Archivio mensile Ottobre 2018

Santina Gullotto

 

Santina Gullotto nata a Randazzo, paese magnifico ai piedi del maestoso Etna, situato nella valle dell’Alcantara tra i Nebrodi e i verdeggianti paesi Etnei, come un giardino fiorito i suoi panorami non deludono mai. Cittadina medievale ricca di storia e di chiese antiche, chiamata una volta il paese dalle cento chiese, alcune di esse costruite dai Saraceni con enormi blocchi di pietra lavica tagliata a mano, visitata da turisti di tutto il mondo. 
Con la passione di sempre per la pittura, ho riempito le pareti della mia casa, con dei miei dipinti olio su tela che rappresentano i vari paesaggi che mi circondano. 
Nei miei dipinti fa da protagonista la natura in tutte le sue infinite sfumature, L’Etna, il vulcano che sovrasta il mio paese nella sua maestosità con le sue eruzioni continue, è la mia musa ispiratrice sia dei miei quadri sia dei miei scritti, lei rappresenta la forza della natura pericolosa ma anche buona …con il suo materiale lavico rende fertili i terreni intorno dove ci sono vigneti e ulivi…
Amo la lettura e la poesia. Ho cominciato a scrivere alcune poesie all’età di trent’anni, il maggior numero in questi ultimi anni molto dolorosi della mia già travagliata vita.
Fino l’età di diciotto anni ho vissuto a Randazzo, Mi sono sposata con Franco Amato. Dopo di che mi sono trasferita per nove anni a Catania dove lavorava mio marito, lì sono nati i miei tre figli, Davide, Cinzia e Alessandro.
Sono tornata ad abitare a Randazzo nella stessa casa dove abitavo da ragazza e vi abito tutt’ora con la famiglia e la mia unica nipotina Miriam.
Ho svolto il mio lavoro di sarta sempre in casa, per seguire meglio la famiglia, ho confezionato abiti personalizzati disegnati da me anche da uomo e da sposa.
Amo cucinare e la buona cucina realizzando  alcune ricette e rivisitando le ricette della nonna modernizzandole.
La mia poesia nasce dalla mia vita intensa e piena di non poche sofferenze, che come un fiume in piena mi hanno travolto ma non mi hanno distrutto e che la fede in Dio mi ha fatto sempre superare; ho trasformato il mio dolore in versi senza perdere mai la speranza e l’ottimismo. 
Il mio percorso di scrittrice inizia circa 13 anni fa, dopo un grave incidente subito dal più piccolo dei miei figli. Il dolore provato in quella circostanza ha provocato in me il bisogno di esternare i miei sentimenti per meglio esorcizzare il dolore. Da quei giorni interminabili del Gennaio 2005, come travolta da un fiume in piena,  la mente comincia ad aprire quei cassetti della memoria che fino allora immersi nella nebbia sonnecchiavano senza accorgersi dell’impronta che avevano lasciato …come un nastro di un antico proiettore si riavvolge per tornare poi ad essere proiettato sul telo della vita che ti sta passando accanto….
Tutto quello che nella vita ci succede ha un senso anche se non umanamente spiegabile. 
La fede che mi accompagna da sempre e che nella più dura prova quando stavo per perdere mio figlio diviene più salda, è per me fonte di vita, ancora di salvezza, sostegno insostituibile…. la mia più grande ricompensa alla fatica (se così si può definire) del mio lavoro di scrittrice è stata quella che ha fatto si che io potessi con le mie parole trasmettere fede e speranza ad altre persone ….molti di quelli che hanno letto quello che scrivo mi hanno dato la conferma che la mia fede non è vana. 
In me c’è sempre stata la voglia di vivere e non di sopravvivere, con questo pensiero mi sono sempre creata un lavoro piacevole che mi desse soddisfazione, mi sono sempre creata degli spazi per non tralasciare le mie passioni che mi hanno riempito la vita con la prepotenza di chi non vuole soccombere nemmeno di fronte all’evidenza,
Apprezzo molto Pascoli e Carducci facendo  tesoro del loro insegnamento su argomentazioni come l’amore per la vita e la natura. 


Sin dalla mia giovane età ho letto la Sacra Bibbia ed ho fatto della fede la mia ancora di salvezza e della preghiera mezzo fondamentale per superare tribolazioni e sofferenze.
La mia poesia comprende versi dedicati alla gioia, molto importante per vivere dignitosamente, come nella poesia “Il profumo della felicità” che mitiga il dolore di una vita vissuta per il bene;
la speranza che quasi mai manca, “Nel lago incantato” e “La vita comunque germoglia”;
la nostalgia degli anni andati e della fanciullezza, “La fontanella della mia strada”;
i sogni ai quali non bisogna rinunciare “Limpido e azzurro”, “E ti sogno”;
il quadro completo della lotta e la rivalsa sulla sofferenza nei versi “Quei pezzi di vita”  e “L’immensa forza della vita” 
 dedicati alla natura come nella poesia “Un cuore a metà” , “Vorrei sentire la primavera”, “Il sapore della vita vera”, “Incendio nel cielo”.
Versi dedicati alla dedizione verso il prossimo nella poesia “Come il petalo di un papavero”.

