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Le fornaci del quartiere di San Giuliano di Carmelo Venezia

                                                          

Carmelo Venezia     Esistono, durante la vita di una persona, periodi di difficoltà morale,  causati  da circostanze dolorose ;  lontananza, malattie,  perdita di persone  più che cari.  Per qualche anno, non ho più voluto continuare a scrivere  il mio diario di un tempo piu’ che passato. 

Innanzi tutto, debbo ringraziare il Prof. Nunziatino Magro ; malgrado  le distanze che ci separano,  telefonicamente mi ha incoraggiato  a riprendere la mia penna, ridandomi il gusto per esprimermi  e di rimemorare il mio  passato.
  Ma, prima di continuare, desidero  chiedere scusa a tutti i miei amici e intellettuali, per l’uso del mio  semplice vocabolario.  In verita’ non ho mai frequentato le aule  e i banchi delle Università. Rappresento una vecchia generazione randazzese possedendo semplicemente un modesto diploma elementare. 
 Ma , amo moltissimo , non solamente la mia città di Randazzo perche’ è stato il luogo della mia nascita,  ma anche i resti delle sue opere d’arte  che  i nostri alleati non hanno osato demolire nel periodo dei  bombardamenti del luglio e agosto 1943.    Spesse volte, mi siedo alla terrazza del mio modesto  appartamento, ammirando il panorama del Principato di Monaco, con le sue moderne costruzioni destinati ad una classe sociale privilegiata e milionaria. 
   Talvolta, socchiudo i miei occhi, facendo divagare la mia mente ed anche il mio pensiero, percorrendo le vecchie stradine dei nostri antichi quartieri di Santa Maria, S. Nicolò e San Martino della nostra  città, luoghi riposanti, pieni di misteri, aneddoti, storie, li’ dove molti anni indietro, erano animati con la presenza di artigiani, carrettieri, contadini , musicisti, pastori, intellettuali,  moltissime signorine ,sedute davanti le loro porte d’ingresso, ricamando la loro  dote eseguendo un lavoro  d’arte e talvolta prezioso, dando vita e animazione a questi luoghi storici. 
  In certi periodi delle stagioni,  sentivamo  gli odori del vino, delle mele  e di altri frutti, che  i nostri antenati e le nostre mamme   avevano l’arte  ed il segreto di conservazione   per il periodo invernale. 
   Ma, ritorniamo  alla realtà. 
  Qualche anno indietro,  trascorrevo un certo periodo di  vacanza presso i miei  famigliari ; qualche giorno dopo il mio arrivo,  ricevo un cortese invito dal Prof.  Nunziatino Magro invitandomi   ad una lunga  passeggiata  piuttosto storica.   A bordo  del suo veicolo, abbiamo  percorso parecchi  kilometri , salendo  verso Santa  Domenica vittoria.  Ma, quale fu la mia sorpresa ? fermandosi, non solamente abbiamo ammirato  lo stupendo paesaggio della nostra Randazzo  ma  anche  il panorama dell’imponente  Etna  molto invidiata  dai nostri turisti stranieri. 
La seconda, è stata la  scoperta dei resti  di una  antica  cappella situata sul lato Sud dei Nebrodi dedicata  in passato  a San Marco
   Da  ragazzo, percorrevo spesso questo cammino  per recarmi  a Santa  Domenica Vittoria  soprattutto per assistere alla festa di S. Antonio , chiedendomi sempre , che cosa rappresentavano questi ruderi.  Penso, che qualche secolo fà ,  è stato  un luogo di raccoglimento  di pellegrinaggio, di raduno e di preghiera non solamente per i contadini ,numerosi  in questo settore agricolo, ma anche per gli abitanti delle  masserie e dei comuni limitrofi.
Finalmente,  dopo tanti anni, la mia curiosità è stata  ricompensata.  Penso, che qualche tempo indietro,  questo luogo è stato citato dal Dott. Salvatore Rizzeri  nel suo libro : Le Cento Chiese . 
     Riscendendo, dopo avere attraversato il Ponte di San Giuliano, l’ho pregato di fermarsi a sinistra su questo piazzale  chiamato volgarmente da noi randazzesi : U Stazzuni , in quanto che, volevo  far conoscere una antica costruzione dove attualmente esiste un mulino inefficiente chiamato dai nostri antenati :  Il Mulinello. 
L’accoglienza del  proprietario è stato molto cordiale e soprattutto amichevole .  Fiero di mostrare  non solamente la vecchia costruzione, ma anche il resto delle vecchie macine  o mole, con qualche resto di antichi accessori.  La  botte  situata sul  piano superiore , la quale serviva di riserva e di pressione, é in eccellente stato di conservazione  e di curiosità per gli alunni di tutte le scuole e soprattutto per  osservare   e  conoscere , i vecchi sistemi idrici usati nell’epoca passata.
   Scendendo, e passando dietro l’antica costruzione, la nostra  seconda grande  sorpresa, è stata di scoprire  una delle  antiche  fornaci , numerosissime qualche secolo fa , in questo quartiere di San Giuliano,  destinate alla fabbricazione  della calce  e nello stesso tempo alla cottura  delle tegole, mattonelle e recipienti di argilla.
  Ed è proprio di questo soggetto, di quest’ arte , di questi artigiani  più che artisti nella loro materia,  dotati di una straordinaria esperienza e di un sapere sconosciuto dai nostri  giovani, i quali  non hanno mai avuto l’occasione e la gioia  di ammirare il lavoro di questi talentuosi artigiani.
   Le fornaci  erano  state  costruite principalmente in questo quartiere ; numerose nei dintorni di  questo piazzale chiamato  come  avevo scritto prima : Stazzone :  in dialetto randazzese,  U Stazzuni.   Sopra questa superfice ,  dove  le costruzioni   in duro non esistevano,  c’erano   circa quattro fornaci ;  un certo numero appartenevano alle  famiglie  Arcidiacono, molto numerose fino agli anni   1960. 
   Altre, si trovavano  nei dintorni  della Via Regina Margherita , oggi chiamata  in onore  del nostro  concittadino  sindacalista e deceduto molto tempo   fa, Via Giuseppe Bonaventura.
   Una di queste, apparteneva  al Signor  Egidio Arcidiacono,  specializzato  nella fabbricazione di anfore, giare , vasi , lampade ad olio,
ed altri oggetti, i quali servivano  per conservare  l’acqua,  l’aceto , l’olio di oliva indispensabile  per la nostra  buona cucina. Questo artigiano, ha smesso la sua attività dopo il 1950 emigrando  come moltissimi dei nostri concittadini in Argentina.  
   Le ultime notizie  del signor Egidio, le ho ottenute nel dicembre del 1987.  Essendomi recato parecchie volte a Buenos Aires,  e dopo nella città di Haedo , situata nella grande  periferia della Capitale, dal nostro concittadino  Nino Luca, fratello del defunto Mario Luca,  all’occasione  di un incontro piu’ che affettuoso  e nello stesso tempo, per la visita della sua , grande fabbrica di mobili .
  Preciso,  che in questa Citta’ , vivevano  moltissime famiglie originarie della nostra  Randazzo.
  Il signor Egidio, si era stabilito  in un’altra regione ; forse nella città di Mendoza. 
   Diverse fornaci,  si trovavano  nei pressi  della chiesa del Signore della Pietà.  Un’atra, apparteneva alle famiglie Mazza ; salvo errore da parte mia, questa era vicino la discesa del Ciapparo. 
    Mi chiedo  sempre, perchè  i nostri antenati , avevano  dato questo nome  .   Oltrepassando la chiesetta, e andando a sinistra  seguendo la strada  che conduceva sia  alle vecchie  vasche di scarico delle fognature del comune ed anche  al vecchio Mulino di Citta’ Vecchia,  una di queste era proprieta’ del defunto Signor Alfio Bordonaro, padre del Dr.  Nunzio Bordonaro,  il  quale da  professionista, aveva creato  una vera  piccola industria  per la fabbricazione della calce e soprattutto   produrre  la migliore  qualita’ del prodotto.  
    Altre fornaci  si trovavano nel quartiere di Murazzorotto,   andando  verso il   lago Gurrida . 
   Anni passati,  questa zona era molto popolata,  dove ancora  si potevano contemplare molte  antichissime  casette costruite in pietra lavica a secco, esistenti  forse anche all’epoca araba, le quali, potevano servire  temporaneamente di alloggio  per i contadini e nello stesso tempo , come riserve di foraggio per nutrire asini, cavalli ,muli,  pecore , numerosi  in quel periodo.
   Ma quasi tutte sono state  demolite per ignoranza ed  incoscienza ,  costruendo casette certo moderne ,  ma  senza stile  ed in un modo piu’ che disordinato.

