: XI° per Anau, XIII° per i de Rossi e i de Pomis e XIV° per il nome che significa “dei giovani”.
Ma la maggioranza degli Italiani ha ricevuti cognomi ereditari solo nel corso del 1500.
La più grande categoria di cognomi è basata sui nomi di località, solitamente i nomi di città vicino a Roma da cui provenivano le famiglie che andavano a vivere nella capitale dello Stato Pontificio. Tra di essi vi sono Di Segni, Piperno, Pontecorvo, Rieti e Tivoli.
Quando, nel 1571, vi fu un censimento della popolazione ebraica di Roma, 278 famiglie erano catalogate come Italiani (indigeni) e 110 come Tramontani (stranieri).

Migrazioni ebraiche
Migranti ebrei arrivarono in Italia anche dai territori dell’odierna Francia. Giunsero in due ondate.

La prima si produsse con l’espulsione degli Ebrei dalla Francia nel 1394 e molti di essi si stabilirono in Piemonte. A partire dal medioevo il Piemonte fu parte della Contea dei Savoia, uno Stato che copriva i territori che oggi appartengono alla Francia. Le famiglie Foa, Segre e Treves, che arrivarono durante questa ondata migratoria, hanno giocato un ruolo importante nella vita culturale dell’ebraismo italiano nei secoli seguenti.

Il secondo grande gruppo di migranti ebrei arrivò in Italia da Marsiglia e altre città della Provenza, una regione annessa al regno di Francia alla fine del 1400. L’espulsione degli Ebrei dalla Provenza avvenne nel 1501. È da questo periodo che viene il cognome Provenzale, come anche Passapaire e Sestieri.

Gli ashkenaziti rappresentano il terzo maggior gruppo di Ebrei italiani. Giunsero tra il 1200 e il 1600 principalmente da province germanofone che oggi corrispondono alla Bavaria e all’Austria, in fuga da pogrom  (violenta azione persecutoria) e legislazioni anti-ebraiche. I migranti ashkenaziti si stanziarono principalmente nelle regioni settentrionali e nord-orientali della penisola: nella Repubblica di Venezia (principalmente Venezia, Padova e Verona), nei Ducati di Milano e Mantova e nell’area di Trieste. Ma ashkenaziti si stabilirono anche in Piemonte, e in Italia centrale e meridionale. Per esempio, fonti romane della metà del 1500 menzionano una congregazione ashkenazita a parte, dotata anche di una sua sinagoga, chiamata Scola Tedesca. Alcuni avevano già dei cognomi, come i Rappa di Norimberga (questo nome diede origine alla famiglia Rappaport, diffusa in Europa dell’Est), gli Heilpron (in Italia più conosciuti con la dicitura Alpron) e i Mintz (o Minci).
Durante questo periodo però, i cognomi erano rari tra gli ashkenaziti. Per questo motivo, molte famiglie comprarono i loro cognomi ereditari una volta arrivati in Italia. Il cognome Katzenellenbogen ha origine dalla città tedesca da cui veniva il fondatore di questa dinastia di rabbini quando giunse a Padova.
Tante famiglie ashkenazite finirono per farsi chiamare coi nomi delle città italiane dove risiedevano. Tra queste vi sono i Bassano, i Colorno, i Conegliano, i Pescarolo e i Soncino (poi modificato in Sonsino). Gradualmente il cognome Tedesco (e le sue varianti Tedeschi e Todesco) divenne uno dei cognomi più diffusi tra gli Ebrei italiani. Altri cognomi famosi di famiglie italiane di origine ashkenazita sono Luzzatto e Morpurgo.
Gli Ebrei sefarditi apparvero in Italia in momenti diversi. Individui e famiglie erano già presenti tra i XIII° e il XV° secolo. Dopo la cacciata dalla Spagna del 1492, molti Ebrei spagnoli si stabilirono a Roma. Tra di essi, alcuni portavano i cognomi Almosnino, Corcos, Gategno e Sarfati. Un gruppo più piccolo (che comprendeva anche gli Abarbanel) si rifugiò a Napoli e dintorni, e lì rimase fino all’espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli, nel 1541.