Pubblicazioni e premi.
La prima pubblicazione è stata con tre poesie, passando la selezione di un concorso “VERSI PER UN TERRITORIO” della GB editoria Roma

Aderendo a delle iniziative editoriali ha partecipato alla realizzazione di antologie come “ATTIMI” “Poeti contemporanei” della casa editrice “PAGINE” della stessa, sono state pubblicate diverse poesie tra gli otto Poeti scelti dallo scrittore  “ELIO PECORA” sulla rivista mensile “POETI E POESIA”

Con ALETTI EDITORE ha pubblicato per selezione delle poesie per diversi volumi, autori vari.

Ha partecipato alla realizzazione di una trilogia “CIO CHE CAINO NON SA” con poesie e brani, per la sensibilizzazione della lotta contro la violenza sulla donna ma anche in generale. Partecipazione anche nel volume “La poesia contro il femminicidio” Realizzata per La macina Onulus Editore

La poesia “MI RIFUGIO NEL SILENZIO” premiata con targa d’argento e pubblicata sull’antologia  “ALDA NEL CUORE” nell’omonimo concorso con la Casa editrice URSINI EDIZIONI

La poesia “IN OGNI DOVE” Vince il primo premio assoluto nel concorso Premio nazionale “OASI” MOTTA S. ANASTASIA, nello stesso concorso per la poesia dialettale il premio speciale poesia “STU NOSRU MARI”

Ha pubblicato sei sillogi di poesie in lingua italiana un libro di dialettali “Vernacolo”e tre libri di narrativa… un libro di favole e aforismi.

 

Michele Mangione, Angelo Manitta ,Antonino Portaro, Tina Sgroi, Santina Gullotto e Franco Amato.

 

2018 Premio Mediterraneo Oasy  VI edizione con la poesia “GUARDANNU ATTORNU” Premio Arte e poesie con la poesia “VA COL PENSIERO”

La poesia “CHE NE SAI “ Premiata Aci Castello Da “OMIA ARTE” Nel concorso Castelli di versi

DEDICA

Dedico questa silloge (raccolta) di poesie dialettali alla Sicilia perla del mediterraneo e ai siciliani che la amano e che non facilmente la lasceranno…
al fuoco dell’Etna che sta nel cuore della gran parte di noi …
a chi non dimentica di lottare ogni giorno per le proprie radici…
al mio paese anche se i miei concittadini non sempre apprezzano l’arte e il valore del proprio paese…
grazie di cuore Orgogliosa di essere Randazzese, Siciliana.
 

Santina Gullotto.

 

Sinossi ( riassunto della mia opera letteraria).
Scrivo le mie dialettali in Randazzese così come lo parlavano i miei genitori e mio nonno.
Il nostro dialetto ha delle origini storiche molto antiche, fa parte delle parlate Galloitaliche. Sono stata spesso apostrofata per errori a parere di chi conosce bene la grammatica della lingua Siciliana. Nei gruppi del social, troppo fiscali, non pubblico le mie dialettali perchè alcuni non accettano che chiami, nelle mie poesie, la Sicilia “Siciria”, così come è in uso nel mio paese tutt’oggi (Sicilia = Siciria).
Credo che quello che conti maggiormente sia il sentimento che si mette in quello che si scrive e nel parlare ancora in dialetto così come eravamo abituati… e poi alla poesia si perdona la forma che a volte anche se non perfetta nella sua imperfezione trasmette il senso…. figuriamoci nelle Dialettali ….. credo che se si svegliasse mio nonno amerebbe le mie dialettali e quelle di tutti quei siciliani che scrivono col cuore…

 

       Alcune belle poesie di Santina Gullotto.

” A VARA “

Si sta vara ‘no ci fussi
ogni agustu a Rannazzu

ri stu iornu ogni annu

no sappimu chi si facissi…

Stu paisi sempri chiù suru

chi nò cangia anzi peggiora

chi campa tantu pi no muoriri

e no si sappi dari ri verzu

pi turnari o so vecchiu splinturi…

Quannu campava me nonnu

c’era tanta povertà

ma u paisi ri Rannazzu

si dava aiutu e da sti feste

si facivuni tanti ri li cosi

pi fari sempri chiù bella figura

cu li forestieri chi rivavanu ri tutti li parti..