Monastero San Giorgio

Monastero di San Giorgio

   Un’ altra fornace molto antica, si trovava a fianco del muro di cinta della Citta’ tra il Convento di San Giorgio e la Via Duca degli Abruzzi esattamente a fianco dell’antica Porta dell’Erbaspina , chiamata anche , Porta del Quartarario ; esisteva anche una piccola fontanella chiamata dai nostri antenati, Fontanella dell’Erbaspina.
   Questo artigiano lavorava esclusivamente l’argilla per la fabbricazione delle Quartare, vasi, e diversi recipienti in terracotta. Desidero precisare  che questa porta con il suo semiarco e i suoi due pilastri,  era visibile prima del Luglio 1943. Una parte è stata demolita dai bombardamenti ; il resto, dall’incoscienza umana. 
   Le fornaci, potevano avere la forma di un grande  cubo  munito di  una corta ciminiera  oppure rotonde come un grande cilindro  di un diametro di parecchi metri,  munite  sempre di una ciminiera.  Il materiale  utilizzato,  erano  le  pietre laviche,  murate  con un impasto di  calce e sabbia dell’Etna .  L’ argilla  in certi casi  era  utilizzata    per  la  sua resistenza al  calore.  
    L’ interno, era  diviso in diversi piani ;  si accedeva attraverso una apertura situata a piano terra.  Il  sottosuolo  era riservato per il grande focolare, il primo perimetro , per la cottura delle pietre calcaree . Il piano superiore, per la cottura delle tegole, i mattoni, le mattonelle.  In seguito, le anfore, vasi, ed alti oggetti ad esempio  le lampade ad olio, molto utilizzate  nel periodo  della guerra  e specialmente nel periodo dei bombardamenti del luglio  e agosto 1943.  I  focolari, erano alimentati  con parecchie tonnellate di legno proveniente dalle nostre foreste comunali  ed anche da foreste private. 

DA  DOVE  PROVENIVANO  LE  PIETRE  A  CALCE ?        

La cava delle pietre a calce, si trovava  sul versante  Nord  dei Monti Peloritani parecchi kilometri dopo  il comune  di Santa Domenica Vittoria.
   Nella mia giovinezza, ho avuto una sola volta di visitarla in compagnia di un conoscente e  concittadino carrettiere , offrendomi un passaggio.  Preciso che questo signore, faceva il trasporto  di materiale edile. Non mi ricordo il nome  di  questa contrada ;  mi ricordo solamente che durante il tragitto , ho potuto ammirare  il magnifico paesaggio, ma anche  i lavori dei campi  eseguiti dai nostri bravi contadini.
  L’ estrazione delle pietre, era un lavoro molto faticoso e soprattutto pericoloso per  gli operai.  I mezzi  meccanici moderni non esistevano.   Tutto era eseguito con la forza delle loro braccia, a colpi di mazza , picco ed altri rudimentari arnesi per potere spaccare le grosse rocce, ottenendo cosi’ il volume desiderato. 
     Il trasporto  era eseguito con l’aiuto dei carretti  trainati dai muli e per i piu’ ricchi, dai cavalli.    Moltissime  famiglie di carrettieri della nostra città eseguivano il trasporto di   questo materiale, approvvigionando i proprietari delle fornaci.
   I carrettieri   partivano  nella notte, per ritornare  di buon mattino evitando cosi’ l’afoso calore  dell’ estate.  Il lavoro degli artigiani carrettieri,  era molto impegnativo  e faticoso , anche per gli  animali che in realtà erano  ben nutriti , ben curati  e ben protetti.          

IL LAVORO DELL’ARGILLA                      

  Diversi  proprietari di fornaci,  come avevo accennato prima,  si erano specializzati  nella lavorazione dell’argilla , fabbricando mattoni, mattonelle, anfore, piatti e casseruole, molto usate  dai nostri antenati  per la cottura dei cibi prelibati e gustosi.
  Queste piccole imprese,  erano proprieta’ di parecchie famiglie randazzesi.  Desidero citare  la famiglia  Mazza,  la famiglia  Bordonaro e soprattutto, le numerosissime  famiglie  Arcidiacono.
   Sicuramente,  ne esistevano altre , ma onestamente non ho mai avuto l’occasione di conoscerle.
   Per quanto concerna la famiglia Arcidiacono,  ho conosciuto i due fratelli , Luigi  e Battista,  intimi amici musicisti, che per molti anni, hanno fatto parte del Corpo Musicale di Randazzo, all’epoca in cui era diretto dal Maestro Lilio Narduzzi e sovvenzionato dal Comune di Randazzo e soprattutto con l’aiuto e la contribuzione degli abitanti  molto fieri del loro  complesso.
  Parlerò  di Battista Arcidiacono  nelle prossime pagine. 
   La  nostra argilla, era estratta  nel piano della Gurrida.  All’epoca, questo terreno , era molto argilloso.  In certe stagioni il fiume Simeto e  Flascio ,  non solamente alimentavano  il lago Gurrida ma anche moltissime superfici adibiti a vigne e ortaggi.  Alimentavano  anche un piccolo corso d’acqua che scorreva  ai piedi del Castello Svevo per finire nel fiume Alcantara. 
   Non posso precisare  il luogo esatto dove l’argilla era prelevata.  Sicuramente all’interno di certe proprietà private ed anche  nei terreni comunali pagando  una tassa.    Questa materia,  era trasportata con i carretti a Randazzo e depositata  sul luogo  di  lavoro.  Ma, prima di usarla, necessitava una lunga preparazione.  Depositata al suolo ed al sole per moltissimi  giorni l’ argilla  si riduceva cosi’ in finissima polvere.  In seguito, era depositata in un grande bacino dove era mescolata e dosata con una qualità di terra che ogn’uno di loro, conosceva il segreto ed il dosaggio.
   Il lavoro più faticoso, era quando tutta questa materia doveva essere mescolata, umidificata e pigiata da parecchi operai con la forza dei loro piedi e delle gambe, ottenendo così una materia  omogenea , malleabile e pronta per la lavorazione . 
   Gli artigiani, lavoravano a cielo aperto. Moltissime erano le donne, figlie di artigiani adibiti a questo lavoro. Sopra i loro banchi di lavoro ,confezionati in legno  oppure  con  i mattoni,  avevano  parecchi telai  in legno duro molto  resistente  all’umidità; per le tegole  di forma  trapezoidale, per  i mattoni  rettangolari, per le mattonelle in terra cotta,  i telai erano quadrati  a secondo la superfice richiesta dai clienti.  
   Per la confezione delle tegole, l’argilla era  spalmata  con le mani, livellata con una piccola regola nel suo apposito telaio, e dopo averla uscita dal telaio con l’aiuto di una piccola cordicella, era depositata sopra una forma  semi rotonda, e impermeabilizzata  con  un impasto liquido a base di argilla e depositata al suolo e al sole  per molti giorni ; in seguito all’interno della fornace  per la cottura.  Così per i mattoni ed altri oggetti.
   Giovane apprendista falegname, ho avuto parecchie occasioni di costruire molti di questi telai. Da ragazzino, vedevo lavorare molte donne ed anche uomini con una enorme rapidità. Questo lavoro era molto impegnativo ; per proteggersi dal sole, specialmente nei mesi estivi,  il loro capo era coperto  con un cappello di paglia oppure con l’aiuto di un grande fazzoletto .
Gli uomini, erano vestiti   con un semplice  pantaloncino, talvolta torso nudo  e con i piedi scalzi,  molto allegri,   fieri della loro arte e del loro sapere.      

