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Canonico Giuseppe Finocchiaro

                                                                                                                      Un protagonista di mezzo secolo di storia randazzese

                                                                                                                          IL CANONICO GIUSEPPE FINOCCHIARO

Maristella Dilettoso

         Difficile restare obiettivi e asettici quando si parla di persone verso le quali ci si sente apparentati da un legame di stima, di affetto, ancor più quando la loro immagine è sfumata, da un canto, dai ricordi dolcissimi dell’infanzia, ed è ingigantita, dall’altro, dalle testimonianze di rispetto di quanti ancora ne conservano memoria. Ma poiché il Canonico Giuseppe Finocchiaro ebbe un ruolo più che attivo nella comunità randazzese, riscuotendo stima ed amicizia, tanto nell’ambiente laico quanto in quello clericale, e purtroppo i più, a quarant’anni dalla sua scomparsa, sembrano avere dimenticato troppo presto questo concittadino, tenteremo di ricostruire le linee generali della sua biografia.
 Giuseppe Finocchiaro nacque a Randazzo il 7.1.1884, quarto di sei figli, da Cesare e Giovanna Vagliasindi, e dal padre, più volte impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica, dovette forse ereditare quella certa passione per la politica che fu uno dei tratti più singolari e discussi della sua personalità.
            Compiuti gli studi, si ordinò sacerdote il 21 dicembre 1907. Sua prima aspirazione era stata quella di entrare nella famiglia salesiana, ma le precarie condizioni di salute della madre gli fecero accantonare questo proposito.
Il latino, appreso sui banchi di scuola, per lui non aveva segreti: lo insegnò per qualche anno al Real Collegio Capizzi di Bronte, più tardi dava ripetizioni in privato, e si dice che riuscisse a tradurre ed a comporre in questa lingua con notevole scioltezza e padronanza.
Suo è il testo dell’epigrafe, incisa in marmo e posta all’interno dell’abside maggiore della chiesa di S. Maria, a commemorare la riconsacrazione dell’altare dopo i danni subìti durante i bombardamenti del 1943.

 

In questa foto il canonico Giuseppe Finocchiaro con alcuni allievi del Real Collegio Capizzi di Bronte.

Nel 1910 l’Arciprete Francesco Fisauli, invitato da Don Luigi Sturzo ad una conferenza a Paternò, delegava, quale rappresentante del clero di Randazzo, il Canonico Finocchiaro con il compito di acquisire elementi utili per costituire ed organizzare anche a Randazzo un movimento cattolico.
          Partecipò quindi all’Atto costitutivo e alla stesura dello Statuto della Cassa Rurale Cattolica di Randazzo, ricoprendo il ruolo di Segretario dal 1910 al 1915, e facendo parte del Consiglio di Amministrazione fino al 1935, quando si dimise come molti altri esponenti del clero, dietro invito dei superiori (la Sacra Congregazione del Concilio “sconsigliò” in vari paesi i sacerdoti dal fare parte delle casse Rurali).
In quegli anni, quando una terribile e mortale epidemia di colera si abbatté su Randazzo (1911), si prodigò incessantemente in prima persona per l’assistenza ai malati ed ai moribondi, trascorrendo con loro gran parte delle sue giornate, nel lazzaretto che era stato allestito presso il Convento di S. Domenico.
            Nel 1912 venne nominato Economo Cassiere della Parrocchia di S. Nicolò, dove era coadiutore dal 1908, perché “abbastanza versato in fatto di contabilità” (V. verbale di nomina del 3.9.1912).
Lasciò la Parrocchia dal 1915 al 1918, quando, allo scoppiare del 1° conflitto mondiale fu inviato, come Cappellano Militare, col grado di Tenente, in zona di operazione.


Il canonico Giuseppe Finocchiaro in divisa di Cappellano Militare durante la guerra 15/18.

