BASILICA DI SANTA MARIA

BASILICA DI SANTA MARIA

Padre Domenico Massimino Arciprete della Basilica.

 

 

      La storia della Basilica di Santa Maria raccontata dagli storici che nel corso di questi ultimi secoli così l’hanno descritta.

 

     Arciprete Giuseppe Plumari ed Emmanuele (1847):

Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della storia generale di Sicilia esposta dall’Arciprete di Essa Città.

            Fu prodigiosamente trovata, all’Anno 200. (come dicemmo) nell’interno di un’Antro sotterraneo, ove ora sorge la Parrocchiale Collegiata Chiesa si Santa MARIA, in questa nostra Città, la Veneranda Immagine della Bellissima Vergine Madre di Dio, in atto di portare il S. Bambino sul braccio Sinistro, con Vestiario alla Greca, effigiata grossolanamente sopra un Pilastro.
Restò questo Pilastro in seguito traslocato nel Muro Laterizio della Chiesa primitiva, quando, in luogo di quella lavorata di tavole, ve ne costruì un’altra con pietre, calcina, ed arena, benché ad una sola Navata, nel principio del IV Secolo Cristiano.
Il Sacro Altare eretto innanzi a detto Venerabile Quadro, restò in seguito sottoposto ad un Arco della Navata centrale in faccia al Meriggio nella singolare Epoca del 1239., allora, che questa Chiesa restò ampliata, ed ingrandita a tre Navi.
La Tradizione c’insegna, che i primi Fedeli di questa nostra Patria, riunivansi clandestinamente in tale Sotterraneo al culto di Nostra Signora, per così isfuggire le sanguinose persecuzioni, ch’erano allora in vigore contro i novelli Cristiani, nel bollore delle quali era stato chiuso, e con maestria murato quel buco, che presentava l’ingresso in detto Antro.
Apparve indi uno spiraglio di lume, per via di quella Lampada, che da più di un Secolo avean lasciata accesa quei primi Cristiani al Culto della Vergine Madre in essa Grotta, quando si accinsero a demolirne quel Muro, a isotterrarne la Sacra Immagine, ed a traslocarne il Pilastro su di cui era dipinta, chiamata perciò d’allora in poi Santa MARIA DELLO PILERI.
La Chiesa costruita unitamente al di Lei Campanile, che porta unico Prospetto colla medesima in Faccia all’Occidente (di cui ne ho fatto tirar la Figura), l’Epoca riconosce dell’Impero Occidentale di COSTANTINO IL GRANDE, come si sa per Vetusta, e costante Tradizione.
 
Che sia stata scoverta la Sacra Immagine della Vergine SSma, Due Secoli dopo la Nascita in questa Terra del Divin Redentore, veniva ciò manifestato da quella Iscrizione, che sopra il medesimo Altare stiade collocata dall’Anno 1551 fino all’Anno 1663.
In esso Anno 1551 era stato consacrato questo Tempio, secondo il Rito della Santa Romana Chiesa, dal nostro Illustre Concittadino Monsignor GIOAN-ANTONIO FASSIDE Vescovo di Cristopoli in partibus Infidelium, che trovavasi allora Vicario-Generale, e sustraganeo della Chiesa Arcivescovile di Monreale (essendo Arcivescovo di quella Chiesa l’Eminentissimo Cardinale ALESSANDRO FARNESE), di cui si conserva l’Attestato Originale della seguita Consagrazione nell’Archivio di essa Chiesa di Santa MARIA; Ed ivi, contra l’opinione del Mongitore, che nell’Appendice della sua Biblioteca Sicola lo vorrebbe Palermitano, sono marcabili le seguenti parole: = Juxta Ritum Sancta Romana Ecclesia consecravimus Venerabilem Parochialem Ecclesiam S.ta MARIAE Civitatis Randatii Patria Nostra Jucundissima. Quindi a dinotarsi una tale eseguita Consagrazione, vi fù apposta sù l’Altare anzidetto la seguente Iscrizione:

ALMAE. DEIPARAE. RANDATII. PROTECTRICI. CUJUS. HAEC. EADEM. VENERANDA.IMAGO. HIC. IBIDEM. BINA. POST. SAECULA.

  1. EJUS. VIRGINEO. PUERPERIO. MIRACULOSE’. FUIT. REPERTA. HOC. SUMPTUOSUM. OPUS. PIETATIS. ERGO. POPULI. JUBILATIONE. CONSECRATUM. EST.

DIE. PRIMO. APRILIS. ANNO. DNI. MDLI.

            Fu divelta questa Iscrizione nell’Anno 1663; allor quando all’Altare della Beatissima Vergine fu adattata una Machinetta di fini Marmi, nella quale non vi restò luogo, ove potersi reincidere la medesima. Trovasi tuttavia copiata nel Manoscritto dell’Egregio Sacerdote Antiquario D’ANTONINO POLLICINO, quale finora conservano in RANDAZZO i Signori Fratelli di Palermo ed Alessandro.

            Questa rispettevole Chiesa, che nel suo primitivo Edificio era stata costruita ad una sola Navata, sin dal principio, come si è detto del IV° Secolo Cristiano, (ciò dimostra il suo esteriore Prospetto dall’uno, e l’altro lato dell’interposto suo Campanile) fu poi cominciata ad essere ingrandita a tre Navi nell’Anno 1217, e portata a perfezione.

Le prime tre pagine del primo volume:

 

 

 

                                               

Proemio  –  Descrizioni delle Chiese di Randazzo scritte da un Socio del Gabinetto Archeologico di Adernò . (1905 ?).

S.Maria

1. Correndo la strada maestra, che va a Nord, il viaggiatore trovasi rimpetto al tempio di S. Maria , e proprio all’abside di cui per deduzione credesi fabbricata all’ottocento, ed alcuni credono che anche la chiesa al di dentro fosse dello stesso stile senza cemento.

2. Dal 1214 al 1239 da Leone Cumier furono messe dodici colonne di pietra e fu a queste appoggiata la volta costruita di pomici e le aule abbellite con archi come alla iscrizione nel plinto della sacrestia fa noto.