COME  LE FORNACI ERANO PREPARATE ?     

Maestro Pippo Madè

   Il  primo  lavoro,  consisteva  allo sgombero  delle  scorie del grande focolare situato  nel piano inferiore ed alla pulitura  del perimetro interno .  Le pietre a calce, erano squadrate  con colpi di martello e mazza ;  parecchi  muri a secco erano costruiti  all’interno , occupando  cosi’ la  prima parte inferiore.  Le  tegole  , le  anfore , i grandi vasi ed altre  oggetti  da fare cuocere, erano situati sulla parte superiore.
   L’ entrata  veniva murata,  lasciando  semplicemente  un’ apertura  per  l’alimentazione del focolare   con piccoli  tronchi  d’alberi , truccioli ed anche  con enormi  mazzi di legno secco  di poco  valore , usato  generalmente per questo  lavoro.
   Il  focolare  acceso,  la fornace  doveva  essere  alimentata  e soprattutto  sorvegliata  giorno  e  notte  per  parecchi  giorni.   Talvolta,  e questo dipendeva  della quantità del materiale  da cuocere,  circa una settimana. 
  Nel periodo della mia giovinezza,  ho avuto molte occasioni  di percorrere di notte in compagnia di  mio padre  Giuseppe  e mio  nonno paterno  Carmine Venezia , mugnai di professione, la strada  che partiva   dal  vecchio mulino di Citta’ Vecchia, e che conduceva  verso la chiesetta del Signore  della Pieta’,  soffermandomi  vicino a queste  fornaci , per ammirare le fiamme che sgorgavano dal focolare  e della ciminiera ,  creando  cosi un  gioco  d’ artifizio , sviluppando  non solamente  un  grande  calore ,  ma  anche  un fumo  molto  denso ,  soffocante ,  rendendo  ancora più faticoso  il lavoro  degli operai .
   Durante  la cottura  della calce, le fornaci  erano  soggetti  ai cambiamenti  atmosferici ;  un  giorno,   parlando  con il Signor  Bordonaro,  proprietario  di questa  grande  fornace  situata in questi  paraggi ,  mi spiegò che  un cambiamento  atmosferico  durante  la cottura , poteva  influenzare  sulla durata del  fuoco.  Non posso precisare quanti gradi erano necessari per ottenere una eccellente qualità di calce ; forse  circa  900 gradi .
   Questi talentuosi artigiani pieni di esperienza e di maestria, conoscevano il momento in cui la fornace doveva essere spenta.  Talvolta, una settimana di tempo era necessaria per raffreddare l’insieme di questa piramide, e accedere all’interno recuperando   tutto il materiale  il quale era venduto a tutti gli artigiani edili  ed anche ai privati  per la costruzione e la copertura delle nostre  vecchie e moderne dimore.
Per la preparazione delle pietre a calce, i nostri artigiani muratori usavano un metodo molto semplice ;  creavano  un piccolo bacino di una profondità desiderata e secondo la quantità di calce da fare sciogliere.
  La  pietra a calce  già cotta, veniva depositata nel fondo di questo bacino e ricoperta con molta acqua. La calce al contatto con l’acqua, si scioglieva, sviluppando  un forte calore che talvolta al contatto della pelle  e del corpo, causava moltissime ustioni.
   Dalla calce sciolta,  qualche giorno dopo , si otteneva una materia  bianchissima e cremosa, la quale mescolata con la sabbia dell’Etna e con una certa dose di acqua,  ottenevano così un impasto per la costruzione  dei muri in pietra lavica ma anche per costruire case ed altre opere.    Serviva  anche per imbiancare  i muri e le pareti . 
   Possiamo anche dire, che tutte le costruzioni  della nostra vecchia Citta’, sono state eseguite e realizzate con questi materiali.  Voglio precisare un dettaglio molto importante ; nei  secoli  passati, la calce prodotta  dai nostri artigiani, era molto usata da tutti gli artisti frescanti , specializzati  nelle esecuzioni  degli affreschi.
   Ma, prima di usarla, ciascuno di loro, aveva il loro segreto di conservazione. 
   Moltissimi artisti di grande nome, conservavano la calce all’interno delle botti di legno per circa  venti anni cioè conservata per le future generazioni ;  per i  loro figli ed anche per i nipoti. 
   Non sono capace  di spiegarvi  l’effetto e la reazione chimica  di questa materia , dopo molti anni  di conservazione, posso invece affermarvi,  che questo metodo è esistito.  Onore  ai nostri artisti del passato , i quali  ci permettono di ammirare gli affreschi  e capolavori  dopo molti secoli passati.
  Molte cose si potrebbero scrivere  concernante la preparazione di questi  lavori ; ma il soggetto  è troppo importante.
Nelle precedenti  pagine,  avevo accennato   il cognome  delle famiglie  Arcidiacono.  Mi  permetto ancora di parlare  di Battista  e Luigi ;  due fratelli  che pur essendo specialisti dei lavori in terracotta erano anche due eccellenti  musicisti.
  Per molti anni, hanno fatto parte  del Corpo Musicale di Randazzo ; prima sotto la direzione del Maestro  Marrone , dopo sotto la direzione del  nostro  talentuoso maestro  Lilio  Narduzzi , deceduto a Roma  molti anni indietro.
  Ho avuto  l’onore  di averli  frequentato  dal  1950 al gennaio 1957  facendo parte  anch’io  di questo  prestigioso Complesso musicale  molto  amato da noi Randazzesi . 
  Mi  ricordo , che  tutte le domeniche  e nei giorni festivi  nel periodo  estivo,  i  cittadini   potevano assistere   e  ascoltare nelle piazze  comunali  concerti  di musica  lirica e non solo.
   Colgo  l’occasione  per ricordare un artista  dimenticato da noi randazzesi , deceduto
 a Milano qualche decennio  indietro: Battista  Arcidiacono ,  da  giovane,  a parte le sue qualità artigianali,   possedeva  una   eccezionale  dote musicale . Primo  Trombone  solista  del  Corpo musicale  sotto la direzione  del Maestro  Lilio  Narduzzi . Battista,  era sempre  alla ricerca della  perfezione , dei coloriti  e  della  raffinatezza  musicale. 
   Una  sera,  , i componenti  del  Complesso , eravamo  riuniti  nella sala del Concerto  della  Via San Giacomo per la  ripetizione  generale  di una romanza  dell’opera  Rigoletto  di Giuseppe Verdi . Il  maestro  Narduzzi  con la sua  bacchetta , chiama con un segno il primo  trombone solista !    La risposta  è stata  più che negativa !  nessun  suono.  Battista, invece di suonare,  si é messo a cantare  la romanza  mettendo un po’ in collera  il maestro ; ma dopo qualche secondo,  la collera si è  trasformata  in un grande sorriso paterno  facendo  anche ridere  tutti i componenti del Corpo  musicale.  Battista, possedeva una bella voce  ,un  orecchio  più che perfetto  sempre alla ricerca della  sensibilità  musicale.
La sua esecuzione  della Cavatina di Figaro del  Barbiere di Siviglia  era  eccezionale ;  un vero delizio per  gli  appassionati della musica lirica.  
Come  moltissimi  randazzesi,  nel periodo   del  1960  è partito per Milano, continuando  a perfezionarsi  nella storia musicale . Mi  è stato riferito  che dirigeva  un complesso  musicale, dedicandosi  anche  alla composizione.