Raramente, poi, avrebbe parlato ad altri degli orrori vissuti e delle scene drammatiche cui gli toccò assistere al fronte: e questo fu sempre un altro aspetto del suo carattere: una qualche forma di pudore, o riservatezza, gli impediva di diffondersi a narrare i propri ricordi più tristi, o i propri dispiaceri, o le proprie sofferenze fisiche.
Preferiva piuttosto intrattenere gli intimi con gli aneddoti e gli episodi più divertenti. Così fu anche per l’esperienza della guerra, quando in realtà gli pesava troppo parlare di tanti amici e commilitoni che si era visto morire davanti tra le sofferenze, o straziati dalle granate, senza poterli aiutare, dovendosi accontentare di somministrare loro in fretta gli ultimi Sacramenti, spesso senza neanche il tempo di una Confessione.
Nel 1928, a seguito delle dimissioni per motivi di salute dell‘Arciprete Francesco Paolo Germanà (del quale era stato segretario), partecipò al Concorso per la carica di Arciprete. Superò il concorso Mons. Giovanni Birelli, che detenne la carica fino al 1966.
Tra la fine del 1936 e la primavera 1938, venne inviato in qualità. di Vicario Economo nella vicina Castiglione, dove si fermò circa un anno, alloggiando in Canonica, allo scopo di rivedere la contabilità, per presunti illeciti verificatisi durante i lavori di ricostruzione della Chiesa di Maria SS della Catena.
Una bolla del nuovo Vescovo di Acireale, mons. Salvatore Russo, emanata l’8 dicembre 1936, doveva segnare una data storica per Randazzo: con essa infatti si poneva fine a quella vexata quaestio della secolare disputa fra le tre chiese di S. Maria, S. Nicolò e S. Martino. Fino ad allora esse ricoprivano il ruolo di matrice a rotazione, per un anno ciascuna, e l’unico Arciprete parroco aveva sede nella matrice di turno. Il Vescovo, trovando ciò difforme dalle norme di Diritto Canonico, sanciva con tale bolla la parrocchialità autonoma delle tre chiese, con proprio parroco e due coadiutori, abrogava i turni di matriciato, eleggendo come unica matrice la chiesa di S. Maria, la quale sarebbe stata anche sede di Arcipretura.

In questa foto si riconoscono: Padre Matteo Paparo, Gaetano Vagliasindi, canonico Finocchiaro. 2°fila: arc. Giovanni Birelli, sig. Polizzi, canonico Edoardo Lo Giudice.

Il Canonico (perché talvolta emerge il conflitto tra l’uomo e il sacerdote), che con altra bolla episcopale del 4 luglio 1937 veniva nominato Parroco di S. Nicolò, nel suo intimo dovette mal digerire questa subordinazione ad un’altra chiesa.
La bolla del 1936, ad esempio, stabiliva fra l’altro che S. Maria avrebbe dovuto, per prima, il Sabato Santo, suonare le campane a gloria, e pare ch’egli si regolasse con i propri tempi e ritmi…
            Ma ben altre nubi si profilavano all’orizzonte. La Seconda Guerra mondiale, che a Randazzo portò lutti e rovine, distruggendo un patrimonio storico e monumentale di inestimabile valore, a Don Giuseppe portò eventi dolorosissimi: la notizia della morte del figlioccio e nipote prediletto, il Tenente Gaetano Vagliasindi, ucciso dai Tedeschi a soli 22 anni nell’isola egea di Coos, il 6 ottobre 1943, e poi ancora quella del nipote Alessandro Mancini, perito in mare il 9 settembre assieme a quasi tutto l’equipaggio della corazzata “Roma”.
E infine, i bombardamenti incessanti del luglio-agosto 1943, che aprirono in lui ferite profonde, come nel suo fraterno amico Salvatore Calogero Virzì.
La Chiesa di S. Nicolò venne centrata da una bomba, che distrusse la cupola, gran parte della navata centrale, la navata destra con tutta la sagrestia, la Canonica e molte opere d’arte.
Il parroco in quei giorni fu sorpreso a piangere, seduto tra le macerie della “sua” chiesa, che riteneva ormai irreparabilmente distrutta.
Ma l’attività di un sacerdote non si può mai fermare, neanche di fronte ai momenti di prostrazione più profonda. In un primo tempo aveva pensato di delimitare la navata di sinistra, rimasta quasi integra, per potervi officiare, ma in un secondo tempo le manifestazioni di culto vennero spostate nella chiesetta di S. Barbara, poi nella vicina S. Domenico (anche questa chiesa era pericolante, benché al momento del crollo della torre era già stato ripristinato il culto in S. Nicolò), mentre per ovviare alla perdita dei locali della canonica, dove soleva riunire tanti giovani, adattò una stanza al pianterreno della propria abitazione (Palazzo Clarentano), aprendola agli affezionati di sempre.
            Durante gli anni del conflitto si era adoperato, con impegno e a proprie spese, per rintracciare i prigionieri di guerra: dopo aver ricavato il codice dell’ultima corrispondenza inviata ai familiari, si metteva in contatto, a Roma, con l’Ordinariato militare, ottenendo le notizie di tanti militari randazzesi dispersi, che si affrettava a trasmetterle ai parenti.
            E venne la insperata ricostruzione, i lavori della cupola furono completati nel 1950, e in seguito anche quelli della chiesa, della canonica e sagrestia, sebbene con pianta diversa.