Cu passari ri li anni quannu

rivau allu splinduri

sempri arrieri si turnau….

ma sta vara sempri splendenti

ndo cuori ri ogni ranniazzisi

u so postu sempri avi….

 

Traduzione

Se questa vara non ci fosse ogni Agosto a Randazzo, di questo giorno ogni anno non si sa cosa si farebbe …
Questo paese sempre più solo che non cambia anzi peggiora che vive tanto per non morire e non si sa dare da fare per tornare al suo vecchio splendore…
 Quando viveva mio nonno c’era tanta povertà …ma il paese di Randazzo si dava d’animo e in queste feste si facevano tante di quelle cose per fare bella figura con i forestieri che arrivavano da tutte le parti.
Col passare degli anni quando è arrivato allo splendore sempre indietro si è tornati… ma questa vara sempre splendente nel cuore di ogni randazzese un suo posto sempre ha…

 

 

 

STU RANNAZZU SCURU SCURU.

Stà Rannazzu sutta a muntagna …
‘nta vallata ri l’arcantara …
ri lu sciummi ca a lattu ci scurri…
chi cantannu scenni e scenni…
stu Rannazzu mi ricordu …
riccu ri frumentu e ri ligumi…
pi li srati i sciccarelli …
cu condadinu passavunu a mattinata….
E lu suri u luminava,
u codiava l’amuri ra genti….
erunu tutti comu i frati e suoru…
si iutavanu e si capivunu ….
u paisi ri Rannazzu … avanti si purtava …
Prestu vinni u progressu
chi purtau i commorità …
i cristiani tutti spirtinu,
lunu e lautru si supraniau..
E si campa ri superbia …
i ricchizzi ormai si mirau si pirdinu i principi…
e lu Rannazzu paisi magnificu
scuru scuru divintau…
E paria un giardinu fioritu
chi ormai non pari chiui….

 

SOLA E MUTA, di Santina Gullotto

Dalla silloge “VERSI RIFLESSI”
nella foto un mio quadro olio su tela

SOLA E MUTA
Sola e muta…
la casetta dell’ulivo verdeggiante…
non si senton più le voci
di allegri commensali…
Ne vocii di bambini
che si contenton l’altalena…
Sola e muta, senza fumo il suo cammino
di quel forno che sfornava pane caldo
espandendo un buon profumo
tra il boschetto delle querce…
Il tempo cambia ogni cosa
muta il percorso della vita
nel progresso che trasforma
e distrugge quel che resta
di un tempo ormai passato…
Sola e muta, in una domenica
che si veste di speranza la mattina
per finire con il sole
lì tra i monti che declina…

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L’ultima fatica della signora SANTINA GULLOTO

 

 Dalla silloge ” NUVOLE DI POESIA ”
 Avanza il vento

Avanza il vento lì nella radura

scuotendo i rami tra le foglie si fa strada

E mentre il cielo chiude le sue finestre

un lampo squarcia le nubi grigie e buie…

Gocce di pioggia pesanti più del mondo

battono forte sulla terra nera

piegan al suo voler teneri germogli

e falciano l’erba tenera e fiori lì nel prato…

Calma la furia e riprende fiato

avanza il vento rallenta la sua corsa

le nubi grigie schiariscono e si diradano

e l’azzurro riapre le sue finestre

passa quel raggio di sole a riscaldare

il freddo brivido della furia andata

ancora qualche goccia a scender come lacrima

piange sommesso il cielo sul distrutto prato…

Così come il terrore che percorre le giornate

di una vita che subito s’infuria

sotto il peso del male che come l’uragano

distrugge al suo passaggio la fragile esistenza…

 

 

LA V EDIZIONE DEL PREMIO OASI A MOTTA S. ANASTASIA

Il premio “OASI” di poesia sul tema della psiche e dell’uomo, giunto alla quinta edizione, rinnova la sua esclusiva tradizione.

 

Il dr. Sollima e i componenti della giuria

Il Premio Nazionale “Oasi” di Poesia sul Tema della Psiche e dell’Uomo, giunto alla sua quinta edizione, rinnova la tradizione di essere un evento culturale suggestivo ed esclusivo, atteso e vissuto in ambito territoriale per la forza espressiva delle voci poetiche, interpreti di un mondo della sofferenza, che s’interroga e non demorde e si pone come riferimento di un confronto umano e fonte di dialogo.

La rassegna poetica biennale, si è svolta al C.T.A. “Oasi Regina Pacis” di Motta S. Anastasia, che opera da tanti anni con impegno e competenza sul territorio proponendo esperienze nell’ambito delle attività e terapie espressive, diventando una strategia e strumento d’ascolto attivo e premiante di una comunità terapeutica e riabilitativa per pazienti psichiatrici.