L’arrivo degli Ebrei “portoghesi”
È nella seconda metà del XVI° secolo che si registra l’arrivo di nuovi migranti ebrei sul territorio italiano: i cosiddetti Ebrei “portoghesi”. Venivano non solo dal Portogallo, ma anche dalla Spagna e dai territori sottomessi alla Corona spagnola, tra cui la città, oggi belga, di Anversa. Tutte queste persone erano formalmente cattoliche: ogni forma di culto ebraico era vietata e perseguita nei loro luoghi d’origine, e il loro attaccamento all’Ebraismo era tenuto nascosto.
Queste persone, i cui antenati erano principalmente Ebrei convertiti a forza al Cristianesimo alla fine del 1400, sono solitamente chiamati Marranos”. Con lo spostamento a paesi dove l’Ebraismo era tollerato, molte di queste famiglie iniziarono a professare la loro fede più liberamente.
Inizialmente questo flusso si concentrò a Ferrara ed Ancona; ma alla fine del XVI° secolo, Venezia e Livorno diventarono le principali destinazioni. Numerosi gruppi di Ebrei portoghesi (ex-marrani) si stabilirono a Genova e in Piemonte tra il 1500 e il 1700. Tutti questi migranti fondarono grandi comunità che seguivano il rito sefardita.
Alcune famiglie recuperarono i cognomi dei loro antenati ebrei che erano vissuti nella Spagna medievale: Aboab, Attias, Mazaod and Namias. Altri presero i cognomi che indicavano a quale delle tre caste sacerdotali appartenevano i loro antenati: Cohen, Levi e Israel. La maggior parte però scelse di mantenere i cognomi che usavano da Cattolici, tra cui Fonseca, Lopes, Mendes, Pinto e Rodrigues.
Col tempo, Livorno – unica città italiana con un’importante presenza ebraica che non istituì mai un ghetto – divenne il fulcro della vita ebraica italiana, attraendo tanti Ebrei di ogni origine da tutte le parti d’Italia.
La propagazione graduale del rito sefardita in Italia fu principalmente dovuta all’influenza degli Ebrei “portoghesi”.

Tra i secoli XVII° e XX° arrivarono in Italia (soprattutto a Livorno) tanti Ebrei provenienti dal Nord Africa, che portavano con sé cognomi come Busnach, Elhaik, Racah e Sasportas.
Tutto questo mostra il grado di complessità cui può arrivare la storia delle comunità ebraiche in ogni area geografica. In situazioni tali – che sono più che comuni nella storia ebraica – uno può facilmente essere ingannato da opinioni troppo semplificatorie o da affermazioni che usano termini ambigui.

Randazzo, segreti e misteri alle falde dell’Etna di ANGELA MILITI

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Leggi, usi, consuetudini, aneddoti sugli Ebrei  