    Questa è una foto storica della ricostruzione della cupola della chiesa di San Nicola distrutta dai bombardamenti del 1943. Si riconoscono: Padre Mangano, il Canonico Finocchiaro, Padre Saro Maugeri e il carpentiere don Pippo Crispino.     

Nel dopoguerra ricoprì la carica di Presidente dell’E.C.A. (Ente Comunale Assistenza),  ma in quei tempi troppi erano i bisogni, la popolazione randazzese era stata duramente colpita, ed era difficile accontentare tutti coloro che chiedevano sussidi.
            In parrocchia venne istituita la devozione a S. Rita da Cascia, al cui simulacro, ritirato direttamente da Ortisei, seguirono quello di S. Giuseppe e più tardi di S. Lucia, posti tutti nelle cappelle laterali; proprio nella ricorrenza di questi due Santi si fecero volare dalla piazza enormi palloni a gas, dalle forme più strane.
Durante la Settimana Santa il parroco seguiva e curava personalmente la solenne e suggestiva processione col Cristo nel “cataletto”, che si svolgeva allora il Giovedì Santo sera, e creò il gruppo dei figuranti rappresentanti i 12 Apostoli.
            Nelle arroventate elezioni amministrative del 1956, fu accanito sostenitore (fiancheggiato in ciò da una nutrita rappresentanza del clero), della Lista Civica che portò alla carica di Sindaco Pietro Vagliasindi.
Sembra che il Canonico ne sia stato, per alcuni versi e in varie occasioni, consigliere e ispiratore “Ma chi scrissi ‘u Canonicu?”, avrebbe esclamato il Vagliasindi mentre cercava di leggere, durante un comizio, gli appunti scritti nella grafia illeggibile di don Giuseppe).
            Morì l’11 marzo 1957, dopo essere stato colto da un ictus mentre si trovava in canonica.
            L’attività di don Giuseppe Finocchiaro non si fermò al suo ministero, che svolse sempre con estrema fermezza e dignità, ma spaziava anche in altri campi. Oltre che un latinista, era anche un esperto di Diritto Canonico, cui si rivolgevano spesso altri sacerdoti per chiarimenti e consulti, apprezzava la musica lirica, ma non disdegnava una partita a biliardo o una mano di briscola con gli amici.
            Un aspetto rilevante è quello dell’interesse per i giovani, di cui si circondava sempre in Canonica e fuori: forse proprio in quest’ottica si possono anche inquadrare l’affinità ed i buoni rapporti di amicizia e frequentazione con molti Salesiani, cui lo accomunava la cura e l’attenzione nell’intrattenimento dei ragazzi. Seguì per parecchio tempo l’Associazione S. Paolo, di Azione Cattolica maschile.
            Fu senz’altro una figura non convenzionale, quasi controcorrente, ma non comunque nel senso odierno di “prete scomodo”. Alcuni atteggiamenti, poco consueti per quei tempi in un sacerdote, gli costarono le critiche dei più formalisti.
Certi tratti sono rimasti fortemente impressi nella memoria collettiva randazzese, come il suo modo particolare di incedere, la dizione stretta e particolarissima, l’aroma di caffè che aleggiava in Canonica, l’eterna sigaretta “Tre Stelle” (aveva preso il “vizio” nel periodo trascorso al fronte, quando le scorte nei magazzini restavano inutilizzate perché tanti non tornavano più), le sue capacità di esperto solutore di giochi enigmistici, l’abito talare indossato in modo informale, con il collarino spesso slacciato.
            Era dotato di una memoria formidabile, e capace di grandi slanci di generosità e abnegazione, amante della compagnia e delle facezie, personalità molto spiccata e poco incline all’ossequio formalistico, intollerante dei soprusi e schietto nel suo dire, senza peli sulla lingua.