    Ho avuto l’ occasione di rivederlo a Randazzo nel periodo estivo con il complesso  Marotta  presentando  prima dell’esecuzione  dell’ opera musicale,  i dettagli  storici  dei grandi compositori  italiani.  
   Tante storie  potrei  scrivere concernente  certi componenti  del vecchio  Corpo Musicale di Randazzo. 
  Non  volendo cambiare i miei  propositi ,  prima di terminare  questo modesto  diario,  desidero  semplicemente  citare  qualche cognome  di  concittadini  , facendo parte del Corpo musicale  negli anni  1950 ed  anche dopo.
   Gaetano  Lazzaro , grande clarinettista,  grande  copista, dotato di una eccezionale calligrafia musicale ,abitava in Piazza San Martino , allievo del Maestro Marrone,  primo clarinetto  A  sotto la direzione del Maestro Narduzzi .  Il  nostro   concittadino è deceduto  a Milano ,      Carmelo  Scalisi ,  primo clarinetto , di professione  ebanista.
   Salvatore  Mendolaro , clarinetto,  di professione calzolaio
   Salvatore  Raciti , primo clarinetto , accompagnato  dal figlio  Mario  Raciti  trombettista. In realtà Mario suonava parecchi strumenti. Voglio  ricordare  ai nostri giovani  randazzesi ,  che il Signor  Salvatore  Raciti , era un grande maestro  scalpellino ; accompagnato  dal figlio Mario,  verso gli  anni 1947  cioè nel dopo guerra,  le dobbiamo  il restauro  del Chiostro , colonne , banchine  e  finestre  del  nostro  Palazzo  Comunale , la  realizzazione  della  scalinata  del  Santuario del Carmine ,  moltissimi  lavori in pietra lavica , e innumerevoli monumenti  funerari . 
   Pietrino  Grasso , anche lui  suonava  il clarino  ed anche  i  saxsofoni . Eccellente  copista sicuramente  negli  archivi  del Complesso  Marotta,  si possono  trovare  ancora  molte  partizioni  musicali  trascritte  dalle  sue  mani.
Per  completare,  voglio accennare  la fine delle nostre  antiche  fornaci. 
   Nel quartiere  di San Giuliano  e nei  pressi della  Via  Carcare,  quasi tutte le fornaci sono state demolite .  Ci sarebbe  da  conservare  e proteggere  ancora qualche fornace più che nascosta e che  sarebbe  dell’ epoca  Araba , non  voglio citarla , per paura  della  demolizione.
Ricordo, la sera  dell’ 11 agosto 2001 in occasione  dell’ inaugurazione  della  Grande  Esposizione in onore  di Federico II , realizzata  dall’artista  siciliano Pippo MADE’   e presentata  all’ interno del Chiostro Municipale dal   Rev.mo Monsignore Santino Spartà Dopo la presentazione di questa  grandiosa esposizione, dei  suoi oggetti preziosi e del suo libro, terminò il suo discorso  accennando  la delicata questione  della  protezione e  della conservazione  dei resti antichi lasciati  per miracolo  in salvo  dopo  i bombardamenti  del  luglio e agosto 1943 . 
   Ascoltai  e  ammirai il coraggio di  questo  eminente religioso , affermando  pubblicamente  che questi,  non sono stati  ne curati  ne apprezzati  da certi cittadini .   Noi  dobbiamo essere fieri  di avere  un religioso intelligente , un uomo di  lettere , dotato di un grande sapere ,  con moltissime buone  idee  non   solamente  al livello amministrativo ,  ma anche  per la protezione dei nostri monumenti,   e per lo sviluppo del turismo locale. 
   Molte volte le sue buone idee non sono state ben seguite ed eseguite da certi dirigenti  della nostra Amministrazione .  La citta’ di Randazzo, ha bisogno di un grande sviluppo economico. Molti giovani  non hanno occupazione . Per rimediare a questa  grande lacuna, male cancerogeno della nostra epoca, due soluzioni esistono ; rilanciare  l’ agricoltura e il turismo.
    Non dimentichiamo  che il nostro territorio, è stato  sempre   una grande zona artigianale e agricola.  Produrre locale, significa creazione di posti di lavoro e impieghi per i nostri giovani , evitando così l’immigrazione  e la separazione dell’unità famigliare. Nelle contrade del nostro Comune, esistono ancora bellissime proprietà agricole con sontuose palazzine antiche di una vera bellezza architetturale inestimabile.
   Ammiro  sempre, il coraggio  dei proprietari, i quali con la forza fisica e mentale, malgrado gli inconvenienti  amministrativi, riescono con molta volontà e gusto,  al restauro,  trasformandoli in  alberghi,   ristoranti  e luoghi di vacanza , creando  qualche posto di lavoro per i nostri giovani .
      Ma, tutti  i cittadini  randazzesi  amano le  nostre antiche costruzioni ?   Trovandomi  molto distante  della mia amata Randazzo, la mia risposta è forse negativa.
   Senza  la forza  e la fede  degli abitanti, un giorno o l’altro , moltissimi vestigi antichi e meno antichi, saranno distrutte .  Non desidero impicciarmi  di certi affari . Ultimo caso , la parte  antica Est  del vecchio palazzetto  Germana’ ; questa piccola particella piu’ che antica,  è rimasta per miracolo in piedi  dopo i disastrosi  bombardamenti del 1943. 
  Da ragazzo,  ho conosciuto il vecchio palazzetto ; potrei anche  descrivere  come era , il pianoterra, era occupato  da parecchie botteghe  di artigiani ; falegnami, barbieri,  stagnini e venditori di buon  vino.
    Era possibile salvarla ?  questa particella, poteva essere inglobata nella nuova costruzione ?  Non essendo un esperto  in questa materia , non posso  rispondere a queste spinose questioni.
 Amici miei randazzesi,  amministratori comunali di tutte le tendenze ,   avete pensato al salvataggio  del nostro vecchio  Convento  di San Giorgio ?   al nostro Convento  dei Frati  Cappuccini ? al nostro rinomato  Collegio  San Basilio ?     volete  che questi monumenti cadono in rovina e dare via libera ai demolitori ?  Sarebbe un gesto ed un atto più che grave .
Il turismo,  si attira  proteggendo le vecchie pietre e non costruendo muri  in cemento  oppure in calcestruzzo . 
Ho avuto  diverse occasioni  di visitare  molte regioni della Francia  con i suoi sublimi antichi villaggi ;  talvolta  abbandonati  a causa delle guerre e delle carestie , oggi  risuscitati  dal  disastro , con la forza  e la volonta’ dei cittadini , ridando vita a queste antiche dimore , attirando molti turisti  e  molto benessere per gli abitanti.
Con la volonta’ e l’aiuto delle numerose associazioni locale,  nei nostri antichi  quartieri, molte cose  si potrebbero imbellire ;  molti abitanti lo fanno, mettendo in valore i lavori in pietra lavica, archi di porte , finestre, balconi ed altre belle cose. 
   Di ritorno nella mia Randazzo,  mi rendo conto  che certe mentalita’ e principi, non cambiano ;  pertanto, l’intelligenza e l’istruzione  esiste . 
  I cittadini randazzesi, possiedono un enorme potenziale  intellettuale , artistico e culturale .  Non dimentichiamo  che  le belle  realizzazioni culturali  , intellettuali  e architettoniche , si possono realizzare con le idee e la volonta’ di tutti gli abitanti , all’infuori  della politica e delle idee politiche.