3. Nel 1506, Giovanna de Quadro per testamento lascia due feudi per il compimento della Maramma, ed un legato che è, è stato e sarà la causa delle discordie, tra Arcipreti e preti, tra ambiziosi secolari e sacerdoti; e si leggono memorie, che lo dichiarano or fabbricceria, or comunale or laicale e tra tanto ultimamente il Comune scavando sotto le macerie del Tempio dei Filistei trovò ventidue mila lire, oltre il colpo di Sansone!
Conchiudiamo, ove esiste un legato, e non venisse soddisfatto, vi cade la scomunica; e Paolo Terzo con bolla del 25 Gennaro 1546, indizione 4.a con iscomunica latae sententiae maledice chiunque presume volere commutare, derogare, invertire, cambiare o modificare la volontà della donatrice Giovanna de Quadro.
Dei mali siamo spettatori, ed ora andiamo alla causa!
Ecco il testamento che la Baronessa Giovanna de Quadro, oriunda da Catania e moglie al magnifico Signor Pietro Rizzari, dettò nel Marzo del 1506: al notaro e Presbitero Nicolao de Panormo.
-Regnante Ferdinando il Re Cattolico 1506 ed il 28 Aprile:
«Facciamo noto, ed attestiamo come che trovasi alla nostra presenza la magnifica Signora Giovanna de Quadro, moglie e donna del magnifico Pietro Rizzari nata nella illustre Città di Catania ed abitatrice della Città di Randazzo, concorda e pronta accettare quanto da Noi si è scritto ed ogni cosa autorizzata e con la volontà di detto magnifico Signor Pietro marito di Lei qui presente, approvante a quanto si è scritto ad ogni cosa come aveva ordinato, la quale ebbe ed ha « alcuni feudi a Lei pervenuti per morte e successione dei parenti loro, posti nel territorio, ovvero « distretto di detta terra di Randazzo, nella contrada volgarmente detta di lu fiumi di lu Flasinu, vicino al fiume Gorreda a trixurchi ed altri « confini.
« Detti feudi furono e sono nel reddito ed entrata in ciascun anno, di onze quarantacinque, poco più. o poco più. o poco meno, a secondo le condizioni e come « vanno i tempi, e non avendo la magnifica Signora Giovanna de Quadro, nè fratelli, nè sorelle nè nipoti figli di fratelli e di sorelle per la successione a detti feudi, quale piccola doratrice di «Gesù Cristo, e che considera la futura ed immortale vita per servizio ed amore dell’immortale ed onnipotente Dio, e della gloriosissima e beata Vergine Maria, si è risolta disporre di tali feudi, per l’anima di Lei, dello sposo e dei loro parenti, e ciò nel modo come appresso: «Per il primo, che dei frutti, e rendite di detti feudi, annualmente si devono spendere onze dieci in maritaggio, per figlia di persona civile, o « meglio onorata di detta terra e caduta in povertà, o per dote volendo abbracciare lo stato religioso, e ciò nella vigilia della festa di detta Chiesa che cade il 15 Agosto di ogni anno ed eternamente.
Così che dette onze dieci siano singolarmente ed a qualunque costo ogni anno prelevate per pia opera di maritaggio o monacato, da eligersi fra persone prescelte dai Procuratori o dal Procuratore della Maramma di detta Chiesa di S. Maria nel mentre che tale Procuratore o meglio i Procuratori, siano persone Secolari di onesta vita e
di incontestata ed approvata fede, eletti o da scegliersi per consiglio dei Parrocchiani della Parrocchia di S. Maria, con intervento di due ufficiali che uffìcieranno in questa Chiesa. Il quale Procuratore, o li Procuratori eletti come sopra, siano messi a giorno sia nello assegno e disposizìoni di dette rendite per detta Maramma, quanto per i maritaggi delle onze dieci come sopra si è detto.
«Ed ove mai per qualunque causa, tergiversazione o maniera il Procuratore o i Procuratori come sopra abbiano a cessare, trascurino, o che non vogliono disporre annualmente dette onze dieci, nel modo e maniera di sopra ordinato, così d’allora in poi ed in tal caso i magnifici Giurati di detta terra tutti e quattro unanimi riunendosi possano ed abbiano il dritto di disporre delle dette onze dieci e provvedere e dispensare sia per il maritaggio o il sussidio da darsi alla religiosa come sopra. Si concede ai medesimi Giurati ogni facoltà in questi assegni, tanta quanto ne hanno detti Procuratori. E similmente con questo patto e per legge e per convenzione si volle che il nobile Comisso de Quatro figlio spurio, ovvero bastardus del Magnifico signore Francesco de Quadro, come dice l’istesso Comisso, dei detti redditi, frutti e proventi dei detti feudi, lungo il tempo della vita dell’istesso Gozzovigliatore, tanto e non più, dopo morte di essa magnifica donatrice, e di Pietro di Lei sposo, si abbia, e gli si dia, e percepire ogni anno ed in cadauno anno, onze otto di detti redditi dei detti feudi come sopra ; alla morte di cui si ritornino alla istessa Maramma come sopra.
«Nel medesimo anche di patto, a vigor di legge, che cadauno e tutti i frutti, il reddito e le entrate di detti feudi, servano e servire debbano alla Maramma di detta Chiesa, e per cui per la istessa ragione in ogni venturo tempo siano spesi ed impiegar si debbono con questo obbligo, e siano trattenuti come sequestrati perchè quelli feudi non si possano vendere ne darsi in pegno ne dal Procuratore istesso, ne dai suoi successori a vicenda, ne dai Presbiteri dell’istessa Chiesa, ne dai Prelati ne da altri da solo, sia col consenso, o senza, sia « dei Giurati o dei Prelati o dei Parrocchiani in nessuna maniera possano vendere, ne impignorare, solo gabellare come è l’usanza, e se per accidente avranno fatto il contrario, a questo contratto ed a queste condizioni, poiché in tale evento sia revocata, e sia annullata a favore della Chiesa. Di più volle che ad onore dell’Onnipotente Dio, dei redditi e proventi di detti feudi siano tenuti costrurre ed edificare in detta terra per i Pellegrini uno Ospedale e per detto ospitale questa detta donazione sia invertita, la quale donazione veramente, e tutto quanto sopradetta ed inscritta rata, grata, « accetta, sempre uguale ed illibata, avere, tenere, diligentemente custodire ed inviolabilmente promise osservare in perpetuo, nè revocare quella in qualunque evento, maniera, dritto o per fatto di legge coi quali dritti comuni alle donazioni di Lei ed il nome vano ebbero consuetudine ridurre, e principalmente per i figli nati e da nascere, per vizio « d’ingratitudine o per indignazione per offese ricevute, o per apportarle, anche che versasse nelle miserie nè per altro qualunque caso, maniera vi ha evento di legge, ai casi
quali di legge e degli tergiversazioni di essa la magnifica Giovannella de Quadro scientemente ed espressamente con di Lei speciale giuramento renunciò per non apportare pregiudicio all’animo di Lei e renunciando espressamente al benefizio di legge finale nella revocazione delle donazioni, tuttoché alla miseria ridotta, (come si suol dire) versi, od anche se si avesse a prendere altro marito ed avrà concepiti o partoriti e con giuramento rinunzio!
« Presenti gl’infrascritti testimonii pregati e chiamati come si vede : Venerabile Presbitero Filippo de Polizio, Venerabile Presbitero Michete Lu Dainotto, Nobile Giovanili Putido e Nobile Guglielmo de Madeca. Magistro Antonio Cassari testibus.
«Qual bene non sarebbe avvenuto a Randazzo se dal 1516, i Preti di S. Maria con supplica al Vicario La Morte, non avessero domanda appropriarsi il di più del reddito di onze 45, che davano i fondi Flascio e Brieni essendo aumentata nel 1516 ad onze 400, è perchè non domandare l’aumento del legato, ovvero la esecuzione? Nel 1621 28 Settembre V, indizione i Preti erano in S. Maria N. 28, Notar Pietro Dominedò.
«Or se ciò si fu da Pastori ; che è; e che sarà dai Secolari ? Auri sacra fames.
«Da quanto ci è noto, alla Chiesa non sarebbero mancati arredi e servizio; mentre ora non sò nè voglio dire lo stato in cui si trova, che non lo sarebbe se avessero posto in esecuzione, la volontà della Testatrice. Qui potest capere capiat, et ab uno crimine disce omines!
«Nella Chiesa di Santa Maria, le stanze nobili si tengono gli sportelli chiusi, per evitare che la luce o gli insetti non alterassero la mobilia, In ogni tempo questa povera Chiesa, è stata bersagliata ed anche rovinata credendo di volerla abbellire, e quindi venne tolto tutto quanto era di antico, sostituendovi pilastri di calce, alle colonne di pietra. Fu messa la cupola mentre non si doveva, per non nascondere l’interno disegno che rappresentava un capolavoro dell’arte antica. Ricordiamo di un titolato, che quando fiutava il superiore si metteva in vista, ed all’ opera imbiancando le fabbriche, e preparava le note esatte perchè il deficit, non comparisse. Così si è fatto in Santa Maria, che credendo di abbellire, hanno, non con cattiva intenzione, distrutto, o tolto tutto quanto vi era di bello e di antico, come Leone Cumier ci diede notizia nella iscrizione della Tribonia, di avere al vecchio sostituito il nuovo, con aver fabbricato sopra le colonne e la volta, che anticamente erano di pietra. Poi furono tolte altre due colonne,’ con gli parchi, sostituendoli in seguito da pilastri, fu fabbricata la cupola, ed oggi le iscrizioni più non esistono.
«Ma che importa agli eredi del rancidume? Audiat cui pertinet, non si parla dell’attualità e così via come le rendite sono pretese dal nostro Comune, e togliersi dalle mani dei Preti e mutandum mutandus gaudendi.
«Ecco deffinita la quistione Giovannella de Quatris, che nel testamento destinava onze quaranta per i poveri, che si son tenuti fermi nello spenderli. Il reddito allora era di onze quaranta, quindi si dovrebbe dare il quarto dell’attuale reddito, ed il legato non si soddisfa, e gli Amministratori son morti poveri.
«Se amministrasse il Comune, sarebbe come una stilla d’acqua nel crogiuolo. Gli averi e le proprietà non sono che dei poveri.

 

Iscrizioni nella Chiesa di S. Maria

Nella Cappella del Crocifisso:

Exaltabo te Domine suscepisti me.
Divae Joannellm de Quadris fraxi aronissae.
Arvorum fraxi Domine spectabilis almae.
Hic Joannella moUiter ossa cubant.
Haeredem instituit facta è cognomini».
Haeres quod sonat e Quadris quarta corona datur.
An. D. 1564.
Vixit annos 85. Abyjt vero die 15 julii
Sesquichilia de quinteque Olimpiades.
Anno quarto

Traduzione

Ti esalterò te o Signore, che negli eletti
mi metti alla diva Giovannella de Quadro
Baronessa di Flascio e dei campi di Flascio
alla rispettabile Signora o Signore di questa
fulgida donna qui giaccion le ossa che
mollemente posa.
Istituì l’erede e fatta Ella
istessa della quarta corona che di Baronessa
segna la quarta Baronessa Anno D. 1564.
Visse anni 85 andò invero il giorno 15
Luglio dell’anno quarto della Olimpiade.

 

D. O. M.
D. Marioe Romeo a Sismundo Nobili Pia
Prudenti femine Joseph Romeo vir
Coniugi sibi immatura morte praerepte
posuit amoris Mentui Signum Abiit.

Traduzione

D. O. M.
A Donna Maria Romeo e Sismondo nobile
pia prudente Donna Giuseppe Romeo
marito alla sposa a lui rapita da immatura
morte, pose in segno di reciproco amore.
Morì nel 1628.

 

D.O. M.
Appiè del fonte battesimale:
D. Ferdinandus Caltagirone Divinai
Professor Scientae Hic quiescit hoc
orbata aut nullas autpletus voces
emiltunt Pergama dum suos. Vicarius
Moderaretur. Obiit Aetatis LIII
IVCalendas Augusti MDCXXX.

Traduzione

D. O. M.
D.n Ferdinando Caltagirone Professore di
Sacra Teologia qui riposa. Da questo privo,
il pergamo non manderà rivi di eloquenza,
ma pianto che il suo vicario tace. Morì di
anni 53 ai 6 di Agosto 1630.

 

Sotto l’altare S. Filippo e Giacomo:

HOC OPUS A juris utriusque Dottore Sacerdote D.n.
Laurentio Garagozzo et Floritta. Tamdiu
Demandatum Sacre Teologie Doctor D.n
Joannes Antonius Garagozzo Ejus
Pronepos, et Beneficialis in Utriusque
Labilis Hujus Vite Significationem
Sumptibus propriis expleri curavit.

Traduzione

Questo avello commesso da lungo tempo
per D. a Lorenzo Garagozzo e Floritta
Sacerdote e dottore di l’uno e l’altro dritto.
Oggi il Dottore di Sacra Teologia D.n
Giovanni Antonio Garagozzo di lui Nepote e
beneficiale reciproco, nella cadente sua vita
in segno di benevoglienza a proprie spese
portò a compimento.

 

 

Sotto l’altare dell’Assunta:

Piissimo Francisco Vagliasindi Hanch
Baro Didacus Patruo Benemeritissimo
Moerens ac maxumis cum lacrimis Ponere
curavit. Monumentum posteris atque Hic
Eo Jubente ob deiparentis Quam impense
colebat pietatem Anno MDCCCXXXII.

Traduzione

Al Religioso Francesco Vagliasindi
Garagozzo questa lapide il Barone Diego al
degnissimo Zio con dolore profondo e molte
lacrime messe. Ricordo ai posteri è qui come
Egli volle e per rispetto ai parenti che amava
con affetto,

 

Nel pilastro della volta sotto la Sacrestia Tribonia:

A. D. MCCXXXVII1I actum est
hoc opus MCCX.
Quatur septena tertia.
Post genitum Sacratissima de Virgine
Verbum Construit tecti lapidum subinixa
columnis. Virginis in hac aula bis senis
arte politis Arcubus illustrat Leo Cumier
Artifex.
Oh egregium Cristi Venerable Templum.

Traduzione

Nell’anno del Signore 1239 si termina
questo lavoro. Nell’anno 1210 e quattro, tre
settimane dopo generato il verbo della
Sacratissima Vergine fu costruita la volta
con pietre appoggiandola alle colonne, e
l’aula troppo vecchia della Vergine con arte
ammirabile; furono messi degli archi, che la
decorano. Artefice, Cumier Leone.
Oh dell’egregio Dio venerabile Tempio!

