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Enzo Crimi – RANDAZZO E LA DRAMMATICA ERUZIONE DEL 1981

 

CHI NON HA MEMORIA NON HA FUTURO: RANDAZZO E LA DRAMMATICA ERUZIONE DEL 1981 

 – Il vulcano Etna nelle sue straordinarie manifestazione eruttive, a volte,  pretende la sua quota di territorio florido. Infatti, nella parte orientale etnea di Randazzo, il terreno produttivo si è fortemente ridotto a causa del passaggio a più riprese di imponenti colate laviche in epoche preistoriche, tuttavia, una particolare data storica rimane nella mente della popolazione randazzese: il 1981.
Fu proprio in quell’anno che due straordinarie colate laviche sconvolsero queste terre e scesero a valle piuttosto rapidamente, seminando distruzione.
Le cronache di quei terribili momenti che hanno preceduto il tragico evento, ci rammentano che sono stati giorni spaventosi per la popolazione randazzese. In quelle drammatiche ore, si avvertiva nell’aria come un odore acre, ricordano gli anziani che gli animali domestici erano inquieti e nervosi, la sensibilità degli uomini percepiva come un grande scoramento che col passare del tempo si tramutava in angoscia, quasi a prevedere l’imminente pericolo.
Di lì a poco, una grande paura cosmica avvolse le loro menti e li rese piccoli e indifesi verso la potenza della natura che si manifestava con la furia del vulcano.
Dapprima si udì come il forte stridìo del vento, poi come il brontolio del tuono a cui seguirono dei continui boati. D’un tratto tutto si mise in movimento, il terreno incominciò a tremare e, nei pressi di monte Spagnolo, tra 2.625 e 2.526 metri s.l.m., a sud di Randazzo, una coltre fumosa si alzò dal suolo pronto ad esplodere, l’odore di zolfo si spandeva nell’aria acre e cupa e soffocava qualsiasi cosa si trovasse lungo la sua scia.
Il pomeriggio del 17 marzo 1981, preceduto da uno pauroso sciame sismico e da una inaudita manifestazione esplosiva con emissione di gas e materiale piroclastico, l’Etna, il signore del fuoco, palesava tutta la sua possanza, infatti, da una fessura apertasi sul versante settentrionale del vulcano, a poche centinaia di metri dal monte Spagnolo, iniziò l’evento eruttivo.
Come a volere dimostrare agli umani la sua energica sovranità, l’Etna, palesava il suo vigore e faceva calare il suo manto fiammeggiante lungo le sue pendici ricche di vita animale e vegetale. Un fiume di fuoco scaturì dalle viscere della terra, distruggendo con veemenza quanto si trovava sul suo passaggio, scese con grande furia e velocità verso valle, a causa dell’elevato tasso di emissione e della sua straordinaria fluidità, superò alcune strade e ferrovie e, dopo circa 40 ore, terminava la sua spaventosa corsa nell’alveo del fiume Alcantara a circa 600 metri s.l.m.. Successivamente alla prima frattura, si aprirono nuove spaccature e si verificarono anche esplosioni con lanci di blocchi solidi e frammenti di roccia.
Un’altra colata lavica, seguendo come una preordinata direttiva e facendo scempio di aree forestali, agricole e di ameni paesaggi rurali, scendeva minacciosa verso il centro urbano di Randazzo e fortunatamente si fermava a meno di due chilometri dalle prime case. Le esplosioni continuarono sempre più deboli nella parte inferiore della seconda frattura fino alla sera del 23 marzo, quando l’eruzione si concluse, dopo avere invaso complessivamente oltre 4 km² di terreno di cui almeno 100 ettari di territorio boscato incontaminato.
Queste aree, seppur non particolarmente omogenee tra loro dal punto di vista orografico, presentavano in modo uniforme delle straordinarie peculiarità di carattere paesaggistico e vegetazionale, tanto da essere considerate dagli appassionati come santuari della natura.
Le colate, hanno travolto centenarie piante di faggi … maestosi faggi rivolti al cielo come a volere supplicare e suffragare la loro salvezza, sono stati annientati dal creato dalla furia del vulcano. Poi ancora, nella sua triste discesa verso valle, il manto di fuoco è calato su altre specie quali querce, castagni, pioppi, ginestre e su strutture e infrastrutture rurali, arrecando grande turbamento ed apprensione nella popolazione randazzese, pronta per l’immediata evacuazione del paese con i camion militari predisposti in Piazza Loreto.

 


Dopo avere fatto scempio di questi rigogliosi boschi, la lava ha proseguito in pianura il suo percorso di distruzione, invadendo il “cuore agricolo D.O.C. di Randazzo”. Questa vasta area raccoglieva tra i più belli rustici agresti, fiorenti frutteti e generosi vigneti che tanto orgoglio e sostentamento davano alla gente di Randazzo. Le colate, oltre a creare paura e angoscia alla popolazione randazzese, hanno contribuito ad allargare la grave ferita che pende sulla modesta economia agricola di questa cittadina e ad apportare una straordinaria modificazione all’orografia e al patrimonio boschivo dell’area.
Nelle aree più a monte restarono inceneriti e sepolti in eterno almeno 112.000 piante di castagno, 37.500 di faggio, 36.000 di quercia e circa 12.500 di pioppo. Ci vorranno secoli per rivedere dei rigogliosi boschi come quelli distrutti. Oggi è ancora tutto perso; la madre natura ha ritenuto di stendere un triste velo nero su queste terre per consegnarle nei secoli alla infecondità, come mesto monito per tutti, a testimonianza perenne della sua potenza, dalla quale si percepisce che la natura crea la bellezza e a volte la modifica a suo piacimento.
I danni materiali che la lava ha causato all’ambiente ed alla vegetazione boschiva e agraria, nell’immediato non sono facilmente quantificabili, tuttavia, nel tempo, essi apporteranno certamente una modificazione naturale all’ecosistema dell’area che possiamo considerare come una rara nicchia naturalistica per certi versi ancora integra con grosse potenzialità paesaggistiche e panoramiche con capacità di offrire riparo agli animali e di concorrere all’equilibrio idrogeologico e al mantenimento ottimale del clima di questo comprensorio.
Oggi, fermo restando nella forte perdita economica che ha subìto la società randazzese in ragione di aree coltivate, strutture e infrastrutture, possiamo soltanto avere una rappresentazione visiva dell’accaduto che se analizzata in forma corretta e obiettiva, può farci capire quanto sia elevata la lesione alla dotazione naturale e paesaggistica della collettività, la quale archiviato il momento storico dell’evento e tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, ha classificato tale perdita come tributo fatidico alle forze della natura che a volte dispensano benessere, a volte tormento.
Tutti abbiamo la consapevolezza che il danno è stato inevitabile e non può certamente essere adotto a qualcuno. Sappiamo anche che ogni albero andato distrutto dalla lava è una boccata d’ossigeno in meno per i nostri figli. Per questo dobbiamo essere vigili a mantenere la perdita stabile e impegnarci nell’immediato futuro affinché il perduto possa essere quanto prima ricostituito.
A commemorazione di quei terribili giorni del 1981, è stata eretta sopra il colle San Pietro a Randazzo, una statua di San Giuseppe, patrono della cittadina, opera dello scultore randazzese Gaetano Arrigo, come ringraziamento al Santo per lo scampato pericolo.
        Enzo Crimi

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