Ringrazio il  Prof.  Nunziatino  Magro e la sua equipe  di T.G.R.  Televisione  Randazzo ,  il  Signor  Giuseppe Portale per le sue interviste ,  i suoi libri , per i suoi inteventi . Il Signor  Francesco  Rubbino per il suo sito   internet  “Randazzo . Blog” il quale con il suo lavoro  e le sue ricerche , ha onorato  e onora  la  memoria dei nostri  defunti  illustri cittadini ,   ma anche a noi immigrati randazzesi presenti  in tutti i luoghi d’Italia  e  del mondo .
Grazie  Signor Rubbino. Grazie  a tutti  coloro che hanno pubblicato  sui siti internet , e consultati  da noi residenti all’ estero.
   Auguri  a tutti i  cittadini di Randazzo , e che la nostra  Citta’ sia sempre piu’ bella, piu’ prospera, più tranquilla.
  Carmelo Venezia     Beausoleil   Agosto  2019 .                                                                                            

                                                                

Enzo Crimi

 

Enzo Crimi, Graziano Calanna

Vincenzo CRIMI, già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, è nato a Randazzo (CT) ed è entrato a far parte del Corpo Forestale nel 1981.

Dopo avere frequentato la Scuola del Corpo Forestale dello Stato e il relativo corso di formazione  professionale, presso le sedi di Cittaducale (RI) e di Sabaudia (LT), il 01.03.82 viene immesso in ruolo presso il Distaccamento Forestale di Zafferana Etnea. In seguito dirige i Comandi dei Distaccamenti   Forestali di Linguaglossa e Randazzo e dall’1.6.2004, assume il  Comando del Distaccamento di Bronte che, unitamente a quello di Cesarò (ME), detiene sino al 31 marzo 2016, quando viene collocato in quiescenza.
Oltre all’attività d’Istituto, nel corso della propria carriera Vincenzo Crimi, arricchisce le proprie conoscenze professionali organizzando e partecipando direttamente a convegni di studio in Italia, Austria, Germania, Francia e Svizzera, con personale appartenente al Corpo Forestale di quelle nazioni.
Nel 2004 è in Amazzonia, dove partecipa ad un progetto internazionale  sulla salvaguardia di un’etnìa indios.
Viene proposto dalla commissione europea per l’ambiente come componente a gruppo di lavoro per il monitoraggio delle piogge acide nella Foresta Nera, in Germania e l’avifauna migratoria.
Nel 2002 in Giappone viene nominato uomo dell’anno in materia di ambiente.

Frequenta corsi di aggiornamento professionale  organizzati dalla Direzione del Corpo Forestale, presso la scuola del Corpo Forestale dello Stato di Rieti e Antrodoco (RI). Collabora organicamente con varie Università italiane e straniere. Contribuisce con grande passione a promuovere il prodotto ambiente, attraverso il periodico dell’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, “Sicilia Foreste”,  sul quale  pubblica  argomenti quali, prevenzione e repressione  degli incendi boschivi, sistemazione idraulica forestale.
Si occupa e scrive di problematiche relative ai  dissesti idrogeologici, tutela e legislazione forestale, interventi di protezione civile relativamente a problematiche vulcaniche e sismiche, descrizione e studio di ecosistemi locali e loro rapporti socio-economici con la popolazione locale. Nel 2013 e 2014, é’ chiamato dal proprio Ufficio Superiore  a organizzare e svolgere docenza per i volontari di Protezione Civile  della provincia di Catania, di un corso  di aggiornamento di primo impiego in tema di “avvistamento incendi boschivi e di interfaccia”.
Collabora attivamente, sia istituzionalmente che personalmente con gli Enti Parco dell’Etna, dei Nebrodi e del Parco Fluviale del fiume Alcantara, allo scopo di promuovere l’immagine e le finalità delle aree protette, cercando di armonizzare i bisogni dell’ambiente e la  fruizione delle popolazioni locali.
Ha collaborato con il periodico “Etna Uomo Ambiente” e con il settimanale “Il Sette” per i quali ha scritto articoli tecnico-professionali.

Pubblicati dal Dipartimento Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, ha scritto i libri “Rahab: il bosco Ragabo di Linguaglossa” 1^ e 2^ volume,  – “Il territorio di Castiglione di Sicilia” e “Al Quàntarah”- la valle incantata”. I lavori, ricchi di argomentazioni tecnico-storiche di grande pregio, sono indirizzati verso i giovani delle scuole, affinché comincino a comprendere e a conoscere le realtà naturalistiche del territorio siciliano.  Pubblicato dall’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste – Corpo Forestale, ha scritto il volume “Tutela e Legislazione Forestale e Ambientale” prezioso contributo alla promozione della cultura ambientale attraverso la conoscenza di nozioni storiche e giuridiche armonizzate con la realtà legislativa del settore.Nel 2009 pubblica il volume “Flora, Fauna e aspetti naturalistici del territorio di Bronte”, rivolto agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di Bronte. Il 2010 è l’anno in cui pubblica “Flora, Fauna e Aspetti Naturalistici del territorio del Gal Etna”, rivolto principalmente, alle scuole e agli appassionati dell’ambiente, in modo da conoscere e valorizzare le potenzialità naturalistiche facenti parte dei comuni di Adrano –Bronte – Ragalna – Biancavilla – Santa Maria di Licodia e Maletto. 

Il 2017 é l’anno del libro “Randazzo e il suo territorio: storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata” che vuole essere un intrigante viaggio attraverso il territorio naturalistico di Randazzo, passando per i tesori artistici e culturali che esso custodisce. Un modesto contributo alla promozione e valorizzazione del territorio di Randazzo, uno degli ambienti naturali siciliani, ancora oggi, per un certo verso e in certi luoghi, veramente integro.
 
Web site: www.etnalcantara.it E-Mail:  vincenzocrimi@libero.it Facebook: Enzo Crimi
 

INDICE

TEMPO DI ESCURSIONI: VISITATE IL LAGHETTO DI “COLAÙGGHIA-ZARBATE” DI RANDAZZO – LA PERLA DEI NEBRODI.

“LE LAVE DI SANTA VENERA” DI BRONTE – UNA SUGGESTIVA E VEROSIMILE STORIA CHE DEVE ESSERE SVELATA.

Produzione Letteraria

Enzo Crimi: la bellezza della Natura – otto articoli inediti.