 

Appiè dell’altare di S. Maria maggiore:

Qui cadde il corpo; ma lo spirilo si portò
negli astri di Don Antonio Cavallaro
maggiore ai 31 Agosto 1731 di anni 20.
Nel 1598, l’Ingegnere Calamenza da
Messina fece riparare il Tempio dove le
colonne si erano alquanto spostate,
producendo nella volta una spaccatura di
circa 15 centimetri, ordinandone le catene di ferro.
Quella cara memoria dell’Arciprete D.
Carlo Romeo, fece fare una relazione
dall’Architetto Giuseppe De Viti, per l’idea
di volere prolungare il Tempio con altre due
colonne, ed altrettante navate ed abbattere
il vecchio campanile, tanto che nel 1611
Cariola Pietro Carraio, portò da Maniaci le
colonne, che presentemente, giacciono nel
pianerottolo Est dietro la Tribonia, mentre
nel 1858-59 l’Ingegnere Cavallaro da
Palermo vi pose il campanile.
Paolo III nel 1536, anno secondo del suo
Pontificato, con breve comunicato
all’Arcivescovo di Messina Monsignor
Mastrilli , ordinò di volere incutere ai Preti
delle tre Parrocchie, non vantare più diritti
di proeminenza nelle processioni, nè diritti
di vessilli, comunicato in Randazzo nel
1469, e ciò per effetto della domanda
avanzata dai sacerdoti di S. Maria nel 1414 a
Monsignore Tommaso Crisafi, e quindi ne
avvennero bisticci e contese per lo spazio di
anni trentotto.

 

La Chiesa di Santa Maria è ricca di affreschi e dipinti fra i quali si ammirano:

Nell’ altare Maggiore
1) Un’antica Madonna col Bambino Gesù dipinta a fresco nel secolo XIII, di stile Italiano, e non mai Bizantino
2) Una tavola raffigurante l’Assunzione di Maria Vergine, dipinta nell’ anno 1548 da Giovanni Canigla, oscuro pittore di quel tempo.
3) Una gran tavola della Pentecoste, che prima trovavasi nella Chiesa dello Spirito Santo, e dipinta dallo stesso Canigla.
4) Un pregevolissimo dipinto su legno, opera del Secolo XIV raffigurante la Madonna che implora mercè per la Città di Randazzo, opera di Gerolamo Alibrandi, détto il Raffaello nato nel 1474 e morto nel 1524.
5) Tela del Crocifìsso del VON HOUBRIATEN, forse il più bello di tutti i dipinti.
6) Due tele del Martirio di S. Agata e di S. Lorenzo, opere di Onofrio Gabriele.
7) Il S. Sebastiano d’ ignoti, di pregevolissima fattura.

Tesoro

1. Un paraltare, lavorato tutto con perle con disegni a rami, a foglie, e ad uccelli.
2. Un prezioso calice, con moltissimi smalti del secolo XV.
3. Un grande ostensorio di argento lavoro eseguito nel 1567 di Antonio Gochula.

ANNOTAZIONI

1. Ho voluto tradurre alla lettera e quasi con la istessa disposizione, perchè sia facile a chiunque interpetrare la latina scrittura, che senza costruzione volta all’italiano idioma sembra mendicare sintasse; cosicché ognuno possa chiaro conoscere quale sia stata la volontà della Testatrice, e come si travvede che quanto Ella ordinò lo fece per iscopo della gloria di Maria e pel Fattore di Essa e per cui pria di tutto dispose onze dieci per maritaggio o Monacato di una donzella Nubile e di onesta vita; di famiglia Civile caduta in bisogno, ed ordina che ove mai il volere di Lei non venisse seguito la donazione nell’istesso tempo cadrebbe.
2. Giovannella non lascia alla Chiesa ma alla fabbrica di essa per venire al compimento, poiché nel 1506. Ella ben conosceva le spese alle quali la Chiesa era stata obbligata, sia per i bellissimi absidi compiti, sia per la volta e le colonne postevi per come si legge nelle due basole attaccate al plinto di un’arco che sorregge la sacrestia ed ecco perchè la nobil donna, è stata larga della sua più alta munificenza.
3. Nell’assegno che fece alla Chiesa la buona Signora, non pensò al culto di Esso, ma bensì alla perfezione del Tempio, perchè era a conoscenza dei grandi litigi sostenuti della comunità dei Preti, e quindi prelevò onze 5 per fondiaria, onze 10 per maritaggio o monacato, ed il resto alla Maramma come un’aiuto temporaneo pel compimento dell’ opera, dovendo a servire i mezzi per la fabbrica dell’Ospedale.
4. Sino al 1848 il fiume era detto a tre solchi, mentre correva per tre gore profondissime, che con il taglio dei boschi e dissodamento di terre ne vennero riempite ; ed ora. anche il Ponte minaccia di venire coperto come predisse la dolce memoria dell’Ingegnere Domenico Priolo che voleva aggiungere un’altro arco, e dare un’altro metro di altezza.
N; d. A.

 

 

 

Federico De Roberto:” Randazzo e la Valle dell’Alcantara “. ( 1909 )

    ” La  chiesa di Santa Maria è una meraviglia ; non tanto dalla facciata, dove il campanile fu rifatto nel 1858, restando l’antica decorazione nella sola porta di destra, quanto dai fianchi e dalle absidi.
   Già i semplici muri, anche dove l’uniforme nudità non ne è interrotta da lavori d’arte, con la 

sola imponenza dei blocchi di lava adoperati nella costruzione, con la stessa severità della tinta metallica sulla quale i secoli spalmarono la loro vernice inimitabile, hanno un lor proprio carattere di bellezza e sembrano fusi nel bronzo ; ma le finestre bifore e trifore e la monumentale porta di mezzogiorno tutta adorna di colonne lisce e ritorte e fasciate, tutta fiorita di rosoni e di rame frondose; e poi le tre absidi, con l’eleganza delle loro curve, con la severità delle loro merlature, con la grazia delle fasce quadrettate e delle cornici ad archetti e colonnine e capitelluzzi, col candore dello scudo marmoreo sul quale rampa il leone di Randazzo, sono tra i più stupendi vestigi dell’architettura arabo-normanno-sicula. “      

 

La storia della Basilica di Santa Maria raccontata da Padre Luigi Magro da Randazzo,  al secolo Santo Magro (1881-1951) fu Vincenzo, dei Frati Minori Cappuccini nel quinto capitolo (pag. 237/248)  del libro:

                                                                     ” CENNI  STORICI  DELLA  CITTA’  DI  RANDAZZO “

       ”  Non meno antica delle altre due Chiese si presenta la Parrocchiale di S. Maria.

     Si  crede sia stata originata da un commovente prodigio che la tradizione dei nostri Padri ci ha tramandato.

            Si dice che i cittadini della Trinacia ai quali, nella fusione delle tre Città, toccò questo Rione, abbiano accolto la fede cattolica sin dal primo secolo dell’Era Cristiana, come gli altri due Rioni Alesa e Triocola.     
  I primi fedeli per sfuggire le persecuzioni cruente che i gentili scatenavano contro i Cristiani, si riunivano clandestinamente in un antro, attorno ad un pilastro sul quale avevano grossolanamente effigiata una Madonna vestita all’orientale con un Bambino al braccio sinistro; ma quando la burrascosa persecuzione toccò il suo culmine, hanno creduto necessario abbandonare quel luogo di cui, dopo aver lasciato accanto all’Immagine una lampada accesa che appesero ad un ramoscello di un sambuco ivi esistente, ne murarono l’accesso.
            Circa un secolo dopo, cioè circa l’anno duecento dell’Era Volgare, avendo qualcuno scoperto un filo di luce che filtrava da una fessura di quell’antro, i buoni fedeli che rammentavano le buone memorie, si accinsero ad atterrare quel muro e, con loro grande religioso stupore, trovarono quella S. Immagine accanto alla quale era la lampada miracolosamente alimentata per circa un secolo.   

            Quel luogo divenne meta di continui pellegrinaggi e quei buoni cittadini esperimentarono ben presto i frutti della materna protezione della SS. Vergine.

            Il 1° febbraio del 254 si verificò una terribile eruzione dell’Etna la quale mentre vomitava grande quantità di lava, lanciava a considerevoli altezze enormi massi incandescenti.

             Basilica di Santa Maria – Randazzo

            In tale pericoloso frangente, ripieni di spavento ma con grande fiducia, i nostri Padri ricorsero a piè della S. Immagine ritrovata implorandone il celeste  La tradizione dice che la SS. Vergine accolse benignamente quelle ardenti preghiere e, comparsa ad un semplice pastorello di santa vita, diede l’assicurazione che nessun danno avrebbe sofferto la Città e la promessa si avverò, mentre le lave infuocate che erano in direzione del nostro abitato, non andarono più avanti.
            Grati del celeste favore i Tiraciesi costruirono una Chiesa di legno nella quale rimase, nello stesso luogo dove si era trovato, il pilastro con l’Immagine della Madonna che si ebbe un culto di speciale devozione e fu chiamata  Santa Maria del Pileri.
            Sul principio del quarto secolo si sostituì alla Chiesa di legno un’altra in muratura più grande ad una sola navata, ai tempi dell’Impero occidentale di Costantino il Grande.
     Ma il vero sviluppo di questo tempio lo si ebbe sul principio del secolo XIII°, quando si riedificò, con grande magnificenza dalle fondamenta, a tre navate con tre poderose absidi all’esterno, con artistica decorazione di archetti sostenuti da capitelli e da mensoline, come si può rilevare da una iscrizione scolpita in due lastre di pietra lavica che fanno parte del plinto del pilastro della volta sotto la sacrestia. 
       In una di esse è inciso l’anno 1239 quando il Tempio fu inaugurato; nell’altra l’anno dell’inizio dei lavori che può essere interpretato, il 1217, con la costruzione delle tre navate con 12 colonne di pietra ben lavorata su cui poggiano gli archi che sostengono il tetto.
            Per maggior soddisfazione riportiamo il testo delle iscrizioni come meglio si è potuto rilevare, mentre qualche lettera corrosa dal tempo ha dato la stura a varie interpretazioni:

Iª Iscrizione

ANNO. Dni. MCCXXXVIIII. ACTUM. E’. HOC. OPUS.

Nell’anno del Signore 1239 si è ultimata questa opera.