 

Nella foto il Canonico Giuseppe Finocchiaro co alcuni amici.

Molte cose ancora si potrebbero dire del Canonico, molti episodi si potrebbero riportare, di quelli che ci sono stati rievocati con simpatia e commozione da quanti gli furono accanto; tanti apprezzamenti e testimonianze postume si potrebbero citare, di quanti fecero a gara per ottenere l’amicizia di un personaggio considerato di levatura superiore; molte opere buone si potrebbero narrare, se non si temesse di fare un torto a quella sua modestia e ritrosia, che in vita non lo indusse mai a vantarsi del bene fatto, applicando alla lettera la massima evangelica “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”.
Ma non era il nostro intento quello di costruire un ritratto agiografico, da immaginetta commemorativa, bensì di riconsegnare al ricordo la figura di un uomo che ha contribuito a fare la storia del nostro paese, una figura dai forti tratti umani, sanguigna, coraggiosa, aliena dai compromessi, ma fortemente attaccata ai valori essenziali, autentici, fuori da schemi ieratici e convenzionali.

Maristella Dilettoso
(Articolo pubblicato sul Gazzettino di Giarre, nn. 26 e 27 del 1998)
Le foto con le didascalie sono di Maristella Dilettoso che si ringrazia anche per l’ottimo articolo.

Maristella Dilettoso

 Maristella Dilettoso è nata e vive a Randazzo. Ha studiato a Randazzo, Bronte e Catania, dove ha conseguire la Laurea in Lettere Moderne nel 1976, discutendo la Tesi “Il fascino della distanza: due fiabe moderne presentate ai ragazzi”, relatore il Ch.mo Prof. Gino Corallo.

Dopo qualche breve esperienza di insegnamento, dal 1978 fino al 2011 ha diretto la Biblioteca civica della sua città. Tra i suoi interessi principali la pittura, la letteratura, il giornalismo, la storia e le tradizioni locali.

Nella pittura predilige il genere figurativo, i suoi soggetti sono paesaggi, nature morte, ma soprattutto angoli, monumenti e vie della sua città. Ha partecipato nel passato a diverse estemporanee e mostre collettive di pittura, aggiudicandosi un 1° posto (Maletto, 1980), ed altri riconoscimenti, ha tenuto una mostra personale a Bronte nel 1982; si è inoltre classificata al 1° posto nel Concorso indetto dal Comune di Maniace nel 1984 per il progetto dello stemma e del gonfalone.

 Ha redatto il testo della Guida turistica Randazzo città d’arte nel 1994, e, assieme ad altri, il testo della Guida alla Città di Randazzo nel 2002.
Ha pubblicato, assieme a don Cristoforo Bialowas, il volume Un beato che unisce : Randazzo e Montecerignone, nell’anno 2006, sulla vita e sul culto del beato Domenico Spadafora da Randazzo.
Nel 2008 ha pubblicato il volume Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze siciliane: un viaggio nell’universo randazzese. Per questa pubblicazione le è stato conferito nel 2008 il “Premio Bianca Lancia” nel corso delle manifestazioni di Medievalia a Brolo (ME), e nel 2009 il premio speciale della giuria per la sezione “Libro edito – Saggio”, nel concorso “Poesia, prosa e arti figurative 2009” indetto dall’Accademia Internazionale Il Convivio.

Maristella Dilettoso

Come giornalista ha firmato, fino ad ora, oltre 400 articoli, su argomenti vari: d’opinione, di cronaca, cultura, costumi e tradizioni, biografie, interviste, racconti, recensioni letterarie, collaborando a diverse testate, quali il Gazzettino di Giarre, Il Sette, il bollettino del Comune di Randazzo, Randazzo notizie, Famiglia domenicana (periodico dell’O.P.), il giornale della Diocesi di Acireale La Voce dell’Jonio (anche nella versione online, ed alla rivista Il Convivio, suoi scritti sono apparsi sul Giornale di Sicilia, La voce dell’isola, e su Prospettive.

È stata relatrice in alcune presentazioni di libri, conferenze e tavole rotonde, come una conferenza per la sezione l’Unitre di Randazzo sul tema “Le leggende di Randazzo” (2006) e una tavola rotonda su “Federico De Roberto a Randazzo” per l’Associazione RIS (2014), collabora occasionalmente con emittenti locali, ha fatto spesso parte di giurie in occasione di concorsi artistici e letterari.