 

 

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      ALLERTA MALTEMPO: ITALIA SOTTO ATTACCO: (di E. Crimi)

      Ancora una volta messo a dura prova il sistema idrogeologico del nostro paese, dopo le persistenti piogge di questi giorni, anche sottoforma di vere e proprie “bombe d’acqua”, il tragico fenomeno degli allagamenti alluvionali si è presentato in gran parte della penisola.
      In Liguria le mareggiate hanno schiantato decine di yacht nel porticciolo di Rapallo, in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino, una situazione definita apocalittica ha creato milioni di danni e in Sicilia ci sono stati persino morti. In tante altre regioni d’Italia: forti mareggiate, fiumi esondati, strade e ferrovie inondate e interrotte, città allagate e isolate, come al solito, questi eventi ci trovano impreparati e allora i danni diventano ingenti.
      Questa volta la Madre natura diventata “matrigna”, è stata ancora più dura e spietata a colpire e non ha purtroppo risparmiato alcuni luoghi magici delle Dolomiti dichiarati Patrimonio dell’umanità nel 2009, e tra questi l’altipiano di Asiago la Val Visdende, una delle ultime oasi naturalistiche preservate dal turismo di massa, una delle più belle valli del mondo.
      Cento anni dopo la Grande Guerra, i forti venti hanno investito e raso al suolo con tutta la loro potente forza, alcune centinaia di ettari di boschi, patrimonio arboreo ambientale ma anche culturale, in quanto definiti boschi della memoria e palcoscenico degli eventi bellici dell’ultima guerra e c’è chi accosta questi eventi con le crude immagini della grande guerra.
      Migliaia di alberi spazzati via dalla forza degli eventi naturali che hanno lasciato dietro di loro una desolazione indescrivibile, insomma, quello che è accaduto in questi giorni, avrà una ripercussione fisica sul territorio di almeno 100 anni ma rimarrà per sempre nella storia. L’ondata di maltempo mette l’Italia in ginocchio: strage di uomini in Sicilia dove si contano dodici vittime, tra cui due bambini, altre vittime nel Lazio, a Savona, in Veneto, a Bolzano e a Napoli, diversi feriti in varie città, danni ovunque incalcolabili.

       

      Analizzando con attenzione il verificarsi di tali fenomeni, ci rendiamo conto che non tutti sono la diretta conseguenza di eventi naturali riconducibili al caso. Infatti, é l’uomo che spesso agisce in modo indiscriminato sul territorio e crea squilibri, mentre dovrebbe sempre operare in forte sinergia con esso, nella consapevolezza che l’interesse dell’uno è subordinato alla salvaguardia dell’altro, come a sembrare un legame simbiotico. Affinché tali fenomeni diventino governabili, dovrebbe essere posto in opera, il principio fondamentale che sempre ha dato eccellenti risultati: la prevenzione.
      La mitigazione di questi eventi si ottiene attraverso la realizzazione di opere mirate che prevedano, in particolare lungo i pendii dei corsi d’acqua a monte, l’impianto di boschi i quali oltre ad evitare gravi forme di dissesto, svolgono altre funzioni di grande interesse: economico e ricreativo.
      Certamente, più il terreno ripariale è boscato, minore è il rischio di dissesto idrogeologico, che è l’insieme di quei fattori di dilavamento e sgretolamento, di frane, erosioni e trasporto a valle di materiale solido che, sommato al consumo indiscriminato legale o illegale del suolo, all’abbandono di forti concentrazioni di rifiuti e all’abusivismo edilizio lungo i corsi d’acqua che mai vengono manutenzionati, limita il deflusso idrico anzi a volte ne determina l’ostruzione, la deviazione, l’esondazione e l’allagamento di terreni e aree urbane.
      Pertanto, succede che l’acqua prodotta dalle forti piogge, a seconda della pendenza del suolo, non trovando idonea copertura arborea a monte e un’adeguata regimazione che ne possa regolare il normale deflusso, a causa della sua forza di impatto con il suolo, in particolare quando questo è argilloso, si infiltra, raggiunge lo strato impermeabile, impregna il terreno superficiale che, gonfio d’acqua si mette in movimento, scivola a valle causando consistenti fenomeni di dilavamento, erosione e infine ruscellamento fangoso, travolgendo qualsiasi cosa sul suo percorso, compresi aree agresti e urbane, persone e cose.
      Non mi fanno paura i torrenti in piena, sono le norme di comportamento che assume l’uomo nel suo rapporto con l’ambiente che a volte creano squilibri. Il problema della fragilità del nostro territorio e dell’esposizione al rischio di frane e alluvioni, non può certo considerarsi un fenomeno emergenziale, è oramai diventato una costante assoluta almeno per 6.633 comuni italiani, ovvero l’82% di tutto il paese che è definito a rischio idrogeologico.
      Ciò comporta ogni anno un bilancio economico pesantissimo, intollerabile quando, in particolar modo, è pagato con la vita. Bisogna mettere in sicurezza il nostro paese, ed è evidente l’assoluta necessità che i nostri legislatori riservino maggiori politiche e risorse al territorio, in termini di prevenzione, in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi e cicloni imprevedibili.
      Come ho scritto in altre occasioni, questa attenzione non sempre viene rivolta al territorio, perché non bisogna certo avere una mente eccelsa per comprendere che l’interesse del legislatore verso l’ambiente in generale, sembra oramai una foto sbiadita, un pensiero iconico che tende a scomparire definitivamente dalle tematiche politico-sociali che si discutono oggi, e allora, come in un gioco onirico, il nostro interesse nei confronti di questo grave problema, molte volte, si infrange sugli irti scogli della noncuranza che i “nostri” politici nutrono verso i beni naturalistici del creato. La configurabilità dell’ambiente come bene giuridico non può essere ignorata dall’uomo attraverso tagli continui alle risorse finanziarie. Eppure, il legislatore con la sua mente piccola, forse non ha ancora la piena coscienza della gravissima crisi ambientale che sta vivendo.
      Sono molteplici le grida di allarme che ci pervengono periodicamente dalla comunità scientifica, la terra è in pericolo, l’uomo è in pericolo, e questa nostra prosperosa civiltà dei consumi, sta gettando le basi per una folle e sconsiderata autodistruzione di un pianeta malato, stanco, oltraggiato da uno sfruttamento sconsiderato in cui ogni cosa, animata e inanimata, ha valore unicamente se e in quanto merce, prodotto da vendere.
      No… non mi fanno paura i torrenti in piena ma temo la deficienza di intelligenza naturalistica dei nostri politici e di chi percepisce l’ambiente solo come una sensazione poeticamente astratta, perché è difficile interagire con chi è privo di cultura dell’ambiente che faccia comprendere la vera importanza del nostro patrimonio naturale.

       

       

       

      IL SOLSTIZIO D’ESTATE DEL 21 GIUGNO: TRA LEGGENDA, STORIA, NATURA, SIMBOLOGIA E MAGIA (di E. Crimi)

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      Enzo Crimi nel sito di Stonehenge in Inghilterra.