2ª Iscrizione

+  DUCENTA. DE.CE. qq. I. SEPTENA. THENPA. POST. GENITUM. SACRAE. TRIADIS. UNIGENITUM. VERBUM. CONSTRUITUR. TECTI. LAPIDUM. SUBNIXA.

COLUMNIS. VIRGINIS. AULA. BIS. SENIS. ARTE. POLITIS. ARCUBUS. ILLUSTRAT.

LEO. CUM… EGREGIUM. CHRISTI. VENERABILE. TEMPLUM.

Costruzione latina: M. ducenta decem quoque una septena tempora post Genitum Unigenitum Verbum construitur aula Sacrae Virginis subnixa arcubus triadis tecti bis senis columnis lapidum bene politis. Leo Cumier illustrat egregium venerabile Templum Christi.
Traduzione italiana: Mille duecento dieci ed anche una settina d’anni dopo la nascita del Verbo Unigenito, viene costruita la Chiesa della Santa Vergine appoggiata con gli archi del triplice tetto a doppia serie (12) di sei colonne di pietra egregiamente lavorate. Leone Cumier illustra questo venerabile Tempio cristiano.
            A quanto sembra quindi l’architetto di tale opera è un certo Cumier provenzale o normanno che possa essere, mentre il Campanile di stile gotico, costruito su quattro pilastri formanti un portico o Nartece è stata opera di un certo Martino Tignoso, come si leggeva in uno dei pilastri, prima di essere demolito e riedificato: Martinus Tignoso me fecit.
            Se stiamo al  Nartece, non portando l’iscrizione la data, né essendo facile rilevarla, si potrebbe rimontare prima del secolo VII° ed anche verso il IV° secolo perché allora sarebbe servito come Tribuna ove si fermavano i pubblici penitenti ai quali non era permesso di entrare in Chiesa, disciplina che poi fu abolita nel IV° secolo in oriente e nel VII° in occidente, e poi, anche perché lo stile del Campanile è stato il gotico e quindi più antico di quello della Chiesa che fu arabo-normanno-siculo all’esterno e corinto all’interno.

                                               Altare Maggiore

            Con la costruzione di questo grandioso Tempio, l’altare eretto dinnanzi alla Madonna del Pilieri, restò sotto il terzo intercolunnio della navata a tramontana, all’altezza delle due porte laterali col fronte verso quella di mezzogiorno, ma nel 1884 il 21 settembre, l’Arciprete Mons. D. Francesco Fisauli faceva trasportare altare e Madonna nell’abside centrale come altare maggiore e così la macchinetta che rinchiude nel suo seno la miracolosa Immagine acquistò maggior lustro.
            Sotto alla Madonna venne apposta una iscrizione che ne rammenta un’altra che prima di farsi la Macchinetta era incisa in una lapide murata nell’antico altare:

    “Haec Deiparae Immago Quae, ut pie traditur, Bina post saecula a Reparata Salute miraculose reperta ac in tertio Septentrionali hujus Templi intercolumnio usque adhuc veneratur quamvis temporum injuria deformata Fidelium tamen ob devotionem atque reverentiam hic traducta. 10 Kalen. oct. MDCCCLXXXIV.

In Italiano: Questa Immagine della Madre di Dio la quale, come piamente ci dice la tradizione, dopo due secoli dalla Reparata Salvezza, fu miracolosamente ritrovata e sino ad ora si è venerata nel terzo settentrionale intercolunnio, benché sciupata del tempo, tuttavia per la devozione e venerazione dei fedeli qui trasportata il 21 settembre 1884”.

            Nel medesimo tempo fu rinforzata la Chiesa con nuove catene.

            A pochi passi dalla Chiesa, dalla parte di tramontana si gode un’incantevole panorama con il fiume Alcantara che scorre nella vallata ed il ponte di pietra fabbricato nello scorcio del secolo XIX° e che forma anche il tratto di unione tra la provincia di Catania con quella di Messina e segna i confini tra l’Archidiocesi di Messina e la recente Diocesi di Acireale.

            Il Can. Raciti Romeo scrive di questo Tempio:

    “La Chiesa di S. Maria è il più magnifico monumento di architettura del secolo XIII° e XIV° che vanti Randazzo sebbene sfortunato nei secoli seguenti.
In questo anno (1910) è stato rinvenuto il magnifico portale di tramontana in pietra lavica che fa riscontro all’altro di mezzogiorno, opera pregevole di intagli con colonne lisce e ritorte fasciate, e tutta fiorita di rosoni e rami frondosi.
Al presente della vetusta Chiesa rimangono le absidi esterne delle tre navate ed alcune parti delle mura laterali costruite con pietre intagliate, estratte dalla cave laviche della contrada Maniace.
L’interno è stato rifatto, a cominciare dai tempi della Nobile Giovannella De Quattris o De Quatris, Baronessa del Flascio e moglie del Patrizio Pietro Rizzari, la quale non avendo eredi, lasciava con testamento del 5 marzo 1506, tutta la sua eredità alla fabriceria della Chiesa di S. Maria.
Con gli introiti ricavati dai Feudi della De Quatris, furono finiti i lavori della Chiesa, ma con concetti diversi dall’antico progetto di arte iniziato dal Cumier, e che fu maggiormente sformato con la fabbrica della Cupola e dei pilastri sottostanti di stile diverso”.

                                     Randazzo – Chiesa Madre – Interno

            Accanto alla Chiesa, da parte di tramontana eravi la Chiesa di S. Simone e Giuda che andò distrutta come un’altra che se ne trovava vicino alla Sacrestia: quella di S. Giuseppe.
            Alcune colonne, archi e capitelli tolti per dar posto alla nuova crociera e all’impostazione della Cupola, giacevano, fino a poco tempo fa, all’est, presso in fianco sinistro della Chiesa, ora sono state rinchiuse in un luogo sotto la Sacrestia.
            Nel 1598, essendo Arciprete Don Carlo Romeo Dott. in Sacra Teologia, l’Ingegnere Calamenza di Messina, per riparare il Tempio dove le colonne avevano subito uno spostamento per cui nella volta era apparsa una spaccatura di ben 15 centimetri, ordinò fossero messe nuove catene di ferro.

            Nel 1832, dopo che l’Ing. Saverio Cavallario di Palermo, mandato dal Governo borbonico per fare il rilievo del disegno del Campanile che minacciava rovina, ebbe espletato il suo lavoro, il Campanile venne demolito per essere poi riedificato nel 1858-59, con la stessa originaria architettura gotica.
            Nel 1889 la Chiesa venne arricchita di un grandioso e magistrale Organo della Ditta Alessandro Giudice da Palermo per opera dell’Arciprete Mons. D. Francesco Fisauli il quale adornò ancora la Chiesa di altari e pavimenti di marmo.
            Questa magnifica Chiesa se non fu sede di un Vescovo, come le consorelle S. Nicola e S. Martino, ebbe un Corepiscopo che, alla soppressione generale di tale ecclesiastica Dignità, venne convertita in Arcipretura Rurale, ed in seguito, quando passò da Randazzo il Papa Urbano II° che andava a Troina nel 1091, per trattare col Conte Normanno Ruggero, fu da Lui elevata a Chiesa Abbaziale Nullius con giurisdizione quasi Episcopale, esente da soggezione ad altri Vescovi (vedi Cap. V°).
            La nuova Abbazia eretta in S. Maria intitolata all’Annunziata che allora professava il Rito Latino, mentre le altre due Chiese tenevano il Rito Greco, produsse grande rivalità con le Consorelle che, avendo avuti soppressi i Vescovati, venivano così ad essere assorbite dalla nuova Abbazia, Inoltrarono quindi le loro querele al Conte Ruggero in Troina, chiedendosi dai rispettivi popoli di Triocla e di Alesa che fossero da lui ripristinate le antiche loro Sedi Episcopali.
            Il Conte Ruggero però, inteso prima il Romano Pontefice Urbano II° che ancora si trovava a Troina, col consenso ed autorità dello stesso, dispose che le due Chiese dovessero adottare il Rito latino e che di buona volontà si sottomettessero alla Giurisdizione della nuova Chiesa Abbaziale di S. Maria.

 

 

 

            Da questa Disposizione ebbero principio le interminabili liti tra le suddette Chiese, sul diritto di maggioranza di esse, pretesa dalla Chiesa di S. Maria come Chiesa Abbaziale che prestava la Residenza all’Abbate titolare Arciprete di Randazzo.
            Si pretese la Maggioranza dalla Chiesa di S. Nicolò come ex Cattedrale della Chiesa Triocolitana e come quella che era al centro della Città.
            La stessa pretesa ebbe S. Martino perché anch’essa ex Cattedrale di Alesa dalla quale Randazzo aveva ereditato il Privilegio del Pretorio e del Senato.
            Queste liti, per l’accanimento dei Fedeli dei rispettivi Rioni che affiancavano i propri Sacerdoti durò per ben tre secoli e S. Maria potè esercitare questo diritto per soli quarant’anni, come ci riferisce la patria tradizione registrata in vari manoscritti.
            E questa giurisdizione si estendeva oltre che alle Chiese di Randazzo a quelle del Distretto della Città.

            A por termine a queste lotte intestine, il Sommo Pontefice Eugenio IV°, nell’anno 1434, ad istanza del Senato di Randazzo e dei Preti di S. Martino e S. Nicolò che mandarono una commissione a Firenze dove il Papa si trovava per il Concilio Generale Fiorentino, assoggettò le Chiese di Randazzo all’ordinaria Giurisdizione del Diocesano di Messina e questa soggezione durò fino al 1872 quando Randazzo passò a far parte della nuova Diocesi di Acireale che ebbe come primo Vescovo Mons. Gerlando Maria Genuardi Agrigentino.

    Randazzo – Santa Maria porta settentrionale e sagrestia (foto di Federico De Roberto. 1903)

            Nel 1551 la Chiesa di S. Maria fu consacrata dal nostro concittadino Mons. Giovanni Antonio Fasside Vescovo Titolare di Cristopoli che trovavasi allora Vicario Generale ed Ausiliare dell’Arcivescovo di Monreale Eminentissimo Card. Alessandro Farnese.
            Il Mongitore, non si sa con quale criterio, nell’Appendice della sua Biblioteca Sicula, asserisce che questo Mons. Fasside fosse di nascita Palermitano, mentre per sfatarlo, a noi basta riportare un semplice periodo abbastanza chiaro, contenuto nell’Attestato di consacrazione che si conserva nell’Archivio di S. Maria, per rivendicare alla nostra Città la gloria di avergli dati i natali: 

    “Juxta Ritum Sanctae Romanae Ecclesiae, consecravimus Venerabilem Parochialem Ecclesiam Sanctae Mariae Civitatis Randatii Patriae Nostrae Jucundissimae” cioè:

    “secondo il rito della Santa Romana Chiesa, abbiamo consacrato la Venerabile Chiesa Parrocchiale di S. Maria della Città di Randazzo, giocondissima nostra Patria”.