  • L’alfabeto ebraico non ha maiuscole. Neanche Dio è scritto con caratteri speciali.
  • Messìa/mashìah  viene dal verbo “mashah” che significa ungere.
  • Il Messia per noi cristiani è venuto, ma deve ritornare. Per gli ebrei deve ancora venire.
  • Per i cristiani Messia si scrive con l’articolo, per gli ebrei senza articolo in quanto per loro  è un nome familiare,  un parente dell’albero genealogico del ramo di Davide, quindi un nipote.
  • “Mashìah vet kumen”  ( Messia verrà).
  • Il Messia annuncerà la sua venuta con tre squilli del corno di ariete.
  • Per alcuni studiosi ebrei la Morte è Messìa. La fine di ogni essere umano coincide col messìa, non ce n’è un altro e non c’è altro.  (La Famiglia Mushkat di Isaac Bashevis Singer).
  • ROSH HASHANAH   capodanno ebraico che si celebra con la luna nuova di settembre (Tisrì) per due giorni.
  • PURIM  festa delle sorti dal 13 al 15 di Adar (febbraio-marzo) si celebra la liberazione degli ebrei in Persia ad opera della regine Ester.
  • SHAVUOT   la Pentecoste. Commemora il giorno in cui venne data la TORAH (la Bibbia) al popolo ebraico.
  • SUKKOTH  festa autunnale delle Capanne. Commemora il soggiorno degli ebrei nel deserto.
  • YOM Kippur  Giorno dell’Espiazione. Il giorno del grande digiuno celebrato il 10 di Tisrì (settembre-ottobre). 
  • PESACH:  “Pasqua” commemora la liberazione o esodo degli ebrei dall’Egitto.
  • SHABBATH  sabato.
  • Kasher il cibo puro secondo la tradizione.
  • MAZAL TOV  “Buona fortuna” “Siate felici”.
  • SHALOM ALEICHEM  La pace sia con voi.
  • CABALLA  le dottrine mistiche ed esoteriche circa Dio e l’universo che si asserivano rivelate a un numero ristretto di persone e tramandate di generazione in generazione.
  • DYBBUK:  spirito di un defunto che non trova pace nella tomba ed entra nel corpo di un vivente.
  • TORAH  Bibbia. La legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai.
  • TALMUD  il complesso delle discussione giuridiche ed esegetiche sulla Bibbia e sulle Leggi Tradizionali. Il Talmùd si compone della MISHNAH (il codice delle leggi) e della GHEMARA’ (lo studio o discussione della MISHNAH), ed è diviso in trattati.
  • Tanakh  scrittura sacra.
  • Geenna: l’Inferno ebraico.
  • Gentili (o goi):  sono i non ebrei.
  • Gli ebrei, come abbiamo visto, sono o Sefarditi (di origine spagnola) o Ashkenaziti (di origine est europea).
  • Gli Ashkenaziti che significa “tedeschi” parlavano la lingua  Yiddish, una specie di dialetto ebraico innestato nella lingua tedesca e manifestano una abilità intellettuale molto al di sopra della media.
  • Gli Ebrei nel mondo sono solo lo 0,2% della popolazione tra i vincitori del premio Nobel gli Ashkenaziti sono il 20%, tra i vincitori della Medaglia Fields il 25%, e tra i campioni del mondo di scacchi circa il 50%.
  • SHOAH: olocausto, distruzione, sterminio del popolo ebreo.
  • PROGROM:  persecuzione violenta.
  • SIONISMO: movimento politico-religioso per costituire uno stato in Palestina
  • Gli ebrei appena si alzano si lavano le mani e prima di ogni pasto.
  • PE’ OT :  riccioli rituali lasciati crescere sulle tempie degli ebrei ortodossi (leviatico 19,27).
  • Non mangiano la carne di maiale nè con la carne qualsiasi cibo derivato dal latte, ma debbono trascorrere sei ore tra un alimento e l’altro. 
    Francesco Rubbino

                                                                                  
 

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                                                            —————————————————————————————-

      Ebrei  Italiani famosi   

 

 

Roberto Saviano 

 

Enrico Mentana

 

Paolo Mieli

 

Sen. Liliana Segre 

 

Elsa Morante

 

Lapo Elkann

 

Amedeo Modigliani

 

Alessandro Haber

 

Rita Levi Montalcini

 

Vittorio Gassman

 

Gad Eitan Lerner

 

Franca Valeri

 

Don Lorenzo Milani

 

Carlo De Benedetti

 

Susanna Tamaro

 

Raul Cremona

 

Luca Barbereschi

 

Corrado Augias

Clemente J.Mimum

Arnoldo Foà

 

Stefano Di Mauro – Rabbino di Siracusa

 

     Ebrei Italiano deportati ad            Auschwitz

 

       Ebrei Italiano deportati ad Auschwitz

 

    Ebrei Italiano deportati ad Auschwitz

     
     
 EBREI FAMOSI NEL MONDO    

Albert Einstein

Isaac B. Singer

Karl Marx

Mordecai Richler

The Beshavis Singers

Mark Zuckerberg (FB)