Libro di Maristella Dilettoso

 

 

Produzione Letteraria

 Produzione artistica

 

 

Parlano di Maristella

Collana Etnografia

Titolo: Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze sicilane

Autore: Maristella Dilettoso  

Descrizione – Detti, sentenze, proverbi, storielle, modi di dire, aneddoti e usanze sicilane

«… si può con sicurezza affermare che la Dilettoso ha raccolto, illustrato e confrontato il mondo variegato delle tradizioni randazzesi da lasciare ben poco ad altri da spigolare nel vastissimo campo.
E pur avendo sottolineato nella sua introduzione di aver voluto circoscrivere il suo studio all’ambiente randazzese … e considerata una così grande importanza storica della città, questo ricco patrimonio culturale, regalatoci dall’ardua fatica della Dilettoso, non può restare circoscritto ad un ambiente delimitato al quale ha peraltro intrecciato una splendida corona, ma ha diritto di superare i ristretti confini geografici, di essere conosciuto, studiato e di far parte del prezioso tesoro delle tradizioni po­polari siciliane.
Di conseguenza, il volume merita di stare accanto alla produzione demologica dei grandi e meno grandi folkloristi dell’Isola, anche perché ricco di opportune annotazioni, con la finalità di agevolare l’intelligenza dei vocaboli e del senso della pregevole scelta dei proverbi.
E, inoltre, il volume mette in risalto una vasta erudizione, un’abilità non comune, una grande vivacità di fantasia, discernimen­to critico e un’arte singolare di descrivere della ricercatrice: proprio così, Mari­stel­la Dilettoso ha conservato uno dei più bei monumenti della nostra città e ha collocato un magnifico gioiello nel forziere nel quale vengono conser­vati i tesori della cultura popolare» (dalla Prefazione di Salvatore Agati).

L’Autore – Maristella Dilettoso

Maristella Dilettoso, nata a Randazzo nel 1951, laureata in Let­tere moderne all’Università  degli Studi di Catania, dopo brevi esperienze di insegnamento, dal 1978 dirige la Biblioteca comunale della sua città.
Si è occupata di pittura e disegno,  giornalista pubblicista, ha scritto articoli di cronaca, storia, arte, cultura locale, re­cen­sioni lette­rarie, collaborando a varie testate giornalistiche siciliane.
Ha pubblicato:
la Guida turistica ” Randazzo città d’arte” (1994), e con altri autori,
una Guida storico-turistica di Randazzo (2002) 
la monografia:  Un beato che unisce: Randazzo e Montecerignone (2006).

La battaglia di Francavilla di A Manitta a cura di M Dilettoso


 

Randazzo / La parrocchia di S. Martino vive l’Anno Giubilare del seicentesco “crocefisso della pioggia” |

La voce dell’Jonio  19 maggio 2016

“Crocifisso della pioggia” di S. Martino, – Randazzo

La Parrocchia di San Martino in Randazzo celebra quest’anno il 475° anniversario della presenza del Crocifisso del Matinati, con un Anno Giubilare straordinario indetto da Papa Francesco.
Le celebrazioni del Giubileo, che si sono aperte il 13 settembre e si concluderanno il 20 settembre 2015 con una grande festa in onore del Crocifisso, si articoleranno per un anno intero attraverso celebrazioni parrocchiali, pellegrinaggi, concessioni di indulgenze, nel corso delle varie ricorrenze e festività previste dall’anno liturgico.  

In apertura, la sera del sabato 13, per desiderio del parroco, padre Emanuele Nicotra, durante la Messa serale, è stato inaugurato un nuovo quadro, realizzato dall’artista Giuseppe Giuffrida e offerto alla chiesa di S. Martino da due parrocchiani che hanno preferito restare anonimi: l’opera si riferisce a un momento particolare dell’eruzione dell’Etna del marzo 1981 – quella che distrusse molte case e terreni del territorio di Randazzo, e minacciò seriamente l’abitato – e rappresenta S. Giuseppe, patrono della città, che intercede per la sua salvezza. La celebrazione  eucaristica è stata presieduta dall’arciprete Domenico Massimino, parroco del Duomo di Giarre.