            Dallo stesso attestato si ricava che, oltre la Chiesa, furono consacrati due altari: quello del Sacramento e quello dell’Assunta, includendovi le Reliquie dei SS. Martiri: Fabiano, Sebastiano, Rocco, Cristoforo e diecimila Martiri.

Ecco il Documento di Consacrazione completo, in traduzione italiana:

    “Giovanni Antonio Fasside per Grazia di Dio e della Sede Apostolica Vescovo Cristopolitano, Suffraganeo della S. Chiesa di Monreale, a tutti e singoli a Noi diletti in Cristo che saranno per leggere o vedere od anche sentire, salute sempiterna nel Signore.

    Facciamo noto che Noi, ad istanza del  Venerabile Clero e dei Venerabili uomini Matteo Garoffino ed Antonino Forgiano Preti e Procuratori della Venerabile Chiesa di S. Maria della Città di Randazzo Nostra Patria giocondissima, per speciale commissione del Rev.mo Sig. Arcivescovo di Messina o del Rev. Sig. Suo Vicario Generale, con Lettere di Licenza fatteci, nell’anno millesimo quingentesimo cinquantesimo primo, nel giorno 1° del mese di aprile della stante indizione, abbiamo consecrata la predetta Chiesa e gli Altari del SS.mo Corpo di Cristo (del Sacramento) e dell’Assunzione della gloriosissima Vergine Madre di Dio, secondo la forma e la consuetudine della S. Romana Chiesa che si sogliono usare in tali occasioni, cooperando la Grazia del Santo Spirito Settiforme, in onore della stessa Beatissima Vergine, e nei predetti Altari vi abbiamo incluse le Reliquie dei SS. Martiri: Fabiano, Sebastiano, Rocco, Cristoforo e Diecimila Martiri, concedendo ai singoli Fedeli ivi presenti ed assistenti alla Consacrazione un anno e a coloro che visiteranno la Chiesa nel giorno anniversario quaranta giorni di vera Indulgenza, nella forma consueta della Chiesa.
    In fede di che e come testimonianza vi apponiamo la Nostra firma munita dell’impressione del Nostro Sigillo galeato e sottoscritto di Nostro Pugno e del nostro Segretario.
    Dato nella Città di Randazzo il 1 aprile dell’anno della Nascita di Nostro Signore Gesù Cristo 1551, Indizione VIIIª. Giovanni Antonio Vescovo Cristopolitano, Suffraganeo di M[on]R[eale]  Il Rev Signore Vescovo Cristopolitano ha dato incarico a me, Antonino De Bono Segretario.

            A memoria di questa Consecrazione, fu apposta all’Altare la seguente iscrizione che fu poi tolta quando nel 1663 fu fatto l’Altare e ll Macchinetta di fini marmi con intarsiature a colori, non essendo rimasto alcuno spazio per reinciderla e murarla. 
            Tale iscrizione si sarebbe perduta se non fosse stata copiata e tramandata in vari manoscritti, uno dei quali era del Canonico Don Antonino Pollicino randazzese dal quale è stata riportata  dall’Arciprete Plumari:

“ALMAE. DEIPARAE. – RANDATII. PROTECTRICI. – CUJUS. HAEC. EADEM. VENERANDA. IMAGO. – HIC. IBIDEM. – BINA. POST SAECULA. – AD. EJUS. VIRGINEO. PUERPERIO. – MIRACULOSE. FUIT. REPERTA. – HOC. SUMPTUOSUM. OPUS. PIETATIS. ERGO. – POPULI. JUBILATIONE. CONSECRATUM. EST. – DIE. PRIMO. APRILIS. ANNO. DOMINI. MDLI.”

cioè: “Questo sontuoso Edifizio frutto di amore all’Alma Madre di Dio, Protettrice di Randazzo di cui questa medesima Immagine Veneranda, qui stesso, dopo due secoli dal suo Parto Verginale, miracolosamente fu ritrovata, viene consecrato con grande gioia del popolo, il 1° aprile dell’anno del Signore 1551”.

            Il 21 gennaio 1546 il Sommo Pontefice Paolo III°, annuendo ad una petizione del Clero di S. Maria, concesse la fondazione di una Cappellania di 12 Sacerdoti per la quotidiana recita del Divino Officio e per la celebrazione della Messa Capitolare, con emolumenti da prelevarsi dalla Donazione De Quatris in ragione del 50% dei frutti di essa eredità, accumulati per lo spazio di trent’anni, ma tale fondazione ebbe il suo effetto l’8 giugno 1645.

            Con Decreto 3 agosto 1751 di Mons. Francesco Tommaso Moncada, Arcivescovo di Messina, quale Delegato Apostolico, la Chiesa Parrocchiale di S. Maria, come le Consorelle S. Nicolò e S. Martino, venne eretta in Collegiata con le sue Dignità, Canonicati, Mansionariati e Maestro delle Cerimonie, ed insieme alle altre il 6 marzo 1785 ottenne dalla S. Sede il privilegio della Cappa di Coro e l’Ermellino come ce ne fa fede in Notaro Carmelo Ribizzi con Atto 6 marzo 1785.

            La Chiesa di S. Maria ha un ricco e numeroso tesoro artistico.       

Federico De Roberto

            Federico De Roberto, a pag. 64 di Randazzo Artistica, scrive:

    “Nelle poche notizie di Randazzo date dalle Enciclopedie e dalle Guide, si legge che S. Maria possiede non meno che otto (?) Quadri di Velasquez; lo stesso Larousse li menziona: Sacra famiglia, Assunzione, Annunziazione, Incoronazione di Maria, Martirio di S. Andrea, Martirio di S. Filippo e Giacomo.

    I Quadri sono di Giuseppe Velasquez, di famiglia oriundo spagnuolo, ma nato e vissuto in Palermo tra la fine del settecento e il principio dell’ottocento, artista che ebbe il suo merito, ma che non va e non tentò di essere confuso col suo grande omonimo, tanto è vero che firmò Velasques con la s, secondo la pronunzia siciliana, uno dei Quadri di S. Maria per l’appunto.

    Di quadri antichi la Chiesa ha due grandi Tavole di Giovanni Caniglia (1548) uno rappresentante la Pentecoste ed un altro l’Assunzione di Maria, larghe composizioni popolate di infinite figure, ma non tanto interessanti quanto una Tavoletta del secolo XV° di Girolamo Alibrandi, il Raffaello Siciliano (1474-1524) dove si vede la Città di Randazzo salvata dalle lave per intercessione della Vergine la quale, rivolgendo gli occhi a Gesù Cristo troneggiante tra le nubi, preme con la sua mano sinistra la sinistra mammella e ne fa spruzzare il portentoso latte che spegnerà il fuoco eterno.

    Curioso per la veduta della Città antica, il quadretto è nelle figure di squisito disegno, disgraziatamente le tavole incominciano a sconnettersi”.

            Due Quadri di  Onofrio Gabriello, contradistinti da molta eleganza e singolare freschezza di colori, rappresentanti uno S. Lorenzo e l’altro S. Agata.

            Un Quadro del Crocifisso dipinto da Van Hombracken  fiammingo.
    Un S. Sebastiano d’ignoto pennello (1614).

            Un altro Quadro recentissimo del Battesimo di Gesù del nostro concittadino  Comm. Finocchiaro Francesco Paolo.

            Nell’Altare Maggiore, tutto un monumento d’intarsi policromi, di rilievi, di statue, su cui si conserva l’Affresco che ricorda la primitiva Immagine ritrovata nell’antico Antro, di cui sopra si disse, è un quadro di Pietro Vanni che copriva l’Affresco, rappresentante la Vergine SS. assisa in Trono col Bambino in Braccio, dipinto sulla fine del secolo XIX°.

            Nel 1887 il Prof. Pizzillo da Palermo restaura i quadri su tavola della Pentecoste, Assunta e Incoronazione di Maria Santissima.

            Vi si trovano nella Chiesa due pile per l’Acqua Santa lavorate con fregi e bassorilievi del cinquecento.

            Nel Tesoro è un calice di forma Greca in argento dorato molto bello e prezioso con sei figure a smalto nel piede raffiguranti: l’Ecce Homo, la Vergine, S. Giovanni, Abramo ed altri due Profeti; il nodo del calice ha pure delle miniature che rappresentano gli Apostoli.
             Si vuole sia regalo del Re Pietro d’Aragona.

            Si conserva di più un Ostensorio che è un vero Monumento simboleggiante tutto il patrimonio della nostra Religione Cristiana.

            Federico De Roberto a pag. 71 dell’opera citata, lo descrive:

    “sopra un piede squisitamente rabescato sul cui nodo s’innalza una prima base in forma di Tempietto con quattro Statuine degli Evangelisti nelle nicchie centrali, si erge tutta una Basilica a vari piani sostenuti da svelte colonnine e terminati da cupolette e guglie  eleganti. Nel primo di questi piani si vedono gli Apostoli che diffonderanno il Vangelo; nell’interno del portico e ai due lati della spera raggiante, sta la Vergine a cui l’Arcangelo annunzia l’Incarnazione del Verbo.

    Ed al piano superiore è rappresentata la Passione; una schiera di Angeli ne recano tutti i simboli. Più in alto ancora, sull’ultima cupoletta, il Cristo Risorto che sventola lo Stendardo.

    L’opera fu eseguita, per commissione di Pietro Lanza Barone del Moio, da Antonio Cocciula o Cocchiola o Crocchila o Cochiula; il suo vero nome si legge in quest’ultima forma nell’iscrizione:
          «
Ex feudis legatis a Dna Joannella De Quatris, regnante Philippo Dei Gratia Rege Siciliae, Petro Langae a procuratore foeudorum Ecclesiae, Antoninus Cochiula Faciebat Anno Dni MDLXVII».
Di questo orafo siciliano non si hanno molte notizie, ma l’Ostensorio di S. Maria permette di credere che fosse di gran merito”
.