Larry Page – Google

Sergey Brin – Google

Israel Josha Singer

Quentin Tarantino and Daniela Pick

Woody Allen

Philip Roth

Isaac Newton

Isaac Asimov

George Soros

Sigmund Freud

Franz Kafka

Harvey Weinstein

 

Steven Spielberg

 

Dustin Hoffman

   

                  Lev Trockij

 
     
     

 

                                                                                                                                                                                                                          

  • “STORIA E RELIGIONE: LA PRESENZA EBRAICA E LA CACCIATA DA RANDAZZO “. Un tour alla ricerca delle radici ebraiche. 
  • Annamaria Distefano

  • Presso il museo dei Pupi di Randazzo si è svolta una conferenza sul tema “La presenza ebraica e la cacciata da Randazzo”. Questo evento è stato fortemente voluto dal rabbino di Siracusa, Stefano Di Mauro, capo della “Comunità ebraica di Sicilia”, e fa parte di una serie di incontri che si svolgeranno in tutta la Sicilia, alla ricerca delle tracce della presenza ebraica.
    Lo storico randazzese Salvatore Rizzeri, ha spiegato che per dare il via a questa serie di conferenze,  è stata scelta Randazzo perchè fu sede di una delle più importanti e ricche comunità ebraiche della Sicilia.
  • Purtroppo però non è pervenuto nessun documento che risalga alle origini, ma al primo  secolo dopo Cristo.
    Il primo atto documentato della presenza ebraica nella nostra cittadina è datato 1347, quando l’Infante Giovanni proibì a Raimondo de Pizzolis, arcivescovo di Messina, di intromettersi negli affari della comunità ebraica. Quello che sappiamo di sicuro è che nell’anno 1492 (al momento dell’ editto di espulsione) tale comunità si componeva di ben 170 famiglie per un totale di 1100 persone, l’11,3% della popolazione di Randazzo.
    Vi erano due rabbini, due medici e un banchiere. Un certo Joseph Salom, di professione ciabattino, possedeva 12 volumi, mentre il rabbino capo della città di libri ne possedeva quaranta. Questo si evince dai vari Diplomi reali  aventi per oggetto questa comunità.
    Un importante abbraccio tra due degli esponenti del clero locale, padre Domenico Massimino, arciprete della Basilica di Santa Maria e don Santo Leonardi parroco del Sacro Cuore di Gesù e il sefardita ortodosso Di Mauro, ha dato l’avvio alla conferenza.
    Erano presenti il sindaco, prof. Michele Mangione , il presidente del consiglio comunale, Antonino Grillo e il vice sindaco, dott. Gianluca Lanza. Presenti anche Yitzhak Ben Ayraham, del “Centro sefardico siciliano”, affiliato alla “Federazione delle Comunità ebraiche del Mediterraneo” e il dott. Gabriele Spagna, segretario della Comunità ebraica di Siracusa.
    Relatori della conferenza sono stati: il prof. Ignazio Vecchio, neurologo catanese, docente di Storia della medicina e bioetica presso l’Università degli Studi di Catania e segretario della “Federazione delle Comunità ebraiche del Mediterraneo”, l’arch. Piero Arrigo, ricercatore di Storia e Cultura ebraica siciliana, lo storico randazzese Salvatore Rizzeri e il presidente dell’associazione “Pro Randakes”, Nicolò Sangrigoli .
    Il rabbino cardiologo dott. Stefano Di Mauro ha ripercorso la storia delle persecuzioni e dei martirii perpetrati nei secoli nei confronti dell’ebraismo. Ha parlato delle radici in comune tra le tre religioni monoteiste ma anche della loro inconciliabilità teologica. Proprio a tutela delle loro diversità – egli ha detto – dobbiamo adoperarci per fare in modo che nelle varie religioni non ci sia spazio per soggetti che fomentino odio, e adoperarci per costruire una pacifica convivenza. Per arrivare a ciò è necessario stimolare il dialogo interreligioso.
    A questo punto il professor Ignazio Vecchio ha ricordato come da sempre gli ebrei e l’ebraismo abbiano trovato posto nella vita sociale ed economica siciliana fino alla data della loro espulsione.
    La presenza degli ebrei   in Sicilia, dall’epoca romana al 1492,  e’  documenta   sicuramente   da  Gregorio  Magno all’inizio del Medioevo nelle  sue  “Epistole”. Alcune di queste descrivono gli  ebrei della Sicilia, le  loro attività economiche  e  sociali  e  la   loro religiosita’.
    Sotto il   regno di  Federico II  agli ebrei, furono  concessi   privilegi  che  aumentarono nel periodo aragonese.
    I documenti che testimoniano la presenza ebraica in Sicilia, nel solo periodo aragonese, sono più  numerosi  di  quelli dei periodi  precedenti. Gli ebrei di Sicilia   furono assorbiti, dopo la loro  cacciata  dall’isola nel 1942, dalle altre comunità   ebraiche   del  Mediterraneo (Istanbul e Salonicco principalmente).
    Al momento dell ‘espulsione del  1492,  la   comunità ebraica   di  Sicilia  era  composta   da  circa   40  mila  abitanti, il 5% della popolazione, ed erano   presenti  circa  cinquanta   giudecche,  quartieri ebraici all’interno delle varie comunità cristiane, veri e propri enti  amministrativi  autonomi.
    L’ arch. Piero Arrigo, ha parlato delle poche tracce rimaste degli ebrei in Sicilia dopo 5 secoli dalla loro cacciata. Ha denunciato le difficoltà che a volte riscontra nel restauro e nella valorizzazione dei reperti in cui si imbatte. Un esempio è fornito dal reperto raffigurante la stella di David ritrovato all’interno di un rudere, situato nel centro storico di Savoca, luogo che si ritiene sia stato adibito a sinagoga. La scoperta di questo referto ha fatto riaccendere i riflettori sulla storia delle comunità giudaiche esistenti fino alla fine del 1492 a Savoca e nel territorio dell’intera Valle d’Agrò.