Il “Tema della Psiche e dell’Uomo”, elemento caratterizzante del Premio, ideato e condotto con abilità e professionalità artistica dallo psichiatra, scrittore e poeta Giovanni Sollima, si propone e si apre ad ogni poeta che invita a partecipare, creando da parte della commissione giudicatrice, un’importante attività percettiva e risolutiva.

La maggior parte dei contributi poetici giunti hanno sviluppato riflessioni e immagini sui grandi e attuali argomenti dell’Immigrazione e della Pace, secondo tematica indotta dall’istituzione del Premio Speciale “Mediterraneo”.

Trattando di poesia, risuonano sempre, come sottolinea Sollima, con forza atmosferica le parole di Pablo Neruda: La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane”. Il riconoscimento speciale “Mediterraneo” è andato al poeta tunisino Mohamed Larbi Maadi con il componimento “Il mare di Karim”, ispirati e degni della più illuminante sintesi politica i versi finali della poesia: “Ma il mare è uno specchio: / date luce alla mia terra / e la mia terra porterà luce al mare. / Passerà il bisogno di scappare.

Il dott. G. Sollima, la poetessa Santina Gullotto, vincitrice del Premio OASI 2016, e la Prof.ssa S. Fiorito, componente della giuria.

Premio assoluto della rassegna “sul Tema della Psiche e dell’Uomo” è stato assegnato alla brava e sensibile poetessa randazzese Santina Gullotto con l’opera poetica “In ogni dove”; secondo premio a Lidia La Biunda per il componimento “Fede sommersa”; terzo ad Anna Maria Cosenza per “Es-senza”.

Valore aggiunto della manifestazione il conferimento del Premio “Poetica dell’Insegnamento – Diorama Educativo”, dedicato alla figura di Anna Maria Mogavero Sollima, una personalità che si è distinta per meriti psicopedagogici nel campo dell’insegnamento e nell’ambito dell’impegno civile. Per la seconda edizione è stato conferito a Carla Sarra, maestra in congedo e autrice dello scritto inedito “Il giardino più bello”, che è, come afferma la stessa autrice, “un diario semiserio di un felice quinquennio di scuola elementare”. Il sagace e interessante scritto si rivela uno scrigno di linde esperienze, appassionate percezioni e preziosi riferimenti didattici.

La magistrale performance in concerto del Gruppo Vocale Polifonico “Armosaico”, ha coronato e arricchito la kermesse che volutamente si proietta per l’interessante tematica di sensibilizzazione con la “Giornata mondiale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo”, proclamata, sin dal 2002 dalle Nazioni Unite, guardando attraverso il riconoscimento estetico e di confronto al mondo e al futuro. La serata per lo spessore ieratico e il linguaggio tra stridulo, sbieco e umano si configura in un cammino esotico dedicando alla Musa del Cuore, padrona di casa che appaga e fa riflettere i canti poetici pieni di bellezza e fraseggi musicali.
di Lella Battiato | 11/08/2016

Il 4 maggio 2019 a Enna  Santina Gullotto ha vinto il 2^ premio sezione poesia del PREMIO LETTERARIO ” Umberto II re d’Italia ”

PUBBLICAZIONI
 

 

     
 

I libri si possono trovare oltre che in libreria anche su Amazzon

 

 Alcuni significativi dipinti di Santina Gullotto
cliccando sopra l’immagine si amplia

 

 

     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
 
     
     
     

 

a cura di Francesco Rubbino

Fernando Mainenti

Fernando Mainenti.  Già docente di Storia e Letteratura nei Licei, è cultore di Storia della Sicilia e autore di centinaia di articoli di carattere storico, letterario e di alcuni romanzi e saggi storici tra cui :
   “ il Fiume Freddo “, romanzo storico e autobiografico;
   “Menzogne e Misfatti dell’Unità d’Italia” , saggio storico e critico sull’Unità d’Italia;
   ” La Fata Murgana” , poesia narrata in lingua siciliana. 
Nel 2010, organizzato dal Comune di Milo, è stato vincitore del Premio Angelo Musco per la Sezione Letteraria- Narrativa Edita con la seguente motivazione:
 Con una scrittura colta e sapiente, ironica e affabile insieme, Ferdinando Mainenti ha scritto un libro che non è solo di ricordi, a volte divertito a volte toccante, ma che è anche un racconto di formazione, per così dire, di propria personale maturazione, come anche racconto di un passaggio generazionale, al tempo stesso. Un mondo feudale – contadino immobile e di antichi valori ormai scomparso che la mano abile e sicura dell’autore ha saputo fermare al momento del cambiamento, prima della trasformazione che vi è andato apportando l’inarrestabile processo della modernità.