            C’è anche una Pisside del settecento, molto lavorata e tempestata di rubini; un incensiere d’argento di stile gotico del secolo XIII° con coperchio di forma esagonale cuspidale, tutto traforato a finestrine gotiche; una Croce processionale d’argento del secolo XV° ed una Mazza Capitolare d’argento che è una copia delle altre due possedute da S. Martino e S. Nicola.

            Un’altra opera di valore e di merito insieme possiede S. Maria: il Paliotto dell’Altare maggiore fatto a spese della ricca Maramma: è un lavoro su un piano rettangolare di m. 2,50 di lunghezza ed un metro di altezza.

            La figura centrale rappresenta la Madonna seduta col Bambino in Braccio ricamata in seta, mentre tutto il resto è ricamo in oro ed argento arricchito di parecchie migliaia di perle tersissime lasciate dalla Donatrice De Quatris, con le quali sono formati i rami, le fronde, i fiori, gli uccelli, le farfalle e gli stemmi Rizzari-De Quatris, da cui risulta la rara bellezza dell’insieme.

            Nel Tesoro spicca ancora un libretto di pietà della Baronessa De Quatris composto di quattro tavolette d’avorio che scusano di pagine e la copertina anch’essa d’avorio.

            Non vi sono scritture perché la proprietaria era illetterata perché Nobile.

            Nelle Tavolette interne si vedono finissime miniature su pergamena: l’Annunziazione, la Visitazione, l’Adorazione di Gesù Bambino, il Martirio di S. Sebastiano, la Presentazione al Tempio e la Crocifissione, mentre nella copertina sono intagliate: La Crocifissione, la Risurrezione, la Morte e l’Incoronazione della Vergine.

            Figurano poi altri oggetti ed una Collana d’ambra.

            Sotto l’Altare dell’Assunta, entro un’urna marmorea, si conservano le Reliquie del  B. Luigi Rabatà, Sacerdote Carmelitano.

Esse si trovavano nella Chiesa del Carmine quando questa dopo la Soppressione era meno coltivata di quanto possa esserlo oggi che, per opera del solerte Cappellano, è stata elevata al privilegio di Santuario della Vergine.

            Nel 1911, allorché Randazzo venne colpita dal colera con molte vittime, Mons. Arista Vescovo di Acireale, a nome della cittadinanza si rivolse all’intercessione del Beato, facendo voto di traslare ben presto le Reliquie nella Collegiale Chiesa di S. Maria qualora entro il 15 agosto fosse cessato il morbo.    

            La grazia si ottenne subito, per cui l’anno seguente il Vescovo che già aveva il Decreto della S. Congregazione dei Riti del 10 giugno del 1910, approvato dal Papa Pio X°, ordinò la Traslazione delle Reliquie che venne eseguita con l’intervento di due Vescovi, del Capitolo della Cattedrale di Acireale, delle tre locali Collegiate, degli Ordini Religiosi, di tutte le Confraternite ed Istituzioni sacre e civili, delle Autorità cittadine civili e militari, e di una immensa fiumana di popolo aumentata da un gran numero di forestieri intervenuti dai paesi vicini perché si era in corso delle feste annuali dell’Assunta.
            L’urna venne trasportata sulle spalle da Sacerdoti e Chierici.
      Nella Chiesa di S. Maria fu cantata una solenne Messa in musica ed il Panegirico fu recitato dal Can. D. Luigi Germanà che pubblicò anche una piccola Vita del Beato.

            Per ricordare la data della Traslazione, ogni anno il 13 agosto, se ne celebra la festa liturgica.

            La festa principale della Chiesa di S. Maria è l’Assunta il 15 agosto ed un tempo tutti gli anni, ultimamente un pò più raramente, si fa il tradizionale Carro volgarmente chiamato Bara, in dialetto nostro Vara, in cui si rappresenta al vivo l’Assunzione di Maria Santissima  al Cielo, ove viene dalla SS. Trinità incoronata.

            Prendo dal sopracitato Federico  De Roberto, a pag 75, un brano dove viene descritta questa Bara:

    “Grazie alla eredità della De Quatris la Chiesa di S. Maria si permette il lusso di celebrare per l’Assunzione, la maggior Festa della Città, una Festa alla quale dà singolarissimo carattere la processione della Bara.   

    Sopra una altissima e pesantissima armatura di legno e di ferro questa macchina è rivestita di cartone variopinto in forma di cartocci, d’imbuti e di tamburi soprapposti con una corona al sommo e tutta stralucicante dalla base alla cima di dorature e di specchietti: ma ciò che costituisce l’impareggiabile sua particolarità è una schiera di giovanetti che la popola tutta.

    Parecchie dozzine di adolescenti, nella mattinata del 15 agosto, convengono in S. Domenico dove, indossando gli abiti appositamente custoditi in una delle stanze dell’antico convento, si travestono da Angeli e da soldati romani; ad alcuni, i privilegiati, tocca rappresentare i sacri personaggi del Redentore, di S. Giovanni, delle Marie.

a Vara

    Nel pomeriggio scendono a schiera in Santa Maria dove, accanto alla Tribonia o Sacrestia, è pronta la Bara che essi popoleranno.

    Vi salgono infatti a prendervi posto, ed alcuni si fermano sulla base, altri entrano nei cartocci e negli imbuti, altro sono legati a certi ordegni di ferro dei quali i tamburi sono provvisti, e quando la macchina enorme è messa in moto, trascinata per le vie della Piazza soprana fino a S. Martino, questi tamburi cominciano a girare per mano di uomini che vi stanno nascosti, facendo roteare i fanciulli che vi sono  appesi e che cantano in coro, con tutti gli altri compagni, le laudi della Vergine.

    Lo spettacolo di quel carro dipinto di mille colori dal quale pendono quei grappoli di creaturine giravoltanti, è qualcosa che non ricorda tanto il Medioevo quanto i costumi più lontani siti… quelle Marie, quegli Angeli, quei guerrieri minuscoli sono tenuti digiuni dal giorno innanzi perchè se prendessero cibo non potrebbero resistere al movimento che li travolge.

    Essi sostengono volentieri la vertigine, la nausea e la fame per l’onore che godono ed il premio che li aspetta e, non appena la processione, tornata sui suoi passi, si ferma nel punto da cui prese le mosse, il rivestimento della Bara è fatto in mille pezzi che la pietà dei fedeli si contende, finchè resta il solo nudo scheletro, buono ancora per gli anni futuri”.

            La Chiesa di S. Maria non aveva una casa canonica attaccata ad essa perché l’avrebbe deturpata, ma possedeva un gran Palazzo chiamato il Palazzo dell’Opera De Quatris dove erano tutti gli uffici parrocchiali, la stanza con la cassaforte del Tesoro, l’alloggio dove venivano ospitati il Vescovo ed il Predicatore della Quaresima e, nel pianterreno, la Sala per l’Azione Cattolica e per il teatrino dei giovani.

            L’Insigne monumento di fede e di arte, la Chiesa di S. Maria, fu molto provata nei terribili bombardamenti anglo americani del luglio-agosto del 1943, ma la Vergine SS. protettrice di Randazzo, volle conservarla in piedi, a differenza delle altre che furono quasi distrutte.
            Venne totalmente incendiata la Coperta della Chiesa, incendiati e distrutti l’orologio, le campane con la scala che ad essi dava l’accesso; colpita da bombe precipitò la volta dell’abside centrale dietro l’Altare maggiore, travolgendo il grandioso organo che rimase annientato; anche il primo altare vicino alla porta di ponente della navata laterale del SS. Sacramento venne molto danneggiato; tutte le invetriate andarono in frantumi; le porte maggiore e minori, ad occidente della Chiesa furono in gran parte gravemente scheggiate; il campanile venne molto danneggiato da schegge.
            In tutto il resto la Chiesa rimase incolume salvo il deterioramento degli affreschi nella volta centrale per le piogge che filtravano.
            Dei Quadri fu molto imbrattato quello su tavola della Pentecoste del Caniglia e l’altro della Assunzione di Maria SS. dello stesso autore e qualche altro ebbe qualche riparabile squarcio.
            Fu anche atterrato, in gran parte, il Palazzo dell’Opera De Quatris, in primo tempo, nello angolo verso ponente, dalla caduta di due aeroplani che cozzarono tra di loro in aria e poi dalle bombe esplosive d’aereoplani; il Tesoro è stato posto tutto in salvo.
            La Coperta è stata già rifatta con nuovi sistemi, anche per la raccolta delle acque piovane che non scendono più dai canaloni di pietra, ma convogliati in grossi tubi di ghisa, sboccano ai piedi della Chiesa, mentre all’abside centrale, rifatta ottimamente bene coll’antico disegno, si sono aggiunti dei canaloni di pietra.
            Prendendo occasione dalla caduta dell’Organo si è pensato di fargli cambiare posto e così si è potuto arretrare fino in fondo all’abside il monumentale Altare maggiore che accoglie la vetusta Immagine della Madonna del Pileri.

            L’Altare maggiore che si rese più imponente col rialzo da due a cinque gradini, venne inaugurato il 14 agosto 1945 con la consacrazione della Mensa fatta da Mons. Salvatore Russo Vescovo Diocesano il quale onorò le feste di Mezz’agosto per ben due giorni, assistito da tre Canonici di Acireale, dal suo Segretario e da due Cerimonieri.
            Nell’occasione, riccorrendo il 25° di Sacerdozio dell’Arciprete D. Giovanni Birelli che fu preceduto da due Congressini sul Sacerdozio e sul Ministero del Parroco presieduti rispettivamente dal Direttore dei Salesiani e dal Superiore dei Padri Cappuccini, tutti e due ben riusciti e da un magistrale Triduo anche sul Sacerdozio, Mons. Vescovo consegnò al Festeggiato la Bolla Pontificia con la quale il Santo Padre Pio XII° lo eleggeva a suo Cameriere d’Onore.
            Non mancò il giorno 15, dopo la Messa solenne dell’Arciprete con l’Assistenza Pontificale ed il Baciamano con distribuzione di Immaginette-ricordo per la Messa Giubilare di Mons. Birelli, un pranzo ai poveri ed un lieto simposio ai Confratelli secolari e regolari ed alle Autorità.

            A perpetua memoria dell’avvenimento fu murata una lapide con la seguente epigrafe:

POST  BELLICOS  EVENTUS QUINTILIS  SEXSTILISQUE  MENSIS  A.1943  E  C.N.