    Però, ancora oggi, a diversi anni della scoperta, l’edificio resta di proprietà privata e il comune di Savoca non sembra intenzionato all’ acquisto e al restauro.
    Ha concluso il presidente dell’associazione organizzatrice ProRandakes, ringraziando la delegazione per aver scelto Randazzo come primo comune di questa sorta di “ tour alla ricerca delle radici ebraiche “ .
    Annamaria Distefano 18 marzo 2016 
     
      
  •  Presentato “Gli ebrei a Randazzo”, saggio di don Santino Spartà edito da “La Voce dell’.Jonio”

Si è svolta ieri, 12 agosto, nel salone della chiesa di San Nicola a Randazzo, la presentazione dell’ultimo libro di don Santino Spartà.

 

 

Annamaria Distefano

Il libro “Gli ebrei a Randazzo”, il cui titolo non potrebbe essere maggiormente esplicativo,  parla della presenza di una comunità ebraica di circa 500 persone in un lasso di tempo di 150 anni, nel paese etneo di cui è nativo lo stesso autore.
Lo ha presentato la prof.ssa Giuseppina Palermo che conosce talmente bene la storia personale e il curriculum vitae di don Santino, da averne tratto un libro.
Era presente al tavolo dei relatori anche la dott.ssa Rita Messina, che, per conto della nostra casa editrice La Voce dell’Jonio, ne ha curato la pubblicazione.
Subito dopo un breve saluto della prof.ssa Pina Palermo, è proprio la dott.ssa Messina a prendere parola e a illustrare magistralmente il breve saggio. Se è fondamentale conoscere la nostra storia nazionale- ha detto – lo è altrettanto conoscere la storia locale, quella della nostra isola, dei nostri luoghi, del nostro paese.
La metodologia di don Santino – ha affermato la Messina – è  degna di risalto perchè segue due strade che sono una complemento dell’altra.
Se il primo approccio è scientifico e si basa sulla raccolta di dati provenienti da documenti storici, degli archivi di Palermo e Catania principalmente, laddove le fonti scarseggiano, don Santino afferma chiaramente di aver elaborato proprie teorie sullo stile di vita e sugli avvenimenti del tempo, basandosi su ragionevoli deduzioni logiche.