Domenica 14 settembre, sempre in S. Martino, è stato inaugurato ufficialmente l’anno giubilare per i 475 anni dall’arrivo del Crocifisso a Randazzo con una messa celebrata dal vescovo della Diocesi di Acireale Mons. Antonino Raspanti, e la partecipazione di tutto il clero della città. Nel corso della celebrazione il Vescovo ha consacrato il nuovo altare.

Vale la pena di ricordare brevemente, a questo punto, la leggenda cui è legato il “Crocifisso della pioggia” di S. Martino, chiamato comunemente dai randazzesi ‘u Signuri ‘i l’acqua:  opera pregevole di uno dei Matinati, famiglia di “crocifissari” rinomata in tutta la Sicilia, probabilmente Giovanni Antonio,  è una scultura dallo stile contenuto e dalle armoniche proporzioni.
Vuole la tradizione che, in una sera di settembre del 1540, alcuni uomini trasportavano il Crocifisso verso un paese dell’interno, cui era destinato; giunti a Randazzo, o perché sorpresi da un acquazzone, o semplicemente per il sopraggiungere delle tenebre, chiesero ricovero per il simulacro nella chiesa di San Martino. 
All’indomani, venuto il momento di riprendere il viaggio, non appena giunti sulla porta della chiesa, un violento temporale li costrinse a rimandare la partenza, e così per tre giorni di seguito, finché, interpretando il prodigio come una manifesta volontà del Signore di rimanere a Randazzo, il clero della chiesa non ne  formalizzò l’acquisto.
L’immagine, ritenuta miracolosa, è stata ne corso dei secoli oggetto di grande venerazione da parte dei randazzesi, che in passato, durante i periodi di siccità e carestia, si rivolgevano a lei per impetrare la pioggia, con digiuni, preghiere e processioni.

Maristella Dilettoso

 

Randazzo / Riconoscimento filiale per mons. Mancini. A dieci anni dalla morte, il Comune gli dedica una piazza.

 

Lo scorso 29 aprile 2016 , giorno del 10° anniversario della scomparsa di mons. Vincenzo Mancini,  la città di Randazzo ha voluto dedicargli una piazza con una cerimonia che ha visto la partecipazione di autorità religiose, civili, militari, parrocchiani e numerosi altri cittadini.
Mons. Vincenzo Mancini era nato a Randazzo il 26 agosto 1921. Seguendo una vocazione manifestatasi fin dall’infanzia, ricevette l’Ordine Sacro il 4 marzo 1944, dopo gli studi compiuti presso il Seminario vescovile di Acireale.
Erano gli anni tristi della guerra (solo pochi mesi prima il fratello maggiore, Alessandro, era perito in mare durante l’affondamento della corazzata Roma), Randazzo non si era ancora completamente destata dall’incubo dei bombardamenti e dell’invasione, dovunque vi erano macerie, lutti, fame e distruzione, e il clero dovette molto impegnarsi a dare assistenza e sostegno.
Fin dall’inizio del suo ministero, il neo sacerdote fu assegnato alla Basilica di S. Maria, e da allora la sua vita è rimasta legata strettamente, inscindibilmente, a questa chiesa, uno splendido tempio che affonda le sue origini nella leggenda, che si è arricchito nei secoli di tante opere d’arte, grazie anche al mecenatismo degli arcipreti che vi si sono succeduti, che ha accolto la comunità randazzese nei momenti più luminosi come in quelli più bui, superando, magnifica e indenne, terremoti, eruzioni e guerre.
Di questa chiesa mons. Vincenzo Mancini è stato, per ben 62 anni, custode e guida, dal 1° dicembre 1966, quando ne divenne arciprete e parroco, succedendo a mons. Giovanni Birelli.
La successiva nomina di vicario foraneo, da parte del vescovo di Acireale, gli conferiva un ruolo pastorale, oltre che giuridico e amministrativo, che si estendeva ben oltre i confini della parrocchia e della città di Randazzo, comprendendo anche Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, ruolo di grande importanza, che lo promuoveva tra i più vicini collaboratori del vescovo, e che mons. Mancini ha svolto sempre con grande dignità e competenza, grazie a quella prudenza e innata saggezza, diplomazia, capacità di mediazione e autorevolezza, che lo hanno sempre contraddistinto.
Il suo impegno non restò circoscritto all’attività parrocchiale, ma si era esteso anche al mondo della scuola, con l’insegnamento presso il liceo classico “Don Cavina”, e all’assistenza agli anziani, perseguita e realizzata particolarmente attraverso la casa di riposo “Paolo Vagliasindi del Castello”.
L’istituzione, fondata nel 1929, e in un primo tempo aggregata all’ospedale civile, dal 1964 collocata in una struttura autonoma e dignitosa, lo ebbe nel 1956 commissario prefettizio, e dopo alcuni mesi presidente, carica, questa, che padre Mancini ricoprì, salvo brevi interruzioni, fino alla fine, e nella quale investì energie e impegno, promuovendo ampliamenti e ristrutturazioni dell’edificio, al fine di assicurare una vecchiaia e un’assistenza dignitosa e adeguata a tanti anziani di Randazzo e del circondario. Rimase attivo e presente nella vita parrocchiale, anche quando il fardello dell’età e degli acciacchi aveva cominciato a rallentare il suo passo, e nonostante il peso dei gravi lutti familiari che gli era toccato di affrontare negli ultimi anni. Si spense a 84 anni, il 29 aprile 2006.