Qui di seguito un suo articolo sul  Castello Svevo sede del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi.

La Sicilia dei Castelli :  Il castello di Randazzo: architettura, storia, miti e leggende popolari. 

La nascita della città di Randazzo si fa risalire al periodo della occupazione bizantina della Sicilia, verso l’800 d.C. o poco prima.

Fernando Mainenti

Il nome di Randazzo è di origine bizantina e proviene da “Randàkes”cognome di una illustre famiglia di Costantinopoli trasferita in Sicilia e precisamente a Taormina, dove uno dei suoi membri svolgeva le funzioni di governatore.
Non sappiamo di un 
fondatore del centro abitato, ma di un nucleo urbano che sorse poco a poco, casa per casa da una popolazione greca, spostatasi dalla pianura del “Feudo”, dove aveva la sua residenza nel centro abitato dell’antica “Tissa”. L’emigrazione verso la fertile Randazzo avvenne per scampare ad una paurosa colata lavica che distrusse il territorio di Tissa e per sfuggire alle incursioni degli arabi che penetravano nel territorio lungo il  corso del fiume Alcantara, per saccheggiare e devastare.
Ai greci in 
fuga dal loro primigenio territorio si unirono poi gruppi di popolazione latina che abitavano nella zona circostante.
Greci e latini si unirono nel 
processo di fortificazione del luogo, ben difeso da un’ampia palude, da un profondo ciglione lavico e soprattutto dal fiume Alcantara e dal Fiume Piccolo,  oggi estinto, che nei secoli scorsi scorreva lungo il quartiere di S. Francesco di Paola.
Il primo nucleo della futura città, all’inizio fu formato da un piccolo villaggio di capanne di legno. Le  maestranze greche, esperte in costruzioni, trasformarono presto le capanne in casette in muratura. Ebbe sviluppo rapidamente una primitiva forma di artigianato del legno e fiorirono quindi mercanti che esportavano il legname in numerose contrade. Si formò quindi un grosso borgo, che nel 1150 fu ampiamente descritto dal geografo El-Edrisi, familiare del re Ruggero II. 
Nel periodo aspro della conquista musulmana della Sicilia nacque la bellissima leggenda della chiesa di S.Maria. Nelle campagne dove ora sorge Randazzo vi era una piccola comunità cristiana, che venerava un’immagine della Madonna raffigurata su un dipinto di legno.
In epoca imprecisata, la 
piccola comunità venne sconvolta da una scorreria di infedeli, che iniziarono a devastare il territorio e a perseguitare i cristiani che veneravano l’immagine della Vergine Santa. Gli abitanti furono costretti alla fuga da quel luogo devastato: prima vollero salvare Prospetto nord del castello di Randazzo in una foto degli anni ‘20 del Novecento. l’immagine della Madonna, per non farla cadere nelle mani distruttive degli arabi; portarono poi il dipinto dentro una grotta, e prima di ostruire l’entrata della spelonca con grossi massi di pietra lavica, accesero un lumino davanti alla Sacra Immagine ed infine fuggirono. 
Passarono i secoli: un giorno, un pastorello che badava alle sue pecore in quella zona vide un raggio di luce provenire dalla grotta. Preso da curiosità, pose l’occhio ad una delle fessure dei macigni e vide un lumicino ardere dinnanzi ad una bellissima immagine della Madonna. Ad onta del trascorrere degli anni, quel lumicino acceso dai fedeli di quel tempo antichissimo ancora brillava di viva luce.

Castello Svevo – Randazzo


Sparsa la notizia del miracoloso evento, la popolazione si radunò nel luogo del ritrovamento. Abbattuto il muro di pietre che ostruiva l’ingresso della grotta, apparve l’Immagine Sacra con la luce ancora accesa, segno della potenza della Madonna e della sua benevolenza verso la popolazione di Randazzo. Sul luogo del miracoloso avvenimento fu innalzata una chiesetta in legno, trasformata successivamente in muratura, ad una sola navata, dopo molti anni seguìta da una grandissima chiesa: l’attuale Basilica di S. Maria. Il dipinto miracoloso trovato nella grotta, detto “La Madonna del Pileri”, restaurato dal pittore Giovanni Nicolosi, è oggi esposto alla pubblica venerazione sopra la porta di tramontana della splendida chiesa.
Nel XII secolo Randazzo, essendo sulla costa del Val Demone, appariva, già in epoca araba, cinta da poderose mura. Pare che il Gran Conte Ruggero, prima di attaccare la possente fortificazione in quel luogo, si sia recato a venerare l’immagine di S. Giorgio conservata in un piccolo monastero prospiciente le mura.
Fino al 1943 le antiche mura medievali si mostravano lunghe e robuste come ai tempi della magnificenza della città. I bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno distrutto buona parte della possente cinta muraria, per cui oggi esistono solo brandelli di mura sparsi lungo l’antico tracciato.
La parte 
maggiormente intatta si mostra sulla collina di S. Giuliano, verso la Porta Aragonese. È visibile una torre considerata la parte principale del castello, e quattro porte. La più importante delle porte è la Porta Aragonese, sulla quale spiccano gli stemmi dei sovrani d’Aragona. Pietro I, primo sovrano di Sicilia, nello stesso anno dei Vespri – settembre 1282 – provvide a restaurare questa porta e vi fece apporre le sue insegne, dopo aver indetto un “Campo” nel quale convennero tutti i baroni del Regno per prestargli giuramento.
Ad un chilometro 
ad est di Randazzo, esiste una contrada di campagna che porta il nome di Campo del re”. Si suppone pertanto che detta porta esistesse già al tempo degli arabi o più probabilmente nel periodo della conquista normanna dell’isola.