QUIBUS A  CIRCUMVAGANTIBUS  VELIVOLIS

IGNITOS  GLOBOS  JACIENTIBUS

PERMAGNA  DAMNA  ECCLESIAE  OBVENERE

CORRUIT  FLAMMIS  OBVOLUTUS  FORNIX

ET  CORRUERE  SACRA  TEMPLI  AERA  ET  HORAE

IGNEIS  FLAMMIS  CORREPTA ORGANUM  DELETUM

ABSIS  ECCLESIAE  GRAVE  DETRIMENTUM  PASSA

FORNICE  ET  ABSIDE  IN  PRISTINUM  RESTITUTIS

OPUS  PRIMUM  DIFFICILLIUM

TRANSLATIO  ET  CONSTITUTIO  ALTARIS  MAJORIS

IN  PARTE  DIGNIORI  PRESBYTERII

FELICITER  ABSOLUTUM

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exsecratum ob translationem altare Excellentissimus Salvator Russo

Episcopus Jaciensis Solemniter reconsecravit

postridie Idus Augusti 1945 

traduzione italiana:  Dopo i bellici eventi – del mese di luglio e agosto 1943 – nei quali – dagli aerei intorno volanti – che lanciavano globi di fuoco – avvennero gravissimi danni alla Chiesa – crollò avvolto dalle fiamme il tetto – caddero del sacro tempio le campane e l’orologio – invasi dalle fiamme ardenti – distrutto l’organo – l’Abside della chiesa subì grave detrimento – Tetto ed abside rimessi allo stato primiero – felicemente compiuta – l’Opera principale e molto difficile – la traslazione e collocazione dell’Altare maggiore – nella parte più degna del presbiterio – l’Eccellentissimo Salvatore Russo – Vescovo di Acireale – solennemente riconsacrò – l’Altare sconsacrato per la trasposizione – il 14 agosto 1945.

            La Parrocchia di S. Maria ha avuto finora quattro Chiese Filiali: Annunziata, Pietà, S. Cuore e Cristo Re a Montelaguardia, ma poichèè il Sacro Cuore è stata elevata a Parrocchia ed ebbe aggregata la Pietà, rimangono l’Annunziata e Cristo Re che già si prepara ad avere il suo Parroco, restando solamente Chiesa Filiale l’Annunziata.

            In origine la Chiesa dell’Annunziata era dedicata a S. Silvestro Papa e conteneva una Cappella sotto il Titolo di M. SS. Annunziata che un tempo era diventata Sacrestia della Chiesa e riposta della Confraternita, ma che ora si è rimessa alla pubblica devozione,  abbattendovi il muro di chiusura ed il pulpito che, in migliore lavoro si è rifatto all’angolo della Chiesa, accanto all’Altare di S. Silvestro.

            Il Padre Scalia ed il Padre Domenico De Simone della Compagnia di Gesù, dopo un corso di Missioni predicate in Città, il 25 marzo 1686 avevano fondata una Confraternita denominata della Sciabica e i confrati si congregavano ogni Domenica dopopranzo per gli esercizi di pietà ed ogni terza Domenica, confessati e comunicati andavano processionalmente a visitare il SS. Sacramento esposto nella Chiesa Matrice.
            Però pare che questa Confraternita sia stata assorbita da un’altra che doveva essere più antica e che doveva esistere nel 1495 perché troviamo che Mons. Vicario dell’Archidiocesi di Messina che fu in Randazzo il 31 marzo di quell’anno, concede ai Confrati e loro figli di ambo i sessi di poter essere seppelliti nella stessa Chiesa senza che il Clero potesse trovare ostacoli.
            La Chiesa possiede due bellissimi Quadri del nostro concittadino Gabriele Onofrio: uno rappresentante la Nascita di Gesù e l’altro la Madonna del Rosario; una Statua artistica di S. Silvestro Papa, probabilmente del 1766 ed una bellissima Statua in gruppo della Vergine SS. Annunziata con l’Angelo, opera pregevole di M. Scuderi da Acireale.
            Il culto della Chiesa è in efficienza: Tutte le Domeniche e Feste la Messa con predica; allo spesso si celebrano Messe per devozione dei fedeli durante la settimana.   Rilevanti le due Novene precedenti alle due Feste della SS. Vergine: quella di Marzo che è stata istituita e dotata di Messe per devozione di uno dei Governatori della Confraternita Petrullo Salvatore fu Antonio, e l’altra per la Festa di giugno, Festa solenne preceduta da Triduo predicato, Panegirico, tre giorni di Fiera, Vespri, Messa Cantata, Processione ed altro.

            Si fa anche la Novena di Natale predicata di buon mattino.

            I Confrati inoltre intervengono per la Visita al SS. [per le] Quarantore nelle Chiese ove, nella Quaresima, si tiene il turno.

            É l’unica Confraternita che, insieme alla consorella dell’Addolorata, interviene sempre nelle varie processioni che, durante l’anno si fanno in Città sia nelle Parrocchie come in tutte le altre Chiese.

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La professoressa  Francesca Passalacqua  dell’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ‘MEDITERRANEA’  DI REGGIO CALABRIA – FACOLTÀ DI ARCHITETTURA 

CORSO DI LAUREA IN STORIA E CONSERVAZIONE  DEI BENI ARCHITETTONICI E AMBIENTALI  ha scritto il  pregevole libro:

 


 


Inoltre ha scritto questo articolo:

1787 – 1805 L’intervento di Giuseppe Venanzio Marvuglia nella fabbrica di Santa Maria a Randazzo

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     Dipinti che si trovano nella Basilica – Foto 

     La Corale Polifonica – Foto  

     

 ARCIPRETI DELLA BASILICA DI SANTA MARIA

 

1814  22°  Abate Arciprete  Don Giuseppe Plumari  Dott. in S. Teologia e Prof. in Diritto Canonico. 

            Fra cinque concorrenti all’Arcipretura negli esami presso Mons. Gaetano Maria Garrasi Arcivescovo di Messina, nel giorno 22 luglio 1814, tre non superarono l’esperimento e tra i due dichiarati idonei, fu prescelto il Plumari.
Il collega di concorso non preferito si appellò ai competenti Tribunali ecclesiastici e perciò l’Arciprete Plumari credette andare a Palermo per difendere la sua elezione, lasciando come suo Luogotenente parrocchiale il Decano Prof. in S. Teologia Don Giovanni Orlando della Collegiata di S. Nicolò. 
Durante la sua permanenza a Palermo che si prolungò per ben 18 mesi, ebbe la possibilità di consultare nelle varie Biblioteche pubbliche e private una grande copia di documenti storici attinenti alla nostra storia cittadina che, assieme a tante notizie che egli ha potuto ricavare da molti manoscritti di storici paesani che ha avuto tra le mani, gli hanno permesso di scrivere, con tanta pazienza ed acume, tre volumi sulla storia di Randazzo dei quali due furono depositati nella Biblioteca del Comune di Palermo.
Del terzo che trattava delle nobili Famiglie di Randazzo e dei personaggi che illustrarono la nostra Città, non si sà dove sia andato a finire. Fu strenuo difensore dei diritti parrocchiali, arcipretali e dell’Opera De Quatris di cui ottenne la fine di una Amministrazione residente comodamente a Palermo e che tanto danno apportò alle rendite della Maramma di S. Maria. 
Da Palermo dove ottenne tre sentenze favorevoli per la sua Arcipretura, tornò a Randazzo e prese possesso il 1° dicembre 1816.
  Per una comunicazione all’Accademia degli Zelanti di Acireale intitolata: Sunto della storia di Randazzo si accese una grave polemica storica tra l’Arciprete Giuseppe Plumari e l’Abbate Paolo Vagliasindi, Basiliano, che se da una parte l’Arciprete ne riportò un detrimento, stante la fama dell’Abbate, questi, a sua volta, fu smentito nelle sue asserzioni contro la storia del Plumari, dagli scavi che un suo Nipote, il cavaliere Paolo Vagliasindi, ha compiuto nei territori dei Mischi di S. Anastasia.             Morì il 1 ottobre 1851

 

1851  23°  Arciprete  Don Vincenzo Cavallaro.

           Dopo regolare concorso presso la Curia di Messina fu eletto Arciprete.
Quando, con Decreto Reale del 16 febbraio 1852, veniva ordinata la vendita dei beni delle Opere Pie Laicali e l’Opera De Quatris fu nel pericolo di essere compresa nella Disposizione, Don Vincenzo Cavallaro ricorse al Viceré di Palermo e salvò questo Patrimonio che fu dichiarato Opera Ecclesiastica.
Però, se dalla Legge del nuovo Governo italiano 7 luglio 1866 potè sfuggire la soppressione dei beni dell’Opera De Quatris che furono dichiarati Parrocchiali, dalla Legge 
15 agosto 1867, su l’Asse ecclesiastico, vide sopprimere le dotazioni delle dodici Cappellanie nelle tre Collegiate che furono incamerate dal Regio Demanio. Difese anche i diritti parrocchiali che alcuni membri del Clero cercavano di infirmare.
Le sue ceneri riposano nella Chiesa dei Padri Cappuccini.           Morì il 27 marzo 1869

 

(1869)            24°  Arciprete  Don Giovanni Battista Falanga.         

Arciprete Giovanni Battista Falanga – Basilica Santa Maria Randazzo

            Era Decano della Collegiata di S. Maria,  Nella controversia per l’Amministrazione dell’Opera De Quatris nel 1858 diede alle stampe, presso l’Officina Tipografica Carini di Palermo, una memoria contro il diritto del Parroco in tale Amministrazione, sforzandosi provare che i beni suddetti dovessero essere amministrati piuttosto da persone laiche, secondo il desiderio della donante, o se mai, dal Capitolo della Collegiata di S. Maria, escluso il Parroco. 
            Ma la risposta della Consulta di Sicilia, con Real Rescritto, decideva che l’Amministrazione dell’Opera De Quadris deve affidarsi ad un’amministrazione di Commissione presieduta dal Parroco e composta da altri due membri: uno laico od ecclesiastico proposti in terna dal Capitolo di S. Maria e scelto dall’Arcivescovo ed uno laico da eleggersi da Sua Maestà.    Morì nel 1872

 

 

 

1876  25°  Mons. Arciprete  Don Francesco Fisauli  Era Canonico di S. Nicolò.