L’Amministrazione comunale di Randazzo, considerato lo spessore del sacerdote e dell’uomo, e quanto mons. Mancini sia stato, nel corso del suo lungo mandato, un punto di riferimento, per tanti giovani, adesso cresciuti, per tanti anziani, per il clero locale, per la comunità parrocchiale e per la città tutta di Randazzo, con deliberazione di Giunta. n. 19 del 19.02.2016, stabiliva di dedicargli un’area cittadina.
La manifestazione del 29 aprile scorso, iniziata con una concelebrazione nella Basilica di S. Maria, presieduta dal vescovo della Diocesi di Acireale, mons. Antonino Raspanti, con la partecipazione dell’arciprete don Domenico Massimino e degli esponenti del clero di Randazzo, è proseguita con l’intitolazione dello spiazzo antistante il lato nord della chiesa e la sacrestia (‘a Tribonia), che si affaccia sul fiume Alcantara, e che da oggi, a ricordo di chi in quei luoghi ha operato per lunghi anni, si chiamerà “Largo mons. Vincenzo Mancini”.

 | La Voce dell’Jonio 4 maggio 2016 – Maristella Dilettoso 

 

la chiesa nera
Recensito 23 maggio 2016

La basilica di Santa Maria è la più famosa di Randazzo, e ha sempre costituito un’attrazione per turisti e visitatori. Interamente costruita in pietra lavica, la sua origine si perde nella leggenda. L’edificio, per come lo vediamo oggi, è il risutato di diverse fasi costruttive, fuse armonicamente. La parte absidale, la più antica, risale al XIII secolo.
All’esterno la costruzione è realizzata in blocchi squadrati di nero basalto, che non lasciano intravedere la malta tra le connessure. Oltre alle tre absidi merlate, dove si può vedere lo stemma di Randazzo, il leone rampante su uno scudo di marmo bianco, molto interessanti i due portali della facciata nord e sud, il campanile neogotico, costruito al centro della facciata nella seconda metà del XIX sec. sullo schema di quello originario, con tre ordini di finestre bifore e trifore, che alterna pietre bianche e nere, crendo con la sua bicromia un insieme artistico armonioso e suggestivo.
All’interno, una fuga di colonne in pietra lavica, alcune delle quali monolitiche, numerosi dipinti e oggetti preziosi.
Ricordiamo la Madonna di Pietro Vanni (1886) sull’altare maggiore, l’affresco con la Madonna del Pileri, sulla porta nord, legato alle leggendarie origini della chiesa, 6 tele del palermitno Giuseppe Velasco (sec. XIX), tra cui spiccano un’Annunciazione e il Martirio di S. Andrea, la Crocifissione del fiammingo Van Houmbracken (sec. XVII), la tavoletta di Girolamo Alibrandi sec. XVI) con La Madonna che salva Randazzo dalla lava, il Martirio di S. Lorenzo e di S. Agata, entrambi di Onofrio Gabrieli e il Martirio di S. Sebastiano di Daniele Monteleone, tutti del sec. XVII, la Pentecoste (sec. XVI), la tavola di Giovanni Caniglia (1548) cui s’ispira la Vara, il Battesimo di Gesù del randazzese F. Paolo Finocchiaro (1894), e un Crocifisso scolpito da frate Umile da Petralia.

 

 

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