Il libro si apre con una data importante, il 1492, anno in cui Ferdinando d’Aragona promulgò l’editto antisemita che prevedeva la cacciata degli ebrei da tutti i territori siciliani, ivi compresa la cittadina di Randazzo.

 

Rita Messina, Don Santino, Pina Palermo


Attraverso un racconto a ritroso, viene quindi ripercorsa la storia dei precedenti secoli, per poi ritornare alla conclusione del libro, come seguendo un andamento ciclico, alla stessa data.
A suscitare l’interesse dello storico, don Santino, sul tema degli ebrei – precisa la dott.ssa Messina – un riferimento di Onorato Colonna, circa una lapide ritrovata nel territorio di Randazzo, che conteneva un’iscrizione ebraica.
A conclusione dell’incontro,  don Santino  ha ringraziato la dott.ssa Messina per l’appoggio ricevuto,  la prof.ssa Palermo e i partecipanti uno per uno. Tutti i presenti hanno infatti ricevuto una copia gratuita del  libro, consegnata direttamente dalle mani del prete, che, girando tra i banchi, ha calorosamente salutato tutti i suoi ospiti.
  • 

                                                                    ———————————————————————————————————–

 

L’Ebraismo della Sicilia ricercato ed esposto da Giovanni Di Giovanni Canonico della Santa Metropolitana Chiesa di Palermo ed Inquisitor Fiscale della Suprema Inquisizione della Sicilia.
IN PALERMO MDCCXLVIII (1748).
Nella Stamperia di Giuſeppe Gramignani.-
Con licenza de’ Superiori.

Nel Capo XXI a pagina 361 scrive: “Degli Ebrei di Piazza, di Calatascibetta e di Randazzo”.

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     In un momento particolare per gli ebrei ho voluto dedicare questa ampia pagina per riconoscenza e solidarietà.
Riconoscenza perchè alcuni  di loro hanno letteralmente trasformato il nostro modo di essere cittadini del mondo.
Altri ci hanno insegnato come è fatto l’Universo e quali leggi lo governano. Hanno saputo scrivere romanzi e poesie indimenticabili, e ci hanno fatto sognare con i loro film.
Il popolo ebraico (l’unico sopravvissuto in questi ultimi duemila anni) è stato da sempre perseguitato. Con loro condividiamo molte cose, non ultimo il Vecchio Testamento.
 

Gesualdo De Luca-Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie

Gesualdo De Luca, al secolo Giuseppe Ignazio, nasce a Cesarò nell’agosto del 1814.
Sicuramente avrà studiato al Real Collegio Capizzi di Bronte e dopo aver superato gli esami nel 1829  si trasferisce a Castelbuono per indossare la veste di cappuccino ed assumere il nome di Gesualdo.
Con questo nome firma tutte le sue opere letterarie.
Fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1837. Dopo essere stato nominato segretario del  Procuratore generale dell’Ordine di Messina si trasferisce a Roma e nel 1848 segue a Gaeta il Papa Pio IX  che aveva abbandonato Roma.
Nel 1849 fa ritorno a Bronte  dove è nominato Lettore di Teologia Dogmatica e Morale delle scuole dell’Ordine.
Scrive più di cento opere (il più famoso ” Storia della Città di Bronte “).
A seguito della legge legge 3036 del 7 luglio 1866,che sopprime gli Ordini Religiosi,  diviene un “pericolo pubblico “. 
 Il 22 settembre 1866 padre Gesualdo fu arrestato per le sue idee filo borboniche e dopo 14 giorni di prigione messo in libertà.
Dopo alcuni anni di girovagare nel 1870 si trasferisce definitivamente a Bronte dove muore il 26 febbraio 1892.
Nel 1859 pubblica presso l’editore Galàtola di Ct : “ Elogio funebre per Sua Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie detto in San Martino di Randazzo chiesa collegiata parrochiale a turno matrice “ che puoi leggere qui di seguito.

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Abbiamo inserito anche  “La Storia della Città di Bronte” per meglio conoscere l’Autore.

 

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