      Il solstizio d’estate è l’inizio della stagione calda ed è sempre stato avvolto da una sfumatura di mistero, leggenda e magia, basti pensare ai misteriosi siti preistorici megalitici sull’altipiano dell’Agrimusco, in comune di Montalbano Elicona, in provincia di Messina e al simbolo fallico della fertilita’ in roccia megalitica arenaria, situato nel bassipiano di Orgale, nei pressi di Castiglione di Sicilia a pochi passi dalla sponda sinistra del fiume Alcantara.
      Da sempre sappiamo che i Megaliti all’interno di questi siti sparsi per il mondo, siano essi di origine naturale o artificiale, hanno rappresentato dei veri e propri misteri e la storia antica dell’uomo è ricca di fatti inspiegabili e non comuni.
      Il sito di Stonehenge in Inghilterra, verosimilmente luogo degli imponenti ruderi di un tempio druidico, è uno dei monumenti preistorici più famosi del mondo, che consiste in due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate, poste in posizione eretta; sormontate da massicce lastre orizzontali di roccia e ornate dalle più piccole pietre blu originari dal Galles occidentale.
      Le ipotesi riguardo questi straordinari “monumenti rupestri”, conosciuti anche con il nome di “Menhir o Sarsen“, sono diverse, come differenti sono le discordanze anche tra gli studiosi, molti di essi sostengono che si tratta di manufatti riconducibili a consuetudini religiose con riti primordiali collegati alla simbologia fallica propiziatoria della fertilità.
      Alcuni ricercatori li accostano a miti e fantastiche leggende di giganti che si dedicavano alla pastorizia, ma anche storie umane, arcaiche ma reali, dove la vita delle sue creature ha seguito il suo percorso di naturale straordinarietà pari solo a se stessa.
      Altri studiosi sostengono un significato con finalità archeo-astronomiche, in quanto orientati e collegati con i punti cardinali, ai quali riconoscere una funzione antesignana di osservazione degli astri, dei cicli delle stagioni, equinozi e solstizi, da sempre date mistiche e venerate dalle antiche civiltà sparse in tutto il mondo conosciuto.
      Pare che alcune combinazioni tra i macigni e il sole, permettessero, tra l’altro, di prevedere le maree e le eclissi di Luna e di Sole. I giorni solstiziali includono alcune fra le celebrazioni più popolari dell’Occidente e le antiche tradizioni mettevano in relazione questo periodo dell’anno con un gran numero di usanze e di piccoli rituali ancora oggi vivi in tutta Europa.
      Il solstizio estivo del 21 giugno, carico di mistero e spiritualità, è lo scenario ideale in cui poter collocare sogni e realtà, ed è forse per questo che resta uno dei periodi più amati e profondamente intessuti nella cultura popolare, che periodicamente viene messa in atto anche dai popoli moderni. Fuochi e danze intorno ai falò, astronomia, musiche, teatro, canti e poesie.

      Stonehenge


      Sembra che antichissimi popoli festeggiassero il solstizio d’estate tra il sacro e il profano e ancora oggi, esso, seppur offuscato di magia e mistero, viene celebrato in molte parti del mondo, ciò dovuto al fatto che l’uomo, forse deluso dalla realtà quotidiana, si affida alle cose inaspettate dell’arcano.
      Pertanto, sin dalla notte dei tempi un intrigante intreccio tra l’uomo arcaico e queste costruzioni che gli uomini del neolitico, credevano intrise di poteri soprannaturali.
      Oggi questi spazi sacri, impreziosiscono il panorama delle nostre terre, come gioielli abbandonati e incastonati nel paesaggio. Ma qual’è il loro reale segreto e da quali credenze erano animate le persone che li hanno costruiti, quali strani rituali si celebravano in questi siti e cos’è che ha portato l’antico popolo di queste terre a modificare la propria religione, ad abbandonare questi antichi templi e a venerare altre divinità “moderne”? Dunque, questi luoghi, ritenuti sacri per gli uomini arcaici, oggi fanno da sfondo a suggestive epopee della mente e nascondono i segni di un passato impregnato di grandi eventi da sembrare quasi di natura divina.
      Sappiamo ben poco, sia sul senso o funzione dell’esistenza di questi grandiosi blocchi arenari e ancor meno notizie abbiamo riguardo i loro creatori, che potrebbero essere stati ispirati da vocazioni mitologiche.
      Lasciando l’opinabile ai sognatori, nella realtà indiscutibile, queste formazioni rocciose sono particolari monumenti costituiti da grandi blocchi di roccia arenaria, grossolanamente squadrati dagli eventi del tempo o dall’uomo, piantate nel suolo la cui area di diffusione è molto ampia in tutto il mondo, a rappresentare le testimonianze più antiche dell’architettura preistorica.
      Queste maestose sculture, hanno sempre attratto l’interesse di ricercatori e la curiosità di semplici escursionisti, impegnati nella ricerca continua di testimonianze del passato, di natura antropologica e naturalistica, dalle quali potere risalire alle epoche di utilizzo, all’uso che si è fatto da parte dei vari frequentatori ed alle particolari condizioni ambientali di una determinata area.
      Insomma, da sempre questi megaliti hanno rappresentato un intrecciato motivo di studio storico ed anche geologico di maestosi scenari della storia, di suggestive reliquie, di antiche e maestose sculture cesellate nella dura roccia, dell’intrigante prodigio dell’erosione naturale, dell’azione modellante del vento e della natura geologica del terreno, frutto e testimonianza dell’opera di primitive platee di popolazioni preistoriche di cui si è persa ogni traccia, nel lento ed incessante scorrere del tempo.
      Dunque, chi non crede all’incomprensibile non può fare a meno di restare altresì stupito e meravigliato nell’ammirare queste straordinarie costruzione neolitiche, statiche nella loro maestosità, sin da quando memoria umana ricordi.
      Pertanto, nessun mistero ascetico ma solo tracce del passaggio in vita e frutto dell’opera manuale di popolazioni arcaiche, che oggi ci descrivono la spiritualità che solo una suggestiva e seducente opera architettonica può elargire ai suoi visitatori. Oltre ai loro manufatti, di queste genti, rimangono solo pochi resti di figure antropomorfe lavorate sulla pietra e cellette funerarie (gruttitti) che servivano per la sepoltura dei loro defunti.
      L’archeologia moderna potrà nel tempo rispondere ad alcuni dei quesiti fondamentali su questi siti e i loro rapporti con l’uomo

       

      Presentazione del libro: 

                          “Randazzo e il suo Territorio; Storia, Arte, Turismo, Paesaggio e Natura Incontaminata”.

       

            


           Alla presenza di numerose autorità locali e dei paesi limitrofi e con la grande adesione di pubblico, presso il Chiostro del Palazzo Comunale di Randazzo, si é svolta la presentazione del  libro di Vincenzo Crimi
           “Randazzo e il suo territorio: storia, arte, turismo, paesaggio e natura incontaminata”.

       

      Enzo Crimi – Randazzo

           Hanno partecipato alla manifestazione gli artisti Daniela Caggegi e Maurizio Salerno, che hanno rallegrato la serata con melodie musicali e interpretazioni canore.
          La realizzazione del volume, presentato magistralmente dal Dr. Carmelo Di Vincenzo, già comandante del Corpo Forestale di Messina e introdotto dal sindaco di Randazzo Prof. Michele Mangione, riprende un percorso oramai consolidato da 7 precedenti pubblicazioni in materia naturalistica scritti dall’autore, che aspirano ad essere un valido contributo alla piena valorizzazione e promozione del territorio naturalistico isolano.
           Il libro, descrive dettagliatamente il territorio naturale di Randazzo, dove la natura ha voluto manifestare tutta la sua straordinaria magnificenza e dove l’uomo si muove ancora oggi in punta di piedi, consapevole che la propria esistenza dipende in grandissima parte dalla tutela e salvaguardia di tutte le componenti naturalistiche, orografiche, vegetazionali, faunistiche, culturali e antropologiche che questa vasta area detiene e riesce ad esprimere.
           Inoltre, il libro traccia un percorso culturale, che  effettua delle brevi soste all’interno delle antiche mura della cittadina, per rendere omaggio sommariamente, ai preziosi beni artistici e architettonici ben presenti, che nella loro splendente staticità, attendono da secoli un loro riscatto, senza tuttavia,  perdere di vista che la tematica principale in discussione è esclusivamente di natura ambientale.
           Dunque, la conoscenza del territorio, come virtù fondamentale che agisce da stimolo nell’uomo, così da farne accrescere la cultura e quindi l’amore per la propria terra, condizione essenziale per pervenire alla salvaguardia e tutela del territorio stesso.
           Tutti i partecipanti alla manifestazione, hanno ricevuto in omaggio una copia del libro.