Nel periodo di massimo sviluppo medievale della città, le mura cingevano Randazzo per circa tre chilometri, segnati da otto torri e dodici porte.

La Porta Aragonese, nel corso degli anni, è stata intesa dagli abitanti anche sotto altri nomi: “Porta S. Giuliano”, per la presenza nei pressi di una piccola chiesa dedicata al culto del santo; “Porta degli Ebrei”, per la presenza nei pressi di un ghetto ebraico o “Porta del Mosto”, perché chi, nel tempo passato, doveva introdurre in città vino o mosto doveva passare per questa porta: un gabelliere comunale era addetto al controllo ed incassava dieci grani per ogni salma di vino o di mosto. 
A nord della città si trova Porta Pugliese, ad occidente Porta S. Martino, che prende il nome dalla splendida chiesa di S. Martino (XIII secolo) costruita nei pressi della struttura muraria.
La chiesa di S. Martino conserva il più antico campanile a cuspide dell’isola: la svettante 
costruzione di pietre bianche e nere segna la torre campanaria di S. Martino come la più bella di tutta la Sicilia. La facciata, in seguito ad un sisma, fu rifatta nel XVII secolo.
 
L’ultima porta sopravvissuta allo sconcio dei secoli, Porta S. Giuseppe, si trova anch’essa ad occidente, nei pressi della quale scorreva il Fiume Piccolo, coperto dalla colata lavica del 1653. Porta Aragonese in una foto degli inizi del ‘900. La Madonna del Pileri.
Porta San Martino in un’antica immagine. Con la venuta dei normanni, guidati dal Gran Conte Ruggero, alla precedente popolazione residente nella città, costituita da greci e latini, si aggiunse un nuovo gruppo proveniente dal nord Italia: i lombardi, venuti al seguito della contessa Adelasia, moglie di Ruggero. I nuovi venuti si stabilirono nel quartiere Martino, mentre i greci avevano sede nel quartiere S. Nicola e i latini nel più antico agglomerato, quello di S. Maria.
 
Questi gruppi di popolazione ebbero una loro grande chiesa e per secoli rimasero distinti. Ciascuno parlava la propria lingua e professava la propria religione. Dice lo storico Filotimo degli Omodei: “In Randazzo si parlavano tre dialetti diversi, uno per quartiere”.