Arciprete Francesco Fisauli della Basilica di Santa Maria – Randazzo

           Da Mons. Natoli Arcivescovo di Messina fu eletto Vicario Foraneo e Visitatore dei due Monasteri di S. Caterina e S. Bartolomeo, nel 1868. Nominato nel 1872 Economo Spirituale da Mons. Gerlando Maria Genuardi 1° Vescovo della nuova Diocesi di Acireale di cui passò a far parte Randazzo, distaccata dall’Archidiocesi di Messina cui era aggregata sin dal 1435, viene in seguito nominato Arciprete dalla S. Sede, con Bolla Pontificia del 4 giugno 1876, ottenendo il Regio Exequatur il 1° agosto successivo.
  Nel 1878 chiamò le Suore di Carità, d’accordo con le Autorità Comunali, per le scuole e per l’Asilo; nel 1879 fece lo stesso per avere i Padri Salesiani; nel 1892 fece ritornare i Padri Cappuccini. 
Abbellisce la Chiesa di S. Maria con Altari, con pavimento di marmo e grandioso Organo della Ditta Lo Giudice da Palermo; trasporta nell’abside centrale l’artistico Altare della Madonna che si trovava nel terzo Intercolunnio a tramontana e ne fa Altare  Maggiore; rinforza le fondamenta dei muri della Chiesa a mezzoggiorno e a tramontana e qui fa rimettere la porta monumentale dell’antica Chiesa e fa restaurare dal Prof. Pizzillo di Palermo i Quadri su tavola della Pentecoste, dell’Assunta e della Incoronazione di Maria Santissima.

A S. Nicola compie il primitivo disegno della Chiesa, innalzando con l’assistenza dell’Ing. Priolo nostro concittadino, un’elegante e maestosa Cupola; restaura l’interno della Chiesa ove rifà in marmo l’Altare di S. Nicolò e l’Altare Maggiore che fa consacrare da Monsignore Ferrais allora Vescovo Ausiliare di Catania dove, alla morte del Cardinale  Nava fu eletto Arcivescovo; dota la Chiesa di S.Martino di un Organo nuovo e ne rifà la coperta. 
Rivendica contro il Demanio e il Fondo Culto l’Ecclesiasticità dei beni dell’Opera De Quatris e quale Beneficio Parrocchiale i beni di S. Nicola e S. Martino, facendosi rimborsare dei frutti indebitamente percepiti dalle due Amministrazioni per parecchi anni. 

Nell’Atto di transazione tra l’Opera De Quatris, la Congregazione di Carità ed il Comune, il primo firmatario è l’Arciprete Fisauli il quale così ha dato termine alla quattro volte secolare questione sulla eredità della Baronessa Joannella De Quatris. 
Nel 1887, mentre assiste con abnegazione i colerosi nel Lazzaretto, ne contrae il morbo che, per grazia di Dio, ha superato.  Nel 50° del suo Sacerdozio viene insignito della meritata onorificenza di Cameriere Segreto Sopranumerario di S.Santità.    Morì il 24 gennaio 1913

 

1913  26°  Mons. Arciprete  Don Francesco Paolo Germanà  Vicario Foraneo e Canonico di S. Maria. 

Arciprete Francesco Paolo Germanà

            Dopo i funerali dell’Arciprete Monsignore Francesco Fisauli, Monsignore Arista Vescovo Diocesano, presente alla mesta cerimonia, lo nominò Economo Spirituale.    Dopo il Nulla Osta della S. Sede cui era devoluta la nomina del nuovo Arciprete perché il predecessore Defunto era Cameriere Segreto di S. Santità, il Germanà fu eletto Arciprete Parroco di Randazzo. 
Mons. Genuardi lo aveva eletto Direttore delle Educande del Monastero di S. Caterina e Confessore per turno dei due Monasteri di S. Caterina e S. Bartolomeo.
       Nel 1895 fu nominato Vicario Foraneo, dopo la morte del Canonico Francesco Fisauli. 
  Fu Presidente dell’Opera De Quatris. 
Nel 1924, in occasione delle sue Nozze d’Oro Sacerdotali, fu nominato Cameriere Segreto di S. Santità.
In tale circostanza, pur festeggiando le Nozze per non defraudare i fedeli che desideravano esternargli i loro omaggi, preferì celebrare la S. Messa giubilare nella intimità della Famiglia. 
Suscitò, a spese dell’Opera De Quatris, la Chiesa del S. Cuore nei nuovi Quartieri di S. Vito e Sciarone S. Antonio, dotandola, a spese del Papa di una Casa Canonica. 
Nel 1928, eleggendo piuttosto ubbidire che comandare, rassegnò nelle mani del Diocesano Mons. Colli le dimissioni dall’Arcipretura che furono accettate dalla S. Sede nel giugno dello stesso anno.    Morì in tarda età nel 5 dicembre 1937 .

                                                                                                                           

1928  27°  Mons. Arciprete  Don Giovanni Birelli  Canonico della collegiata di S. Nicolò.

Arciprete Giovanni Birelli Basilica di Santa Maria – Randazzo

       Con la rinunzia dell’Arciprete Germanà, dopo regolare concorso presso la Curia Diocesana e con l’approvazione della S. Sede, ebbe la Bolla che lo nominava Arciprete di Randazzo.
Venne contemporaneamente [nominato] dal Vescovo quale suo Vicario Foraneo.
  Per sua cooperazione fu rifatto in marmo il pavimento della Chiesa di S. Nicolò.
É stato promotore di speciali Funzioni Sacre anche con l’intervento del Vescovo. 
Con la divisione delle Parrocchie rimase Parroco della Parrocchia di S. Maria e si cooperò per l’erezione della nuova Parrocchia del Sacro Cuore, dopo di aver consolidata la fabbrica della Chiesa che, per difetto di costruzione, si era menomata nella consistenza.
Ha pensato anche a render autonoma la Chiesa di Cristo Re di Montelaguardia.
Promotore delle Vocazioni ecclesiastiche ha fatto entrare parecchi giovani in Seminario, avendo la consolazione di vederne alcuni già Sacerdoti. 
Fece rifare l’Organo di S. Maria rendendolo completamente liturgico mercè l’opera di Padre David dei Frati Minori Osservanti. 
Dopo i bombardamenti del 1943, rifece subito la tettoia della Chiesa di S. Maria che era stata distrutta dall’incendio; rifece l’aside centrale caduta per le bombe che la colpirono in pieno; spostò, arretrandolo, l’Altare Maggiore; dotò la Chiesa di un’artistica Via Crucis ed ha la buona volontà e l’intenzione di rifare l’Organo distrutto, rifondere le campane e rifare l’orologio.
  Noi gli auguriamo vita, energia e facilitazione nei suoi desideri con la benedizione di Dio.  Nel 25° di suo Sacerdozio fu insignito della Onorificenza di Cameriere di Onore di S. Santità   Morì il 9 gennaio 1972.

 

1966 28°  Mons. Arciprete don Vincenzo Mancini  parroco della Basilica di Santa Maria .                                                                                  

Mos.Vincenzo Mancini

Mons. Vincenzo Mancini  nato a Randazzo il 26 agosto 1921. Fu ordinato sacerdote  il 4 marzo 1944, dopo gli studi compiuti presso il Seminario vescovile di Acireale.  Fin dall’inizio del suo ministero  fu assegnato alla Basilica di S. Maria, e da allora la sua vita è rimasta legata strettamente, inscindibilmente, a questa chiesa,di cui  è stato, per ben 62 anni, custode e guida, dal 1° dicembre 1966, quando ne divenne arciprete e parroco, succedendo a mons. Giovanni Birelli.
La successiva nomina di Vicario Foraneo, da parte del vescovo di Acireale, gli conferiva un ruolo pastorale, oltre che giuridico e amministrativo, che si estendeva ben oltre i confini della parrocchia e della città di Randazzo, comprendendo anche Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, ruolo di grande importanza, che lo promuoveva tra i più vicini collaboratori del vescovo, e che mons. Mancini ha svolto sempre con grande dignità e competenza, grazie a quella prudenza e innata saggezza, diplomazia, capacità di mediazione e autorevolezza, che lo hanno sempre contraddistinto.

Il suo impegno non restò circoscritto all’attività parrocchiale, ma si era esteso anche al mondo della scuola, con l’insegnamento presso il liceo classico “Don Cavina”, e all’assistenza agli anziani, perseguita e realizzata particolarmente attraverso la casa di riposo “Paolo Vagliasindi del Castello”.
L’istituzione, fondata nel 1929, e in un primo tempo aggregata all’ospedale civile, dal 1964 collocata in una struttura autonoma e dignitosa, lo ebbe nel 1956 commissario prefettizio, e dopo alcuni mesi presidente, carica, questa, che padre Mancini ricoprì, salvo brevi interruzioni, fino alla fine, e nella quale investì energie e impegno, promuovendo ampliamenti e ristrutturazioni dell’edificio, al fine di assicurare una vecchiaia e un’assistenza dignitosa e adeguata a tanti anziani di Randazzo e del circondario. Rimase attivo e presente nella vita parrocchiale, anche quando il fardello dell’età e degli acciacchi aveva cominciato a rallentare il suo passo, e nonostante il peso dei gravi lutti familiari che gli era toccato di affrontare negli ultimi anni.
Si spense a 84 anni, il 29 aprile 2006. L’Amministrazione comunale di Randazzo, considerato lo spessore del sacerdote e dell’uomo, e quanto mons. Mancini sia stato, nel corso del suo lungo mandato, un punto di riferimento, per tanti giovani, adesso cresciuti, per tanti anziani, per il clero locale, per la comunità parrocchiale e per la città tutta di Randazzo, con deliberazione di Giunta. n. 19 del 19.02.2016, stabiliva di dedicargli un’area cittadina.
La manifestazione del 29 aprile scorso, iniziata con una concelebrazione nella Basilica di S. Maria, presieduta dal vescovo della Diocesi di Acireale, mons. Antonino Raspanti, con la partecipazione dell’arciprete don Domenico Massimino e degli esponenti del clero di Randazzo, è proseguita con l’intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia), che si affaccia sul fiume Alcantara, e che da oggi, a ricordo di chi in quei luoghi ha operato per lunghi anni, si chiamerà “Largo mons. Vincenzo Mancini”.  
Maristella Dilettoso 

 

                             

Enzo Crimi: La Basilica di Santa Maria

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