      Agosto 2017 

       

      Vincenzo Crimi

      L’Etna D.O.C., il prodotto di punta dei nuovi ed operosi produttori “esterni”  dell’agro randazzese, esprime e può imporre la propria identità qualitativa sui mercati  nazionali e internazionali e può contribuire in modo, certo modestamente, all’integrazione del reddito di parte della popolazione locale. Tutto ciò viene favorito per effetto di un crescente squilibrio tra domanda e offerta: infatti, pare che la domanda sia in forte crescita e comunque, superiore all’offerta, con picchi alquanto alti negli Stati emergenti dove, grazie ad un poderoso sviluppo economico, si sta moltiplicando la domanda di vino e altre materie agricole. Ma non tutto é luce, per essere competitivi sui mercati mondiali, non bisogna fermarsi solo sul vino come bevanda da bere. Bisogna accrescere la qualità e  fare emergere  davvero gli aspetti più belli e intriganti del vino, a partire dalla  componente emozionale, perché la bellezza del vino è in primo luogo estetica. E’  necessario raccontare  il romanticismo magico di questo nostro territorio etneo,  celebrato da poeti e viaggiatori del tempo, un territorio denso di bellezze artistiche, archeologiche  e naturalistiche e poi le vigne e il loro suggestivo paesaggio.

      Il vino è anche il linguaggio,  la cultura e la storia di un territorio,  è l’umile  gente che con appassionata dedizione  lavora le vigne e trasforma l’uva in vino, insomma, è un potentissimo ambasciatore di un territorio e quando viene  assaggiato, in qualsiasi parte del mondo, attraverso il suo sapore e il suo profumo,  esso  ci riporta sempre con la mente al suo luogo di produzione, è questo il fascino e la  potenza del vino. Insomma, fare ciò e recuperare il tempo perso,  in modo da    promuovere e approfondire la conoscenza sul vino e i suoi piaceri, in modo da    intercettare un pubblico molto vasto, al quale far capire che il vino è anche la ritualità e ricerca di  sapori e soprattutto odori che sono la componente più importante del vino, come si generano e si evolvono e come è possibile apprezzarli e goderne.
      Non è un caso che il vino è l’unico prodotto dell’agro-alimentare che prima di   essere portato alla bocca per sentirne il sapore, viene annusato per    percepirne il  respiro.
      Oltre alle abituali strategie di vendita, il mercato ha anche bisogno di essere entusiasmato attraverso  il piacere dello studio,  dell’approfondimento  e della lettura, in modo da superare lo scetticismo che a volte si distacca dalla chimica degli odori che marcano i nostri livelli olfattivi. 

      L’aumento della domanda, paradossalmente, pone delle problematiche di penuria e ricerca di terra coltivabile a D.O.C. appropriata alla produzione del vino, tanto da innescare una competizione tra imprenditori, per la sua acquisizione. Questo fenomeno pone inoltre degli interrogativi riguardo a potenziali mutazioni ambientali e sociali, a cui il territorio verrà sottoposto, in particolare a causa di un’eventuale massiccia meccanizzazione colturale.

      Con i buoni auspici delle Istituzioni, oltre al vino, occorre mettere in rete tutti i prodotti agro-caseari, attraverso la riqualificazione e la modernizzazione dei processi di trasformazione, conservazione e commercializzazione delle produzioni di nicchia come olio, vino e caseari, in modo da reagire all’isolamento produttivo.
      Per fare ciò occorre essere dotati di attitudine imprenditoriale, in grado di gestire le diverse fasi del processo produttivo agroalimentare e compartecipare a tutti i  vari passaggi, partendo dalla produzione e sino alla tavola dei consumatori. La globalizzazione ci fa capire che sarebbe
      opportuno  mettersi in discussione e avere il coraggio e la capacità di percepire i mutamenti, abbandonare   convinzioni e abitudini che non sono più adeguate ai tempi e all’ambiente in cui si  vive, in modo da attivare un mercato locale ed extra locale che sviluppi la filiera in prodotti lavorati finiti.

      Analizzando attentamente la tematica, appare doveroso fare una riflessione relativamente ad una singolare condizione di quasi assoluta assenza, dal panorama delle attività d’impresa randazzese, della figura di imprenditore agricolo puro.  Tutti i soggetti interessati, guardano all’agricoltura solo in forma hobbistica e nessuno dei potenziali agricoltori o piccoli proprietari terrieri è alla ricerca di attività evolutive e più progredite di coltivazione più o meno imprenditoriale. Infatti, una grossa fascia del bracciantato agricolo randazzese contemporaneo, preferisce    impiegarsi nell’attività agro-forestale, più sicura e rimunerata, rappresentata dalle giornate lavorative assicurate dall’Azienda Forestale Regionale, un’aliquota è alla ricerca del posto fisso, pochi altri soggetti costituiscono la manodopera giornaliera nel precariato agricolo locale e il resto è adibito ad altri lavori.

      Chi ha la vigna si limita in proprio ai soli ed essenziali lavori culturali, trattenendo il vino prodotto, oppure l’olio se trattasi di olive, solo per il fabbisogno familiare e la consegna dell’eccedente ad Aziende esterne di settore, nella maggior parte dei casi estranee al territorio e quindi al circuito economico locale, ma molto efficienti nel comprare il prodotto e addirittura anche i vigneti. Infatti, in un arco temporale che si può quantificare in qualche decennio,  una grossa percentuale di proprietari agricoli randazzesi, prima vendeva il vino come prodotto     finito, poi, in modo da ridurre il lavoro, vendeva il mosto e l’uva e infine ha venduto persino i vigneti. Oggi compra il vino dalle stesse aziende alle quali ha venduto i vigneti.

      Questo fenomeno sta riportando questo comprensorio ad un massiccio accorpamento territoriale e al ritorno ai grossi latifondi, una volta di proprietà dei baroni locali e adesso delle grosse aziende vinicole siciliane e del nord Italia, completamente estranee a questo territorio etneo, che certo assicurano un tantino di guadagno e occupazione a qualche maestranza lavorativa,  ma causano la perdita del presidio sul territorio e  delle memorie storiche agricole dei nostri avi che sono passati prima di noi su queste terre.

       

      [2] Le aree protette, sono aree geograficamente definite, individuate, istituite e gestite attraverso strumenti legali o altri mezzi riconosciuti per raggiungere obiettivi specifici di conservazione e mantenimento della biodiversità, delle  risorse naturali e di quelle culturali associate, attraverso norme legislative mirate  alla loro tutela e salvaguardia.
      Con tali provvedimenti legislativi, la Regione Siciliana, nell’ambito delle proprie competenze e nel perseguimento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile attraverso la tutela del territorio e delle risorse naturali, detta principi e norme per la formazione e la gestione del sistema regionale delle Aree protette e dei siti della Rete natura 2000 con le seguenti finalità:
           conservare, tutelare, ripristinare e incrementare gli ecosistemi, gli habitat, i paesaggi naturali e seminaturali;
           promuovere la padronanza e la fruizione conservativa dell’ambiente naturale, sia biotico che abiotico, e del paesaggio;
         conservare e valorizzare i luoghi, le identità storico-culturali delle popolazioni locali ed i loro prodotti tipici;
          incentivare e garantire un adeguato sviluppo economico sostenibile delle aree protette.
        
        
      ENZO CRIMI

       

        

       

       

       

       

       

       

       

       

       

       

       

       

       

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