Il Castello di Randazzo si svolse sul perimetro delle mura: a settentrione, fra Porta Pugliese e Porta S. Martino e si sviluppò attorno alla Torre Mastra posta su quel circuito. La struttura poggia su un potente agglomerato lavico che domina la valle del torrente Annunziata, di fronte alla timpa di S. Giovanni, il principale emissario del lago della Gurrita. 
Il dongione fu costruito probabilmente dal conte normanno Ruggero su un preesistente insediamento  arabo. Il castello ospitò l’imperatore Federico II di Svevia e la moglie Costanza, nel 1210, quando i sovrani dovettero lasciare Palermo a causa di una violenta pestilenza.
La scelta 
dell’imperatore di rifugiarsi a Randazzo con la giovane moglie fu determinata dalla saldezza delle sue fortificazioni, dall’aria salubre di mezza montagna, dai secolari boschi alle pendici dell’Etna che si estendevano fino alle più alte vette dei Nebrodi. Un altro elemento di scelta del luogo fu la presenza di una caccia abbondante ed anche il carattere lieto ed accogliente degli abitanti, che offrirono al giovane imperatore e alla sua corte feste, cavalcate, banchetti e lieti conversari. Federico II fu talmente colpito dal luogo che fece di Randazzo una residenza reale e un caposaldo avanzato di difesa, in quanto la cittadina si trovava in strategica posizione sulla più importante via dell’isola. 
L’imperatore rafforzò le mura con otto torri e fissò la sua residenza in quella più forte e più sicura, l’attuale castello. Nel 1282, Randazzo prese parte ai Vespri: la città insorse contro gli angioini e nel piano che circonda il lago Gurrita i randazzesi sterminarono le truppe francesi che presidiavano la città. Cessato il governo di Carlo d’Angiò, nell’interregno che ne seguì Randazzo scelse cinque senatori a capo di un Comune libero e indipendente. 
Pietro I di Aragona, nel novembre del 1282, restaurò Porta S. Martino e vi pose una lapide con i nomi dei senatori che avevano appoggiato favorevolmente la causa aragonese. Sulla porta sono ancora visibili gli stemmi reali, ma la lapide è stata distrutta. Per ringraziare i randazzesi che si erano subito schierati a favore del nuovo re, Pietro I offrì alla chiesa di S. Maria, in omaggio alla Madonna, uno stupendo calice d’oro, argento e pietre preziose, che fa parte ancora oggi del tesoro della chiesa. 
Agli inizi del 1300, il duca Roberto d’Angiò, attraversate le catene dei monti Nebrodi, sferrò un attacco armato contro Randazzo, città fedelissima a re Federico III d’Aragona. I randazzesi serrarono le porte, le munirono di armati e presidiarono le otto torri di guardie scelte. Per evitare un lungo, probabile assedio, i cittadini passarono al contrattacco: in una notte di buio fittissimo, l’esercito randazzese uscì da Porta Pugliese ed attaccò gli armati angioini. Una scarica di pietre lanciate dai frombolieri colpì ed uccise il capitano del duca Roberto. Seguì un furioso combattimento: l’esercito angioino fu costretto a battere in ritirata dall’impeto dei randazzesi. 
L’avvenimento va sotto il nome di “assalto della Fonte del Roccaro”, una  fontana che ancora esiste sulle sponde del fiume. Nel 1406 re Martino, viste le precarie condizioni delle mura, dirupate in più parti, e le porte prive di chiavistelli e talune parti abbattute, volle che fossero riparate con sollecitudine.

Nella seconda metà del XVI secolo, regnando Filippo II di Spagna, il castello di Randazzo fu adibito a carcere seguendo la sorte di molti altri castelli siciliani, castello Ursino compreso. La decisione fu presa dal viceré, in quanto risiedeva nella città il Capitano Giustiziere di tutto il Val Demone, e nel castello-carcere venivano rinchiusi tutti i malfattori dell’intero vallo. Il Comune non gestì direttamente il luogo di pena e detenzione, ma lo diede in gabella per pubblico bando al migliore offerente. 
Annualmente, le casse comunali ricavavano 22 onze. Il castellano aveva l’obbligo delle riparazioni necessarie alla fabbrica, del mantenimento dei detenuti, vitto e carbone per il riscaldamento invernale.
Per venire 
incontro alle necessità finanziarie del castellano-carceriere, il Comune stabilì, con una disposizione del marzo 1587, che ogni carcerato dimesso a fine pena dovesse versare un indennizzo di due tarì se cittadino di Randazzo, e di quattro tarì se di altri paesi del vallo. I castellani-carcerieri, fra il Cinquecento e il Seicento, incassarono le somme ma non si curarono affatto di mantenere la fabbrica del castello in buone condizioni.

L’ingresso del castello.

Il castello, oggi sede del Museo Archeologico Paolo Vagliasindi, nel contesto urbano di Randazzo.  La struttura pertanto subì un processo costante di deterioramento,

che compromise definitivamente l’armonia dell’architettura. Il 27 agosto del 1636, Filippo IV re di Spagna, bisognoso di denaro come tutti i sovrani spagnoli, famosi per la loro rapacità, inviò alla città di Randazzo una pergamena reale con la quale chiedeva ai cittadini una notevole somma per la Corona, minacciando di annullare la demanialità della città di Randazzo, con la conseguente vendita in qualità di feudo. La minaccia provocò l’effetto sperato, per cui i randazzesi raccolsero il donativo dal feudo Torrazzo e dalla vendita del castello.
L’11 
gennaio 1640, don Carlo Romeo stipulò l’atto di cessione col Regio Fisco per 404 onze, e acquistò anche il titolo di barone del castello di Randazzo.
In ordine di tempo, al barone don Carlo Romeo seguirono don Pietro Romeo, donna Caterina Romeo, don Giuseppe Impellizzeri, don Paolo Impellizzeri. Don Paolo fu l’ultimo barone di casa Impellizzeri. In tale lasso di tempo il castello andò progressivamente in rovina per l’incuria dei succitati castellani. Il tribunale del Regio Patrimonio minacciò l’esproprio del castello e del titolo, per cui don Paolo fu costretto a vendere castello e titolo a don Michelangelo Vagliasindi per 250 onze.
L’atto fu stipulato il 22 
aprile del 1739. Don Michelangelo Vagliasindi detenne il titolo per circa 60 anni. Nel 1813 il nuovo barone, don Carmelo Vagliasindi, nell’anno successivo alla Costituzione del 1812 che aboliva la feudalità, vista anche la situazione debitoria che lo affliggeva, fu costretto a cedere in enfiteusi al Comune di Randazzo il castello per un canone di 20 onze all’anno. Il titolo di barone del castello rimase a don Carmelo Vagliasindi, e poi passò ad altri membri della famiglia per giungere a Consalvo Romeo, pronipote della famiglia che per prima aveva avuto quel titolo.
Consalvo non è stato mai 
infeudato, in quanto la Costituzione della Repubblica italiana, nel 1946, ha cancellato il valore legale dei titoli nobiliari.

Architettura

Il castello, nei secoli passati, ha subito un forte degrado architettonico e notevoli rimaneggiamenti. Don Carlo Romeo aveva accorpato delle casette adiacenti, acquistate per 211 onze, allo scopo di ingrandirlo, e aveva fatto abbattere l’antica cappella perché pericolante. Al barone sono attribuibili nuove mura, le volte, la scala a chiocciola, l’ampia finestra che guarda a levante, la cimasa e il grande portone bicromo di ingresso, sul quale spicca l’aquila aragonese. I Vagliasindi, nel loro tempo, realizzarono le celle a forno del piano terra e la camera dei teschi. Il castello oggi presenta un grande androne al piano terra, segue una grande stanza ed alcuni piccoli ambienti per il custode, una cucina ed i servizi igienici. Dei magazzini per la conservazione delle derrate si aprono a un piccolo cortile dal quale si possono scorgere le celle a forno; segue un secondo piccolo cortile sopraelevato, chiamato “cortile delle donne”. Il primo piano mostra un corridoio e altre celle. 
Il secondo piano è caratterizzato da una grande stanza. Sul circuito murale adiacente al castello stava la torre di S. Domenico, a nordovest, di pertinenza dei domenicani che vi realizzarono una grande cappella. Anche questa torre, come le altre, è scomparsa da lungo tempo.

Il castello, oggi, domina l’area di tre chiese, di superbi campanili, di un  groviglio di case, torri e palazzi. Con il quartiere medievale ancora intatto nei suoi archi normanni e svevi (sia pur deturpato da moderne costruzioni).

L’ombra del maniero si proietta ancora sul palazzo reale, ricco di aggraziate bifore, e su palazzo Romeo, che si erge a minacciare il modesto agglomerato urbano ai suoi piedi.

La notte a Randazzo è piena di memorie, e l’alba della stella Diana imbianca le mura, le grandi porte, le torri che giacciono, sonnolente di secoli, tra l’Alcantara a nord e il vulcano a mezzogiorno, laddove il vento gelido dei Nebrodi sfinisce i secolari boschi con il suo eterno sospiro.

Produzione Letterario di Fernando Mainenti

 

Giarre: presentato il libro di Fernando Mainenti “Menzogne e misfatti dell’Unità d’Italia”

Su iniziativa dell’Associazione turistica “Pro Loco” di Giarre, presieduta da Salvo Zappalà, è stato presentato nel “Salone degli Specchi” del Comune il libro Menzogne e Misfatti dell’Unità d’Italia di Fernando Mainenti, con prefazione della senatrice Anna Finocchiaro; relatore, l’architetto Salvo Patanè.
 Lo scrittore Mainenti sostiene nel suo volume la tesi, accreditata e condivisa da molti autori che si sono interessati e si interessano dell’argomento, di una unità geografica del Paese, mentre quella politica, sociale ed economica, dopo centocinquanta anni, è ancora da venire.
Il relatore, l’architetto Salvo Patanè, con una saggia e lucida analisi ha messo in luce l’aspetto più significativo del Risorgimento, e cioè che più che unificazione voluta dal popolo si trattò di un’unificazione a mano armata, voluta dal Piemonte nei confronti del Regno delle Due Sicilie, che fu occupato militarmente e annesso all’Italia del Nord con il metodo tragico di una feroce dittatura militare.
Il cav. Piersanti Serrano, delegato dell’Ordine Costantiniano della Sicilia Orientale, ha trattato della figura del generale Ferdinando Beneventano del Bosco, unico vero grande soldato che cercò di difendere sino all’ultimo il suo re ed il regno invaso dai piemontesi.

A cura di Maria Pia Risa

 

 

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